q       Insiemi limitati e illimitati

 

L’intervallo ( -1, 7) è limitato sia inferiormente che superiormente.

Invece l’intervallo  è limitato inferiormente ma non superiormente.

L’insieme degli x tali che  è illimitato sia inferiormente che superiormente.

L’insieme dei numeri naturali  è illimitato superiormente, mentre è limitato inferiormente.

L’ins. degli interi relativi  è illimitato sia inferiormente che superiormente.

 

Dunque:

 

 

Definizioni

 

q Un insieme  si dice “superiormente limitato” se ammette un “maggiorante” (o limitante superiore), ossia se esiste un numero  tale che

q       Un insieme  si dice “inferiormente limitato se ammette un minorante”, ossia se esiste un numero  tale che

q       Un insieme  si dice “limitato” se è limitato sia inferiormente che superiormente.

 

 

·         E’ ovvio che se un insieme E ammette un maggiorante k, allora ne ammette infiniti (tutti i numeri ³ k);

e analogamente, se un insieme E ammette un limitante inferiore k, allora ne ammette infiniti (tutti i numeri £ k)

 

·         Un insieme E è superiormente (inferiormente) illimitato quando, comunque grande si fissi il numero positivo M, esiste sempre un elemento di E maggiore di M (minore di M)

 

 

q       Il Teorema di Bolzano

Si dimostra che un insieme che sia limitato e contenga infiniti punti, deve per forza ammettere almeno un punto di accumulazione (appartenente o no all’insieme).

 

Questa proposizione è attribuita a Bernard Bolzano (Praga 1781-1848)

 

·         Se un insieme numerico E è illimitato superiormente (inferiormente),

allora si conviene che  ( )sia punto di accumulazione per E.

Con questa convenzione, potremmo riformulare il precedente T. di Bolzano scrivendo che

“qualunque insieme numerico avente infiniti elementi ammette almeno un punto di accumulazione, che può trovarsi al finito o all’infinito, e appartenere o no all’insieme E”

 

·         Alcuni testi chiamano “Teorema di Bolzano” un altro enunciato, quello che noi denomineremo “teorema di Darboux” o “dei valori intermedi”.

Questi matematici! Si mettessero un po’ più d’accordo!

 

 

q       Massimo e minimo di un insieme

Consideriamo un insieme

·         Se esiste un elemento , tale che, , risulti    , allora si dice che  è il MASSIMO di E.

·         Se esiste un elemento , tale che, , risulti , allora si dice che  è il MINIMO di E.

 

 

Un sottoinsieme di R, che sia finito (cioè: costituito da un numero finito di elementi) ammette sempre sia un minimo che un massimo; ma se E è infinito, ciò può anche non avvenire. Esempi:

ü        L’insieme 

è dotato di MASSIMO (il numero 1), ma, sebbene sia inferiormente limitato, non è dotato di minimo!

 

ü       L’intervallo semiaperto [a, b) ha come minimo il numero a, ma non ammette massimo.

 

ü       L’insieme N ha come minimo 0 e (non essendo superiormente limitato) non ammette massimo.

 

q       Estremo superiore, estremo inferiore di un insieme

 

In matematica, un concetto PIU’ GENERALE del concetto di massimo (o, rispettivamente, di minimo) è il concetto di “estremo superiore” (o “estremo inferiore”).

Introduciamolo con alcuni esempi, poi ne daremo la definizione.

a)       Abbiamo appena osservato che l’insieme è dotato di massimo (M=1), ma non di minimo (Infatti, preso un qualsivoglia elemento di F, esistono sempre in F elementi ancora più piccoli di quello considerato).

Tuttavia il numero 0 (che NON appartiene ad F) occupa, nei confronti degli elementi di F, una posizione molto particolare. Tutti gli elementi di F sono maggiori di 0, ma si avvicinano sempre più a 0, al crescere di k, affollandosi in prossimità dello 0 fino a “sfiorarlo”, seppure non riescano a raggiungerlo.

