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Ho
elaborato una breve teoria sul Medioevo, concepita per mettere in evidenza
il fatto che siamo di nuovo, effettivamente, in pieno Medioevo, e non sull'orlo
dello stesso. Le prove dell'avvenuto inizio di una nuova epoca medievale
non sono difficili da rintracciare, nel quotidiano, ma bisogna chiarire
alcuni tratti di questo lungo e poco fausto periodo storico. Definirlo,
insomma. Ci aiuteranno le arti figurative, la poesia, e altri fatti concreti.
Allora, dopo aver sviluppato una certa complessità e profondità, specchiate
da una complessità poetica e artistica che sopravvive in tante testimonianze
che ci restano della cultura classica, il pensiero e la rappresentazione
di esso precipitano in un baratro oscuro, fatto di figurette scachenniche
e versi stentati, in cui per quattro o cinquecento anni i poeti non riescono
manco ad azzeccare il numero giusto di sillabe per fare un endecasillabo
(=undici). Vogliamo scomodare per primi i pittori? Ecco un particolare di
una
tempera di Cimabue (1240-1302, Medioevo, quindi), artista noto fra le
altre cose come maestro di Giotto, quell'altro genio.
Il dipinto risale più o meno al 1285. Che ve ne sembra? Le persone sono
così? I nasi delle persone sono così? E 'ste manine un po' attrappite?
E l'occhio batracico? Boh. Facciamo il paragone, senza scomodare Caravaggio
o altri episodi clamorosi con un particolare di un quadro successivo di
qualche secolo: l'olandese Jan Vermeer Van Delft (1632-75) intorno al 1665
realizza un olio su tela, Il
concerto.
Si noti, tout court la complessità e l'accuratezza di questo lavoro.
Non ho chiamato in causa l'arte greca o romana poiché (purtroppo) dell'epoca
antica non sono state conservate tele (e indovinate un po' perché),
e il paragone con una scultura sarebbe stato giudicato forse arbitrario.
Ma passiamo alla poesia. Rispetto a una complessità metrica, ideologica,
e diciamo pure in senso lato "poetica" delle opere di autori come Virgilio,
Catullo, Lucrezio, o viceversa alla complessità psicologica espressa da
un tragediografo, mettiamola così, come Sofocle, la composizione italiana,
perlomeno fino a Dante e Petrarca che fanno un po' discorso a sé, offre
documenti di pensiero e strutturazione rudimentale sui quali gli studiosi
si accaniscono più o meno come ci si accanirebbe su una trave di legno per
estrarne un succo di frutta. Qualche esempio? Pigliamo l'incipit del Ritmo
cassinese, uno dei documenti poetici più antichi dell'italiano (ed è
robetta del 1200 passato, si badi):
Eo siniuri, s'eo fabello,
lo bostro audire combello:
de questa bita interpello
e ddell'altra bene spello.
Poi k'enn altu m'encastello,
ad altri bia renubello.
Em meb'e[n]cendo flagello.
Et arde la candela, s'è be libera,
et altri mustra bia dellibera.
Profondo, eh? Pure Giovanotti è riuscito a esprimere concetti un po' più
complessi nel corso della sua opera omnia (es.: "Ti amo però scazziamo",
nella canzone Raggio di sole). E pensare che Lucrezio, in un monumento
di grandezza del pensiero umano come il suo De rerum natura scriveva
una dozzina di secoli prima, in un metro regolare e accurato, cose come:
Ignoratur enim quae sit natura animai,
nata sit an contra nascentibus insinuetur
et simul intereat nobiscum morte dirempta
an tenebras Orci visat vastasque lacunas
an pecudes alias divinitus insinuet se...
'Si ignora infatti quale sia la natura dell'anima,
se abbia una nascita o piuttosto si insinui in chi nasce
e ugualmente abbia fine con noi, disgregata dalla morte,
se possa vedere le tenebre e i profondi abissi dell'inferno
o se si insinui per volere divino in altri animali...'
L'altro giorno l'élite intellettuale italiana era radunata nel salotto di
Bruno Vespa (Porta a porta), e vi si discuteva appunto di Harry
Potter e degli annessi della magia, per dire, nell'attualità.
Lucrezio e le sue riflessioni sulla natura dell'anima? Oblio e sepoltura,
in favore di certi proclami assertori del mago Otelma e della Natalia Aspesi.
