CAPITOLO IX
Razzi a rientro veleggiato
Fin dal 1957, quando cominciò a diffondersi l'hobby di costruire razzi, molti modellisti sono stati tentati di realizzare oggetti volanti che nella fase iniziale si comportassero come razzi e poi, una volta acquistata quota, ritornassero a terra veleggiando come alianti. I primi tentativi in questo campo sono stati quasi tutti dei disastri perché non è stato facile conciliare l'esigenza di due tipi di volo cosi contrastanti; ad esempio, ci sono problemi aerodinamici molto grossi che hanno richiesto numerosi tentativi prima di essere chiariti.
In verità il comportamento di un aliante è noto da tempo, ma i costruttori di razzi hanno dovuto riscoprirselo da soli perché si è venuta a creare una situazione di tale antagonismo con i normali aeromodellisti da precludere qualunque scambio di informazioni; si può dire che solo ultimamente la situazione si stia normalizzando, perché i due gruppi hanno finalmente capito che nessuno dei due è superiore all'altro, e che in fondo hanno dei problemi in comune da risolvere.
Per amore di cronaca i primi accoppiamenti motore-aliante risalgono al 1947, quando furono introdotti in commercio i motori di produzione britannica Jetex; tuttavia non si può parlare propriamente di razzi, perché i loro motori sviluppano una spinta al massimo uguale al peso. La partenza era per forza di cose orizzontale, perché i gas di scarico davano solo una spinta in avanti e la gravità era vinta dalla forza ascensionale delle ali, come capita ad un normale aereo a reazione. Il lancio verticale, tipico dei missili, richiede invece spinte elevate per contrastare il peso del razzo, e una potente forza di accelerazione.
I motori oggi in commercio sono tutti molto leggeri e potenti, anche se forse il loro impulso totale non è tanto superiore a quello dei primi Jetex; già quelli della serie più piccola sono cosi esuberanti, rispetto ai Jetex, che un modello costruito per quei primi motori non riesce generalmente a resistere alle forti accelerazioni dei nuovi. Tutte le prove effettuate in questo senso si sono concluse con un disastro perché le strutture del modello hanno sempre ceduto o, al minimo, si sono staccate le ali.
La prima dimostrazione pubblica di un razzo a ritorno veleggiato è stata fornita nel 1961 al III Campionato americano di modellismo da John Schutz e Vernon Estes; nella fig. 96 è visibile il modello, mentre la fig. 97 mostra Schutz mentre fornisce alcune spiegazioni al col. Bernard Marschener dell'Accademia aeronautica degli Stati Uniti d'America.
Subito dopo questo primo expIoit di Schutz ed Estes c'è stata una fioritura di tentativi generalmente coronati da successo: si è verificato cioè quello che capita spesso in tutti i campi della tecnologia, per cui quello che prima si riteneva impossibile o molto difficile diventa quasi alla portata di tutti non appena qualcuno abbia indicato la strada. Cosi c'è stata per i primi cinque anni una serie di tentativi che, per quanto criticabili sotto certi aspetti hanno comunque svelato tutti i segreti dell'argomento: di questi faremo solo un breve cenno limitandoci a ricordare i più significativi. Estes costruì un tipo di razzo ad ali battenti che entravano in funzione al momento in cui veniva espulso il contenitore del motore; in seguito Centuri propose un modello ad ali a delta; Paul Hans si tolse la soddisfazione di realizzare la configurazione canard mentre Ward Conley sviluppò il Minibird; Hunt Evans Johnsen fissò la sua attenzione sulla geometria variabile, mentre Bill Barnitz si indirizzò verso il Rogallo ad ali flessibili.
L'atto culminante di questa lunga catena di tentativi avvenne quando Larry Renger, allora studente dell'Istituto di Tecnologia del Massachusetts, ebbe l'idea di montare il motore nella parte anteriore del razzo, realizzando cosi il famoso modello Sky Slash, osservabile nella fig. 100.
Il campo che ci accingiamo a studiare è uno dei più discussi e quello che più di ogni altro andrà soggetto a sviluppi e trasformazioni: per trattare completamente tutti gli aspetti di questo ramo del modellismo potrebbe non bastare un libro intero, perciò ci limiteremo a passarne in rassegna solo gli aspetti fondamentali, che serviranno da introduzione a uno dei più affascinanti capitoli del modellismo di razzi.