Lo 0 è un limitante inferiore dell’insieme F; ma fra i limitanti inferiori di F, è quello “più prossimo” agli elementi di F, perché ogni intorno destro di 0, anche se viene preso piccolo piccolo piccolo, contiene sempre dei punti di F.

Diremo che il numero 0, sebbene non sia il minimo di F (perché non appartiene a F), è l’ “estremo inferiore” dell’insieme F.

b)       L’insieme dei numeri naturali  ha come estremo inferiore 0 (che ne è anche il minimo), mentre il suo estremo superiore è

c)       L’intervallo chiuso [a,b] ammette a come minimo, b come massimo

(possiamo dire che a ne è l’estremo inferiore, che, appartenendo all’insieme, ne fa anche da minimo, mentre b ne è l’estremo superiore, che, appartenendo all’insieme, ne fa anche da massimo).

d)       L’intervallo aperto (a, b) non ha né massimo né minimo: ammette invece il punto a come estremo inferiore, il punto b come estremo superiore.

e)       L’insieme G dei numeri irrazionali appartenenti all’intervallo [0,1] è privo sia di minimo che di massimo; ammette però 0 come estremo inferiore, 1 come estremo superiore.

f)         L’insieme  è illimitato sia inferiormente che superiormente, quindi non ha né minimo né massimo, ma ha come estremo inferiore  e come estremo superiore

 

 

Definizione.

Sia , superiormente limitato. Si dice “estremo superiore” di E quel numero L, se esiste, tale che:

               I.      L sia un maggiorante per E, ossia

 

               II.     L sia il più piccolo dei maggioranti di E cioè comunque piccolo si fissi un , esiste sempre almeno un elemento x di E tale che

 

Nel caso poi che E sia superiormente illimitato, si dice che “l’estremo superiore di E è  ”

 

 

 

Un teorema estremamente interessante, la cui dimostrazione omettiamo perché dipende da considerazioni piuttosto fini sulla definizione di numero reale, afferma che:

q       (IMPORTANTE): OGNI insieme numerico  ammette estremo superiore (finito o infinito).

·     L’estremo sup. di un insieme numerico E, nel caso sia finito, è il minimo fra i maggioranti di E

(quindi l’insieme dei maggioranti di un insieme E, se non è vuoto, possiede sempre l’elemento minimo)

·         Un insieme numerico E ammette massimo se e solo se l’estremo sup. di E è finito e appartiene ad E.

In tal caso, il massimo e l’estremo superiore coincidono.

 

 

Del tutto analoga è la definizione di estremo inferiore di un insieme numerico E.

Sia , inferiormente limitato. Si dice “estremo inferiore” di E quel numero  , se esiste, tale che:

               I.       sia un limitante inferiore per E, ossia

              II.      l sia il più grande dei minoranti cioè comunque piccolo si fissi un, esiste sempre almeno un elemento x di E tale che

Nel caso poi che E sia inferiormente illimitato, si dice che “l’estremo inferiore di E è  ”

 

Teoremi:

q       (IMPORTANTE): OGNI insieme numerico  ammette estremo inferiore (finito o infinito).

·         L’estremo inferiore di un insieme numerico E, nel caso sia finito, è il massimo fra i minoranti di E

(quindi l’insieme dei minoranti di un insieme E, se non è vuoto, possiede sempre l’elemento massimo).

·         Un insieme numerico E ammette minimo se e solo se l’estremo inferiore di E è finito e appartiene ad E.

        In tal caso, il minimo e l’estremo inferiore coincidono.

 

L’estremo inferiore di un insieme E viene indicato col simbolo inf (E), l’estremo superiore con sup (E).

 

q       Punti interni e punti esterni ad un insieme; punti “di frontiera” per un insieme.

 

Sia E un insieme numerico, e sia .

q       x0 si dice INTERNO ad E se e solo se esiste un intorno completo di x0, interamente incluso in E.

