Il Raccontino della nonna
C'era una volta un sorcino, che aveva perso la mamma l’anno prima per una brutta avventura capitatole con il gatto più feroce di tutto il circondario. Questo, fortunatamente non viveva proprio nei dintorni, ma scendeva giù a valle ogni tanto a fere razzie, era cattivo, cattivissimo. Perché lui non aveva bisogno di ammazzare per mangiare, lo faceva soltanto per il gusto di farlo. Infatti nella villetta dove viveva con i suoi ricchi padroni in collina non gli mancava assolutamente niente. Il nostro sorcino ora, poverino, adesso ch’era inverno avanzato, sentiva molto freddo, lui sentiva sempre freddo, figuriamoci adesso che un freddo così non c’era mai stato; per questo motivo si era guadagnato il nomignolo di Freddolino e tutti lo chiamavano così. Però lui si chiamava Zoc.Zoc, abbiamo detto che non aveva la mamma, purtroppo, ma in compenso aveva due buoni fratellini maggiori, Zic e Zac, che gli volevano molto bene, e si curavano abbastanza di lui per non fargli pesare molto l’assenza della mamma.
Un bel giorno, anzi un brutto giorno, il freddo era praticamente insopportabile, fuori all’entrata della tana la neve aveva quasi raggiunto un livello che poteva chiudere l’entrata da un momento all’altro. Nel contempo la fame era diventata un vero e proprio martirio. “Allora che fare?” sembrava che si chiedessero guardandosi negli occhi senza parlare i poveri fratellini. Purtroppo non c’erano alternative, dovettero convenire, e allora decisero di affrontare la tempesta in cerca di cibo. Zac, il più grande, propose di lasciare Freddolino in casa, ma lui non volle saperne. Così, i tre fratellini Zac, Zic e Zoc uscirono dalla tana, spinti dalla fame che al momento sopravvaleva su ogni altro problema, dimenticando almeno per un momento perfino il grande freddo che regnava sovrano. E non solo
Chi andò di qua, chi andò di là. Intanto imperversava la tempesta; il freddo era divento polare; impossibile andare oltre, e poi di cibo in quella situazione ovviamente non ce n’era nemmeno l’ombra. Allora i tre fratellini, alquanto scoraggiati dopo poco che erano usciti furono costretti a rinunciare, e ritornarono indietro. Appena in tempo per poter entrare nella tana, dove la neve sull’uscio lasciava appena appena un piccolo buco per poter entrare. Così i tre poveri fratellini si ritrovarono nella tana più infreddoliti e affamati come non mai. Non si sa come fecero a resistere, ma la brutta notte passò e a l’alba un timido raggio di sole illuminò un angolo della tana, e ritornò così anche la speranza, come avviene ad ogni giorno che nasce; ma purtroppo quello era solo un raggio che, birbandello era sfuggito attraverso lo squarcio delle nuvole in continuo movimento e subito scomparve.
Zac, che era il più grande, azzardò un’idea e disse: ” Dobbiamo assolutamente mangiare. Andiamo in quella bella casina rossa sulla collina, là certamente troveremo cibo in quantità.” Ma fu subito scartata, perché un grosso gatto nero, più vorace ancora di quello di prima, là stava sempre allerta e pronto a divorare.
Zic, che era il secondogenito, disse la sua, ma non fu nemmeno presa in considerazione per le grandi difficoltà che comportava: andare dove c’era il primo gatto, aspettare che si allontanasse e fare manbasso di tutto quello che certamente avrebbero trovato in quella casa molto ricca. Poi vedendo il dissenso degli altri e resosi conto del pericolo, fece spalline e disse: “Va be’, mangiamo domani, un giorno di più, un giorno di meno....”
Era ritornato il crepuscolo, con tanta fame, con tanto freddo, e senza un’idea, i tre fratellini cercarono di addormentarsi, scaldandosi un poco tenendosi abbracciati. I due più grandi, che oltre tutto erano anche stanchi, s’addormentarono davvero. Mentre Freddolino proprio non ci riusciva, ed era tutto tremante, e pensava: “ Oh, se fossi un bambino! Come sarebbe bello avere un lettino caldo caldo e lo stomaco pieno pieno”. Poi senza rendersi conto, incominciò, piangendo, a pensare ad alta voce: ”Perché sono nato topolino e senza nemmeno una camicia?” E aggiungeva sempre piangendo: “Sento tanto freddo , com’è brutto il freddo!”.
