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Studio Istat: l'integrazione nel lavoro degli stranieri e dei naturalizzati
italiani
Sette su 10 cerca occupazione attraverso canali informali,
quasi nessuno chiede
il riconoscimento del proprio titolo di studio, maggiore
l'utilizzo della lingua
italiana anche in famiglia.
(ANSA)
- ROMA, 14 DIC - Sette stranieri su dieci trovano lavoro attraverso i canali
informali, su segnalazioni di parenti, amici e conoscenti. Una condizione di cui
godono per lo più i romeni, gli albanesi, i marocchini e i cinesi. Lo rileva
l'Istat che ha realizzato un'indagine (secondo trimestre 2008) sull'integrazione
nel lavoro degli stranieri e dei naturalizzati italiani. Gli intervistati sono
175 mila in 1.246 comuni, di età fra 15 e 74 anni. Nel secondo trimestre 2008,
sono 1.746.000 gli occupati stranieri, 150 mila i naturalizzati.
La
popolazione di riferimento indica invece, rispettivamente, 2.678.000 e 311 mila.
Il tasso di occupazione registrato è pari al 65,9% per gli stranieri, scende al
52,9% per i naturalizzati. Il tasso di disoccupazione di quest'ultimi è di circa
un punto percentuale più elevato di quello degli stranieri, 9,7% e 8,8%.
Maggiori difficoltà di inserimento lavorativo si rilevano per le donne, per le
quali la disoccupazione è più che doppia rispetto agli uomini (12,7% e 6%). I
naturalizzati sono più presenti nel terziario (71,9% rispetto al 59% degli
stranieri).
La rete informale (una sorta di rete 'etnica') è
fondamentale per la ricerca del lavoro; per i naturalizzati risulta però più
bassa: poco meno del 46% contro il 70%. E' quindi residuale l'aiuto
dell'intermediazion
e formale; un ricorso che vede al primo posto, con
l'8,3%, i lavoratori moldavi e soprattutto infermieri, cuochi, addetti alle
vendite negli esercizi commerciali. L'Istat registra, inoltre, che nei due anni
successivi all'ingresso in Italia appena un quarto della forza lavoro straniera
di avvale di servizi di intermediazione o formazione offerti dal territorio.
Un dato che potrebbe risentire delle iniziali situazioni di
irregolarità. I corsi di lingua italiana, che coinvolgono circa 100 mila
stranieri, sono organizzati da strutture pubbliche in almeno la metà dei casi,
il restante dal volontariato. Nella maggior parte dei casi, poi, gli
intervistati dichiarano che il riconoscimento del titolo di studio non è
necessario per il lavoro svolto.
Per l'Istat, la mancata richiesta di
riconoscimento va attribuita al fatto che svolgono lavori meno qualificati per i
quali non è necessario un titolo di studio. Appena il 4,6% degli stranieri, e il
19,5% dei naturalizzati, ha terminato o è in procinto di concludere il percorso
di riconoscimento del titolo di studio. Altri motivi che incidono sulla mancata
richiesta è la burocrazia e i tempi di attesa (16% degli stranieri, 14% dei
naturalizzati). Un occupato straniero su quattro (23,6%) ritiene di
svolgere un lavoro vicino al proprio percorso d'istruzione o alle competenze
acquisite, percentuale che sale al 44% per i naturalizzati e al 65% per gli
italiani.
Gli stranieri e la lingua italiana
Dopo dieci anni di
residenza in Italia, uno straniero su quattro utilizza la lingua italiana anche
al di fuori dell'ambiente di lavoro. Lo afferma l'Istat in un'inchiesta
sull'integrazione degli stranieri e dei naturalizzati italiani realizzata nel
secondo trimestre 2008. Usa l'italiano - ritenuto particolarmente importante per
l'integrazione degli immigrati - la quasi totalità degli intervistati (da 15 a
74 anni) che la ritengono una "condizione spesso necessaria per l'impiego ma poi
si riduce sensibilmente nei contesti non lavorativi, in particolare in quello
familiare". Man mano che aumenta la permanenza nel nostro paese, la lingua tende
a diffondersi anche in contesti non lavorativi: il 23% degli occupati residenti
da oltre 10 anni in Italia parla spesso l'italiano nelle diverse occasioni, sia
lavorative, sia amicali, sia familiari. Ed è proprio la comunità di appartenenza
che emerge come fattore trainante nell'uso e nella diffusione della lingua. La
comunità che più utilizza l'italiano nella quotidianità è quella polacca
(29,3%), segue quella peruviana (19,5%), albanese (19,4%) e romena (19,3%).
Praticamente inesistente invece, l'uso corrente dell'italiano fra i gruppi
cinese (1,2%) e filippino (2,4%).
http://www.uil.it/immigrazione/istat-integrazione.htm
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