 Esempi:

Se prendiamo come insieme E

l’intervallo APERTO (a,b),

vedremo che TUTTI i punti di E sono “interni”.

Sei d’accordo? Osserva la figura qui a fianco.

Sia x un qualsivoglia punto di (a, b);

Indicata con  la più piccola fra le distanze di x

dagli estremi a, b dell’intervallo, qualsiasi intorno

di centro x e raggio  è incluso in (a,b).

Quindi x è interno ad (a,b).

Dunque (importante): TUTTI i punti di un

intervallo APERTO sono “INTERNI” all’intervallo.

 

 

TUTTI i punti di un intervallo APERTO

sono INTERNI all’intervallo

Se invece prendiamo come insieme E

l’intervallo CHIUSO [a, b],

ci renderemo conto che i suoi punti “INTERNI” nel senso della definizione da noi posta sono tutti quelli STRETTAMENTE COMPRESI fra a e b, ossia sono i punti che costituiscono l’intervallo aperto (a, b).

Invece gli estremi a, b NON sono punti “interni” all’insieme [a, b].

 

Questa volta l’intervallo considerato è l’ intervallo CHIUSO [a,b].

Comunque piccolo prendiamo il raggio dell’intorno di centro a, una parte dell’intorno scapperà fuori dall’ intervallo. Non esiste nessun intorno completo di a che sia interamente incluso nell’intervallo [a, b].

Quindi il punto a NON è interno all’intervallo considerato.

E analogamente per b.

Invece tutti gli altri punti dell’intervallo sono “INTERNI” ad esso.

Consideriamo l’insieme Z degli interi relativi:

Constatiamo che NESSUN punto di Z è “interno”.

 

 

Consideriamo invece il COMPLEMENTARE (rispetto a R) dell’insieme Z:

TUTTI i suoi punti sono “interni”.

 

Come ben sai, tra due qualsiasi punti dell’asse reale,

cadono infiniti punti ad ascissa irrazionale e infiniti punti ad ascissa razionale.

Pertanto nessun punto dell’insieme Q è “interno” a Q, e nessun punto dell’ins. R  Q è “interno” a R Q .

 

Sia E un insieme numerico, e  un punto che NON vi appartenga ( ).

q       Il punto x0 si dice ESTERNO ad E se e solo se esiste un intorno completo di x0, privo di intersezione con E.

Possiamo anche vederla così: un punto si dice esterno ad E se e solo se è interno al complementare di E, cioè all’insieme .

 

Sia E un insieme numerico.

q       Il punto x0 (appartenente o non appartenente ad E) si dice DI FRONTIERA per E se e solo se

qualsiasi intorno completo di x0 interseca tanto l’insieme E quanto il suo complementare.

Esempi:

Se E = [a, b), i punti interni di E sono tutti i punti di (a, b); i punti esterni ad E sono tutti i punti di

; i punti di frontiera di E sono il punto a e il punto b.

 

Consideriamo l’insieme

F non ha punti interni.

I punti esterni di F sono tutti i punti che non appartengono a F, tranne il punto 0.

L’insieme dei punti di frontiera di F è .

L’insieme Q dei numeri razionali non ha né punti interni, né punti esterni. Tutti i numeri reali sono punti di frontiera per Q

 

q       Insiemi aperti, insiemi chiusi, insiemi né aperti né chiusi.

 

 

Sia E un insieme numerico, sia cioè .

q       Si dice che E è un insieme “aperto” se tutti i suoi punti sono interni.

 

Esempi:

·          Ogni intervallo aperto (a, b) (dove l’aggettivo “aperto” è usato qui per indicare “privato degli estremi”)

è anche un insieme “aperto” nel senso della definizione appena posta.

