Community
 
Aggiungi lista preferiti Aggiungi lista nera Invia ad un amico
------------------
Crea
Profilo
Blog
Video
Sito
Foto
Amici
   
 
 

STORIE DI DEPORTAZIONE: POLA E DIGNANO - MAGGIO 1945

Testimonianze di istriani reduci dalle carceri di Tito

Le vicende dell'Istria e del confine orientale d'Italia nel secondo conflitto mondiale e negli anni dell'immediato dopoguerra sono tornate negli ultimi anni alla ribalta dell'opinione pubblica nazionale.

L'esodo della popolazione dall'Istria, da Fiume e dalla Dalmazia è stato ricordato in vari modi dai principali mezzi di comunicazione e nuovi lavori si sono aggiunti alle già numerose pubblicazioni esistenti.

>Restano ancora alcune zone d'ombra legate soprattutto a particolari aspetti delle vicende giulianodalmate e, in particolare, il tema dei deportati dalla Venezia Giulia nel maggio 1945 rientra sicuramente tra gli argomenti sui quali più ampio è il divario tra l'esiguità delle fonti disponibili e la necessità di comprendere i meccanismi che coinvolsero migliaia di persone.

Questo lavoro nella sua brevità, si propone di presentare alcune testimonianze relative al trauma della deportazione di alcune persone da Pola e da Dignano che, dopo un periodo di detenzione nelle carceri jugoslave, furono liberate.

Stante la difficoltà nel poter accedere ad una documentazione esaustiva su queste tematiche, il racconto dei protagonisti permette di aggiungere un ulteriore tassello al variegato e vasto mosaico delle vicende istriane degli anni Quaranta, anni che hanno cambiato il volto di una regione.

 

Rumici Guido. Docente e scrittore gradese. Ha pubblicato numerosi libri e saggi sulla storia della Venezia Giulia e della Dalmazia, sull'esodo e le foibe, tra i quali: La Scuola Italiana in Istria, Fratelli d’Istria. 1945/2000 (ed. Mursia), Infoibati. I nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti (ed. Mursia).
E’ autore inoltre di mostre fotografiche, cataloghi, dvd e pubblicazioni sui temi del confine orientale e del Giorno del Ricordo, tra cui la dispensa “Istria, Fiume e Dalmazia. Profilo storico” per il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.


Recensioni e interviste


La Voce del Popolo 24/12/08

Storie di deportazione della bassa Istria, testimonianze raccolte da Guido Rumici

UNA VICENDA, POCO DIVULGATA, CHE CI RIPORTA NEL MAGGIO DEL 1945 A POLA E DIGNANO

Storie di deportazione dalla bassa Istria testimonianze raccolte da Guido Rumici

Il Novecento è stato definito il “secolo dei campi di concentramento”, infatti a partire dalla guerra anglo-boera (1899-1902) nel Transwal (odierno Sudafrica), passando per la Grande guerra, il secondo conflitto mondiale – e la politica razzista di sterminio – nonché i gulag sovietici, si giunge alla tragedia che infiammò la ex Jugoslavia, anch’essa caratterizzata dalle deportazioni e dai campi di detenzione. Nel Ventesimo secolo sia nei periodi di guerra sia in quelli di pace (come avvenne in tutti i regimi totalitari) la popolazione civile divenne vieppiù protagonista della cosiddetta grande storia, complice anche la nazionalizzazione delle masse.

