Da "La Voce del Popolo" del 29/12/2010
Conversazione con Guido Rumici, autore, insieme con Olinto Mileta, della
collana «Chiudere il cerchio»
Comprendere il Novecento adriatico attraverso le diverse testimonianze
Nel 2008 è uscito il primo volume della collana “Chiudere il cerchio. Memorie giuliano-dalmate”, edito dall’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD) di Gorizia e dalla Maling List “Histria”. In occasione della recente presentazione, avvenuta a Strugnano, abbiamo conversato con Guido Rumici, curatore dell’opera assieme a Olinto Mileta. L’ambizione del progetto è quella di parlare di un popolo diviso, ma che può benissimo ricomporsi e raccontare una serie di vicende umane, per lo più sconosciute. I due curatori hanno deciso di non precludere alcuna voce, da qualsiasi parte essa provenga, perché desiderano formare una sorta di coro in cui vi sia spazio tanto per l’esule che per il rimasto, per colui che sosteneva i fascisti o i partigiani o ancora i Tedeschi, o per chi, invece, non stava con nessuno, come pure per il vissuto delle donne, dei bambini e così via.
La collana includerà, anche nei prossimi volumi, un insieme quanto più vario di ricordi, accogliendo anche le storie personali di Sloveni e Croati, in modo da proporre anche il punto di vista proveniente dall’“altra parte”. E da questo lato possiamo dire che l’iniziativa si presenta decisamente innovativa. Per molti aspetti, infatti, infrange quelle barriere che per lunghi decenni hanno impedito di guardare e di confrontarsi con gli “altri”. Benché sia molto arduo o meglio impossibile giungere a quella che viene chiamata la “memoria condivisa”, dato che si vanno a toccare pagine di storia dolorose e laceranti per le comunità interessate, è però possibile avvicinare e proporre le sofferenze, le paure, le speranze e le illusioni provenienti anche dall’altra parte dello steccato.
“Il Novecento, come ben sappiamo, è stato il secolo delle tragedie. In questo primo volume però non ci sono solo i lutti e le pagine dolorose, anzi, ampio spazio è dedicato anche alle vicende piacevoli. Come sottolinea lo stesso Rumici: “Se è vero che queste zone di confine hanno avuto dei lunghi periodi di tensione, non dimentichiamoci che nelle stesse vi fu anche molta collaborazione e reciproca comprensione tra Italiani, Sloveni e Croati. Perciò è giusto dire che qui non vi fu soltanto sangue, ma anche matrimoni misti, famiglie che vissero in armonia e che vi furono rapporti di livello normalissimo”. Attraverso questi tasselli di vita si auspica perciò di stimolare l’interesse, non soltanto in coloro che quelle cose le hanno vissute ma anche nei giovani.”
Da questi racconti di vita vissuta emerge un’immagine diversa dell’Istria, che spesso si tende a celare e quindi a non ricordare. Cosa emerge da queste testimonianze?
“Buona parte degli Istriani ha una perfetta conoscenza del paese in cui vissero ma spesso non sa ciò che avveniva a cinquanta o anche a trenta chilometri di distanza. La storia dell’Istria è completamente diversa da quella di Fiume o della Dalmazia e così vale anche per Trieste o per Gorizia. Seppure fossero dei mondi diversi bisogna dire che coesistevano perfettamente all’epoca. Nonostante queste differenze possiamo dire che tra Grado e le Bocche di Cattaro esisteva un mondo unico, fatto di relazioni, di commerci, di società, di collaborazioni, in cui anche la borghesia era unica – seppure italiana, slovena e croata –, basti pensare che il linguaggio degli scambi era lo stesso. Le due guerre hanno spezzato quegli intrecci e divelto in maniera disastrosa quella dimensione.”
Tu dicevi che il discorso della memoria condivisa è in realtà molto retorico e pertanto sia doveroso seguire altre strade. Cosa ne pensi?
”Ritengo sia proprio così. Chi ha fatto il partigiano non
può essere solidale e condividere la memoria con chi era con i Tedeschi, la
Milizia o la X MAS; questo è impossibile. Però conoscere almeno il punto di
vista degli altri fa capire almeno che la paura, la fame e la miseria erano
comuni, per esempio. A questo proposito gradirei riportare un fatto accaduto
a due fratelli di Pisino i quali, nel 1943, presero strade diverse.
Il padre fu fucilato dai nazisti, i due figli si divisero: uno se ne andò
con i fascisti, l’altro con i partigiani. Ma erano già d’accordo che alla
fine della guerra chi avrebbe vinto avrebbe salvato l’altro. “Si dissero:
‘Combattiamoci, ma quando ci sarà la resa dei conti aiutiamoci!’. Questo può
sembrare retorico, ma a me fa venire i brividi, perché comunque emerge il
sentimento, vuol dire che l’essere umano, tutto sommato, molte volte sa
anche intervenire per salvare le vite dei propri cari.
Nel terzo volume, invece, vi sarà la storia di un mio compaesano di Grado il
quale, nel 1945, da acceso comunista se ne andava in giro con la stella
rossa e faceva attività politica. Ebbene, lui andò a Prestrane (in sloveno
Prestanek, vicino a Postumia, n.d.r.), in un campo di concentramento per i
soldati della R.S.I., con dei documenti falsi a salvare un suo amico
d’infanzia. Esclamò “Questo qua lo copemo noi!”. Lo portò a casa, lo tenne
nascosto per due mesi e quando le acque si calmarono gli disse: ‘Va fora,
paghime de bever co te me vedi, perché qua no copemo nissun!’. Questo
dimostra chiaramente che talvolta l’amicizia può essere di gran lunga più
forte della diversità politica. E allora perché non raccontare queste cose?
È giusto raccontarle: abbiamo visto decine di film di guerra, di gente che
si ammazzava e allora perché non raccontare ogni tanto anche qualche pagina
a lieto fine?”
Nei prossimi volumi so che includerete anche le testimonianze di Croati e Sloveni autoctoni. Questo approccio dimostra senz’altro un’apertura da parte vostra, dato che spesso ognuno rimane barricato dietro alle proprie posizioni. È il segno che qualcosa sta cambiando?
“Io ho avuto ed ho la fortuna che l’editore di questi volumi sia effettivamente molto aperto dal punto di vista intellettuale. Voglio rendere merito all’ANVGD di Gorizia e al suo presidente, Rodolfo Ziberna, che è veramente molto aperto ed è pertanto d’accordo con la linea editoriale che gli ho proposto e lui l’ha sposata in pieno. Semmai il mio problema è che, non conoscendo né lo sloveno né il croato, faccio fatica a relazionarmi con quelle persone, a meno che qualcuno non mi aiuti con la traduzione, cosa che ho fatto in alcuni casi. Però da parte mia e di Olinto Mileta c’è la massima volontà di aprire a tutte le componenti del territorio.”
Il titolo della collana “Chiudere il cerchio” per l’appunto è un tentativo di raccogliere le memorie e di guardare anche in avanti?
