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I cuori infranti
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Mi scrive, da Roma, l'amico Enrico S.
[...]
che dire? I contenuti dell tua pagina web sono senz'altro coraggiosi,
in quanto non definitivi e soprattutto sofferti [...]. Ora, posso solo
scriverti brevi cose della mia esperienza, in particolare due, ovvie ed
contraddittorie.
La prima, è che prima o poi viene un giorno in cui realizzi quanto sei
stato stronzo a perdere tempo ad avere un cuore infranto, e quanto tutto
sia stato inutile e soprattutto dannoso per la psiche. In più, quel tempo
non te lo ridà nessuno. T'attacchi. E qui, quando realizzi tutto ciò,
vieni sommerso dall'ansia del fare e dall'incazzatura per quanto non hai
fatto nel passato pensando a Lei.
La seconda, è che dopo poco tempo puoi ritrovarti ancora una volta col
cuore infranto, per un'altra Lei o peggio per la stessa, con minori difese
che nel passato, e a nulla servono tutte le considerazioni razionali sviluppate
sulla specifica questione. Aristai da capo. Che dire? L'insegnamento ultimo
è che quando sei proprio sicuro che peggio di così non può essere, tranquillo,
il peggio deve ancora venire. Quindi rilassati, aspettando le botte vere.Enrico
Parole dure e sagge che meritano senz'altro una riflessione,
amico mio. E meritano senz'altro di essere pubblicate in queste pagine:
a tanti lettori esse potranno magari additare un percorso in grado di lenire
la propria sofferenza rapidamente, o quantomeno di sforzarsi a farlo, il
che non è mai una perdita di tempo. Eppure debbo sollevare un'obiezione
circa un passo non limpido e che merita di essere discusso: «un giorno
tu scrivi realizzi quanto sei stato stronzo a perdere tempo ad avere un
cuore infranto».
Eh. Quella mica è sempre una scelta. Non dico che alle volte non sia frutto
di ostinazione privata, il fatto che certe ferite tardino a rimarginarsi.
Ma non si parla allora di cuori infranti, probabilmente, quanto di cuori
offesi. Sarebbe bello se potessimo scegliere per conto nostro tempi e modi
dell'infrazione del nostro cuore, allora sì che potremmo avere, un giorno,
qualche cosa da rimproverarci. Per contro un cuore realmente infranto, ahinoi,
non è che si rimargina mai, purtroppo. I grandi dolori, scrive un saggio
scrittore che cito a memoria, possono anche essere superati, ma questo richiede
purtroppo una morte parziale.
E una morte richiede, nella fattispecie, una resurrezione.
E non siamo noi a decidere i tempi e i modi della nostra resurrezione,
quanto le altre persone, sempre ammesso che essa sia possibile. Nel mio
caso privato (e mi dispiace di tornare al mio caso personale, ma insomma,
forse è anche un gesto di generosità verso il lettore) riesco a intravvedere
una forma di resurrezione successiva soltanto a un episodio di catarsi.
Un piccolo miracolo. Lei che torna così, per conto suo. Allora il cuore
infranto si ricompone da sé, e il miracolo consiste nel fatto che tutte
le parti si riaggiustano non conseguentemente all'atto volontario della
persona ferita, ma guidate da quella stessa forza che alimenta la nostra
commozione e i nostri sospiri, alle volte. Eh sì, quella stessa che ci fa
innamorare, inspiegabile poiché non necessita quasi mai di spiegazioni.
Infatti i perché sono domande che si pospongono solamente a certi episodi,
mai vengono anteposti a essi: non ci chiediamo mai, in sostanza, perché
un amore incomincia, perché un fiore sboccia, perché spunta il sole, ecc.
Succede e basta.
Pensiamoci su: nel frattempo, sì sì, è sempre e comunque prudente prepararsi
al peggio, che di questi tempi, veramente, non si sa mai.
Animo, anche ai lettori,
F.Z. |