Al termine della seconda guerra mondiale l’Europa era costellata di campi – di raccolta, di prigionia ma anche di annientamento nel significato letterale del termine, si pensi alla realtà dell’URSS – in cui affluirono gli appartenenti alle formazioni militari del Terzo Reich e dei collaborazionisti, tra cui quelle degli stati satellite, i prigionieri, gli internati nei campi di lavoro e/o concentramento della Grande Germania in attesa di venir rimpatriati, nonché l’enorme massa di profughi, che, perduto ogni avere, necessitava di assistenza, cibo e cure. Nell’Europa liberata-occupata dall’Armata Rossa e dall’esercito popolare jugoslavo (Tito rappresentò un unicum in tutto l’Est) vennero quasi immediatamente istituiti luoghi di detenzione non solo per le unità militari ma pure per i civili i quali venivano deportati essenzialmente per motivi di natura politica e di “classe”. I malcapitati potevano essere sì dissidenti ma anche solo potenziali oppositori. In tutti i contesti passati nell’orbita comunista si era intenzionati a compiere la rivoluzione e, come avvenne in tutti i casi analoghi, quella stagione si aperse con un bagno di sangue, con l’eliminazione di quanti avrebbero potuto intralciare quel cammino, ma anche con l’internamento di uomini e donne, sia in divisa sia civili, che si protrasse per decenni.

Un vuoto storiografico

Nella Venezia Giulia, come dimostrano gli studi storici più obiettivi, in concomitanza con la presa del potere da parte degli Jugoslavi si procedette al repulisti di tutto l’apparato burocratico che rappresentava lo stato italiano nonché di tutti quegli elementi che, in quanto politicamente attivi, erano temuti per una loro seria opposizione – anche in previsione del trattato di pace – all’annessione della regione allo stato creato dal Maresciallo. Questo non fu un aspetto esclusivo della Venezia Giulia, dettato da connotazioni nazionali, perché tale fenomeno si riscontra anche nel resto della Jugoslavia. Il potere comunista colpì, a prescindere dalla nazionalità, centinaia di migliaia di persone, che in parte furono eliminate. Nelle nostre terre, va riconosciuto per onestà intellettuale, si aggiunse anche l’aspetto della lotta nazionale, che per alcuni versi era la continuazione del processo di affermazione nazionale appunto dei popoli slavi, interrotto bruscamente dal fascismo. Quindi si trattava di una forma di riscatto, ma al contempo era anche l’espressione esplicita di un nazionalismo che mal tollerava le “altre presenze etniche” su un territorio considerato di sua pertinenza.

Dei problemi legati alle deportazioni la ricerca storiografia se ne sta occupando solo da due-tre lustri. L'odissea della gente comune dell’Istria finita in prigionia non è molto nota al pubblico, anche perché relativamente poche sono le pubblicazioni sull’argomento (qualche volume di ricordi o testimonianze e niente più). Sulle vicende di casa nostra vanno rammentati, in primo luogo, i lavori di Giacomo Scotti e Luciano Giuricin su Goli otok, il campo di detenzione simbolo del sistema repressivo jugoslavo.

Un contributo su tali aspetti ci viene offerto ora da Guido Rumici che recentemente ha pubblicato un volumetto su queste vicende storiche troppo poco divulgate. Si tratta di “Storie di deportazione: Pola e Dignano – maggio 1945. Testimonianze di istriani reduci dalle carceri di Tito”, edito lo scorso anno dall’ANVGD (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia) di Gorizia – il cui Comitato negli ultimi anni si è fatto promotore di interessanti quanto importanti iniziative editoriali concernenti l’Istria –, in cui offre uno spaccato sul problema delle deportazioni nel meridione della penisola.

Il saggio si basa altresì su una serie di interviste fatte dall’autore ai protagonisti dell’epoca. Come avverte si tratta di “Argomenti sui quali più ampio è il divario tra l’esiguità delle fonti disponibili e la necessità di comprendere i meccanismi che coinvolsero migliaia di persone” (p. 7).       Mentre nei casi di Trieste e di Gorizia il problema delle deportazioni – e delle relative scomparse – venne ben presto politicizzato, mentre quello di Fiume è stato affrontato attraverso una seria ricerca storiografica, molta meno attenzione è stata riservata, invece, agli accadimenti istriani.