“Il nostro intento è quello di raccogliere storie che possano ravvicinare e non soltanto separare. Dopo tanti anni credo sia giusto giungere ad una conclusione, ad una sintesi di tante memorie raccolte e quindi ‘Chiudere il cerchio’ vuol dire anche cercare di ricostruire il mosaico di un popolo che si è frantumato. E allora è importante raccontare le cose che possono unire, come le comuni sofferenze del tempo di guerra, che hanno vessato tutte la popolazione civile, indipendentemente dall’appartenenza nazionale o politica e ideologica.”
Il volume contiene testimonianze provenienti da ogni angolo del globo. Parlaci di questa caratteristica.
“È vero: questo libro ed i prossimi volumi contengono racconti che ci sono giunti dal Canada, dall’Argentina, dall’Australia, dagli Stati Uniti, dall’Uruguay, ecc. Abbiamo gente nostra, nata in questa regione, che ci scrive attraverso la posta elettronica e che racconta l’esperienza di quella volta. A me tutto questo fa commuovere, perché queste persone sono felici di mandarci questi scritti. Insomma è come un mondo che si sta un po’ ricomponendo anche se oggi abita lontano; questa almeno è una nostra speranza.”
Grazie alla rete i confini sono stati abbattuti, i collegamenti avvengono in tempo reale e tutto questo ha favorito senz’altro i rapporti. Come contattate le persone e in che modo avviene la raccolta delle testimonianze?
“Siamo in due a condividere questa fatica. Le strade sono diverse: Olinto Mileta, che abita a Torino, lavora soprattutto con il computer, lui ha i contatti con mezzo mondo attraverso la rete e grazie alla Mailing List Histria che da sempre incentiva questo tipo di raccolta di memorie. Io, che abito invece a Grado, vengo spesso direttamente in Istria e mi sposto in macchina, passando in diverse Comunità degli Italiani o presso amici istriani dove faccio interviste e raccolgo testimonianze. D’estate poi, durante le vacanze, vado in giro in località sempre diverse, dall’Istria alla Dalmazia meridionale, fino alle porte dell’Albania, e approfitto per fare nuove conoscenze. Busso alle porte, mi presento e chiedo collaborazione, e spesso trovo qualcuno con cui si parla volentieri. Anche se non sempre – specialmente qua – la collaborazione iniziale sfocia in un racconto definito. La gente infatti racconta con piacere le proprie storie, però l’idea che siano poi pubblicate non a tutti piace, e allora mi chiedono di usare l’anonimato.”
Come ti spieghi questo tipo di reticenza?
“Spesso mi sono chiesto come mai molta gente non voglia raccontare, spendendo il proprio nome in pubblico. Io ho due tipi di risposte: certe volte abbiamo a che fare con la timidezza e la ritrosia personale, altre volte c’è invece la paura, perché chi si è scottato cinquant’anni fa, ed ha avuto dei problemi personali o in famiglia, ancora adesso magari vive con un po’ di inquietudine il fatto di esporsi. E bisogna avere rispetto, per carità, di questi sentimenti, perché ognuno ha vissuto a suo modo le vicende del passato. Oppure si tende a non svelare le cose per non imbarazzare o addolorare i familiari. Spesso il nonno o il padre non vogliono che il figlio possa risentire del dolore che il vecchio ha subìto e che ha ancora dentro. È una forma di protezione verso i giovani, frutto dell’affetto di chi ha visto il male e spera non si ripresenti. Come se si volesse spezzare una catena di dolore.”
Kristjan Knez
La Voce del Popolo 08/07/09
Guido Rumici e Olinto Mileta-Mattiuz a Lussinpiccolo
«Chiudere il cerchio» per uscire dall'emarginazione
LUSSINPICCOLO - Una presentazione lampo, ha avuto luogo nei giardini del rinnovato hotel "Vespera", su iniziativa dell'ANVGD (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia) di Gorizia e della Giunta Esecutiva della Comunità degli Italiani di Lussinpiccolo. Grazie alla capacità e alla tenacia di Guido Rumici e Olinto Mileta-Mattiuz è stato presentato il loro interessante volume "Chiudere il cerchio, memorie giuliano-dalmate" che descrive, per mezzo di un'efficiente raccolta di testimonianze, la storia della Venezia Giulia nella prima metà del Novecento, dall'inizio del secolo appena passato allo scoppio della Seconda guerra mondiale.
Il libro pubblicato dall'ANVGD di Gorizia assieme alla Mailing List Histria (MLH) è stato curato da due studiosi già noti al nostro pubblico, Olinto Mileta-Mattiuz e Guido Rumici, autori di diverse pubblicazioni sulla storia delle nostre regioni. Questi hanno deciso di unire le forze per raccogliere un numero quanto maggiore di testimonianze per cercare di descrivere un mondo che è stato violentemente lacerato dagli eventi della Storia.
Gli svariati episodi descritti dai numerosi intervistati raccontano le vicende sia di chi fu costretto ad andarsene ramingo per il mondo, sia di chi, invece, rimase nella propria terra, scoprendosi ben presto un intruso a casa propria. L'intento dichiarato di "Chiudere il cerchio" è quello di cercare di saldare in qualche modo le anime dei giuliano - dalmati, di chi fece o subì scelte laceranti e dei loro figli e nipoti che, comunque, dovettero nel tempo inserirsi in nuovi contesti molto diversi da quelli delle generazioni precedenti.
Lo scopo del volume è divulgativo; cerca di descrivere ad un'ampia platea di lettori qual era la vita ed il tessuto sociale della Venezia Giulia e della Dalmazia, viste in talune sfaccettature che sovente non vengono raccontate dalle monografie più specifiche. Spesso la ricerca storiografica si concentra sulle fasi e sui periodi più drammatici subiti da queste regioni negli ultimi 150 anni; ma è sbagliato riassumere la storia di queste terre parlando solamente dei momenti di tensione, perché l'insieme delle relazioni umane, commerciali e culturali ha storicamente prodotto anche lunghi periodi di convivenza e reciproco rispetto tra le varie etnie, in un'area da sempre plurilingue.
Con le storie raccontate in "Chiudere il cerchio" i curatori dell'opera e l'editore propongono il primo di una serie di lavori nell'ambito di un progetto pluriennale di ricerca di testimonianze e della loro pubblicazione, per contribuire, sebbene in piccola parte, alla ricostruzione di quel grande mosaico che è la storia della società giuliana e dalmata del Novecento.
Grazie all'instancabile opera del prof. Rumici, l'ANVGD, con cui da parecchi anni collabora, si è ripromessa la stampa di una storia che diversamente non sarebbe mai stata conosciuta. Un altro aspetto, a nostro avviso, qualificante, che rappresenta un'altra ragione che ha indotto ANVGD e Mailing List Histria a pubblicare "Chiudere il cerchio" è la consapevolezza di dover uscire dai limitati margini temporali a cavallo del Trattato di Parigi del 1947, prevalente oggetto di esame e studio in questi anni, per contestualizzare gli eventi e proiettarci nel millennio che stiamo vivendo.
