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Ricevo e rispondo volentieri a una questione sollevata
dal lettore Piero Zardo (ma... è mio fratello!):
Gentile Zardo
come lei saprà certamente (la notizia di sicuro è giunta anche lì)
Roma festeggia in questi giorni la vittoria dello scudetto calcistico
da parte della sua squadra più seguita e amata, la Roma appunto.
Anch'io, che quest'anno ho visto tutte le partite, ho gioito della conquista
del tricolore, e continuo a gioire dell'euforia che pervade strade e piazze
del centro come della periferia.
C'è però una cosa che suona un po' male. Niente di grave, diciamo un piccolo
bruscolo linguistico nell'occhio, una lieve stonatura nell'armonia del
coro.
E arriviamo al punto, perché proprio di coro si tratta.
Uno dei più cantati cori celebrativi che i tifosi (e anche giocatori)
hanno intonato in questi felici giorni recita così:
"Siamo noi, siamo noi
i campioni dell'Italia siamo noi!"
C'è qualcosa che non torna. Al di là dell'evidente diversità
dalla più accreditata formula Campioni d'Italia, è corretto (in italiano)
dire Campioni dell'Italia?
Al di là del fatto che in un coro di una qualunque tifoseria
c'è da aspettarsi continui attentati alla lingua dei padri,
Lei che è un accreditato studioso di linguistica, può darmi
qualche lume a riguardo ed eventualmente riconciliarmi con il
più cantato coretto celebrativo dello splendido campionato della Roma?
Confidando in una Sua risposta, La ringrazio anticipatamente
rivolgendoLe al contempo i miei più
Distinti saluti
Piero Zardo
Caro Piero,
per rispondere all'interessante quesito avevo svolto una lunga e accurata
ricerca sui testi poetici dell'italiano dalle origini al Secondo Ottocento.
Purtroppo ho lasciato acceso il computer senza salvare, e siccome
qui ormai ci mettono le mani in venti, puoi immaginarti che qualcuno ha
chiuso senza salvare le due cartelle e mezza di saggio argomentato
che ti avevo scritto in replica.
Allora riscriverò in breve, appoggiandomi a memoria ai risultati dell'ampio
regesto che avevo compiuto l'altroieri, altrimenti la tua domanda invecchia,
e anche la risposta.
Il modello "xxx d'Italia", nella tradizione poetica italiana, prevale
in maniera schiacciante sull'alternativa "xxx dell'Italia". Per
quanto riguarda la prosa e il parlato si può individuare una concorrenza:
ma il nome proprio Italia, in un qualsiasi complemento retto dalla
preposizione di, compare in poesia privo dell'articolo. Si comincia
da Dante, che nel Canto XIV del Purgatorio scrive "Ché le città d'Italia
tutte piene | son di tiranni...", proseguendo con Petrarca e Boccaccio,
nei quali pure troviamo la forma d'Italia mentre dell'Italia
è del tutto assente. Stesso discorso, secondo le mie rilevazioni, per
quanto riguarda Ariosto, Foscolo, Leopardi e Manzoni poeta: in tutti questi
autori il modello dell'Italia è soppresso in favore dell'altro:
la sequenza d'Italia è impiegata in diversi luoghi del Furioso,
delle Grazie, dei Canti e, per quanto riguarda Manzoni,
dell'Adelchi. Per concludere ti ricorderò quanta influenza nella
ricezione popolare otto-novecentesca deve aver poi esercitato l'incipit
dell'Inno di Mameli (1847, "Fratelli d'Italia..." ecc.).
È molto probabile che, in previsione della conquista dello scudetto,
gli ultrà giallorossi abbiano compiuto queste mie stesse considerazioni
ecdotiche, risolvendosi dunque a introdurre un elemento di crisi nell'orizzonte,
peraltro piuttosto conservatore, dell'epinicio (con questo termine si
indica, tradizionalmente, la celebrazione poetica di un'impresa sportiva,
scusa lo sfoggio). L'elemento antitradizionale che mi segnali, nel distico
dei supporter giallorossi, si può dunque interpretare nell'ambito di una
provocatoria ridiscussione del canone compositivo tradizionale.
Ma forse non sono stato abbastanza pertinente. Tu mi chiedevi "è
corretto (in italiano) dire Campioni dell'Italia?" Direi di sì,
ma coglierò l'occasione di rammentare un precetto, quello che è
l'uso a far la lingua, che ci deriva dagli insegnamenti di Tullio De Mauro,
il babbo del nostro reciproco direttore!
Sorprende, se mai, nella lettura del distico, la scelta, alla quarta persona
del verbo essere, della forma siamo (modellatasi in Toscana su
analogia di abbiamo < HABEAMUS) in luogo del più prevedibile semo,
che ancor oggi prevale ampiamente a Roma e in altri dialetti.
Ne riparleremo, chissà...
A presto, socio, e cerca di essere meno compassato nelle tue lettere!
Fra'
P.S. Inter nos, grazie di una cosa: definirmi "un accreditato studioso
di linguistica" quando invece, se mai, un tempo potevo al
più considerarmi una giovane promessa mentre ora al massimo sto
cercando di riguadagnare lo status di cultore, to', ma altri direbbero,
in vernacolo, o sfaccimm' dei cultori della lingua italiana, con
le mie povere cose... Un abbraccio, F.
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