Fig. 95. I razzi a rientro veleggiato sono diventati negli ultimi anni un banco di prova per modellisti esperti. Al V Campionato nazionale di modellismo tenutosi ad Hanscom Field (Massachusetts), nel 1963, il modello nella foto - del tipo Canard - realizzò un primato mondiale per durata di volo.
Fig. 96. Il primo modello di razzo a rientro veleggiato, progettato e costruito da John Schutz e Vernon Estes.
Volo di razzi a rientro veleggiato.
I modelli di cui stiamo parlando sono una felice sintesi di razzi propriamente detti e di alianti, cosicché, a seconda di dove si fissa l'attenzione, si parla o di alianti con partenza verticale sotto l'effetto di un motore o di razzi che rientrano veleggiando.
Il volo si divide quindi in due fasi successive: nella prima prevale l'effetto della spinta meccanica del motore, mentre nella seconda si fanno sentire gli aspetti aerodinamici; al momento in cui si passa dalla prima alla seconda fase qualcosa deve perciò cambiare nel modello, proprio perché varia la natura del volo.
Fig. 97. John Schutz mentre illustra un suo modello al col. Bernard Marschener, dell'Accademia aeronautica degli USA.
La prima parte del volo è quella " di spinta ", in cui il modello, lanciato da una torre o da una rampa, viene spinto secondo una traiettoria verticale e con forte accelerazione fino a raggiungere velocità notevoli; quando il motore si spegne è ancora in grado di guadagnare quota per inerzia. Per tutto questo tempo la resistenza aerodinamica deve essere limitata per quanto possibile cercando soprattutto di evitare che le superfici esposte sviluppino forze ad esse perpendicolari e contrarie; le ali devono perciò essere progettate in modo da dar luogo non tanto a forze ascensionali, ma piuttosto a una azione stabilizzatrice, cosi come fanno le pinne dei razzi normali.
Fig. 98. Disegni semplificati di sette tipi di razzo a rientro veleggiato.
Questa fase è caratterizzata soprattutto da alte accelerazioni e forti velocità dell'aria: tutto questo può produrre una situazione descritta dai modellisti con un termine preso a prestito dal mondo dello spettacolo, " strip tease ", per cui le grandi ali possono staccarsi e tutte le giunzioni in colla cedere. Perciò diventano necessarie tecniche di costruzione abbastanza avanzate e diventa insensata la presenza di ali poco sagomate e quindi molto resistenti. La fase di rientro veleggiato presenta caratteristiche completamente diverse. Il modello viene tenuto in aria dalle azioni aerodinamiche delle ali e sotto l'effetto del proprio peso tende a ritornare a terra con una velocità di discesa abbastanza piccola e con una traiettoria ricca di volteggi. Poiché le caratteristiche di planaggio dipendono dal rapporto spinta ascensionale-resistenza aerodinamica, si può dire in poche parole che la velocità di discesa è funzione di questo rapporto che è auspicabile sia elevato, per ottenere un rientro a terra soddisfacente; questo significa che sono necessarie velocità abbastanza basse e comunque non superiori a 3 m/sec.
Fig. 99. La partenza di un modello di Schutz-Estes: è evidente l'elevata velocità.
Merita poi un po' di attenzione il problema della stabilità attorno a tutti gli assi, perché le strutture in gioco sono a volte non corrette e in grado di disturbare il volo nei modi più impensati: se il modello tende a girare l'ogiva in su, le forze di reazione che si sviluppano sulle ali e sulle pinne stabilizzatrici devono introdurre una correzione tanto robusta da vincere la causa del disturbo. Analogamente devono essere corrette tutte le altre perturbazioni.
Fig. 100. A destra è visibile l'originale Renger "Sky Slash II", poi migliorato aerodinamicamente nella versione costruita da P. Bares di Praga (Cecoslovacchia).