Il pericolo, dichiarato dagli stessi autori, è quello di fare una semplice miscellanea di ricordi slegati tra loro, soprattutto per l'estrema varietà degli argomenti raccolti e per la mancanza di una tematica ben delineata. Ciononostante, l'incedere del tempo e l'estrema difficoltà nel reperire in futuro ulteriori testimonianze, ha portato alla convinzione che fosse comunque utile dare alle stampe queste raccolte di interviste, anche se spesso non riconducibili ad un filo conduttore comune, che non fosse quello temporale. Il progetto prevede, infatti, quattro libri in cui le vicende si susseguono cronologicamente. Tale lavoro potrebbe rappresentare, nelle intenzione degli autori, uno strumento utile per iniziare una più articolata ricerca sul tema della società giuliana e dalmata, nella speranza che anche questi pochi tasselli di testimonianze possano aiutare, pur nella loro estrema semplicità degli episodi descritti, a comprendere meglio il clima in cui si viveva.
Presenti alla serata letteraria lussignana, oltre agli stessi autori, Rodolfo Ziberna presidente dell'ANVGD di Gorizia e Mariano L. Cherubini vicepresidente della Giunta Esecuitiva della CI locale, nonché rappresentante della Mailing List Histria. (mlc)
La Voce del Popolo 09/12/10
Storia, Guido Rumici e Kristjan Knez a Strugnano per «Chiudere il cerchio»
Presentazione del primo volume di un progetto mirante alla ricomposizione della memoria giuliano-dalmata
STRUGNANO – Tavola rotonda con presentazione del primo volume – “Dall’inizio del Novecento al Secondo conflitto mondiale” – di “Chiudere il cerchio. Memorie giuliano-dalmate”, libro a cura di Olinto Mileta Mattiuz e Guido Rumici, pubblicato dall’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia-Comitato di Gorizia in collaborazione con la Mailing List Histria (2008), domani sera, venerdì 10 dicembre, a Strugnano, presso la Comunità locale (ore 18).
All’incontro prenderà parte il curatore dell’opera, Guido Rumici, che dialogherà con lo storico piranese Kristjan Knez, presidente della Società di studi storici e geografici di Pirano. Ondina Lusa leggerà alcuni passi tratti dal volume. Seguirà il dibattito. La manifestazione viene organizzata dalla Comunità degli Italiani “Giuseppe Tartini”, dall’Unione Italiana e dall’Università Popolare di Trieste, congiuntamente con la Società di studi storici e geografici di Pirano.
Guido Rumici è docente e pubblicista ben noto nell’ambiente istriano (e non solo, ovviamente). Come ricercatore di storia ed economia regionale, è autore di numerosi articoli e saggi sulla storia della Venezia Giulia e della Dalmazia, tra cui “Fratelli d’Italia”, “Italiani divisi”, “Infoibati” e, tra gli ultimi lavori, “Un paese nella bufera – Pedena 1943/1948” e “Storie di deportazione: Pola e Dignano – maggio 1945. Testimonianze di Istriani reduci dalle carceri di Tito”. Olinto Mileta Mattiuz è nato a Pola e ricorda bene l’imbarco sul Toscana; è autore di saggi demografici, quali “Popolazioni dell’Istria, Fiume, Zara e Dalmazia (1850 – 2002)” e “Ipotesi di quantificazione demografica”, e di diverse pubblicazioni a cura del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno.
Il volume “Chiudere il cerchio, memorie giuliano-dalmate” descrive, per mezzo di un’efficiente raccolta di testimonianze, la storia della Venezia Giulia nella prima metà del Novecento, dall’inizio del secolo appena passato allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Pubblicato dall’ANVGD di Gorizia assieme alla Mailing List Histria (MLH) descrive un mondo che è stato violentemente lacerato dagli eventi della Storia. Gli svariati episodi descritti dai numerosi intervistati raccontano le vicende sia di chi fu costretto ad andarsene sia di chi, invece, rimase nella propria terra, scoprendosi ben presto un intruso a casa propria. L’intento dichiarato di “Chiudere il cerchio” è quello di cercare di saldare in qualche modo le anime dei giuliano - dalmati, di chi fece o subì scelte laceranti e dei loro figli e nipoti che, comunque, dovettero nel tempo inserirsi in nuovi contesti molto diversi da quelli delle generazioni precedenti.
Lo scopo del volume è divulgativo; cerca di avvicinare ad un’ampia platea di lettori qual era la vita ed il tessuto sociale della Venezia Giulia e della Dalmazia, viste in talune sfaccettature che sovente non vengono raccontate dalle monografie più specifiche. Con le storie raccontate in “Chiudere il cerchio” i curatori dell’opera e l’editore propongono il primo di una serie di lavori nell’ambito di un progetto pluriennale di ricerca di testimonianze e della loro pubblicazione, per contribuire, sebbene in piccola parte, alla ricostruzione di quel grande mosaico che è la storia della società giuliana e dalmata del Novecento. Il progetto prevede quattro libri in cui le vicende si susseguono cronologicamente. Tale lavoro potrebbe rappresentare, nelle intenzione degli autori, uno strumento utile per iniziare una più articolata ricerca sul tema della società giuliana e dalmata, nella speranza che anche questi pochi tasselli di testimonianze possano aiutare, pur nella loro estrema semplicità degli episodi descritti, a comprendere meglio il clima in cui si viveva. (br)
La Voce del Popolo 05/06/10 Valle d'Istria
Chiudere il cerchio: un progetto di
riconciliazione
a cura di Roberto Palisca
Presentato alla Comunità degli Italiani di Valle il libro di Olinto Mileta Mattiuz e di Guido Rumici
Nella ex Casa del cacciatore a Valle, martedì sera ha avuto luogo la presentazione del primo volume del progetto “Chiudere il cerchio, memorie giuliano-dalmate”. Si tratta di una raccolta di testimonianze sulla storia del confine orientale dal primo conflitto mondiale ai giorni nostri. Un progetto che si deve all’impegno di due autori, Guido Rumici e Olinto Mileta Mattiuz, che si sono accorti dell’importanza storica dei numerosi racconti che pervenivano alla Mailing List Histria da parte dei connazionali esuli e rimasti, e hanno deciso di raccogliere questi testi in una collana editoriale. Grazie all’ANVGD (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia) di Gorizia è stato pubblicato il primo volume, che comprende il periodo che va dalla prima guerra mondiale fino agli inizi della seconda.
A illustrare il progetto e i contenuti del volume pubblicato, ai soci della Comunità degli italiani di Valle che sono intervenuti alla presentazione, è stato uno dei due autori, Olinto Mileta Mattiuz.