L’autore rammenta che nel corso del tempo sono uscite delle pubblicazioni contenenti le testimonianze raccolte dalla viva voce dei protagonisti, ma sono ancora numericamente insufficienti per poter comprendere nei dettagli i passaggi attraverso i quali avvennero i prelevamenti, i trasferimenti e sovente le soppressioni. Come sottolinea Rumici, tale lavoro non ha la pretesa di affrontare né la storia delle deportazioni nel maggio-giugno 1945 né di ricostruire il contesto storico in cui colloca tale fenomeno, ma si limita ad offrire esclusivamente alcune testimonianze concernenti due realtà della bassa Istria.

La viva voce dei sopravvissuti

Il ricercatore annota un’avvertenza sulle fonti orali in quanto “risentono delle scelte personali compiute dai singoli, che spesso non tengono conto del complessivo clima storico e della globalità degli eventi in cui si inseriscono non completamente oggettive” e poi “le testimonianze raccolte a distanza di molti anni dai fatti raccontati risentono dello scorrere del tempo e soprattutto degli inevitabili condizionamenti apportati dagli avvenimenti successivi” (p. 8). Comunque, nonostante siffatte caratteristiche, esse sono tessere indispensabili per dare vita ad un lavoro di ricerca incentrato sulle deportazioni in primo luogo per la difficoltà di accedere ad una ricca documentazione.

Il volume propone un sintetico excursus storico che aiuta a comprendere l’avanzata jugoslava nella Venezia Giulia e l’entrata militare a Pola, sulla quale, nel giro di breve tempo, “(…) come negli altri capoluoghi di provincia e più in generale in tutta la regione scese una pesantissima cappa di oppressione e di paura ad avvolgere buona parte della popolazione” (p. 16). L’autore scrive che “avvalendosi della collaborazione di alcuni delatori locali filoslavi, gli agenti dell’O.Z.N.A. prelevavano dalle loro abitazioni, quasi sempre nelle ore notturne e con la scusa di voler effettuare solo un interrogatorio, centinaia e centinaia di cittadini che furono dapprima arrestati, spesso condotti nelle carceri di Via Martiri, qui detenuti per parecchi giorni e, in molti casi, successivamente deportati verso destinazioni rimaste in molti casi ignote” (p. 16). I motivi degli arresti erano innumerevoli e potevano andare dall’accusa, più o meno vera, di collaborazione a vario titolo con i nazi-fascisti alla potenziale minaccia di opposizione alla nuova realtà che si andava costituendo, oppure era già sufficiente la delazione. Il maggior numero degli sventurati fu deportata nei campi siti nelle regioni interne della Jugoslavia ove si trovavano anche altre decine di migliaia di detenuti appartenenti alle varie nazionalità del nuovo stato comunista ma ad esso avverse.

A differenza delle altre località dell’Istria, a Pola giunsero le truppe anglo-americane (12 giugno 1945), perciò il trasferimento dei prigionieri dalle carceri della città dell’Arena verso i campi di smistamento e poi di concentramento avvenne utilizzando ogni mezzo disponibile e soprattutto con molta fretta perché l’esercito jugoslavo doveva abbandonare il centro urbano. Con particolare accanimento furono colpiti i membri dei reparti della X Mas e della Milizia Difesa Territoriale (M.D.T.) che avevano resistito all’avanzata jugoslava, arrendendosi solo il 6 maggio 1945. Si ricordano in modo particolare i quasi duecento morti del Secondo Reggimento “Istria” della M.D.T. Tra le figure più in vista di Pola deportate, e rilasciate nel 1949 attraverso il valico della Casa Rossa di Gorizia, si ricorda il questore Angelo D’Amato, il vicecommissario della questura Eugenio Protti e l’agente di pubblica sicurezza Alessandro Giadresco.

