Francesco Zardo – Commenti

11.12.2001

 

Il Medioevo  

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Ho elaborato una breve teoria sul Medioevo, concepita per mettere in evidenza il fatto che siamo di nuovo, effettivamente, in pieno Medioevo, e non sull'orlo dello stesso. Le prove dell'avvenuto inizio di una nuova epoca medievale non sono difficili da rintracciare, nel quotidiano, ma bisogna chiarire alcuni tratti di questo lungo e poco fausto periodo storico. Definirlo, insomma. Ci aiuteranno le arti figurative, la poesia, e altri fatti concreti. Allora, dopo aver sviluppato una certa complessità e profondità, specchiate da una complessità poetica e artistica che sopravvive in tante testimonianze che ci restano della cultura classica, il pensiero e la rappresentazione di esso precipitano in un baratro oscuro, fatto di figurette scachenniche e versi stentati, in cui per quattro o cinquecento anni i poeti non riescono manco ad azzeccare il numero giusto di sillabe per fare un endecasillabo (=undici). Vogliamo scomodare per primi i pittori? Ecco un particolare di una tempera di Cimabue (1240-1302, Medioevo, quindi), artista noto fra le altre cose come maestro di Giotto, quell'altro genio.

Il dipinto risale più o meno al 1285. Che ve ne sembra? Le persone sono così? I nasi delle persone sono così? E 'ste manine un po' attrappite? E l'occhio batracico? Boh. Facciamo il paragone, senza scomodare Caravaggio o altri episodi clamorosi con un particolare di un quadro successivo di qualche secolo: l'olandese Jan Vermeer Van Delft (1632-75) intorno al 1665 realizza un olio su tela, Il concerto.

Si noti, tout court la complessità e l'accuratezza di questo lavoro. Non ho chiamato in causa l'arte greca o romana poiché (purtroppo) dell'epoca antica non sono state conservate tele (e indovinate un po' perché), e il paragone con una scultura sarebbe stato giudicato forse arbitrario. Ma passiamo alla poesia. Rispetto a una complessità metrica, ideologica, e diciamo pure in senso lato "poetica" delle opere di autori come Virgilio, Catullo, Lucrezio, o viceversa alla complessità psicologica espressa da un tragediografo, mettiamola così, come Sofocle, la composizione italiana, perlomeno fino a Dante e Petrarca che fanno un po' discorso a sé, offre documenti di pensiero e strutturazione rudimentale sui quali gli studiosi si accaniscono più o meno come ci si accanirebbe su una trave di legno per estrarne un succo di frutta. Qualche esempio? Pigliamo l'incipit del Ritmo cassinese, uno dei documenti poetici più antichi dell'italiano (ed è robetta del 1200 passato, si badi):

Eo siniuri, s'eo fabello,
lo bostro audire combello:
de questa bita interpello
e ddell'altra bene spello.
Poi k'enn altu m'encastello,
ad altri bia renubello.
Em meb'e[n]cendo flagello.
Et arde la candela, s'è be libera,
et altri mustra bia dellibera.


Profondo, eh? Pure Giovanotti è riuscito a esprimere concetti un po' più complessi nel corso della sua opera omnia (es.: "Ti amo però scazziamo", nella canzone Raggio di sole). E pensare che Lucrezio, in un monumento di grandezza del pensiero umano come il suo De rerum natura scriveva una dozzina di secoli prima, in un metro regolare e accurato, cose come:

Ignoratur enim quae sit natura animai,
nata sit an contra nascentibus insinuetur
et simul intereat nobiscum morte dirempta
an tenebras Orci visat vastasque lacunas
an pecudes alias divinitus insinuet se...


'Si ignora infatti quale sia la natura dell'anima,
se abbia una nascita o piuttosto si insinui in chi nasce
e ugualmente abbia fine con noi, disgregata dalla morte,
se possa vedere le tenebre e i profondi abissi dell'inferno
o se si insinui per volere divino in altri animali...'