“Gli episodi descritti dai numerosi intervistati che abbiamo incontrato, raccontano le vicende sia di chi fu costretto ad andarsene e scelse la via dell’esodo, sia di chi, invece, rimase a vivere nella propria terra. L’intento di questo progetto è quello di ‘chiudere il cerchio’, come si rileva nel titolo, cioè di riconciliare in qualche modo le genti giuliano – dalmate: chi rimase e i loro discendenti e chi fece o subì scelte laceranti e rispettivamente i figli e i nipoti di costoro, che, comunque, dovettero nel tempo inserirsi in nuovi contesti di vita, molto diversi da quelli delle generazioni precedenti”.
Lo stesso Olinto Mileta Mattiuz, nato a Pola nel 1941, si imbarcò insieme alla sua famiglia sul famoso piroscafo “Toscana” che portò nell’immediato dopoguerra 13mila esuli istriani da Pola a Venezia. Visse di conseguenza la propria infanzia e gioventù nei centri di raccolta profughi di Gorizia, per poi trasferirsi a Torino, dove lavorò alla FIAT (dapprima nel settore della termofluidodinamica applicata ai turbomotori e quindi in quello della climatizzazione automobilistica), senza però mai dimenticare la sua terra e la sua città natale.
L’immensa passione che ha sempre avuto per l’Istria lo porta, una volta andato in pensione, a ricercare le origini della sua famiglia (da cinquecento anni residente nell’Albonese) scoprendo in tal modo la variegata realtà etnica delle nostre terre. Ciò l’ha convinto a ricercare la storia delle popolazioni dei luoghi al confine orientale, passando gli ultimi anni nella consultazione dei testi sull’argomento e con puntate frequenti nelle biblioteche e negli archivi sia italiani che croati. Ne conseguono diverse opere scritte, alcune delle quali realizzate in collaborazione con il Centro di ricerche storiche di Rovigno, dove vanta più di una decina di pubblicazioni specializzate nell’analisi demografica dei territori giuliani dalmati (“Ipotesi sulla composizione etnica in Istria, Fiume e Zara: ieri e oggi”, “Albona ed i suoi abitanti”, “Gli austro-italiani e le etnie in Istria prima della Grande guerra”) Per la collana degli Atti e Memorie della Società Dalmata di Storia Patria ha inoltre pubblicato “Declino e scomparsa della comunità veneto-fona in Dalmazia” e sulla Rivista Fiume, edita dalla Società di Studi Fiumani con sede a Roma “Le genti di Fiume (1850-2001)”.
In “Chiudere il cerchio”, pubblicato dall’ANVGD di Gorizia in collaborazione con la Mailing List Histria, Olinto Mileta Mattiuz e Guido Rumici hanno deciso di unire le forze per raccogliere un numero quanto maggiore di testimonianze per cercare di descrivere un mondo che è stato violentemente lacerato dagli eventi della Storia. Gli svariati episodi descritti dai numerosi intervistati raccontano dunque le vicende sia dell’una che dell’altra parte delle genti fiumane, istriane, quarnerine e dalmate.
Lo scopo del volume è, infatti,
divulgativo e cerca di descrivere ad un’ampia platea di lettori quelle che
erano la vita e il tessuto sociale della Venezia Giulia e della Dalmazia,
viste in talune sfaccettature che sovente non vengono raccontate dalle
monografie più specifiche. Spesso la ricerca storiografica si concentra
sulle fasi e sui periodi più drammatici subiti da queste regioni negli
ultimi 150 anni; ma è sbagliato riassumere la storia di queste terre
parlando solamente dei momenti di tensione, perché l’insieme delle relazioni
umane, commerciali e culturali ha storicamente prodotto anche lunghi periodi
di convivenza e reciproco rispetto tra le varie etnie, in un’area da sempre
plurilingue.
Con le storie raccontate in “Chiudere il cerchio” i curatori dell’opera
propongono il primo di una serie di lavori nell’ambito di un progetto
pluriennale di ricerca di testimonianze e della loro pubblicazione, per
contribuire, sebbene in piccola parte, alla ricostruzione di quel grande
mosaico che è la storia della società giuliana e dalmata del Novecento, con
una cernita di ricordi slegati tra loro, soprattutto per l’estrema varietà
degli argomenti raccolti e per la mancanza di una tematica ben delineata. Si
tratta dunque di un’opera che avrò un seguito.
E difatti, anche a Valle Olinto Mileta Mattiuz ha invitato i numerosi connazionali intervenuti alla presentazione del volume a collaborare al progetto, spiegando che ogni ricordo può essere significativo. L’autore ha pure tenuto a sottolineare che queste pubblicazioni sono esenti da ogni tipo di politicizzazione e che lo scopo è quello di mostrare le due facce della stessa medaglia, per poter comprendere appieno gli eventi storici che segnarono nel passato il popolo italiano di queste terre. Chiunque volesse aderire, ha detto Mileta Mattiuz, può contattare gli autori attraverso la Mailing list e raccontare la propria storia sia in dialetto che in italiano. Saranno bene accette anche testimonianze orali di persone che non sono abituate a scrivere e che, se lo vorranno, potranno essere intervistate dagli autori, e non necessariamente è d’obbligo dichiarare la propria identità.
In occasione della presentazione del libro a Valle, la professoressa Maria Luisa Botteri, di origini zaratine, ha letto diverse delle testimonianze raccolte nel volume e altre che saranno pubblicate nel resto della collana, alcune simpatiche e divertenti, dedicate a spezzoni di vita quotidiana, ma la maggior parte drammatiche, che ricordano vicende di famiglie separate dall’esodo o di parenti deportati e uccisi in nome di ideologie diverse: scritti che hanno avuto senza ombra di dubbio un forte impatto emotivo anche sul numeroso pubblico presente composto sia da vallesi residenti che da esuli.
Sandro Petruz
RECENSIONE DI ROSSELLA RIZZATTO
E’ uscito di recente un’interessante volume dal titolo “Chiudere il cerchio. Memorie giuliano-dalmate” che descrive, per mezzo di un’efficace raccolta di testimonianze, la storia della Venezia Giulia nella prima metà del Novecento, dall’inizio del secolo appena passato allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Il libro, pubblicato dall’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (A.N.V.G.D.) di Gorizia assieme alla Mailing List Histria (M.L.H.), è stato curato da due studiosi già noti al nostro pubblico: Olinto Mileta Mattiuz e Guido Rumici, autori di diverse pubblicazioni sulla storia delle nostre regioni. I due curatori hanno deciso di unire le forze per raccogliere quante più testimonianze possibili per cercare di descrivere un mondo che è stato violentemente lacerato dagli eventi della Storia.
I vari episodi descritti dai numerosi autori intervistati o contattati da Mileta e da Rumici raccontano le vicende sia di chi fu costretto ad andarsene ramingo per il mondo sia di chi invece rimase nella propria terra, scoprendosi ben presto intruso a casa propria. L’intento dichiarato di “Chiudere il cerchio” è quello di cercare di saldare in qualche modo le diverse anime delle genti giuliano-dalmate, di chi fece o subì scelte terribili e laceranti e dei loro figli e nipoti che comunque dovettero nel tempo inserirsi in nuovi contesti molto diversi da quelli delle generazioni precedenti.