In quel mentre passò di lì una fatina, la quale girava nella zona per controllare e per godersi il suo regno, perché ella era la fata delle nevi. Sentì il pianto e anche quello che diceva freddolino, allora si fermò, divenne piccola piccola, quel tanto per comparire nella tana e si fece vedere. Era bella, ma dava i brividi solo a guardarla: aveva un manto di neve bianchissimo, di una lunghezza indefinita. i capelli fatti come un vento multicolorato, che si rinnovavano continuamente con un effetto fantastico, il naso e la bocca erano praticamente perfetti, sembravano di ghiaccio, ma erano di carne bianchissima e liscia e brillavano come smeraldi sopra ad un volto anch’esso perfetto della stessa natura, gli occhi poi erano così belli che non si potevano guardare, emenavano una luce quasi abbagliante, che non si capiva da dove provenisse, perché quell’abbaglio si confondeva con altri provenienti da tutto il suo essere, lasciando di tanto in tanto scoprire uno sguardo severo, e autoritario; sulle sue labbra un ghigno poco rassicurante che ammaliava e impauriva nello stesso tempo.
Zoc alzò la testina appena appena per guardare, non credeva ai propri occhi, ma non si spaventò più di tanto, erano ben altro i suoi problemi, era solo molto incuriosito e la guardava con rispetto e timore. Allora la fata puntandogli un dito accusatore e con un po’ di severità gli disse: “Non ti piace il freddo? E poi perché senti freddo? Non hai forse tu una pelliccina che ti difende il corpicino? Non ti vergogni di lagnarti, che mentre peggio di te ci sono bambini che sotto gli straccetti hanno solo la pelle tutta nuda.
Freddolino, che era già tanto sorpreso, si smarrì poi in un labirinto di pensieri resi ancora più confusi per quando aveva sentito, e non capiva come potessero esistere bambini così sfortunati e rispose: ”Ma i bambini hanno la mamma, il cibo caldo e il focolaio. Me l’ha detto un vecchio zio di mio nonno, e poi io ne ho visto uno, una volta che...Io vorrei tanto diventare un bambino! Loro sono felici, hanno tante cose, e poi...” Non finì la frase che la fata scomparì, e il poverino tornò più avvilito di prima. Dopo qualche minuto non era nemmeno sicuro che avesse visto e sentito una fata, “forse l’ho sognato” pensò. Tuttavia, ancora più sconsolato di prima, ritornando alla realtà, si mise a riflettere. Pensò e ripensò a come potesse risolvere il problema della fame e del freddo. E adesso come se non bastasse si caricò di un altro triste pensiero: per i bambini che peggio di lui non avevano neanche la pellicina. Però non era tanto convinto.
Allora preso dal coraggio della disperazione e dalla forte curiosità, e con tanta compassione pensando a quel bambino che quella volta...uscì nel freddo. E quatto quatto si avviò verso la casina dove c’era quel bambino “Speriamo che mi riconosca ”pensò, “è passato tanto tempo da quella volta che mi salvò e mi sfamò. Speriamo che anche stavolta...”
L’inverno prima, infatti, lui era un sorcinino piccolo piccolo e aveva ancora la mamma che lo riempiva di attenzioni, ma gli impediva tante cose “Non fare questo...Non fare quello” diceva in continuazione. “Stai attento agli uomini, quelli sono cattivi” ricordava sempre. Ma lui, ch’era un discoletto curioso e disobbediente, una volta esagerò perfino, si avventurò, attratto da un buon profumo in quella casina sopra alle scale in fondo a sinistra.
Seguendo il fiuto, con le zampine ancora incerte, era entrato in casa passando da uno dei tanti buchi della vecchia porta. Poiché il profumo si faceva sempre più irresistibile, dimenticò tutte le precauzioni e si arrampicò sopra un mobile, dove finalmente scorse un bel pezzetto di formaggio, che però stava proprio sull’orlo. Il golosone, allungò la zampina inesperta troppo frettolosamente che perse l’equilibrio e patapooffetee! cadde giù. Ma non cadde a terra, andò a finire in un tinello pieno d’acqua che stava proprio là sotto, e plooff, fece un bel tonfo.
Ora il bambino che stava dall’altra parte dell’unica stanza, sentì lo strano rumore e accorse a vedere. Il topino poverino, che si dibatteva per non affogare, rimase poi impietrito nel vedere quel visone di bambino grosso grosso che lo guardava dall’alto con terrore, e si senti perduto e si abbandonò al destino. Ma prima di abbandonarsi completamente, volle dedicare un ultimo pensierino alla cara mamma: “Perdonami mamma, se ti avessi dato retta!” Il bambino allungò la mano, e lui rassegnato chiuse gli occhi. Passarono lunghi attimi ma non succedeva niente, allora lui osò aprire gli occhi, e con grande stupore, si vide appoggiare dolcemente sull’asciutto al sicuro. E rimase li immobile e non sapeva cosa stesse succedendo. Il bambino (non vi posso dire come si chiamava, lo dovete scoprire voi) non aveva avuto il coraggio di fare quello che chiunque bambino (che non sono proprio tutti bravi) avrebbe fatto, perché la sua bontà era di gran lunga superiore alla ripugnanza. Perciò non avrebbe mai potuto infierire su quel povero innocentino, che poi era anche così carino.