Tenendo presente le esigenze del volo a razzo e di quello veleggiato, dovere del modellista desideroso di avventurarsi in questo campo è quello di cercare costantemente un compromesso in maniera da raggiungere gli scopi che si è prefisso. Se l'obiettivo è la massima durata del volo, come nelle gare, allora bisogna spingere la prima fase del volo affinché diventi possibile raggiungere quote notevoli anche a scapito della capacità di veleggiare; non manca però chi si attiene alla regola contraria, ottimalizzando il suo modello dal punto di vista degli alianti, cercando cioè di allungare il volo con una discesa sufficientemente lenta, anche se la massima altezza raggiunta è modesta. Il modo migliore di costruire questi modelli sta, come sempre, nel mezzo ed è affidato all'esperienza, al buon senso e all'abilità del costruttore.
Fig. 101. Alcuni modelli progettati e costruiti dall'autore dopo il 1961. Alcuni di questi sono stati realizzati con scatole di montaggio di ditte americane.
Fig. 102. Modelli a rientro veleggiato di tipo canard, costruiti da A.W. Guill, di New Canaan (Connecticut), vincitore del campionato nel 1963. E' da notare la piccola ala anteriore, che si apre al culmine della traiettoria sotto l'azione della carica di espulsione, al fine di migliorare la stabilità.
Controllo degli assi di rotazione
La stabilità alla rotazione attorno all'asse longitudinale non è sempre necessaria nella fase di spinta, anzi i modellisti spesso la compromettono volutamente allo scopo di neutralizzare piccoli difetti di allineamento e simmetria; durante il volo veleggiato però questa diventa necessaria ed è ottenibile sagomando le ali ad angolo di 5-20 gradi.
Fig. 103. Sezione trasversale di un'ala simmetrica con il baricentro sistemato a 1,4 della corda, in posizione avanzata rispetto al centro delle pressioni. La spinta dell'aria non è equilibrata e il meccanismo ha l'effetto di stabilizzare il volo in una determinata direzione e non quello di creare un sostentamento.
La stabilità in senso trasversale - in maniera che il modello non giri né a destra né a sinistra - viene realizzata da superfici aggiuntive che fungono da timone, sistemate in molti casi alle estremità delle ali; normalmente è sufficiente una superficie pari al 5-10 % di quella delle ali.
Il problema di controllo più gravoso si riferisce alla stabilità attorno a quell'asse che qualche capitolo più indietro abbiamo definito asse di picchiata-impennata (fig. 53). Essendo le maggiori superfici sistemate sul piano orizzontale del modello - come le ali e le pinne - durante la fase di spinta qualunque loro imperfezione di progetto, costruzione o bilanciamento introduce necessariamente rotazioni intorno a questo asse, facendo compiere al modello traiettorie curvilinee. Un bilanciamento male eseguito causa nel volo veleggiato irregolarità di traiettorie, spingendo il modello ad alzare la parte anteriore, e quindi a rimanere apparentemente fermo in aria, oppure a " picchiare giù ". Nei casi peggiori si arriva addirittura a condizioni tanto critiche da rendere estremamente problematico il ritorno, perché il modello comincia a veleggiare di qua e di là, accenna ogni tanto a qualche giro della morte e minaccia di precipitare al minimo soffio di vento.
La stabilità e il controllo relativo sono regolati da un bilancio di forze ascensionali: facendo riferimento alla fig. 103, il centro delle pressioni di qualunque superficie piana o di ala a sezione simmetrica si trova a una distanza dal bordo anteriore pari al 25 % della corda. Per angoli di attacco inferiori a 15' la sua posizione non subisce variazioni, cosicché la forza di sostegno in essa concentrata agisce sempre nello stesso punto.
Se il baricentro si trova davanti al centro delle pressioni come nella fig. 103 - è spontaneo pensare che la stabilità sia sufficientemente elevala, soprattutto se si fa riferimento a quanto abbiamo già esposto a suo tempo su questo argomento: ne consegue che la traiettoria è ben determinata, cosicché il modello continuerà a volare nella direzione in cui si è indirizzato per un motivo qualsiasi. Tutto ciò impedisce un buon veleggiamento perché nell'istante in cui il volo diventa orizzontale, a causa della posizione avanzata del baricentro, il modello non può far altro che mettere la punta in giù senza che esista la minima possibilità che si generi una forza di reazione capace di indirizzarlo verso l'alto. In queste condizioni il rientro avviene con caratteristiche anormali, perché la traiettoria assume un aspetto simile a una ripida parabola discendente, per giunta percorsa a una velocità che tende ad assumere valori superiori a quelli di sicurezza.