Lo scopo del volume è divulgativo e cerca di descrivere ad una platea di lettori più ampia possibile qual’era la vita ed il tessuto sociale della Venezia Giulia e della Dalmazia, viste in talune minime sfaccettature che sovente non vengono raccontate dalle monografie più specifiche. Spesso la ricerca storiografica si è concentrata sulle fasi e sui periodi più drammatici di queste regioni negli ultimi 150 anni, ma sarebbe sbagliato ridurre la storia di queste terre ai soli periodi, momenti e fatti di tensione, perché l’insieme delle relazioni umane, commerciali, sociali e culturali ha storicamente prodotto anche lunghi periodi di convivenza e reciproco rispetto tra le varie etnie in un’area da sempre plurilingue.
Le storie raccontate in questo volume che, nelle intenzioni dei curatori dell’opera e dell’editore, dovrebbe rappresentare il primo di una serie di lavori da pubblicare nell’ambito di un progetto pluriennale di ricerca di testimonianze e della loro successiva stampa, vorrebbero poter contribuire, sebbene in piccola parte, alla ricostruzione di quel grande mosaico che è la storia della società giuliana e dalmata del Novecento.
Il pericolo, dichiarato dagli stessi curatori, di fare una semplice miscellanea di ricordi slegati tra loro è ben presente in chi ha raccolto tali testimonianze, soprattutto per l’estrema varietà degli argomenti raccolti e per la mancanza di una specifica tematica ben delineata. Ciò nonostante l’incedere del tempo e l’estrema difficoltà nel reperire in futuro ulteriori testimonianze ha portato alla convinzione che comunque fosse utile dare alle stampe queste raccolte di interviste, anche se spesso non riconducibili ad un unico filone che non fosse quello temporale. La scansione dei vari volumi di questo progetto prevede infatti il rispetto di un filo temporale che vada dall’inizio del Novecento fino ai giorni nostri e quindi una divisione dell’insieme dell’opera in quattro diversi libri cronologicamente successivi.
Tale lavoro potrebbe rappresentare, nelle intenzioni dei curatori, uno strumento utile per iniziare una più articolata ricerca sul tema della società giuliana e dalmata, nella speranza che anche questi pochi tasselli di testimonianze possano aiutare, pur nella loro brevità e nell’estrema semplicità degli episodi descritti, a comprendere meglio il clima in cui questi uomini e queste donne vissero.
Rossella Rizzatto
La Voce del Popolo 13/12/10 Cultura
Memoria storica e vicissitudini umane delle genti adriatiche
STRUGNANO Tavola rotonda e presentazione del volume di Mileta Mattiuz e Guido Rumici
STRUGNANO – La memoria storica delle genti dell’Adriatico orientale, la cura e la trasmissione dei ricordi alle generazioni future, le vicissitudini umane come tasselli di esperienze che possono giovare alla comprensione delle vicende più ampie della storia contemporanea e, soprattutto, recente, sono stati alcuni degli argomenti emersi dalla tavola rotonda dello scorso venerdì sera tenutasi a Strugnano, presso la sede della Comunità locale.
Lo spunto per la discussione è stata la presentazione del libro “Chiudere il cerchio. Memorie giuliano-dalmate”, curato da Olinto Mileta Mattiuz e Guido Rumici, pubblicato dall’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia - Comitato di Gorizia e dalla Mailing List Histria nel 2008. La collana si prefissa di raccogliere i ricordi e le memorie, per l’appunto, delle popolazioni comprese tra la Laguna di Grado e il Goriziano, a settentrione, e la Dalmazia nonché le Bocche di Cattaro, a meridione.
Il primo volume – dei quattro previsti – si sofferma sugli accadimenti che abbracciano l’arco temporale tra gli albori del Ventesimo secolo e lo scoppio del secondo conflitto mondiale e propone i ricordi di coloro i quali furono testimoni diretti. L’obiettivo dei due curatori è quello di riunire un numero quanto maggiore di reminiscenze: dai fatti importanti e/o drammatici che toccarono l’intera comunità ai pensieri che rimandano alla dimensione familiare o esclusivamente personale.
Di conseguenza, i testi raccolti e proposti si presentano come una fonte interessante per comprendere da “vicino” ed in certi casi anche dall’“interno” una specifica realtà. Essi avvicinano il lettore alle consuetudini di una determinata collettività oppure espongono fatti curiosi dei tempi andati. In ogni caso ci trasmettono uno spaccato della vita, in questo caso lungo le sponde adriatiche, prima che la guerra ed i funesti avvenimenti che seguirono non alterassero per sempre quel microcosmo così particolare.
Kristjan Knez ha illustrato il volume ricordando alcuni titoli usciti negli ultimi due decenni, basati in buona parte sulle testimonianze orali, le quali, se integrate con le altre fonti, possono fornire un quadro più dettagliato dell’argomento analizzato, quindi si è soffermato sul libro di Mileta e Rumici. Con quest’ultimo ha dialogato in merito all’importanza della salvaguardia delle testimonianze relative alla nostra area geografica; sono emersi pure i problemi legati all’esposizione dei ricordi, non pochi, infatti, sono tuttora restii a parlare di determinati periodi storici.
Questo aspetto non investe solo i “rimasti” bensì anche gli esuli che non di rado preferiscono tacere sui loro momenti spiacevoli e/o caratterizzati dal timore e dalle pressioni esistenti specie nel dopoguerra. Per far conoscere direttamente al pubblico una parte del contenuto del volume presentato, Ondina Lusa ha letto a più riprese alcuni passi concernenti tre momenti storici in Istria.
Guido Rumici ha ricordato al pubblico che nel corso degli anni ha pubblicato diversi lavori sia sugli esuli sia sui rimasti e pertanto aveva maturato l’idea si potesse scrivere qualcosa sulle due metà di quella mela, per ricomporre le memorie nel loro insieme, in un lavoro che tenesse conto di quelle voci, mescolandole. Le finalità non sono quelle di arrivare ad una sorta di “memoria condivisa” – obiettivo che il coautore ritiene praticamente impossibile da raggiungere –, si può fare in modo, però, che la gente, la quale ha avuto dei percorsi diversi, possa conoscere la realtà degli altri. Mettere assieme le storie di tante diverse radici e di altrettanti posti diversi: con scelte personali, politiche ed umane differenti, può essere utile per ricostruire quel grande mosaico che è la storia della Venezia Giulia nel Novecento, che si è spezzato in mille pezzi e rivoli.