Ma vorrei tornare alla mia necessariamente approssimata definizione del
Medioevo, che in buona sostanza è un'epoca in cui il pensiero generale perdette
una sua complessità e profondità. Le conseguenze? Lasciamo perdere le conseguenze
culturali, politiche, ecc. Sul piano concreto, se nell'antica Roma tutte
le città propriamente dette si definivano tali anche per la presenza e lo
sviluppo di un sistema idrico, e di un'architettura che garantisse condizioni
di igiene e ménage urbano relativamente dignitose, nel Medioevo anche un
re o un potente finiva per dover cacare in una buca dietro il pollaio e
lavarsi solo se cascava in un fiume per sbaglio. Altra conseguenza concreta?
Peste ogni quindici anni, epidemie, piattole, tigna e caduta dei denti.
Per dire.
Insomma, il Medioevo si può definire così: un'epoca di mortificazione del
pensiero umano e del dialogo fra persone, e una riduzione della capacità
generale di organizzarsi. Gente che disegna figurette scachenniche per rappresentare
il mondo, e anonimi che scrivono poesie più barbare delle canzoni degli
Europe. E cacano dietro al pollaio.
È lo stesso, oggi? Sì. Le prove sono dappertutto: basta accendere la televisione
o sfogliare un quotidiano. Ma non mi piace usare sempre gli stessi esempi,
prendermela sempre con Bruno Vespa o la pensatrice Oriana Fallaci, e cercherò
allora di essere più puntuale, utilizzando la letteratura e la rappresentazione
del mondo come lente.
L'Ottocento e il primo Novecento sono per noi quello che è stato per il
Medioevo la Roma imperiale: la pittura dell'Ottocento ha visto fiorire alcuni
artisti e movimenti, non solo in Francia, che hanno concretamente rifondato
e in modo profondo la rappresentazione del mondo e dell'uomo. Il pensiero
e la letteratura, non parliamone. Carlo Marx era dell'Ottocento, e basterebbe.
Ma lo erano anche Flaubert, Tolstoj, Dostoevskij, Zola. Se si va avanti
troviamo Proust e Gramsci. Poi il precipizio morale: da Cézanne e Manet
si passa a Keith Haring e Yoko Ono; da Leopardi e Goethe ad Alberoni e Scalfari.
E via dicendo.
Ora, chi ha visto la recente riduzione televisiva di Cuore, il noto
romanzo di Edmondo De Amicis, sceneggiata e trasmessa da Canale 5, con Scarpati
e la Anna Valle? Il libro (del 1886) aveva pregi e difetti, e non si discute,
ma comunque forniva una rappresentazione elementare quanto schietta di un
certo tipo di vita nell'Italia post risorgimentale. Che succedo oggi? Lo
fanno su Canale 5, e gli sceneggiatori non solo rinunziano a tratteggiare
la figura più memorabile e celebrata del romanzo, Franti, ma spiaccicano
sopra il resto del testo una manata di carta da parati a fiori. Franti,
un bambino cattivo, carattere a suo modo complesso e comunque arduo da concepire
e descrivere, diventa uno che era un po' somaro e comunque (per contrappasso)
forte a calcio. E il culmine narrativo della storia diventa, ti pare,
una partitella di calcio, appunto. Sarebbe pedante criticare l'anacronismo
e l'assenza (va da sé) dell'episodio nel testo deamicisiano. Ma la piattezza
del procedimento è disarmante: Cuore? Che palle... Che ce mettemo?
A partita! Daie. Medioevo, quindi. La difficoltà di rappresentare una serie
di figure, per quanto siano in partenza elementari, portatrici di un contenuto
propriamente critico della circostanza, per es. un bambino cattivo (fatto
incompatibile con i cliché della Tv a colori) viene scavalcata e anzi piallata
uniformando brutalmente il percorso narrativo all'orizzonte di attesa (presunto)
dello spettatore contemporaneo. E quindi il calcio dappertutto. Fantasioso.
Bravi. L'episodio descrive schematicamente tutto il tracollo culturale che
portò all'avvento del Medioevo: oblio di un valore, fraintendimento, disgregazione,
rappresentazione ultraelementare del valore stesso. Perdita di valori. Peste.
Se non bastasse questo a dimostrare che siamo nuovamente nel Medioevo, potrà
forse servire la natura schematica e rudimentale di questo mio stesso breve
saggio, e della rozzezza della mia teoria sul Medioevo. E si badi che io
ero uno che un tempo confidava generalmente nelle definizioni complesse,
e nell'approccio analitico ai problemi. |