Infatti abbiamo osservato in precedenza che ogni punto di un intervallo aperto (a,b) è interno ad (a,b)

·          Invece  un intervallo chiuso [a, b] (qui l’aggettivo “chiuso” è usato per indicare “estremi inclusi”)

NON è un insieme “aperto”, nel senso sopra specificato, perché non tutti i suoi punti sono interni:

infatti, a e b non lo sono.

·         Il complementare rispetto a R dell’insieme Z degli interi relativi è un insieme aperto

 

 

In matematica, oltre che di insiemi “aperti”, si parla anche di insiemi “chiusi”.

“Chiuso”, però, in questa accezione, non è il contrario di “aperto”.

Si pone infatti la seguente definizione:

 

 

q       Un insieme  si dice “chiuso” se tutti i punti di accumulazione di E appartengono ad E.

 

Esempi:

·          ogni intervallo chiuso [a, b] (dove l’aggettivo “chiuso” è usato qui per indicare “estremi inclusi”)

è anche un insieme “chiuso” nel senso della definizione appena posta.

Infatti i punti di accumulazione di [a, b] sono per l’appunto tutti e soli i punti di [a ,b]

·          Invece l’intervallo aperto (a,b) (abbiamo qui usato l’aggettivo “aperto” nel senso di “privato degli estremi”)

NON è un insieme “chiuso” nel senso sopra precisato, perché ammette come punti di accumulazione anche

gli estremi a, b, che non appartengono all’intervallo.

·           non è chiuso, perché non contiene quello che è il suo unico punto di accumulazione, ossia il punto 0; e non è nemmeno aperto, come abbiamo visto in precedenza.

·           è un insieme chiuso. L’unico suo punto di accumulazione (il punto 0) appartiene infatti all’insieme.

 

 

L’esempio dell’insieme F mostra che esistono insiemi che non sono né “aperti” né “chiusi”;

d’altronde, un intervallo con un estremo incluso e l’altro escluso, come [a, b), non è né “aperto” né “chiuso”.

 

L’insieme R e l’insieme vuoto sono gli unici due sottoinsiemi di R aventi la proprietà di essere, simultaneamente, sia “aperti” che “chiusi”.

 

Si potrebbe dimostrare il seguente Teorema:

un sottoinsieme di R è chiuso se e solo se il suo complementare è aperto.

 

q       Estremo superiore, estremo inferiore di una funzione su di un insieme

Massimo e minimo assoluti di una funzione su di un insieme

 

Data una funzione y =f(x), detto D il suo dominio, e indicato con E un sottoinsieme di D  ( ),

quando parliamo di “estremo superiore (risp.: inferiore) della f sull’insieme E”,

intendiamo riferirci all’estremo superiore (risp.: inferiore) dell’insieme f(E),

dove il simbolo f(E) indica l’insieme delle immagini dei punti di E attraverso la f

(in altre parole: l’insieme dei valori assunti dalla f(x), al variare di x in E).

Dunque:

 

 = estremo superiore della funzione f sull’insieme  

  =  estremo inferiore   della funzione f sull’insieme  

 

ü        Quando diciamo semplicemente “ l’estremo superiore (risp. inferiore) della f(x)” , sottintendiamo di prendere E=D, cioè sottintendiamo che l’insieme di riferimento sia l’intero dominio della funzione.

 

Analogamente, si dirà “massimo (risp.: minimo) della f(x) in E, il massimo (risp.: il minimo), QUALORA ESISTA, dell’insieme f(E).

Si preferisce, tuttavia, parlare di “massimo assoluto” (risp.: “minimo assoluto”) per evitare possibili equivoci con la locuzione “massimo relativo” (risp. “minimo relativo”), che ha un altro significato di cui ci occuperemo successivamente.

ü        Se si scrive “ massimo (risp.:minimo) assoluto per la funzione f ”, senza citare un particolare insieme, si intende che  l’insieme di riferimento sia l’intero dominio della f (ossia: E=D).