Non fecero più ritorno, invece, tutti i quadri dirigenti dell’Ospedale della Marina di Pola, e tra questi il direttore, il colonnello medico Isidoro Doria, i capitani medici Tito Intrito e Vincenzo Maffei ed il sottotenente Aristide Barbieri, comandante del gruppo infermieri (p. 21). Oltre a colpire coloro che non manifestarono particolare entusiasmo per la nuova situazione, va evidenziato che gli arresti e le deportazioni concernevano in modo particolare “(…) persone che, al di là di eventuali responsabilità personali, spesso non accertate, ebbero però, agli occhi degli jugoslavi, la colpa di appartenere a categorie sociali o a corpi militari, tra cui le forze dell’ordine, che avrebbero dovuto essere eliminate in massa, in quanto possibili ostacoli ai piani del M.P.L. di Tito.

L’intento delle autorità comuniste jugoslave nella Venezia Giulia era infatti quello di creare tutte le condizioni per l’annessione dell’intera regione alla nuova Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia e, in questa ottica, vennero emanati ordini ben precisi che non lasciavano spazio ad alcun dubbio” (p. 21). Ma poiché si era nel pieno di una rivoluzione era sufficiente molto poco per essere colpiti e, sovente, per sparire nel nulla: un vecchio rancore, un regolamento di conti per i più svariati motivi, l’effetto di una delazione superficiale presa alla lettera, la bramosia di vendicare un torto passato, la parentela con una persona già inquisita, ecc. Ed il numero degli arrestati fu indubbiamente alto, in base ai dati forniti all’epoca dal Ministero degli Affari Esteri nella sola Pola se ne annoverarono circa 4000 – in buona parte rilasciati –, e oltre 400 fermi furono registrati nei tre soli giorni antecedenti l’arrivo degli anglo-americani. Il numero degli scomparsi dalla città dell’Arena non ci è noto a causa dell’insufficiente documentazione ancora a nostra disposizione. L’unico dato certo è quello relativo alle denunce di scomparsa che vennero presentate alle autorità alleate: tra il 12 giugno 1945 e il 15 settembre 1947, 827 furono le persone dichiarate scomparse.

Il volume raccoglie cinque testimonianze: due sono state registrate dall’autore dalla viva voce dei sopravvissuti, un’altra è stata ricavata da un diario in cui vengono narrate le vicende personali e altre due provengono da deposizioni di cittadini conservate all’archivio del Ministero degli Affari Esteri di Roma. Si tratta di episodi contraddistinti da una particolare efferatezza, da sevizie, da condizioni di vita inumane, da ambienti in cui prevalevano il lezzo e gli insetti.

Le storie di vita attraverso i campi di detenzione offrono dei tasselli importanti poiché attraverso le stesse si comprendono, anche nei dettagli, le dinamiche che portavano agli arresti e alla tragedia che spettava ai malcapitati, che si traduceva in marce forzate, spostamenti da una località all’altra e da violenze quotidiane. Emergono anche altri aspetti, come la presenza di un elevato numero di sacerdoti nei campi di prigionia nonché di ex militari appartenenti in primo luogo all’esercito dello Stato indipendente di Croazia ma anche di civili non favorevoli al comunismo, o, semplicemente, “capitalisti” e “nemici del popolo”.

Kristjan Knez

La Voce della Famia Ruvignìsa n°146 - Genn/Febbr. 2008

Le Nostre Letture - "Storie di deportazione: Pola e Dignano - maggio 1945"

Edizioni ANVGD Gorizia

Le complesse vicende del confine orientale d'Italia sono tornate negli ultimi anni alla ribalta dell'opinione pubblica nazionale e sono state stampate numerose pubblicazioni relative alle dolorose vicende dell'esodo istriano e delle foibe.