Perciò è necessario creare un qualche meccanismo adatto a mantenere il modello nel giusto angolo di attacco: i metodi sviluppati sono frutto di un'esperienza notevole, effettuata da vari autori e sono basati tutti su un " bilancio di forze ", facendo in modo che il modello sia, come spiegheremo meglio, una specie di corpo bilanciato attorno a un punto di sostegno ideale coincidente con il baricentro. Il nocciolo della soluzione consiste nel sagomare le superfici delle ali in maniera tale che le forze aerodinamiche dovute alla resistenza dell'aria siano distribuite, parte verso l'alto e parte verso il basso, con l'unico vincolo di equilibrarsi esattamente fra di loro. Come si vede dalla fig. 105, si ottiene così una configurazione stabile: infatti se il moto è indisturbato le forze aerodinamiche non tendono di per sé a far ruotare il modello né verso il basso né verso l'alto; se invece il moto è disturbato, allora le forze intervengono a ripristinare la direzione iniziale, rendendo la discesa regolare, lenta e sicura.
Fig. 104. Uso di superfici addizionali per dare stabilità al volo veleggiato. Le due porzioni creano momenti in senso opposto: in condizioni di equilibrio il volo veleggiato è garantito e sicuro.
Fig. 105 Sistema per tenere gli alettoni orizzontali quando è installato il motore. E' da notare l'uso di elastici per sollevarli, e del perno in filo di ferro per bloccarli.
E' intuitivo che questa condizione di bilanciamento perfetto è abbastanza contraddittoria con la condizione di stabilità da rispettare nella prima fase del volo (quella di spinta), dove vogliamo che il modello voli diritto nella direzione in cui è stato puntato secondo una traiettoria prevedibile con le leggi della balistica e sotto l'azione stabilizzante delle pinne. Perciò è necessario che una trasformazione avvenga al modello nell'istante ideale di passaggio da una fase all'altra, quando cioè più alta è la traiettoria. Per effettuare questa trasformazione si ricorre generalmente a meccanismi azionati dalla solita carica di espulsione che, bruciando nel momento opportuno, provoca almeno uno di questi due possibili cambiamenti: a) cambiamento della configurazione fisica (geometria variabile), b) spostamento del baricentro.
La prima soluzione è stata introdotta qualche anno or sono da Schutz e Estes, in una forma semplice ma efficace.
Fig. 106. Un piccolo blocco di balsa mantiene gli alettoni piatti finché è installato il motore. Un elastico tende a tirarli su. Le due viti servono per la regolazione.
La pressurizzazione dovuta ai gas della carica di espulsione provoca la fuoriuscita del contenitore del motore, liberando altresì superfici mobili di controllo situate all'estremità delle ali. Le Fig. 105 e 106 mettono in evidenza i principali particolari costruttivi di un sistema di questo tipo e rendono possibile una facile comprensione di tutto il meccanismo: si vede ad esempio molto chiaramente che le menzionate superfici mobili tenderebbero a inclinarsi verso l'alto per l'effetto di elastici (o molle) opportunamente sistemati, ma che sono invece tenute allineate con il resto dell'ala da "fermi" o " scontri " di varia natura fissati rigidamente al contenitore del motore.
Fig. 107. Nel volo veleggiato il baricentro assume spesso la posizione indicata. Le spinte aerodinamiche sulle due ali sono in condizione di equilibrarsi.
