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PARENZO NEI RICORDI

Memorie istriane di Mario Grabar Garbari

La storia della Venezia Giulia e della Dalmazia sono tornate negli ultimi anni alla ribalta dell'opinione pubblica nazionale grazie anche all'istituzione del Giorno del Ricordo, dedicato alle complesse vicende del confine orientale d'Italia. L'esodo della popolazione dall'Istria, da Fiume e dalla Dalmazia è stato ricordato da nuovi lavori che si sono aggiunti alle già numerose pubblicazioni esistenti. Permangono tuttavia alcune zone d'ombra legate soprattutto ad alcuni specifici aspetti analizzati finora in maniera non del tutto esaustiva.

>L'uso delle testimonianze relative ad alcuni fatti avvenuti in talune cittadine istriane come Parenzo, argomento di queste pagine, permette perciò di aggiungere un tassello al mosaico delle vicende giuliane della prima metà del Novecento.

Questo lavoro non pretende di affrontare la complessa storia di Parenzo, né il contesto storico in cui i vari fatti narrati andrebbero inseriti, ma si limita ad illustrare, sulla base degli scritti di Mario Grabar Garbari, alcuni episodi che coinvolsero la cittadinanza parentina in quegli anni, nella speranza di poter forse contribuire, sebbene in piccola parte, a comprendere meglio il clima dell'epoca.

Mario Grabar Garbari ( 1927-2009), visse la sua giovinezza a Parenzo fino alle drammatiche esperienze della guerra e dell'esodo. Nel 1945 si diplomò all'Istituto Magistrale di Parenzo e pochi mesi dopo lasciò la sua città per recarsi, esule, a Palmanova. Si dedicò al giornalismo, scrivendo sul "Piccolo" di Trieste e sul "Messaggero Veneto" di Udine e collaborando con la " Gazzetta dello sport", con "Stadio", con la "RAI" e con molte altre emittenti radio locali e nazionali. E' stato insignito delle cariche di Cavaliere della Repubblica Italiana, di Cavaliere Ufficiale e di quella di Commendatore. 

Rumici Guido. Docente e scrittore gradese. Ha pubblicato numerosi libri e saggi sulla storia della Venezia Giulia e della Dalmazia, sull'esodo e le foibe, tra i quali: La Scuola Italiana in Istria, Fratelli d’Istria. 1945/2000 (ed. Mursia), Infoibati. I nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti (ed. Mursia).E’ autore inoltre di mostre fotografiche, cataloghi, dvd e pubblicazioni sui temi del confine orientale e del Giorno del Ricordo, tra cui la dispensa “Istria, Fiume e Dalmazia. Profilo storico” per il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.


Recensioni e interviste


Recensione dal periodico “In Strada Grande”
dicembre 2010

Guido Rumici,Parenzo nei ricordi. Memorie istriane di Mario Grabar Garbari
A.N.V.D.G., Gorizia 2010, pp. 220

Il libro è frutto della collaborazione fra il parentino Mario Grabar, giornalista, e Guido Rumici, gradese, docente e scrittore, il cui interesse è eminentemente rivolto alle vicende di Istria, Fiume e Dalmazia dal 1945 ad oggi. Mario ha fornito ricordi orali e i suoi numerosissimi scritti sull’argomento, che dall’amico sono stati sfoltiti, organizzati e forniti di numerose note storiche ed esplicative su persone, luoghi e voci dialettali citati.
Ne è nata una monografia sulla vita parentina, che spazia nel tempo e negli accadimenti, che interessa sì gli autentici parenzani, ma offre pure delle testimonianze storiche a tutto tondo, capaci perciò di interessare e coinvolgere anche un lettore di altre latitudini.

Opportunamente ripartita in quattro ricchi capitoli, specifici nella definita distribuzione per argomenti ed episodi, questa raccolta, che si può ritenere celebrativa, è paradigmatica dei lavori di decenni e decenni del nostro Mario Grabar, appare come un’opera sicuramente ben riuscita (alcune anticipate letture da parte di amici me lo confermano!).
Selezione di articoli istriani, dunque, che inviterei tutti ad ospitare nella propria biblioteca, interessante apparendomi come ricca fonte di documentati ricordi e di personali e vivide testimonianze.

Vediamo di analizzare molto sinteticamente i contenuti della raccolta.