Restano, peraltro, ancora alcune zone d'ombra legate soprattutto a particolari aspetti delle vicende giuliano-dalmate e, in particolare, ad alcuni specifici temi analizzati finora in maniera non del tutto completa. Il tema dei deportati dalla Venezia Giulia nel maggio 1945, ad opera degli uomini del Movimento Popolare di Liberazione del maresciallo Tito, rientra sicuramente tra gli argomenti sui quali più ampio è il divario tra l'esiguità delle fonti disponibili e la necessità di comprendere i meccanismi che coinvolsero migliaia di persone. Per cercare di colmare questa lacuna, è uscito poche settimane fa il nuovo libro del prof Guido Rumici, già noto ai lettori di questa rivista per essere l'autore di diverse pubblicazioni sulla storia della Venezia Giulia (vogliamo ricordare i volumi "Infoibati" e "Fratelli d'Istria", entrambi pubblicati da Mursia editore di Milano e da noi a suo tempo già recensiti).

Il libro di Guido Rumici "Storie di deportazione: Pola e Dignano 1945" parla specificatamente delle vicende dei deportati, a guerra finita, dall'area di Pola e Dignano, di tanti istriani prelevati dalle proprie abitazioni nel maggio 1945, quando era lecito sperare che la cessazione delle ostilità avrebbe portato alla fine delle paure e delle tensioni. Come purtroppo ben sappiamo così non fu, e l'occupazione jugoslava provocò immediatamente una pesantissima cappa di oppressione, sia nelle località capoluogo della Venezia Giulia (Pola, Fiume, Trieste, Gorizia), sia nelle altre cittadine (e anche Rovigno ebbe un elevato numero di deportati, mai più ritornati a casa).

Il lavoro di Guido Rumici arricchisce lo studio del fenomeno delle deportazioni del 1945, grazie al recupero di diverse testimonianze scritte ed orali di protagonisti sopravvissuti a queste drammatiche vicende, delle quali in effetti poco si sapeva, e ancora meno si è scritto.
Se, infatti, negli ultimi anni sono stati pubblicati diversi lavori sull'argomento delle foibe, è altrettanto vero che le varie testimonianze raccolte sono ancora numericamente insufficienti per poter capire completamente i passaggi attraverso i quali vennero compiuti i prelevamenti, gli arresti, i trasferimenti, e spesso, le soppressioni di tanti sventurati da parte dei militari jugoslavi o degli agenti dell'OZNA.

Bisogna poi aggiungere che, mentre le vicende dei deportati da Gorizia da Trieste e da Fiume sono state messe in particolare evidenza, molta meno attenzione è stata dedicata alla città di Pola e, più in generale,all'intera Istria.

Le vicende narrate dal prof Guido Rumici si riferiscono perciò ad alcune persone che, dopo il trauma della deportazione da Pola e da Dignano ed un periodo di detenzione nelle carceri jugoslave, furono liberate e, a differenza di molti loro compagni di prigionia, poterono tornare a casa e riabbracciare i propri cari. Grazie al buon esito delle loro storie, e nonostante i terribili momenti passati in prigionia, questi sopravvissuti alla deportazione sono diventati dei testimoni di grande importanza che possono farci capire molti dettagli importanti per ricostruire il periodo dell'occupazione jugoslava del maggio 1945. In diversi punti del libro le vicende toccano pure Rovigno e quindi saranno di sicuro interesse per i nostri lettori.

Sono cinque in tutto le storie recuperate da Guido Rumici che, dopo aver introdotto l'argomento con un capitolo in cui descrive il contesto storico, ha pubblicato le testimonianze, corredandole opportunamente di una lunga serie di note a pie di pagina, utili per meglio spiegare al lettore luoghi ed episodi descritti dai protagonisti.

Le prime due storie, quelle di Angelo Tomasello e di Gino Gorlato, sono le più avvincenti per la ricchezza di notizie fornite e si riferiscono al caso di due militari italiani della R.S.I. fatti prigionieri dagli jugoslavi all'inizio del maggio 1945, rispettivamente a Pola ed a Dignano.

