Cesare Perilli, padre di Gianni e suo ispiratore.

"Il semplice strumento pastorale di Pan ebbe tragiche conseguenze per Marsia. E tanto indispetti' l'occhiglauca Atena che, suonando, vide le sue guance gonfiate a mo' d'otre. Ma esso contiene, gia' nel suo nome, il principio fondamentale che regge l'arte della musica: symphonìa, da cui deriva la parola "zampogna", significa infatti "accordo", "concerto (fra voci)". Dalla Grecia la zampogna si trasferi' a Roma (o gia' non v'era, portatavi dallo stesso "Pan l'eterno"?). E si chiamo' "Tibia utricularia", con specifico riferimento alla sacca in forma d'otre che moltiplica la capacita' vitale del suonatore. I legionari di Cesare portarono la "Tibia tricularia" nella Britannia, dove si diffuse e rimase in seguito, oltre al "Vallo di Adriano" a connotare in parte, assieme al "kilt" l'eredita' romana dei variopinti reggimenti scozzesi.

Nata presso un popolo di pastori e suonata dapprima da dei piu' o meno capricciosi, la zampogna e' sempre stata compagna di uomini semplici, a guardia delle loro greggi. Il suo canto modulato e melanconico ha echeggiato nelle valli dove pascolano le pecore, dall'Ellade al Lazio ed Abbruzzo, dalla Calabria alle Alpi, dal "Midi" francese alla Bretagna, dalla Catalona ai Pirenei, dalla Tunisia alle highlands di Scozia.

Ma Gianni Perilli intende andare oltre all'aspetto puramente conservativo dello strumento, come se la sua sopravvivenza costituisse la semplice salvaguardia di una memoria storica, da "tirare fuori dal cassetto" assieme alle vecchie statuine del presepe: egli intende andare avanti, e difatti ha praticato modifiche essenziali alla struttura del suo strumento. Queste gli consentono di sfruttare a pieno l'ampia gamma di tonalita' che la tradizionale modalita' costruttiva della zampogna e della ciaramella lascia in parte al caso e dalla qualita' dei materiali usati per realizzare gli strumenti.

Perilli propone sia la zamogna che la ciaramella come "strumenti musicale" aventi dignita' propria. Molte sono, infatti ,e ci auguriamo che le loro note non cadano nel vuoto, confuse in un contesto puramente folkloristico-affettivo, nella migliore delle ipotesi, catalogate nella onnicomprensiva categoria della "musica etnica".

 

 

Giuliano E. Cerea