Questa soluzione si è andata tanto diffondendo da essere oggi quasi universalmente adottata, soprattutto perché ha indubbi pregi di sicurezza e di semplicità l'unica complicazione è dovuta al fatto che il Codice di Sicurezza emanato dall'Associazione nazionale di missilistica degli Stati Uniti d'America vieta l'espulsione del contenitore del motore se non si è provveduto a un suo opportuno sistema di recupero. Abbiamo già affrontato la questione nei particolari e abbiamo già messo in evidenza i motivi di sicurezza che consigliano - e a volte impongono - il rispetto di alcune norme cautelative: qui ci limitiamo semplicemente a invitare il lettore a un approfondimento di quel capitolo e ci accontentiamo di dire che per ogni grammo da portare a terra sono necessari circa 10 cm quadrati di paracadute. La sistemazione del paracadute segue direttive analoghe a quelle già esposte: è sempre presente la guaina di protezione; il collegamento con il motore viene effettuato con spago, elastico e colla; le dimensioni finali devono essere tali da permettere dapprima un facile alloggiamento e poi una sicura fuoriuscita.
Se le superfici di controllo sono sistemate davanti alle ali, si ha a che fare con una configurazione Canard. A sentire gli ideatori, si va cosi incontro a notevoli vantaggi dal punto di vista aerodinamico: in primo luogo l'effetto stabilizzatore è molto spiccato perché le superfici di controllo sono notevolmente lontane dal baricentro, il che permette di costruirle in dimensioni relativamente modeste e a scarsa resistenza aerodinamica; in secondo luogo - ed è questo il punto che fa migliore impressione - le ali si presentano spoglie di accessori inutili, quali sono le cerniere e le stesse superfici di controllo. Tutto ciò garantisce una limitata turbolenza nell'aria attorno al modello, rendendo di conseguenza piccolo il coefficiente adimensionale di resistenza Cd
Fig. 108. Dimensioni che l'autore consiglia come basilari.
Un'altra soluzione affascinante, purtroppo non sufficientemente perfezionata e di diffusione limitata a pochi modellisti esperti, consiste nel montare le ali in maniera tale che durante la fase di " volo di spinta " siano vicine al corpo del razzo e costituiscano per cosi dire un tutt'uno con essa; al momento opportuno la carica di espulsione provvede ad azionare un meccanismo che le fa aprire a ventaglio. A tutt'oggi si ha notizia di pochi modelli costruiti in questa maniera perché le difficoltà che si incontrano sono, per i più insormontabili: non si può sottovalutare difatti che le cerniere devono assolutamente essere costruite con tutte le regole, perché è indispensabile che le ali in posizione aperta non siano in grado di ballare, mantenendo un rigoroso allineamento.
La maggior parte dei modellisti preferisce però servirsi del secondo sistema elencato, favorendo uno spostamento opportuno del baricentro; c'è da dire in verità che le superfici mobili introducono sempre un elemento di incertezza e di debolezza, mentre il buon funzionamento del secondo metodo è garantito da una lunghissima esperienza e da una messe considerevole di studi.
Fig. 109. Varie forme di ali.
Abbiamo già messo in evidenza che il volo di un razzo a ritorno veleggiato si divide idealmente in due fasi successive ben distinte, caratterizzate ognuna da particolare esigenze di aerodinamicità e stabilità. Nei tipi che abbiamo finora studiato abbiamo visto che la forza generata dalle superfici di controllo viene usata per controbilanciare le forze ascensionali dovute alle ali in maniera tale da realizzare un sistema veleggiante stabile e bilanciato. Con lo spostamento del baricentro provocato ad arte nell'istante di transizione le esigenze di volo della seconda fase sono invece realizzate senza generare alcuna forza supplementare, ma alterando semplicemente il bilanciamento di forze.
Nella fig. 107 abbiamo un diagramma rappresentativo che ci permette di capire quanto succede: se noi spostiamo il baricentro dalla posizione avanzata in cui si trova durante la fase di spinta - cioè davanti al centro delle pressioni come abbiamo visto fino a portarlo all'incirca in corrispondenza dell'asse dell'ala, cioè dietro il centro delle pressioni, allora la forza ascensionale dovuta alle ali tende a far ruotare il modello in su. Se ora bilanciamo questo effetto con superfici addizionali situate alle estremità del modello, torniamo a creare un sistema perfettamente bilanciato e in grado di comportarsi egregiamente in un volo veleggiato.
Fig. 110. I modelli a rientro veleggiato hanno spesso il motore montato su un alloggiamento esterno come questo, di cui è presentata una visione d'insieme (vedi testo).