Per queste ragioni i due curatori hanno pensato fosse opportuno riunire quante più testimonianze con l’intento di raffigurare un’epoca nel miglior modo possibile. Un’altra finalità è quella di dire tante cose insieme, dando spazio non tanto ai personaggi importanti, quanto piuttosto alla gente comune: uomini, donne, vecchi e bambini che spesso si trovano messi in disparte e non vengono pertanto presi in considerazione dalla cosiddetta “grande storia”, che sovente dimentica il vissuto quotidiano, che può essere, invece, interessante andare a raccontare. Proprio per siffatti motivi vi è una certa attenzione da parte dei due curatori di ascoltare quante più voci possibili – a prescindere dall’identità delle persone – e di dare spazio alle più diverse sfaccettature relative ai popoli che abitavano ed abitano il territorio.
La manifestazione è stata organizzata dalla Comunità degli Italiani “Giuseppe Tartini”, dall’Unione Italiana e dall’Università Popolare di Trieste in collaborazione con la Società di studi storici e geografici di Pirano.
Kristjan Knez
"Il Piccolo" 16/02/11
Esodo, mille piccole storie da salvare
Pubblico alla presentazione del volume “Chiudere il
cerchio” edito dall’Anvgd
GORIZIA. Nell’estate del 1939 il cielo sopra Gorizia era rosso per l’aurora boreale. La goriziana Maria Hofer ricorda le donne in piazza. Piangevano e dicevano: «Tutto questo rosso sarà tanto sangue che verrà versato ».
Poco dopo scoppiò la seconda guerra mondiale.
È questa la prima testimonianza che apre il libro “Chiudere il cerchio.
Memorie giuliano-dalmate”, curato da Olinto Miletta Mattiuz e Guido
Rumici, edito dall’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e da
Mailing List Histria e presentato nel ridotto del Verdi nell’ambito del Giorno
del Ricordo.
Un racconto dei fatti accaduti fra il 1940 e 1945 nelle terre della Venezia
Giulia, dell’Istria e di Fiume attraverso i testimoni. Testi brevi, semplici,
commoventi di un’epoca difficile, complessa resa in modo semplice da chi l’ha
vissuta.
Una testimonianza di storia sommata, l’ha definita Rodolfo Ziberna, presidente
dell’Anvgd, editore del volume. «Un testo da leggere con calma – ha aggiunto
Ziberna - da conservare accanto al comodino». Tante le storie per trasmettere
con la spontaneità del ricordo, a volte connotata da un pathos reducistico, e la
fierezza della testimonianza l’intensità nitida dei sentimenti di paura e
speranza: l’inizio della guerra, i bombardamenti, il dramma delle foibe. Il
tutto caratterizzato da una coralità di voci di partigiani e tedeschi, ragazzi
della X Mas e civili coraggiosi, uomini e donne.
Una prezioso documento di memoria che ben rappresenta la vita comune in quel
periodo storico in quei luoghi dai quali fuggirono i 350mila esuli. Complesso è
stato il lavoro di individuazione dei testimoni, ascolto delle storie, loro
trascrizione in sintesi e infine di cernita per la stampa. Il risultato è un
volume di 200 pagine che include 80 storie delle 200 ascoltate.
«Abbiamo in lavoro altri due volumi - ha spiegato Guido Rumici, docente e scrittore gradese – dedicati all’esodo e al dopoguerra. Vorremmo che queste storie venissero lette a scuola perciò i testi hanno un’impronta anche didattica e sono corredati da mappe geografiche e fotografie». Commovente è stata la lettura di alcuni brani da parte dell’attore Tullio Svettini, parole semplici di un grande dolore ma anche di momenti d’amore.
«In giro per l’Italia non si sa molto
di quanto accaduto - ha aggiunto Olinto Miletta Mattiuz , ricercatore e
esperto di questioni demografiche. Il nostro è un impegno a salvare riferimenti
storici e documentari altrimenti destinati a svanire per motivi anagrafici».
Le testimonianze orali sono preziose in mancanza di documenti ufficiali,
dunque gli autori chiedono a chi ha memorie personali dell’esodo di contattarli
per salvare altri preziosi contributi.
Margherita Reguitti
Inserto la voce in più Storia e ricerca del 7 gennaio 2012
Il Novecento adriatico nelle memorie giuliano-dalmate
di Kristjan Knez
La storia orale, è cosa nota, è in grado di rivelare aspetti, situazioni e atmosfere che la documentazione ufficiale, generalmente a disposizione degli studiosi, difficilmente porta alla luce. Attraverso il racconto di coloro che si trovarono coinvolti in determinate situazioni, emergono tasselli che sovente contribuiscono a comprendere un’epoca o, semplicemente, lo scorrere della vita quotidiana in un determinato periodo. Le testimonianze raccolte dalla viva voce dei protagonisti, diretti o indiretti, possono giovare non poco il ricercatore nel suo lavoro di ricostruzione dei tempi andati, ma possono rappresentare anche solo una lettura interessante, che svela particolari di vita vissuta nonché le paure, le speranze e le illusioni di una generazione. Olinto Mileta Mattiuz e Guido Rumici da parecchi anni raccolgono queste storie, intervistando tutti coloro i quali desiderano raccontare qualche episodio della loro esistenza. Avendo a disposizione un copioso materiale hanno ritenuto opportuno divulgarlo in modo che tante pagine relative per lo più alla vita sociale lungo l’Adriatico orientale non andassero per sempre perdute. È stata perciò ideata la collana “Chiudere il cerchio. Memorie giuliano-dalmate”, edita dalla Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. Comitato Provinciale di Gorizia e dalla Mailing List Histria, che si articolerà in una serie di volumi i quali proporranno le memorie per l’appunto della popolazione residente tra Grado e le Bocche di Cattaro. Il progetto si differenzia dalle iniziative analoghe e per molti aspetti si presenta decisamente innovativo. In primo luogo i curatori abbracciano un’area geografica molto ampia, vale a dire l’intero Adriatico orientale e non si limitano a raccontare gli anni 1943-1947 (o 1954 se facciamo riferimento alla Zona B del Territorio Libero di Trieste) che coincidono con il naufragio dell’italianità di quei lidi, bensì si soffermano sull’intero Ventesimo secolo, evidenziando i cambiamenti avvenuti (statuali, politici, ideologici, ecc.) e le ripercussioni di questi sulle comunità e sui singoli individui. Un’altra caratteristica è quella di aver preso in considerazione la complessiva popolazione dall’area interessata a prescindere dalla nazionalità, dalla lingua parlata, dalla religione professata, dell’identità in senso lato. Questo rappresenta indubbiamente un salto di qualità che merita d’essere evidenziato. Non sono si superano le divisioni tra “esuli” e “rimasti” bensì si allarga l’orizzonte a tutto e tutti, cedendo la parola anche a Sloveni e Croati autoctoni e nel prosieguo – questo è l’auspicio – anche a coloro che arrivarono durante o dopo l’esodo e di fatto riempirono i vuoti lasciati dalla popolazione autoctona, italiana in primis. L’intento di Mileta e Rumici è di comprendere anziché giudicare, pertanto, consapevoli dell’eterogeneità e al tempo stesso delle peculiarità delle collettività lungo i lidi orientali adriatici, hanno abbandonato le visioni stereotipate. Grazie a quest’apertura a trecentosessanta gradi i due ricercatori propongono la ricchezza di un territorio non dimenticando né la sua complessità né le problematicità inevitabilmente presenti in ogni singolo periodo storico, conseguenze palesi delle aspirazioni, dei progetti e delle passioni manifestate dalle varie anime lì compresenti.