 

E’ importante l’osservazione seguente:

affermare che una funzione f(x) ammette come massimo assoluto, su di un insieme E, un certo numero M, comporta che : infatti, il massimo di un insieme è l’estremo superiore dell’insieme, qualora questo sia finito ed appartenga all’insieme.

Ma se , ciò significa che M è immagine, attraverso la f, di almeno un punto di E, cioè che M è un valore che viene effettivamente assunto dalla f, in corrispondenza di un certo x’ appartenente ad E.

In definitiva, possiamo scrivere che

 

M è il massimo assoluto di f(x) sull’ins.  

 

ü        Riguardo all’ascissa x’ che “genera” il massimo assoluto, essa viene detta “punto di massimo ass. per la f su E”.

Insomma: “massimo assoluto” è un’ordinata, “punto di massimo assoluto” è l’ascissa a cui corrisponde quell’ordinata (tale ascissa può eventualmente non essere unica).

 

Analogamente per il minimo:

affermare che una funzione f(x) ammette come minimo assoluto, su di un insieme E, un certo numero m, comporta che : infatti, il minimo di un insieme è l’estremo inferiore dell’insieme, qualora questo sia finito ed appartenga all’insieme.

Ma se , ciò significa che m è immagine, attraverso la f, di almeno un punto di E, cioè che m è un valore che viene effettivamente assunto dalla f, in corrispondenza di un certo x’’ appartenente ad E.

In definitiva, possiamo scrivere che

 

m è il minimo assoluto di f(x) sull’insieme

 

ü        Riguardo all’ascissa x’’ che “genera” il minimo assoluto, essa viene detta “punto di minimo assol. per la f su E”.

Insomma: “minimo assoluto” è un’ordinata, “punto di minimo assoluto” è l’ascissa a cui corrisponde quell’ordinata (tale ascissa può eventualmente non essere unica).

 

Una funzione f(x) ammette sempre, su di un dato insieme E, estremo superiore e inferiore (eventualmente infiniti), ma potrebbe non ammettere massimo assoluto e/o minimo assoluto.

 

Gli esempi successivi dovrebbero chiarire bene quanto detto.

Esempi:

 

 

Nella figura qui a fianco,

 

M = f(a) è il massimo assoluto per la funzione rappresentata, sull’insieme E = [a,b].

a è il punto di massimo assoluto.

 

m = f(c) è il minimo assoluto della f su [a,b].

c è il punto di minimo assoluto.

 

 

                      

La funzione rappresentata nella figura qui a fianco

ammette massimo assoluto

sul suo dominio R:

Il punto di massimo assoluto è quindi

l’ascissa x=0.

 

Invece questa funzione

non ammette minimo assoluto nel suo dominio:

il suo estremo inferiore è 0,

che però non è un valore assunto dalla funzione, quindi non ne è il minimo.

I valori assunti dalla funzione costituiscono l’intervallo semiaperto (0,2]:

 

 

 

La funzione

ha come grafico una “parabola col buco”.

 

L’insieme dei valori assunti dalla funzione sul suo dominio R è l’intervallo

Abbiamo

,

e la funzione non ammette né massimo assoluto, né minimo assoluto, sul suo dominio.

 

Invece la stessa funzione h(x):

sull’insieme [1,2] avrebbe come massimo 3 e come minimo 0;

sull’insieme (1,2] avrebbe come estremo superiore 3 (ma non avrebbe massimo), e come minimo 0;

sull’insieme (0,1] avrebbe come estremo superiore 4 (ma non avrebbe massimo), e come minimo 3;

sull’insieme [0,1] avrebbe come estremo superiore 4 (ma non avrebbe massimo), e come minimo 1.

 

 

 

                      

 

 

 

 

 

q       Massimi e minimi relativi di una funzione

 

Passiamo ora a descrivere cosa si intende per “punto di massimo (risp.: minimo) RELATIVO”, di una funzione y=f(x).

c  punto di massimo relativo per la funzione f(x)  c