L'altro giorno l'élite intellettuale italiana era radunata nel salotto di Bruno Vespa (Porta a porta), e vi si discuteva appunto di Harry Potter e degli annessi della magia, per dire, nell'attualità. Lucrezio e le sue riflessioni sulla natura dell'anima? Oblio e sepoltura, in favore di certi proclami assertori del mago Otelma e della Natalia Aspesi. Ma vorrei tornare alla mia necessariamente approssimata definizione del Medioevo, che in buona sostanza è un'epoca in cui il pensiero generale perdette una sua complessità e profondità. Le conseguenze? Lasciamo perdere le conseguenze culturali, politiche, ecc. Sul piano concreto, se nell'antica Roma tutte le città propriamente dette si definivano tali anche per la presenza e lo sviluppo di un sistema idrico, e di un'architettura che garantisse condizioni di igiene e ménage urbano relativamente dignitose, nel Medioevo anche un re o un potente finiva per dover cacare in una buca dietro il pollaio e lavarsi solo se cascava in un fiume per sbaglio. Altra conseguenza concreta? Peste ogni quindici anni, epidemie, piattole, tigna e caduta dei denti. Per dire.

Insomma, il Medioevo si può definire così: un'epoca di mortificazione del pensiero umano e del dialogo fra persone, e una riduzione della capacità generale di organizzarsi. Gente che disegna figurette scachenniche per rappresentare il mondo, e anonimi che scrivono poesie più barbare delle canzoni degli Europe. E cacano dietro al pollaio.

È lo stesso, oggi? Sì. Le prove sono dappertutto: basta accendere la televisione o sfogliare un quotidiano. Ma non mi piace usare sempre gli stessi esempi, prendermela sempre con Bruno Vespa o la pensatrice Oriana Fallaci, e cercherò allora di essere più puntuale, utilizzando la letteratura e la rappresentazione del mondo come lente.

L'Ottocento e il primo Novecento sono per noi quello che è stato per il Medioevo la Roma imperiale: la pittura dell'Ottocento ha visto fiorire alcuni artisti e movimenti, non solo in Francia, che hanno concretamente rifondato e in modo profondo la rappresentazione del mondo e dell'uomo. Il pensiero e la letteratura, non parliamone. Carlo Marx era dell'Ottocento, e basterebbe. Ma lo erano anche Flaubert, Tolstoj, Dostoevskij, Zola. Se si va avanti troviamo Proust e Gramsci. Poi il precipizio morale: da Cézanne e Manet si passa a Keith Haring e Yoko Ono; da Leopardi e Goethe ad Alberoni e Scalfari. E via dicendo.

Ora, chi ha visto la recente riduzione televisiva di Cuore, il noto romanzo di Edmondo De Amicis, sceneggiata e trasmessa da Canale 5, con Scarpati e la Anna Valle? Il libro (del 1886) aveva pregi e difetti, e non si discute, ma comunque forniva una rappresentazione elementare quanto schietta di un certo tipo di vita nell'Italia post risorgimentale. Che succedo oggi? Lo fanno su Canale 5, e gli sceneggiatori non solo rinunziano a tratteggiare la figura più memorabile e celebrata del romanzo, Franti, ma spiaccicano sopra il resto del testo una manata di carta da parati a fiori. Franti, un bambino cattivo, carattere a suo modo complesso e comunque arduo da concepire e descrivere, diventa uno che era un po' somaro e comunque (per contrappasso) forte a calcio. E il culmine narrativo della storia diventa, ti pare, una partitella di calcio, appunto. Sarebbe pedante criticare l'anacronismo e l'assenza (va da sé) dell'episodio nel testo deamicisiano. Ma la piattezza del procedimento è disarmante: Cuore? Che palle... Che ce mettemo? A partita! Daie. Medioevo, quindi. La difficoltà di rappresentare una serie di figure, per quanto siano in partenza elementari, portatrici di un contenuto propriamente critico della circostanza, per es. un bambino cattivo (fatto incompatibile con i cliché della Tv a colori) viene scavalcata e anzi piallata uniformando brutalmente il percorso narrativo all'orizzonte di attesa (presunto) dello spettatore contemporaneo. E quindi il calcio dappertutto. Fantasioso. Bravi. L'episodio descrive schematicamente tutto il tracollo culturale che portò all'avvento del Medioevo: oblio di un valore, fraintendimento, disgregazione, rappresentazione ultraelementare del valore stesso. Perdita di valori. Peste.

Se non bastasse questo a dimostrare che siamo nuovamente nel Medioevo, potrà forse servire la natura schematica e rudimentale di questo mio stesso breve saggio, e della rozzezza della mia teoria sul Medioevo. E si badi che io ero uno che un tempo confidava generalmente nelle definizioni complesse, e nell'approccio analitico ai problemi.