Nel 2010 è uscito il secondo volume, che affronta gli anni difficili del secondo conflitto mondiale. L’immagine in copertina, raffigurante una Zara spettrale, lacerata, percossa e colpita nel cuore da decine di bombardamenti aerei alleati, tra il 1943-1944, rammenta la drammaticità di quel periodo, vuoi per gli uomini in divisa al fronte vuoi per tutti gli altri civili rimasti a casa. Come il precedente, anche questo libro desidera proporre dei tasselli di storia abbandonando i luoghi comuni. Nella prefazione i due curatori ricordano: “La Venezia Giulia e la Dalmazia, terre di confine, di incontro e talvolta di scontro, tra popoli e culture diverse, sono state oggetto di notevoli eventi drammatici che hanno mutato in meno di cento anni l’immagine e l’essenza di questi territori, con diversi cambi di sovranità e numerosi spostamenti delle linee di confine che hanno provocato traumi e lacerazioni in buona parte della popolazione interessata. Sarebbe tuttavia sbagliato ridurre la storia di queste regioni ai soli periodi in cui prevalsero momenti e fatti drammatici sfocianti anche e purtroppo in vere e proprie atrocità, perché l’insieme delle relazioni umane di questi popoli, dei loro commerci, delle commistioni sociali e culturali, ha storicamente prodotto anche lunghi periodi di convivenza e reciproco rispetto tra le varie etnie in una terra da sempre plurilingue”.
In occasione della presentazione del volume menzionato, avvenuta a Portorose lo scorso novembre su iniziativa della Comunità degli Italiani “Giuseppe Tartini” e della Società di studi storici e geografici di Pirano, abbiamo intervistato uno dei curatori, Guido Rumici, con il quale abbiamo conversato in merito all’importanza della memoria storica, della sua registrazione, conservazione e diffusione.
Il volume affronta un periodo per molti versi delicato e traumatico. Quali sono i problemi che emergono durante la raccolta delle testimonianze? Quali sono i silenzi?
Il volume è nato dopo una
lunghissima, quasi ventennale, ricerca di testimonianze, condotta sia dal
sottoscritto sia dall’amico Olinto Mileta, che abita a Torino, e ora esce
nelle edizioni della ANVGD di Gorizia e della Mailing List Histria, due
sigle differenti, con obiettivi diversi ma in questo caso con un unico
risultato: conservare la memoria e tramandarla, speriamo, soprattutto ai
giovani. Il volume cerca di descrivere cinque anni dolorosissimi, di conflitto e
di privazioni, e di come la gente ha vissuto quel periodo. Si parla non tanto
dei grandi avvenimenti politici bensì della vita quotidiana del popolo. La fame,
la miseria, la paura, sono situazioni e sentimenti che hanno accumunato i
giuliani di tutte le etnie: Italiani, Sloveni e Croati viventi in queste zone,
al di là delle loro scelte politiche o nazionali. Queste sono le cose che hanno
maggiormente caratterizzato cinque anni di storia della regione, ed è ciò che
emerge dalle ottanta testimonianze, che sono la sintesi di oltre duecento a suo
tempo raccolte. In fase di selezione abbiamo fatto una scelta, togliendo quelle
che erano o doppioni oppure non particolarmente significative. L’aspetto più
interessante è senz’altro l’approccio che abbiamo avuto con alcuni testimoni.
Moltissime persone tendono a raccontare ciò che è accaduto agli altri ma non a
loro stessi, perché spesso raccontare quanto è successo a loro è doloroso ancora
oggi. Gente di ottanta, novant’anni si commuove narrando delle cose che hanno
vissuto in prima persona sessanta-settanta anni fa, come se fossero avvenute un
attimo prima. Come se il tempo non fosse passato e fosse fermo ad allora.
Posso citare un episodio triste che non c’è nel libro – perché alla fine
ci è stato chiesto di non pubblicare questa testimonianza – e cioè quello di una
signora istriana – che ora abita a Grado – che da sessant’anni è chiusa a chiave
in casa, con la paura di uscire, perché ha timore ancora di incontrare i
“cattivi”, cioè coloro che le fecero del male nel 1945. E ancora oggi ha i
traumi di quanto le è successo all’epoca. Questo per dire come talvolta la
storia, che per alcuni di noi è tanto lontana, per altri è invece ancora molto
vicina e dolorosa. La fame, la miseria e la paura che le persone hanno vissuto,
ancora adesso provocano emozioni forti e fanno sì che il silenzio ne sia spesso
la conseguenza. Poi c’è il pudore: il pudore di raccontarsi davanti ai propri
cari. Spesso molte persone hanno quasi paura di raccontare le loro vicissitudini
per non tramandare ai propri figli e nipoti i dolori che hanno vissuto. E questo
pudore va assolutamente rispettato. È un aspetto molto umano il fatto di non
voler addolorare i propri familiari con le esperienze vissute in prima persona,
per cui a molte persone spesso risulta più facile raccontarle ad un terzo, in
questo caso al sottoscritto o all’amico Mileta. In un certo qual modo abbiamo
fatto quasi da “confessori” e così abbiamo raccolto alcune testimonianze
sicuramente rilevanti.
Rispetto a volumi usciti in passato, che raccontano uno spaccato parziale delle vicende del confine – per esempio pensiamo ai libri pubblicati in Jugoslavia fino agli anni Ottanta o le testimonianze uscite in Italia fino agli anni Settanta che erano molto settoriali dato che c’erano solo i partigiani o solo i fascisti – noi nel nostro piccolo abbiamo cercato di mettere assieme nello stesso libro un po’ tutti questi protagonisti delle parti antagoniste. Questo perché la storia è un grande coro di voci, dove tutte hanno avuto un peso relativo ma comunque importante. Dare la voce a tutti serve a far capire meglio il clima dell’epoca a chi non lo ha vissuto.
Quali sono gli aspetti a tuo giudizio più interessanti?
Il volume, lo ripeto, propone ottanta testimonianze scelte. Quelle più interessanti sono, probabilmente, quelle in cui il testimone descrive come si comportano le etnie diverse dalla sua. Citerò tre esempi. Una testimonianza di una croata di Sussak, Danica Glazar: lei ha visto gli Italiani giungere nella primavera del 1941 come occupatori di quella zona e li descrive negli aspetti negativi ma anche comici. C’erano coloro che gridavano, insultavano, che facevano cattiverie. Oppure il racconto di una donna di Gorizia in cui emerge che i militari italiani, reduci dal fronte russo, in contumacia ad Aidussina si comportarono male con i civili del posto, specie con gli Sloveni. Per quanto riguarda l’Istria citerò la testimonianza, indubbiamente interessante, in cui si racconta delle esumazioni effettuate nel 1956 da una foiba vicino a Buie da parte di militi jugoslavi. Il racconto è di un bambino italiano. È un aspetto importante perché fino ad ora, che io sappia, la parte jugoslava ha sempre negato che ci fossero stati dei rinvenimenti di ossa dalle foibe istriane dopo il 1945. Essa ci fornisce delle informazioni utili e rappresenta una novità assoluta nel campo della ricerca delle vittime deportate e sparite dopo il maggio 1945. Sono episodi piccoli, brevi, di microstoria, ma ugualmente importanti perché gettano luce su aspetti poco conosciuti delle vicende del confine orientale.