Il nostro bambino ora vide il pezzetto di formaggio ch’era rimasto in bilico sul mobile e capì cosa era successo. Allora lo prese e lo mise a portata di musino del sorcino ancora tremante. Il quale aveva capito, cessò di tremare e incominciò a rosicchiare. Ogni tanto alzava la testolina e guardava il bambino pieno di gratitudine e con gli occhietti sottomessi. Poi dopo essersi sfamato e asciugato abbastanza, piano piano se ne andò. Per la strada pensava: “ Non è vero che gli uomini sono tutti cattivi, forse la mamma si è sbagliata. Come vorrei essere anch’io un bambino per aiutare tutti i sorcini.”
Passò un anno. Il nostro bambino ora, se ne stava vicino al braciere solo soletto ad aspettare la mamma. Anche lui soffriva molto il freddo. Intanto i tizzoni erano quasi spenti, solo qualcuno resisteva ancora, e lui con un ventaglio cercava di alimentarli. Era assorto in cattivi pensieri, come quando si è soli; e fuori la tempesta non accennava a finire. Anzi, gli elementi si erano scatenati, come impazziti: un fenomeno sopraffaceva su un altro in un continuo capovolgimento: un lampo seguito da un tuono tremendo faceva sbalzare dalla sedia, poi la calma seguita da una forte grandine, seguita poi da un ululare pauroso di forti venti che cambiavano direzione improvvisamente, facendo tremare le ante come se volessero entrare di prepotenza. Tutto ciò risvegliava nel bambino quella paura ancestrale dovuta alla natura ostile e misteriosa. E il cuore del ragazzo che pur coraggioso e abituato a certi eventi tambureggiava fortemente, e gli recava tanta ansia. Pensò subito alla mamma che doveva rientrare, anzi che avrebbe dovuto già stare a casa. Allora si rese tristemente conto che la mamma non sarebbe rientrata per niente, perché sicuramente il passaggio della stradina era bloccata dalla neve, e chissà cosa stesse facendo; e temette anche il peggio. Si sentì poi ancora più solo e triste, anche per l’impotenza di non poter far niente e di starsene lì solo ad aspettare, oltre che infreddolito, affamato e impaurito. Mentre era così assorto, mille tristi presentimenti gironzolavano nella sua testina e l’ansia si stabilì fissa procurandogli forti crampi allo stomaco. All’improvviso scorse sott’occhi un’ombra insolita in movimento; si schiarì un po’ gli occhi con le dita, e cosa vide? Nell’angolino opposto, quasi nascosto da certi stracci, c’era un topino che lo guardava anch’esso tutto impaurito. Ma lui non si spaventò come fanno tutti i bambini, anzi gradì la compagnia, e non si mosse nemmeno per non spaventarlo. Ma rimase molto sbalordito quando questi dopo un po’ disse: “ Ciao, beato te che te ne stai al caldo”. Rimase un po’ interdetto, ma poi superò subito lo stupore per quel topolino che parlava, e rispose: “Vieni più vicino, ti scalderai anche tu, e ci faremo compagnia”. Superata ora anche quel residuo di diffidenza reciproca, si instaurò tra loro una vera amicizia.
A questo punto Zoc non ebbe più esitazioni e si fece riconoscere, e gli ricordò dell’anno prima: quando quella volta che...Il bambino allora ricordò anche lui, e fu tanto contento di rivederlo, perché tante volte aveva pensato: ”Chissà se è ancora vivo il tuffatore”. Allora il topino a questo punto raccontò al bambino il perché era venuto da lui. E gli raccontò dei suoi fratellini, della fame e del freddo che l’avevano spinto fin là, sperando di trovare una soluzione, soprattutto per i fratelli, che stavano dormendo, sennò non avrebbero mai permesso al lui di uscire con quel tempo. Al che il povero bambino tutto mortificato rispose che anche lui com’era evidente aveva lo stesso problema.
Poi ricordò di avere ancora due pezzettini di pane che aveva messo da parte per la notte, com’era solito fare. Li prese dalla credenza e diede un pezzo al sorcino e un pezzo lo tenne per se. Zoc accettò molto volentieri, e affamato com’era stava per azzannare il pezzettino di pane, ma subito si fermò, perché s’era ricordato dei suoi fratelli. Il bambino non capiva, ma nemmeno lui mangiò subito, e guardava il comportamento dell’altro. Il quale, subito disse:” Non è giusto, mi vergogno di mangiare e stare così bene al calduccio, mentre non so che stanno facendo a quest’ora i miei fratellini.
