Francesco Zardo – Commenti

19.6.2002

 

Il destino è nei nomi  

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Commenti

Cattive notizie per Dio. Esso non esiste, perlomeno secondo il calcio e la stampa italiana. Dopo Sant'Agostino, Padre Pio e la Madonna di Loreto, la prova epistemologica definitiva dell'esistenza di Dio era stata infatti formulata da Giovanni Trapattoni qualche giorno fa, in occasione della partita Italia-Messico, alla fine della quale il Ct della Nazionale azzurra dichiarò per inciso che Dio esisteva, poiché aveva ascoltato le sue preghiere, e l'Italia aveva pareggiato, in un coro di bestemmie messicane da tirare giù il secondo Diluvio e sommergere le isole giapponesi di Honshu e Hokkaido.

Si badi, queste non sono le solite speculazioni di Zardo.org, ma tutta roba proveniente dalla prima pagina del "Corriere della Sera", che alle dichiarazioni del Trap aveva dedicato qualcosa come sette colonne, a pagina 1.

Di Trapattoni, oltre a questa lapidaria asserzione subito assecondata e reclamizzata dai nostri bei quotidiani nazionali, io rammento certe conferenze stampa mitiche di quando lavorava al Bayern Monaco e s'incazzava in tedesco con la stampa tedesca: «Reich mit unterkleuten, Ich Rummenigge Fussballen Zeitung und Sturm, und Drang, und Doktor Hoffmann. Kartoffeln! Kaputt! Schnell! Dankeschoen! Volkswagen!!», sbraitava il Trap, ma convinto, e tutti giù a scrivere e a chiedere.

Tempi d'oro: Dio esisteva, Trapattoni allenava il Bayern di Monaco, e io ero ancora innamorato di una bella e irridente ragazzina francese, contenta quanto me dei deserti calcistici, confermati da questo mondiale, sull'asse Roma-Parigi.

Ma non è di me che dobbiamo parlare, né del fatto che la Germania vincerà silenziosamente la world cup, ma piuttosto di alcuni commenti piagnoni che su tutti i giornali si leggono stamattina, quotidiani che hanno accantonato le loro conferme teologiche in favore di una teoria del complotto universale che coinvolgerebbe la Fifa, l'Fbi, la Francia, la Fao, la Fmi, l'Fda, la Faa, la Ford, solo per citare le organizzazioni che iniziano per F (Tosatti e gli altri risparmiano la Federcalcio, d'altro canto l'enfer c'est les autres, come ha detto una volta Platini).

Nessuno ha scritto che contro Corea e Messico l'Italia avrebbe dovuto vincere complessivamente 81 a 0, per convincere, che ha perduto un calcio mediocre e pallettaro, e che la Spectre non c'entra niente. Secondo tutti per vincere contro la Corea ci sarebbe voluto James Bond che, durante la partita, sventava queste trame organizzate in una stazione natante in fibra di carbonio sul Pacifico dal gruppo di Signori del calcio che decidevano contemporaneamente di affamare il Terzo mondo, bombardare l'Iraq, atomizzare Fort Knox e, ah, e far perdere l'Italia, non dimentichiamolo.

La stampa su molti argomenti perde un po' la cognizione di spazio e tempo. C'è una cosa che nessuno ha scritto, mi sembra, cioè che l'Italia ha perso perché sono delle seghe, e stanno lì a lamentarsi per tutto (fuori giochi, pianti, ferite, Coco che sembrava che gli avevano stuprato la sorella).

Colpa di Goldfinger? No. È principalmente una questione onomastica che ci ha fatto fuori dal mondiale d'oriente. Come si fa a vincere con giocatori che si chiamano Materazzi, Coco, Gattuso, Cannavaro, Totti, Zambrotta? Una formazione allenata da qualcuno più attento ai cognomi avrebbe fatto meglio. Esempio di formazione: Zamora, Baresi, Cruijff, Pelé, Zola, Maldera, Platini, Meazza, Rivera, Paolo Rossi, Van Basten. Altro requisito: scarpe da calcio di colore nero. Altro requisito: evitare dichiarazioni tipo «Ho squajato la Playstation».

C'è un piccolo ma significativo episodio della storia del calcio che, ottenebrati dal doversi svegliare presto, Biscardi e Maurizio Mosca non rammentano. Qualche anno fa l'Olanda vinse contro la Corea, ai mondiali, 19 a 0; per fuori gioco vennero annullati ai tulipani otto gol; l'arbitro si chiamava Ivan Drago, ex agente del Kgb. Marco Van Basten ne aveva segnati 12 di cui sette su tiri da lontano, tre su passaggio filtrante rasoterra dei colleghi, uno su azione personale partendo da centrocampo e uno solo su cross, ma in rovesciata dal limite dell'area.

A fine partita, nel tripudio olandese, alcuni giornalisti italiani rivolsero a Van Basten due domande considerate da loro fondamentali. 1. Do you like Playstation? ('Le piace la Playstation?'). Risposta di Van Basten: «What is Playstation?» ('Che cos'è la Playstation?').
2. Do you think that South Corea was today unlucky? ('Ritiene che la Corea del Sud sia stata sfortunata?'). «What is South Corea?» ('Che cos'è la Corea del Sud?'), replicò lo smemorato attaccante.

Poi uscì dalla sala stampa. Per fermare Van Basten la Spectre (favorevole si sa alla Corea) dové infiltrare un paio di anestesisti dell'Urss in un'équipe ortopedica. I due avrebbero inserito di contrabbando una piccola carica di esplosivo nel menisco destro dell'atleta, che pure continuò a segnare dei gol sfolgoranti fra cui si ricordano i famosi quattordici alla Croazia, i sette al Messico, e i diciannove all'Ecuador in uno scampolo di secondo tempo, prima di perdere dignitosamente conoscenza.

Perché tutto questo? Perché Van Basten era forte. La Croazia, il Messico, l'Ecuador e la Corea no.–Francesco Zardo (da Kyoto; nelle foto, Kirsten Dunst)