Oggi ci troviamo davanti ad un recupero tardivo della memoria. Abbiamo perso tante tessere. Cosa ne pensi?
Sicuramente sì, siamo un po’ tardi, perché se pensiamo che sono passati sessantasette anni dalla fine del conflitto, effettivamente una parte di quelli che erano già adulti quella volta, ora sono in buona parte morti. Tra l’altro anche tra i testimoni che abbiamo pubblicato nel primo e nel secondo volume, qualcuno ci ha nel frattempo purtroppo lasciato. Quindi la nostra è una corsa contro il tempo. Del resto questo ci ha convinto a fare le cose velocemente e pubblicare questi due primi volumi. La raccolta delle testimonianze avviene su vari fronti: Olinto Mileta le ottiene attraverso la rete, contattando le persone in giro per il mondo grazie a Internet; io, invece, faccio ricerche intervistando le persone a quattr’occhi, dal vivo; talvolta con la telecamera filmo, oppure mi affido al registratore o ancora a carta e penna. Quest’ultimo è forse il modo più immediato. È importante annotare il più possibile per restare aderenti al racconto degli intervistati. Lo stesso titolo, “Chiudere il cerchio”, indica il nostro tentativo di mettere insieme i vari pezzi divisi dalla storia per darne una visione che sia comprensibile a tutti. La memoria condivisa la ritengo un’utopia mentre invece una memoria conosciuta anche alle altre parti in causa lo ritengo un obiettivo possibile. Si può, e aggiungo si dovrebbe, far conoscere anche la storia degli uni agli altri delle etnie diverse, raccontando i fatti nel modo più semplice possibile e cercando di evitare gli stereotipi. Molto spesso in Italia non si conosceva cosa ne pensassero gli Sloveni e i Croati e di cosa era accaduto in Istria nel 1945. E la stessa mancanza di informazioni c’era nell’allora Jugoslavia dove non si sapeva, per esempio, cosa pensassero gli esuli di quanto era accaduto in Istria o a Fiume o in Dalmazia.
Dalle testimonianze emerge tutta la complessità di una storia svoltasi in uno spazio geografico di per sé intricato. Queste voci possono aiutare – penso soprattutto ai giovani e a coloro che non conoscono le nostre terre – alla comprensione dell’intero contesto?
Certo, le vicende della Venezia Giulia e della Dalmazia nel corso del Novecento sono estremamente complesse e dense di avvenimenti, che sarebbe impossibile cercare di descrivere in poche pagine a disposizione. L’ambizione di Olinto Mileta e mia è però quella cercare di fornire uno spaccato minimo di questa realtà geografica, senza cadere però nel rischio di fare un “minestrone”. È facile fare un libro mettendo insieme le testimonianze della gente e basta. La differenza, che noi speriamo di aver almeno in parte colto, è quella di rappresentare la Venezia Giulia in tutta la sua pluralità, anche se la complessità dei temi abbozzati è veramente grande. Questa è la difficoltà che ha chi si occupa di storia: cercare in poche pagine di riuscire a proporre uno spaccato che sia credibile. Siamo giunti al secondo volume di una serie di quattro di cui si compone la collana. Il primo racchiude il periodo sino allo scoppio del secondo conflitto mondiale, il secondo si sofferma sugli anni della guerra, gli altri due si soffermeranno sul dopoguerra, gli anni iniziali, tra il 1945 ed il 1954, e l’ultimo il periodo successivo sino ai giorni nostri. Anche quei decenni sono interessanti e ricchi di spunti. Ci sono parecchi fatti storici che avvengono, la storia non si è fermata, basti pensare che la Jugoslavia si è dissolta e sono nate le Repubbliche di Slovenia e Croazia. Ci sono stati perciò tanti nuovi avvenimenti che hanno mutato molto il quadro storico. Non dimentichiamoci che fino a qualche anno fa per giungere in Istria (cioè nel Capodistriano) ci voleva il passaporto o comunque un documento di identità, ora finalmente il confine non esiste più e si passa liberamente senza quasi accorgersene. Il nostro intento è quello di cogliere tutti questi aspetti e di ricordarli.
Per decenni c’è stata una monopolizzazione del ricordo. In Italia le associazioni dell’esodo erano le uniche a coltivare la memoria, mentre in Jugoslavia esisteva le verità di Stato e oltre non si poteva andare. Nel terzo millennio che eredità abbiano a nostra disposizione?
Il monopolio della memoria non esiste più ed oggi chiunque può scrivere di qua e di là del confine delle vicende che hanno toccato la nostra regione. Questo è ovviamente positivo perché il confronto anche tra gli storici oggi è molto più ricco di venti anni fa. Si parla liberamente anche di argomenti che una volta erano tabù, anche se le incrostazioni della politica spesso continuano ad influenzare parecchie persone, soprattutto di una certa età.
Il problema dell’eredità della memoria è però grave anche perché gli stessi libri che escono a ripetizione che diffusione hanno oggi? Direi limitata ad un pubblico di nicchia. È una questione di rilievo per la stessa trasmissione delle conoscenze. Parlando anche con diverse case editrici, mi hanno detto che lo strumento libro è sempre più relegato alle persone non più giovani, diciamo dai quaranta anni in su. I giovanissimi usano invece quasi esclusivamente Internet e sono colpiti quasi unicamente da immagini visive. Probabilmente le testimonianze raccolte con la telecamera forse susciteranno più interesse rispetto a un libro anche se, ovviamente, le immagini dovrebbero essere montate adeguatamente e in modo accattivante e con delle musiche particolari. Il libro è oggettivamente un prodotto in ribasso, anche se spero di essere smentito. Credo perciò che in futuro si dovrà riconvertire buona parte delle testimonianze da scritte a visive, inserite in un filmato. Questa credo sia l’unica eredità da mandare al terzo millennio. I giovani sono più sensibili a quello strumento. Se penso però a quanti testimoni che già non abbiamo più perché scomparsi, si può capire che l’operazione non è così facile. È un modo diverso di ragionare, di diffondere e di divulgare la storia stessa. Io spero sempre che il libro possa mantenere ancora un certo fascino, però sono un po’ pessimista. Insegnando a scuola, vedo che tra i miei alunni nessuno legge e bisogna spingerli a farlo, ma spesso con scarsi risultati.