Nel contempo i due fratellini Zic e Zac, che come ben sappiamo avevano lo stomaco che sembra una sorta di pizza, non cela fecero a dormire e si erano svegliati. Accortasi che Zoc non stava nella tana, preoccupatissimi, senza esitare, e senza preoccuparsi della bufera e di niente, uscirono e si misero subito alla ricerca del fratellino. Guardavano come impazziti a destra e a sinistra, ma niente, allora andarono verso nord, dove normalmente non avrebbero mai osato andare per paura di incontrare quel gattone maligno. Però avanzavano con una certa circospezione.
Intanto il gattone non è che se la passasse molto bene con quel tempo. Infatti lui non viveva in casa. I padroni lo tenevano fuori in giardino e non poteva entrare in casa per non sporcare i pavimenti sempre dati di lucido. Quella ch’era una notte tremenda, il povero gatto proprio perché era un po’ viziato, soffriva terribilmente di fame e di freddo, più di ogn’altro; e ne stava in un angolino tutto tremante. Improvvisamente il vento smise di ululare, tutt’intorno un gran silenzio che faceva ancora più paura. Giunse al suo orecchio un leggero fruscio, un po’ sospetto, ma lui non riusciva a pensare ad altro che al freddo. Poi si incuriosì e rasente il muro andò fino al cancello, ma non vide nessuno. Invece fu ben visto dai due sorcini ch’erano giunti colà e si tenevano nascosti il più era possibile.
Zic ch’era il più pauroso, nel vederlo così grosso com’era, non seppe intrattenere un grido: “Ohoo!”, al ché, il gatto si voltò e li vide. Ma la sua reazione non fu come si aspettavano, fu esattamente il contrario: il gattone invece di saltarli addosso e farne un sol boccone, si mise comodamente sdraiato e li guardava quasi divertito. Zac che era impietrito osò dire con voce più suadente possibile: “Ti prego gatto non ci mangiare”. “Per chi mi avete preso,” rispose subito il gattone con l’aria offesa “io non ho bisogno di mangiare i topi, io sono un gatto nobile, io mangio come gli uomini con i resti dei miei padroni” continuò, “adesso ci ho molta fame ma quando finirà di nevicare i miei padroni, anzi la mia padroncina sicuramente mi porterà tante belle cose”. “Beato te” rispose questa volta Zic. Su questo tono continuò per un bel po’ quella discussione. Parlando parlando si erano quasi dimenticati del perché stavano in quel posto. Il gatto, che evidentemente approfittava dell’inattesa compagnia per sfogarsi un po’, raccontava un sacco di cose, le quali coinvolgevano parecchio i nostri topini, che ascoltavano molto interessati. Però una cosa rodeva nel piccolo cervellino di Zic, mentre il gatto parlava, però non osava interrompere, poi si fece coraggio e chiese al gatto: “Perché hai fatto del male alla nostra povera mamma, se poi non sei così cattivo.” “ Di cosa stai parlando!? io non so niente di tua madre” rispose il gatto. Zic allora di rimando: “Come? lo zio dello zio di un mio cugino disse che tu avevi mangiato la mamma”. “ Quando mai! io non so niente di niente! al massimo qualche volta ho rincorso qualche topo, così solo per spaventarlo, e per sentirmi un po’ nel mio ruolo naturale...” rispose, poi socchiuse un po’ gli occhi, e continuò “...adesso però che ricordo...” Non finì la frase che Zic lo interruppe, e chiese: “Ma allora se non sei stato tu, chi è stato?”, “ ti stavo dicendo appunto, adesso che ricordo: un anno fa da queste parti succedevano un sacco di cose spiacevoli. Un mio parente, che però è un randagio, ogni tanto passa di qua e mi porta tutte le novità. L’anno scorso appunto, mi disse che in giro io ero accusato di un sacco di malefatte, e che non si parlava d’altro. Ma lui però che mi conosce bene, non ci credeva, e aveva fatto delle indagini; s’era perfino appostato di notte su di un albero che domina tutta la vallata per vedere che succedeva. E cosa vide? - così mi spiegò dopo -: Il gatto che sta nella casina rossa, in quel periodo, i suoi padroni erano andati per Natale da parenti in un’altra città, lui all’imbrunire scendeva a valle, e grosso com’è padroneggiava, e ne faceva di tutti i colori, con una ferocia assassina mangiava tutto quello che gli capitava davanti. In quel periodo infatti molti topolini, e non soli, non tornarono più a casa. Al punto che in tutta