Per procurarsi i dati necessari a un appropriato progetto di un modello di questo tipo, un modellista dovrebbe avere a disposizione libri specializzati come Theory of Wíng Sections, scritto da Ira H. Abbott e Albert E. von Doenhoff (Dover Publications, Inc. New York, 1959). Il metodo usato per effettuare i calcoli può essere reperito nell'eccellente volume di Frank Zaic Circular Airflow and Model Aircraft, citato in bibliografia alla fine di questo libro. Poiché del resto la maggior parte dei modellisti non si sente in grado di affrontare calcoli cosi complicati, e pensa giustamente che suo compito non stia tanto nell'avventurarsi nei labirinti della matematica, quanto nel realizzare concretamente un modello in grado di volare, l'autore ha pensato opportuno sviluppare una procedura semplificata che permette a tutti di affrontare e risolvere con serenità il problema, Tale procedura non ha niente di arbitrario, ma è solidamente basata su un lavoro biennale di ricerche sperimentali in un tunnel a vento della NASA, e avallata da esatte considerazioni teoriche sull'aerodinamica; inoltre gode oggi di una lunga serie di verifiche sperimentali, dovute all'opera di parecchi modellisti.
In fig. 108 si notano tre proiezioni ortogonali di un tipico modello che sfrutta lo spostamento del baricentro, dalle quali è possibile ricavare un'idea delle dimensioni relative alle varie parti. Assumiamo come unità di misura la corda media dell'ala. La lunghezza complessiva dell'ala dovrebbe aggirarsi attorno a 5-7 volte tale dimensione; per ottenere l'optimum di comportamento le ali dovrebbero essere inclinate sull'orizzontale di un angolo di 20°
Per quanto si possa pensare di costruire un modello funzionante dotato di un'ala realizzata con una semplice lastra di balsa - quindi chiaramente poco aerodinamica - è consigliabile a tutti gli effetti un'ala di sezione opportuna; abbiamo già spiegato l'influenza fondamentale di questo fattore, per cui non stiamo qui a insistere ulteriormente e ci limitiamo a dire che una sua accurata realizzazione mette un modello in condizione di volare meglio e veleggiare più a lungo. Lo spessore dell'ala dovrebbe aggirarsi attorno al 5-10 % della corda media e assumere il suo valore massimo a una distanza dal bordo anteriore (o di entrata) pari al 30 % della corda; la parte anteriore dovrebbe poi essere arrotondata e quella posteriore dovrebbe essere dolcemente rastremata.
L'ala posteriore o di impennaggio dovrebbe avere un'area pari a circa il 30 % dell'area dell'ala principale e, secondo il consiglio dell'autore, va sistemata quanto più arretrata possibile, la sua forma è generalmente rettangolare, in modo da non andare incontro a complicazioni inutili di costruzione; il materiale è una semplice lastra piena, di balsa. Date le ridotte dimensioni di questa parte, non è estremamente importante realizzare un capolavoro di aerodinamicità, ma è bene provvedere a sistemarla al di sotto dell'asse della fusoliera per evitare interferenze con i gas caldi di scarico del motore; d'altra parte l'esperienza dell'autore conferma che l'ala principale va incollata nella parte superiore, a una distanza dall'ogiva dettata dalle solite considerazioni di stabilità (fig. 108). Bisogna curare infine il perfetto allineamento delle due ali, per evitare che un eventuale disallineamento disturbi la traiettoria prevista del volo.
La distanza fra l'orlo posteriore dell'ala maggiore e quello anteriore della minore deve aggirarsi attorno a 2-2,5 volte la corda media: una maggiore distanza comporta necessariamente una ridotta azione di sostegno aerodinamica e rende il modello sgraziato e scheletrico mentre una distanza minore compromette le sue capacità di veleggiare
Fig. 111. Razzi a rientro veleggiato, l'uno dell'autore e l'altro di Otakar Saffek Cecoslovacchia chiaramente basati sullo stesso principio aerodinamico.
