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Guerra, guerra, guerra. Una giornalista del "Corriere" ci
resta secca giù in Afghanistan, e improvvisamente questa guerra ci appare
più vicina, roba che prima, evidentemente, molti scambiavano i bollettini
per il testo di una canzone di Battiato. E invece no: così sono le guerre,
cari amici e colleghi, anzi molto peggio. Persone che muoiono, essenzialmente.
Ma è già un fatto dimenticato: se ne parla all'inizio dei Tg per poi passare,
in una sfogliata di gobbo, alle notizie sportive. E questa guerra brutale
che l'Occidente ha mosso a un paese sostanzialmente deserto (e abbondante
di petrolio, lo si dica) si confonde di nuovo con Passaparola, Grande
fratello, e altri eventi tutti a due dimensioni. A questo proposito
mi riporta un singolare episodio l'amico Sestili, et voilà, lasciamogli
la parola.
Caro Francesco,
grazie per aver riattivato il tuo sito. Vorrei riportare [...] un breve
commento colto sul mio posto di lavoro ieri. Un collega stava leggendo "la
Repubblica", che a p. 9 recava il titolo (cito a memoria) Ora Bin Laden
vale 50 miliardi. Il collega, informando tutti i presenti del wanted
westerniano, commentava di seguito perplesso: «Embé, noi Mendieta l'avemo
pagato 90 miliardi, e sta pure in panchina!». Mi chiedo: qual è, quali
sono i sensi profondi di questa frase? [...] Ve la butto là, nella speranza
che sia materia di riflessione.
Enrico
Caro Enrico,
che dire? Credo di aver dato in apertura, almeno in parte, una chiave interpretativa
all'episodio che riporti, e che immagino replicarsi in tanti altri uffici.
Questa guerra non esiste. Esiste per qualche parente della giornalista morta.
Per il resto è una cosa astratta, per noi lettori di "Repubblica" o dello
stesso "Corriere", per gli spettatori del Tg, ma anche e soprattutto per
i giornalisti e per quanti 'sta guerra la vogliono e la mandano avanti.
Se ne parla dunque, come di un filmetto con Bruce Willis o come di una partitella
di calcio. Bin Laden, il fuoriclasse di Kandahr, il Maradona islamico, un
numero 10 da 50 miliardi. Tutto è ridotto, per semplicità,
a dinamiche di tipo calcistico o sportivo: è un impoverimento del pensiero
e del dibattito perpetrato ogni giorno da tutti. Sarebbe facile prendersela
solo coi nostri numeri 10 (Bruno Vespa, Ferrara, Buttiglione...): complici
siamo purtroppo un po' tutti di questo meccanismo. Pure io, che 'ste cose,
per pigrizia e ostinazione, le scrivo su un sito Internet che avrà sì e
no 15 lettori, anziché sforzarmi di partecipare un po' di più a un dibattito
dal quale mi sento escluso ma in parte mi autoescludo.
Cinquanta miliardi per Bin Laden. Un F16 costa 27 milioni di dollari (circa
55 miliardi di lire, dunque: è il prezzo approssimativo di un buon modello
recente sul mercato del nuovo); e non è che l'esercito Usa ne possieda uno...
Una portaerei quanto costa? Non sono informato, lo ammetto. Quanto costa
la guerra al giorno? Secondo l'equazione calcio = guerra ben recepita
e ostentata da giornali, classe politica, e sanamente indotta nel grande
pubblico, questa guerra serve sostanzialmente a catturare Bin Laden
il quale, io sospetto, sta a Parigi in un confortevole trilocale cablato
a guardarsi la Cnn e le notizie sportive. Comunque, se qualcuno pigliasse
Bin Laden, seguendo le equazioni, non avrebbe diritto a esigere uno stipendio
pari al mantenimento del contingente armato Usa nel Golfo persico o da quelle
parti là? La guerra finirebbe, no? E invece questo eroe che acchiappa
il vecchio Bin, lo lega, e lo consegna alla pattuglia dei carabinieri becca
una taglia che non gli consente nemmeno di comprarsi un F16 nuovo. Tantomeno
Mendieta, per la squadretta del quartiere.
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