Angelo Tomasello, nato a Canfanaro d'Istria il 21 giugno 1928, si era arruolato, volontario a sedici anni, negli ultimi mesi di guerra, nella Compagnia "Nazario Sauro" della "X Mas" di base a Pola; Gino Gorlato, nato a Carpano, presso Albona d'Istria, il 27 aprile 1925, si era arruolato nella Milizia Difesa Territoriale (M.D.T.) ed era stato destinato al 2° Reggimento "Istria". Ambedue, deportati da Pola assieme a molti altri commilitoni, furono condotti in diversi luoghi di prigionia, dapprima in Istria e successivamente nell'interno della Jugoslavia, dove assistettero alla morte di molti altri detenuti.

Tomasello venne portato al campo di concentramento di Sremska Mitrovica, dove rimase fino al 12 luglio 1945, quando giunsero in visita due partigiani italiani in divisa che chiesero se nel campo si trovassero degli istriani. Erano due partigiani di Rovigno, amici d'infanzia di Tomasello, e grazie al loro intervento poterono inserire il suo nominativo tra quelli per i quali era stato previsto il rimpatrio da parte della Jugoslavia. Come è noto non tutti i prigionieri italiani in mano slava furono liberati in tale occasione, ma Angelo Tomasello potè effettivamente ritornare a Pola il 24 luglio 1945. Qui venne interrogato dalle autorità militari angloamericane presentì in città, che vollero raccogliere quante più informazioni possibili relative alla situazione esistente al di là della Linea Morgan. Angelo Tomasello non comunicò mai ufficialmente il suo rientro alle autorità italiane; pertanto il suo nominativo è rimasto presente per diversi decenni nelle liste dei deportati e scomparsi dalla Venezia Giulia dopo la fine del conflitto; appare anche in diverse pubblicazioni dedicate a questa tematica. Solo recentemente ha deciso di rendere nota la sua storia.

Più complessa e tormentata è la vicenda di Gino Gorlato, la cui odissea in vari luoghi di prigionia durò oltre quattro anni. Fu detenuto a Pola, Pozzo Littorio (Albona), Sussak, Vrana, Stara Gradiska, Lepoglava, Mrzla Vodica e Lubiana. Di notevole interesse per i nostri lettori è l'episodio di Stara Gradiska, avvenuto nel 1947: i preti detenuti nel carcere dovettero esumare i corpi di alcune centinaia di sventurati uccisi in precedenza dai partigiani di Tito. Tra le salme traslate poi nel locale cimitero c'erano alcune decine di partigiani italiani istriani e tale notizia venne confermata dal ritrovamento nelle tasche delle vittime di lettere scritte in italiano dai familiari istriani. Alcune lettere provenivano da Rovigno e i destinatari erano partigiani italiani del battaglione "Pino Budicin". "Non ci furono dubbi in quanto fu trovato anche un documento d'identità che ne dichiarava l'appartenenza".

Gino Gorlato, dopo mille peripezie, rimpatriò, tramite il valico della Casa Rossa di Gorizia, appena l'11 giugno 1949, grazie ad un accordo diretto tra il Governo jugoslavo e quello italiano, concernente lo scambio di prigionieri.

La terza testimonianza, che è dell'insegnante elementare Ermanno Mattioli, si riferisce ad alcune pagine del suo diario dattiloscritto, opportunamente sintetizzate, che raccontano dell'episodio del trasferimento di una parte dei deportati da Pola tramite la nave "Lino Campanella".

Il racconto del maestro Mattioli sulla deportazione di alcune centinaia di persone prelevate dalle carceri di Pola e trasferite sulla motocistema "Lina Campanella" è di notevole importanza storica, e differisce dalle prime due testimonianze sia perché l'autore non è un militare, ma un civile, sia perché riporta alla luce un episodio in parte trascurato dalla ricerca storiografica. Esistono diverse testimonianze di persone sopravvissute al viaggio che la "Lina Campanella" fece il 21 maggio 1945 dal porto di Fasana verso le acque delFIstria orientale. Ma i ricordi di Ermanno Mattioli rivestono un particolare rilievo per l'accuratezza dei dettagli e contribuiscono in maniera determinante a ricostruire soprattutto, ma non solo, l'episodio dell'esplosione della mina, il danneggiamene e lo sbandamento della nave, il conseguente arenamento sulla costa e le drammatiche vicende dei naufraghi. Molti deportati, spesso ancora con i polsi legati con il filo di ferro, si gettarono in mare. Alcuni erano feriti. C'era il timore che la nave affondasse. Il panico e l'istinto di sopravvivenza fecero compiere scelte che talvolta si rivelarono esiziali. Il comportamento delle guardie di scorta ed il clima di paura per gli arresti e la deportazione, eseguiti dagli jugoslavi, vengono descritti dal maestro Mattioli con uno stile lineare ed efficace.