la vallata nessuno più osava attraversare da queste parti”. Zic e Zac ascoltavano questa storia molto attentamente e molto interessati, allora Zic chiese:” E tu che c’entri “Ci arrivo, ci arrivo” e continuò “Il fatto è purtroppo, che quel cattivo è...mi vergogno perfino di dirlo, è il mio fratello gemello” “Ohooooo!” fecero i due ascoltatori. “ E siccome io” continuò il gatto, “ non sto sempre chiuso in casa come vi ho già detto, mentre lui quando ci sono i padroni non esce mai, tutti hanno creduto che fossi io la belva, e così tutti mi evitano, e sto sempre solo, e mi sento molto triste”. Zic e Zac, ascoltando questa triste storia si commossero parecchio, al punto che avevano perfino dimenticato il loro problema, si guardarono a vicenda, e Zac disse, anticipando Zic, che forse voleva dire la stessa cosa: “Com’è possibile che due fratelli come noi possono essere così diversi”. “Io,” riprese Zic, “una volta ho sentito certi uomini che parlavano tra di loro, uno diceva tra l’altro: “....e Caino allora colpì il fratello Abele....” Passarono alcuni minuti di silenzio e di riflessione, quando Zac, ricordando improvvisamente strillò: “Ma che facciamo qui! noi dobbiamo trovare Zoc, accidenti! presto rimettiamoci alla ricerca”. Il gattone che non sapeva niente, chiese: “Ma chi state cercando?”. Zac frettolosamente spiegò il tutto. Al che il gatto si schiarì un po’ la voce e disse. “ Sentite a me prima, qualche ora fa, ho notato qualcosa da lontano che avanzava, dove c’è quel muro laggiù, forse era lui, andiamo a vedere, vengo anch’io”. E si buttarono letteralmente giù alla discesa. Costeggiando il muro, il gatto notò le piccole orme sulla neve. “Presto, presto, venite, ho trovato le sue orme, dobbiamo solo seguirle”. Le orme si dirigevano verso sud, dove c’era quel caseggiato lungo lungo, allora Zac capì. “Accidenti!” si arrabbiò con se stesso, “Com’ho fatto a non pensarci prima; lui raccontava sempre di quel bambino che ...” rivolgendosi al gatto poi disse: “Senti gattone, noi” parlando anche a nome di suo fratello, “crediamo di sapere dov’è il nostro fratellino, non possiamo fare altro che attendere. Tu puoi tornare a casa, però prima ti voglio ringraziare per il tuo aiuto, poi ti voglio anche dire che sono tanto contento di aver capito come stanno le cose, quando sarà possibile, speriamo presto, ti verremo fare visita, e ci faremo compagnia, e poi che sto sempre in giro racconterò a tutti come stanno le cose, perché non è giusto che tu ti prenda la colpa di quel cattivo”. “Va bene, ciao, sono proprio contento di avervi incontrati; stare un po’ insieme, e pur avendo tanti problemi, e con questo tempo infernale, è stato come se un calore misterioso si fosse intromesso in me riscalandomi, facendomi dimenticare la realtà”. disse commosso. “Anche a me” “a noi” si corresse “è stato un’esperienza bellissima, sapere soprattutto che non tutti i gatti sono cattivi, e che non sempre si deve prendere per oro colato tutto quello che si sente dire; e poi questa magia di sentire dentro un calore, che riesce a vincere perfino il gelo e la fame, mi fa tanto riflettere. Addio, cioè ciao ci vediamo al più presto.” Il gatto salutò ancora una volta e se ne andò con la promessa di rivedersi. Zac riflettendo, ora che erano rimasti soli, non capiva perché gli era scappato quell’ “Addio” un brutto presentimento l’invase. Sull’albero più vicino una civetta, furiere di brutte notizie, stava lì in silenzio, si voltò verso il fratello, e come se, se ne fosse accorto solo ora lo vide intirizzito dal freddo che soffriva in silenzio, e non capiva perché lui in quel frangente stava un po’ meglio, “forse” pensò “non ho avuto il tempo di pensarci, sono troppo occupato nella mia responsabilità di fratello maggiore, Bho!
Il tempo impietoso peggiorava ancora; da lontano giungeva un ululato poco rassicurante; un abbaiare da destra si confondeva con un abbaiare da sinistra. La fame non era una cosa che hanno soltanto i topi, con la neve trovare cibo era impossibile per tutti gli abitanti della valle , ma soprattutto per quelli che stanno a monte, per cui tutti i predatori s’avvicinavano istintivamente a valle dove c’erano le abitazioni, con la speranza di trovare di che sfamarsi.