All'estremità delle ali posteriori è poi bene incollare trasversalmente due timoni direzionali fissi, i quali hanno il pregio di stabilizzare il modello attorno all'asse di rotazione verticale e inoltre di esaltare l'azione stessa dell'ala incanalando l'aria, evitando cioè che questa si disperda in maniera disordinata: una disposizione dei timoni come quella indicata serve poi a preservarli dai gas di scarico. In quanto alle loro dimensioni, occorre cercare un compromesso fra un discreto funzionamento e una resistenza aerodinamica tollerabile: come ordine di grandezza si può dire che va bene un'area complessiva uguale al 10 % dell'area dell'ala principale, pari cioè al 5 % per ogni timone.
Infine l'angolo che l'ala anteriore forma con l'orizzontale deve aggirarsi attorno ai 15-20 gradi, allo scopo di avere il miglior comportamento dal punto di vista di stabilità alla rotazione attorno all'asse longitudinale.
Seguendo la serie precedente di istruzioni e facendo riferimento alla fig. 108, chiunque è in grado di costruire un modello a rientro veleggiato che utilizza lo spostamento del baricentro: anche il principiante si accorgerà che la costruzione è facilissima e il rendimento ottenuto in genere soddisfacente. Infatti tutti i pezzi - corpo, ali e timoni -sono realizzati con semplici fogli di balsa cui non bisogna dare nessuna curvatura o forma speciale, tanto che la lavorazione più difficile consiste nell'arrotondare la parte anteriore (bordo di entrata) delle ali e rastremare quella posteriore (bordo di uscita). A titolo di orientamento, è meglio adesso precisare qual è il foglio di balsa più opportuno da cui ricavare i vari pezzi: l'ala posteriore e i timoni richiedono 2-3 mm di spessore, mentre la fusoliera va realizzata con un foglio di balsa tipo " compensato " di 3-4 mm se la superficie delle ali non supera i 200 cm2 (mentre fino a 300 cm2 va benissimo uno spessore di 5-6 mm).
Una volta finito, un modello dovrebbe avere un peso di circa 1 gr per cm2 di superficie alare se si vuole che l'effetto veleggiante sia sensibile, per quanto a volte tale rapporto si riveli troppo basso se le condizioni di tempo non sono favorevoli e tira una leggera brezza: non c'è quindi da farsi meraviglia se si ha notizia di ottime prove effettuate con modelli pesanti anche il doppio di quanto sia consigliabile, ma è meglio ritenere tali exploit dovuti più che altro alla fortuna, e non cercare mai di imitarli.
Fra i modellisti esiste poi un pomo della discordia collegato con il problema se rifinire o meno tutte le superfici: si tratta di una questione ancora molto dibattuta e tutt'altro che risolta, sulla quale ognuno è praticamente in grado di dire quello che vuole. Probabilmente non fa nessuna differenza lasciare il modello non rifinito o invece levigarlo diligentemente e magari dipingerlo, ma c'è gente pronta a giurare che una superficie scabrosa veleggia infinitamente meglio di una lavorata di fino; d'altro canto non manca neppure una folta schiera di sostenitori della tesi contraria.
Fig. 112. I razzi a rientro veleggiato sono oggi realizzati nelle forme più svariate. Qui un concorrente cecoslovacco al I incontro internazionale, sta preparando per il lancio un suo modello a geometria variabile.
Nella fase di volo veleggiato, il baricentro deve trovarsi grosso modo in corrispondenza dell'asse dell'ala maggiore - per l'esattezza leggermente spostato indietro, a una distanza dall'orlo anteriore (bordo di entrata) pari a circa il 60 % della corda -ma può anche arrivare a occupare una posizione coincidente con l'orlo posteriore (bordo di uscita), a seconda della natura del progetto. Spesso è impossibile o molto arduo calcolare dove si trovi esattamente, per cui è necessario determinarlo sperimentalmente, anche perché è meglio effettuare sempre un preliminare controllo generale onde apportare le eventuali necessarie modifiche. A questo scopo si prende il modello al di sotto dell'ala principale e lo si lascia dopo una leggera spinta in avanti: al momento del lancio, bisogna far in modo che la traiettoria sia orizzontale e osservare attentamente il comportamento del modello. Se la tendenza è quella di mettere la punta in su, allora bisogna aggiungere peso in corrispondenza dell'ogiva - come a suo tempo spiegato -, se il modello accenna a " picchiare ", allora bisogna alleggerirlo davanti o appesantirne la coda.