La prigionia di Ermanno Mattioli durò in tutto un anno, dal 14 maggio 1945 al 16 maggio 1946. Arrestato a Pola, fu trasferito dapprima nelle carceri di Fiume, dove venne processato e condannato a due anni di lavori forzati, e poi in alcuni campi di concentramento situati nell'interno della Slovenia, come Kocevje e Novo Mesto. Nell'aprile 1946, il Tribunale di Fiume notificò a tutti i detenuti che coloro che non avevano avuto accuse specifiche avrebbero avuto dimezzata la pena, per cui la condanna di Ermanno Mattioli venne ridotta da due anni ad uno. In conseguenza di tale decisione, il 16 maggio 1946 fu liberato e, dopo una settimana di viaggio, il 23 maggio giunse a casa, a Pola. Sulla sua vicenda di deportato mantenne sempre un assoluto riserbo.

Le ultime testimonianze, quelle di Ambrogio Mannoni e Antonio Strazzullo, sono state tratte dalla relazione che il Ministero per gli Affari Esteri (M.A.E.) predispose, nell'immediato dopoguerra, assemblando e sintetizzando tutta una serie di documenti e di memoriali relativi a quanto era successo nella Venezia Giulia ed in Dalmazia dopo l'armistizio, durante il periodo bellico 1943-45 e nell'immediato dopoguerra, a danno dei civili e militari italiani presenti in loco per mano degli jugoslavi. I materiali vennero raccolti nella relazione dal titolo "Trattamento degli Italiani da parte jugoslava dopo l'8 settembre 1943", che il Ministro per gli Affari Esteri (M.A.E.) fece preparare all'Ufficio IV Affari Politici per documentare le violenze subite da civili e militari italiani a causa dell'atteggiamento prevaricatore degli jugoslavi. Lo scopo della relazione era quello di poter orientare l'opinione degli angloamericani a favore delle posizioni italiane nel difficile momento in cui, durante la Conferenza di Pace, si andavano delineando i futuri confini tra Italia e Jugoslavia.

La testimonianza di Ambrogio Mannoni, agente di custodia presso le carceri di Via dei Martiri, arrestato il primo giugno 1945, venne raccolta a Pola l'otto agosto dello steso anno, pochi giorni dopo la liberazione avvenuta l' 11 luglio, mentre quella dell'industriale Antonio Strazzullo, arrestato il 30 maggio 1945 e detenuto per circa cinque mesi, fu trascritta il 9 marzo 1946, negli stessi giorni in cui la commissione interalleata per la delimitazione dei confini stava visitando la Venezia Giulia. Ambedue i testi descrivono soprattutto il clima quotidiano vissuto nelle carceri di Buccari, località nella quale furono trasferiti buona parte delle persone prelevate a Pola, prima della decisione che le autorità jugoslave avrebbero preso riguardo alla loro sorte.

Il libro di Guido Rumici, completato da un'appendice che descrive la storia della nave "Lina Campanella" su cui tanti istriani vennero deportati, offre quindi un ampio spaccato delle drammatiche vicende che coinvolsero molti militari e civili italiani, arrestati nel maggio-giugno 1945 dagli uomini di Tito, e contribuisce alla conoscenza di un periodo che fu determinante per la sorte finale dell'Istria.

Angela Zucchi

Torna alla pagina iniziale
Torna alla pagina iniziale