Growin' up

 

Da ragazzino c'erano due cose importanti in casa mia:

Io e la mia chitarra. Mio padre non si riferiva mai alla mia chitarra

chiamandola Fender o Gibson: per lui era sempre la dannata chitarra...

Tutte le volte che sbucava in camera mia, tutto ciò che sentivo era

"Abbassa quella dannata chitarra".

A scuola, una suora mi ha costretto a entrare in un bidone

della spazzatura. Era il posto che secondo lei mi si addiceva di più.

Al liceo, il consiglio scolastico aveva deciso di espellermi.

"Un tipo troppo strano", ero accusato soltanto di questo.

Non sono mai riuscito ad essere il buffone della scuola. Non avevo tutta

quella notorietà. Non mi consideravano nemmeno uno stronzo.

Non mi sono mai sentito scoraggiato.

Era perché non avevo nessuna speranza. Ero abituato al fallimento.

Una volta capito questo, il resto è facile.

Non mi lasciavano suonare nei pub, perché non facevo

le cover dei pezzi famosi. Che gente.

Gli stessi che ora mi sorridono, non mi avrebbero mai lasciato entrare.

Uno di quei tizi, una volta ha sparato con una pistola

nel mio amplificatore per chitarra. "Ti avevo detto di abbassare"

mi ha detto quello stronzo.

Fino a quando non sono riuscito a capire che il rock poteva essere

la mia connessione col resto del mondo mi sentivo morire.

Ma non so veramente perché.

La prima chitarra è stata una delle più belle visioni della mia vita.

Era lì, significava tutto. "Ora sei vero", mi dicevo,

"puoi fare tutto ciò che vuoi".

Il rock continua a darmi

la più grande spinta emotiva che abbia mai provato.

Vivevo in questa casa bifamiliare, sulla strada principale che

attraversava la cittadina. Mai madre lavorava in centro, in una palazzina

di uffici, come segretaria, mentre mio padre ogni tanto lavorava come

guardia carceraria. Molte volte, semplicemente se ne stava a casa.

Quando era a casa era solito spegnere tutte le luci e starsene seduto

in cucina, bere la sua birra, fumare una sigaretta. Qualche volta,

in inverno, lasciava accesa la stufa a gas, quindi iniziava a fare davvero

caldo là dentro, e chiudeva tutte le porte. Mia madre sedeva in tinello

a guardare la tv tutta la notte. Io uscivo. E se io e mia sorella

rientravamo intorno alle dieci o le undici non andava male.

Ma se rincasavamo in ritardo, sapevo che mio padre sarebbe stato seduto ad aspettarmi, seduto al buio per ore. Io tentavo di attraversare

la cucina e correre per raggiungere la mia camera. E proprio mentre

stavo per farcela, lui finiva col chiamarmi, dirmi di sedermi e di parlare

con lui per un po'. Sedevamo lì, nel buio. E mentre riuscivo sempre a

sentire la sua voce, non potevo mai vedere la sua faccia... Principalmente

parlavamo di nulla, di cosa facevo a scuola e di come avrei potuto

arruolarmi nell'esercito. Iniziava a chiedermi cosa io pensassi di fare

della mia vita e come avrei guadagnato i miei soldi e, all'improvviso,

diceva che ero un buono a nulla. E dopo poco iniziavamo a urlarci in

faccia l'un l'altro. E mia madre arrivava dal tinello cercando di evitare

che ci saltassimo addosso. Correvo fuori uscendo dalla porta del cortile,

dicendogli che era la mia vita, e io ne potevo fare quel che ne volevo...

(1 agosto 1976, Red Bank, introduzione a "It's my life")

Quando ero piccolo il rock'n'roll mi ha fatto sognare:

sogno di vita, sogno di amore, sogno di sesso.

Però più di tutto mi ha fatto sognare di essere libero.

(8 settembre 1988, Torino, introduzione a "My Hometown")

Canto questa canzone da quindici anni... L'ho scritta quando ne avevo

ventiquattro. Le domande che mi ponevo in questa canzone, beh, non so

se ho trovato le risposte... Quando l'ho scritta, parlavo di un ragazzo

e di una ragazza che volevano salire su un'auto e continuare a correre

e non tornare mai indietro. Era una bella idea, mi piaceva. Ma andando

avanti negli anni e continuando a cantare questa canzone mi sono reso

conto che tutte queste persone nelle loro auto dovevano avere un posto

dove andare. Penso che la libertà individuale diventi una cosa vuota

e senza senso se significa separazione dalla comunità, dalla gente e

dagli amici. Adesso credo che in realtà i due ragazzi della canzone

cerchino dei contatti e dei legami. Questa canzone mi ha tenuto buona

compagnia durante la mia ricerca, cercando di capire cosa significhi una

casa, come arrivarci e come rimanerci attaccati.

Spero abbia tenuto compagnia anche a voi nella vostra ricerca

e vi auguro amore, casa e felicità.

(16 maggio 1988, New York, introduzione a "Born to Run")

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