Un gatto tutto spelacchiato sbucò improvviso da un’apertura del muro, aveva in bocca qualcosa che si dimenava disperatamente; quell’indefinito qualcosa, liberatosi cercò di fuggire, trascinandosi per qualche centimetro, ma il gatto con un salto tipico dei felini gli fu subito dinanzi, con una potente zampata lo inchiodò a terra; la neve si colorì di piccole macchie rosse. L’odore del sangue si diffuse nell’aria, subito sopraggiunse dalla stessa apertura del muro il branco inferocito del quale faceva parte il gatto; si buttarono sopra la preda strappandogliela letteralmente dalla bocca, che però cadde a terra; uno poi riuscì a prenderla, un altro subito la prese dall’altra parte, l’uno cercava di strapparla a l’altro; la povera cosa nera presa alle estremità da due bocche, si allungava e si accorciava come una molla; poi i due contendenti rinunciarono e la lasciarono cadere a terra. La preda rimase sulla neve agonizzante. I gattacci le si fecero tutt’intorno, miagolavano con tono rauco, come se fossero presi da un profondo dolore o da un violento desiderio; non osavano però. Si guardavano a vicenda aspettando la reazione l’uno dell’altro: Poi uno di loro ruppe l’attesa balzando improvvisamente sulla preda e cercando di portarsela via. Ma subito fu fermato dagli altri: si mordevano, si graffiavano, si spingevano per impossessarsi di quella piccola preda, ma stranamente senza disordine: i loro gesti sembravano calcolati, come se si ripetesse un rituale macabro e feroce innato nella loro natura.
Nel contempo sopraggiungevano due stivaloni con i piedi di un uomo grosso grosso dentro, che avanzando sprofondavano nella neve. I gattacci gli si fecero tutt’intorno accerchiandolo e mostravano i denti, facendo un rumore gutturale tipico per incutere paura; tentarono qualche resistenza, ma poi dovettero desistere sotto i potenti calcioni che gli stivali come impazziti li colpivano da tutte le parti: miagolando fortemente per il dolore e per la rabbia, indietreggiarono, e poi con la coda tra le zampe scapparono in tutte le direzioni per poi riunirsi in branco più lontano, e tutti insieme scomparirono alla vista.
Quel signore che stava con i piedi dentro agli stivali, si chinò e prese in mano quello che restava del povero uccellino, che appesantito dalla neve non aveva potuto fuggire agli artigli del gatto. Lo esaminò ben bene e poi con gesto amorevole se lo mise sotto la giacca, al caldo, nell’estremo tentativo di salvarlo. Ma fu tutto inutile, il poverino gli morì tra le mani. L’uomo allora, dispiaciuto lo posò amorevolmente a terra. Fece un buco nella neve e lo ripose dentro ricoprendolo poi con la stessa. E gli stivali con i piedi di un uomo dentro, ripresero il cammino.
I nostri topini ora, che avevano assistito a tutta la scena, nascosti dietro ad una pietra, erano praticamente atterriti, prima per quello che avevano assistito, e poi naturalmente per il forte dubbio che il malcapitato fosse proprio il loro fratellino, dato che per il buio, e per essere così lontano dov’erano, non si poteva vedere un gran che. Poi che la calma fu tornata , decisero di osare e uscirono dal loro nascondiglio; si diressero verso il posto col cuore che tambureggiava, avrebbero voluto correre, per la grande fretta che avevano di arrivare, ma le zampette tremanti facevano fatica ad avanzare, e paradossalmente non avrebbero mai voluto arrivare, per non dover constatare quanto temevano; inevitabilmente giunsero vicino al buco di neve. Incominciarono a scavare, prima piano piano come se temessero di far male al seppellito; poi visto che non trovavano niente scavarono con più lena, ancora niente. Allora presi da una sorta di panico incominciarono a scavare spasmodicamente come pazzi, senza alcuna cautela. Giunsero ad una notevole profondità, stavano quasi per rinunciare quando Zic sentì sotto la zampa qualcosa fra il molle e il duro, insistettero allora riuscendo a scoprire interamente quella cosa tutta coperta di neve: Era qualcosa di indefinito, però aveva la forma di un cuore. Lo esaminarono stupefatti e incuriositi fino all’estremo, senza capirci niente. Quando questi con una piccola esplosione s’aprì, facendo uscire una nuvoletta colorata che fece “puff” e subito svani: al suo posto comparve un uccellino tanto bellino, ma di un colore indefinito, sul cereo, quasi trasparente, e stava a mezz’altezza, però non volava, ma lentamente saliva semplicemente in cielo. Il cuore si dischiuse e poi scomparì anch’esso, al suo posto rimase una pergamena. Peccato che i nostri due topini non sapessero leggere, anche se ci provarono a capirci qualcosa.“Tutti gli animali che riescono a intenerire il cuore degli uomini vanno in cielo a interferire per loro e aspettano” c’era scritto. Poi la pergamena prese magicamente fuoco e non rimase che un po’ di cenere sopra il buco di neve. Molto meravigliati e confusi, ma felici che non si trattasse del loro fratellino, ritornarono alla loro postazione. I nostri fratellini a questo punto presero coscienza di quest’altra realtà e si ricordarono di essere per loro natura, soltanto delle prede, e anche molto appetitose. E capirono che là allo scoperto non potevano assolutamente stare più, perché se non fossero morti per il freddo, sarebbero morti mangiati. Allora osarono e si portarono sopra le scale, e zitti zitti si misero in un angolino abbastanza riparato, proprio dietro la porta, e aspettavano con la speranza di veder uscire il fratellino.