Un'esperienza di questo tipo si effettua normalmente in una giornata non ventosa e dando solo un leggero colpetto al modello: solo in queste condizioni la prova è attendibile, perché si mette bene in evidenza la capacità di veleggiare che il modello possiede.
A questo punto occorre pensare a sistemare sulla fusoliera almeno un motore per trasformare il nostro aliante in un razzo vero e proprio: il montaggio deve essere effettuato in modo da rispettare le seguenti esigenze:
1. La costruzione deve essere semplice ed efficace.
2. L'aerodinamicità deve essere buona anche in presenza del motore che non può essere alloggiato nella fusoliera del razzo, ora ridotta a un semplice foglio di balsa
3. Alla fine della fase di spinta il motore deve essere espulso in vista del necessario spostamento del baricentro, possibilmente con il suo contenitore e eventuali accessori.
La migliore soluzione è quella raffigurata schematicamente nella fig. 110, realizzata nella fig. 111, e che adesso spiegheremo brevemente. Il motore viene alloggiato in una parte supplementare - progettata e costruita come un razzo in miniatura - dotata di ogiva mobile e sistema di recupero; il collegamento con il modello vero e proprio è assicurato da un piccolo tondino in legno duro che va a infilarsi in un apposito foro ricavato nella parte superiore della fusoliera. Il blocco è poi sistemato sulla rampa di lancio.
Come si vede dalla fig. 111, il motore non viene sistemato nella parte posteriore della fusoliera perché adesso esiste l'esigenza di spostare avanti il baricentro dato che il centro delle pressioni si trova molto avanzato a causa della grande superficie alare; anche qui però, è conveniente non esagerare, e limitarsi a posizionare il baricentro leggermente avanti alla corda media dell'ala maggiore. Con il motore cosi sistemato è facile ottenere che nella fase di volo veleggiato il baricentro si sposti nel punto voluto.
Fig. 113 Due giovani modellisti polacchi confrontano i loro modelli al V Campionato nazionale polacco.
Durante tutto il funzionamento del motore, il tondino di legno realizza un collegamento stabile e rigido perché la spinta sviluppata non comporti la separazione dei due pezzi; al momento dell'espulsione, l'ogiva fuoriesce con tutto il dispositivo di recupero e per reazione tutta la camera del motore tende a spostarsi indietro rendendo possibile il distacco. Da questo istante i due pezzi proseguono ognuno per proprio conto, uno cadendo a terra sospeso al suo paracadute e l'altro continuando a volare come un perfetto aliante.
I modellisti più esperti - quelli cioè che apprezzano e vogliono utilizzare i moderni ritrovati tecnici - sono oggigiorno portati a montare sui loro modelli radiocomandi per controllare il volo veleggiato. Si tratta indubbiamente di un campo abbastanza interessante e che sta facendo molto rumore negli ambienti specializzati, ma sul quale purtroppo non è stata detta ancora una parola definitiva. Un appassionato è Bernard Biales, che si è servito di ricevitori-trasmittenti in miniatura; ma al momento di scrivere non si ha ancora notizia di un solo volo di questo tipo coronato da successo pieno.
A conclusione di quanto esposto in questo capitolo e a parziale giustificazione dei punti lasciati un po' in ombra, va detto che tutto il campo dei razzi a rientro veleggiato è oggetto di continue modifiche e di accese discussioni. Come il lettore ha avuto modo di scoprire, è molto più difficile costruire un modello di questo genere piuttosto che un normale razzo descritto nei capitoli precedenti: è naturale quindi che ci siano molti problemi ancora insoluti e che ne spuntino fuori continuamente di nuovi. E' forse per questo motivo che, almeno negli Stati Uniti d'America molti modellisti si sentono attratti da questa attività, perché possono effettivamente contribuire allo sviluppo di questo particolare ramo del modellismo: ai principianti invece consigliamo di aspettare un po', di farsi le ossa sui problemi più semplici prima di affrontare un argomento che è senz'altro di avanguardia.