Freddolino, nel frattempo aveva pregato il bambino di aiutare anche i suoi fratellini, il quale non disse di no naturalmente, però no sapeva come fare. Allora disse. ”Valli a cercare e portali qua, poi si vedrà”. Lui non se lo fece dire due volte e usci dalla porta. La sorpresa. I due fratellini, che aspettavano proprio che uscisse da quella porta, subito lo videro si buttarono addosso contenti, ma Zoc che non era preparato a vederli ebbe un sussulto che per poco non gli scoppiava il cuore, ma poi fu subito felice di vedere i fratelli, e assicuratosi che stavano bene non disse niente. Poi incominciò il discorso di persuasione per garantire che con quel bambino non si era sbagliato l’anno prima, “e che anche adesso sentendo la nostra storia mi ha mandato a cercarvi” assicurò. Tutti convinti allora entrarono. Appena in tempo, fuori gli elementi sembravano impazziti come prima, c’era di tutto: grandine, venti in tutte le direzioni, fulmini che facevano certi botti tremendi; senza contare ch’era buio e non si vedevano tutti i danni che stava subendo la zona. Sperando sempre che il fiume lì vicino non rompesse gli argini, sarebbe stata proprio la fine
E così il bambino e i tre sorcini si trovarono tutti e tre vicini al braciere con qualche tizzone che resisteva forse per pietà . “Ora veniamo a noi” disse il bambino, ed espose la situazione ai nuovi arrivati. “Le cose purtroppo stanno così: “Ormai e notte fonda, tra qualche ora potrebbe tornare la mia mamma, che purtroppo ha molta paura dei topi, come tutte le donne, quindi dopo esservi rifocillati un po’, due di voi se ne dovranno andare, e uno però posso tenerlo, perché tengo un posto dove nasconderlo e può stare ancora per un po’ con me” “Ecco il dilemma, rifacciamo i conti : Abbiamo tutti e quattro lo stesso problema. Abbiamo per soddisfarci, poco, pochissimo: Abbiamo due pezzi di pane, abbiamo qualche tizzone che con un po’ di buona volontà tirerà ancora un paio di ore. Noi siamo in quattro cosa possiamo fare per accontentare tutti?” Vorrei tanto risolverla nel migliore dei modi, purtroppo si deve decidere, magari scegliendo il male che ognuno ritiene minore. “Allora che fare?” intervenne il bambino “ Di qua non mi posso muovere, poi voi avete più fame di me, perciò io rinuncio al pane, e poi potrebbe arrivare la mamma appena finita la tormenta”. Rimasero così in tre, e tre erano stavolta le disponibilità, bisognava scegliere. La tentazione era forte di mangiare il pane, ora che si stava al coperto, ma ognuno desisteva, pensando agli altri che sarebbero stati digiuni: Ruppe il silenzio Zac che era il più intelligente, e propose: “Facciamo come un gioco, pigliamo delle pagliuzze, chi sceglierà la più grossa deciderà il da farsi. “Non è il caso rispose Zoc. Io penso il che come pure il bambino non vogliamo che decida il caso, per tenere poi il senso di colpa. Facciamo una scelta democratica e a secondo di cosa urge di più ad ognuno di noi: Chi sceglierà il pane, se lo mangerò e poi se ne andrà; chi sceglierà il calduccio non mangerà ma resterà”. Accettarono tutti d’accordo, anche perché altre soluzioni non ce n’erano.
Come si immaginerà, Freddolino scelse subito il caldo, tepore dell’unico tizzone che resisteva ancora miracolosamente, e poi sarebbe rimasto in compagnia del suo vecchi amico. Gli altri due sorcini a questo punto si buttarono letteralmente sul pane, e mangiarono con molta avidità, e poi per mantenere gli impegni, anche perché si aspettava la mamma del bambino che poteva tornare da un momento all’altro, ringraziarono commossi, fatte alcune raccomandazioni a Zoc si inoltrarono nella tempesta, che sembrava calmatasi un po’ per fare il percorso di ritorno. Fatti pochi passi Zac si voltò indietro, e volle vedere ancora una volta il fratellino, perché il cattivo presentimento non era ancora scomparso.La notte finì, la tormenta cessò, e il dì che venne con un sole libero dalle nuvole illuminò la valle. In mezzo a tanta distesa, due puntini neri risaltavano agli occhi di un eventuale osservatore: erano due sorcetti morti stecchiti per il freddo. Quello che nessuno assistette però durante la notte ve lo dico io: Sul posto della tragedia, si formò come per magia una cosa tra il molle e il duro a forma di cuore, il quale scoppiando fece uscire una nuvola colorata che fece “puff!” e subito svanì; al suo posto comparvero due topini tanti bellini, ma di un colore indefinito, sul cereo, quasi trasparente e stavano a mazz’altezza, però non volavano, ma lentamente salivano semplicemente in cielo. Il cuore scomparì anch’esso che magicamente prese fuoco, e al suo posto rimase una pergamena. Che c’era scritto....No! Questa volta non te lo dico che c’era scritto: perché già lo sai, non è vero? Devi sapere però che questa volta non prese magicamente fuoco, ma divenne tutta d’oro e pesante com’era sprofondò nella neve. E sta ancora la, e ci resterà fintando un giorno sarà trovato da un uomo buono, che la divulgherà, e così tutti sapranno come comportarsi con gli amici dell’uomo.
Il sorcino Freddolino, che ormai era rimasto solo, chiese al bambino di tenerlo con se. E il bambino accettò volentieri, perché gli si era molto affezionato; a un patto però: che non si facesse mai vedere da nessuno, specialmente dalla sua mamma
Passarono molti giorni, nel frattempo il nostro simpatico topolino, imparava tante cose, che pazientemente il bambino gli spiegava, e altre cose che lui stesso osservava con molta attenzione. E così, anche se di nascosto, vivendo tra gli uomini, aumentava in lui sempre più forte il desiderio di diventare un bambino. E diceva spesso: “Oh! Se fossi un bambino, farei qualsiasi cosa per diventarlo” La vita continuò così per molto tempo. Passarono diversi mesi e venne l’estate. Faceva un caldo da morire. Freddolino che si era ormai inserito molto bene nella nuova comoda vita che faceva, evidentemente si era già dimenticato delle sue avventure invernali, e dei tanti problemi, ora che tutto filava liscio. E se ne stava comodamente all’ombra d’un albero, senza pensiero alcuno. Assorto nei pensieri che sicuramente questa volta non erano affatto tristi, ma sicuramente, programmava un futuro sempre più bello. Era quasi mezzogiorno il sole picchiava in testa.” Che caldo accidenti quando finisce” disse fra se a voce alta. Nel mentre passò di lì una fatina, che lo senti e si fermò, Lui non si sorprese più di tanto, come l’altra volta e la guardava tutto ammirato. Era la fata dell’estate. Era molto bella, aveva un manto fatto di foglie verdi, i capelli di fiori multicolori e aveva la luce del sole negli occhi. Faceva gioire il cuore solo a guardarla. Si rivolse a Freddolino rimproverandolo severamente, ma con una voce dolcissima che non sembrava affatto un rimprovero. Come si addice ad una fata che è brava e buona, e gli disse.” Perché ti lamenti del caldo. Hai già dimenticato che ti ha salvata la vita? E poi ricordati sempre, non si può mai avere tutto nella vita. E se un bambino tu diventar vorrai, devi prima imparare che: c’è il bene e cè il male; c’è il nero e c’è il bianco; c’è il brutto e c’è il bello; e poi il freddo e poi il caldo, c’è la guerra e c’è la pace. E tu una scelta devi fare, da che parte devi stare scegliendo almeno il male minore e poi di essa sempre ti devi accontentare. Sennò tu sempre soffrirai si dell’una che dell’altra cosa. Quando questo avrai imparato io da te ritornerò e un bel bambino tu diverrai”. E poi aggiunse svanendo lentamente nel nulla. Era diventata quasi una figura spettrale trasparente, scompariva quasi del tutto, e diceva con una voce che sembrava venisse da lontano “ Se scegliere tu ora vorrai, ricordati peròòòòòòòòòòòò,”
Un eco ripeté:
“peròoooooooooooooooooooooooooooooooooooo........
Chi avette ‘o fuoc’ campaie
Chi avette ‘o pan’ murette
FINE