Storia, episodi di travagliata umanità oppure felici momenti giovanili in una città non ancora travolta dalla guerra, archeologia (Parenzo stessa è molto ricca di reperti e strutture storiche!), righe e righe su aspetti e risultanze di una nefasta guerra subita in maniera totale ed anche di più, tutto ciò è descritto da Mario, e tutto ciò ci appare intriso grandemente e costantemente da un immenso amore e rimpianto per la sua perduta città.

I quattro capitoli che compongono il volume illustrano diffusamente i più significativi avvenimenti intercorsi nel periodo tra le due guerre che hanno battuto le nostre contrade nel XX secolo, ma non dimenticano antichi e storici accadimenti quali il “sacco” della cittadina compiuto dai genovesi oppure l’importanza delle varie edificazioni civiche in epoca medioevale. Parlano di fatti bellici, di amicizie, di angolini caratteristici di una città romana e veneta all’insieme, tratteggiano personaggi molto noti nella vita cittadina, in una simbiosi di eccezionale portata, sia storica che architettonica. Insomma, l’affresco temporale e territoriale si presenta assolutamente accattivante e completo.

E noi, ancora più che nei vari argomenti trattati con solida materialità, un altro aspetto va rilevato come connotante e riassuntivo del lavoro di Mario: il compattamento di tutta questa massa di notizie e riferimenti, nella loro essenzialità, finisce per delineare un eloquente quadro, preciso e comprensibile, di tutto quanto noi istro-dalmati abbiamo attraversato nel tempo e subito. Sofferto al punto da indurci ad abbandonare massicciamente le nostre terre e le nostre case, i nostri quotidiani impegni, le nostre amicizie: praticamente tutto quel mondo che qui ritroveremo sapientemente rappresentato.

Proprio perché questa selezione di scritti ci riporta all’indietro negli anni, si insinua curiosa nelle calli e nei vicoli, fraziona in schegge episodiche il percorso, secolare, dell’onesta vita di una pacifica cittadina istriana. Si rivela un riassunto intrecciato di ricordi e caratterizza anche in chiave moderna le antiche ma ancor emblematicamente presenti realtà storiche rappresentate da torri e muraglioni veneziani o dalla meravigliosa basilica eufrasiana.

Molti di questi articoli sono indubbiamente già stati letti su riviste e pubblicazioni riguardanti la sfera dell’editoria giuliano-dalmata, lunghissimo e massiccio essendo stato l’impegno letterario di Mario in questo campo; altri, inediti, apporteranno senz’altro nuove conoscenze e nuove rivelazioni su quello che è stato il lungo e variegato percorso della nostra storia.

Veniero Venier

Recensione dall'inserto Storia e Ricerca  "La voce del Popolo" del 03/03/2012

Guido Rumici, studioso dell'Adriatico orientale nel Novecento ha raccolto le memorie
di Mario Grabar Garbari su Parenzo

"Parenzo nei ricordi"

Emergono passato, cultura e umanità di un angolo d’Istria illuminato dalla luce dei ricordi

di Kristjan Knez

Nella feconda attività di ricerca e pubblicistica di Guido Rumici, incentrata soprattutto sulle vicende meno note dell’Adriatico orientale nel Novecento, segnaliamo il volume “Parenzo nei ricordi. Memorie istriane di Mario Grabar Garbari” (A.N.V.G.D., Gorizia 2010, pp. 220). Si tratta di un insieme di interventi, note e memorie che portano il lettore a ritroso nel tempo nella città eufrasiana. Una parte dei contributi raccolti furono già pubblicati sul periodico semestrale dei parentini in esilio “In Strada Granda”. Gli altri testi furono o preparati o abbozzati in previsione di elaborarli. Furono sviluppati grazie a Rumici che prese in mano i materiali e contemporaneamente iniziò ad intervistare Grabar Garbari in modo da ottenere quante più informazioni, specie sulla situazione durante l’occupazione tedesca e nel corso della liberazione-occupazione jugoslava nonché sulle motivazioni del suo esodo. Assieme iniziarono a confezionare il volume. L’autore però scomparve proprio nel corso della stesura. Rumici volle dare alle stampe quel corpo di memorie, in piena autonomia, confidando di interpretare correttamente quanto avevano convenuto a voce. Decise opportuno inserire in apertura una sintesi di alcune interviste fatte nel corso dei vari incontri in modo da colmare le eventuali lacune. Gli altri testi, invece, non hanno subito alcuna modifica, salvo piccoli interventi redazionali, e sono stati inseriti proprio quelli previsti da chi li aveva vergati.   Rumici che da sempre predilige le testimonianze orali e/o dirette delle persone coinvolte in un determinato periodo storico, ha accolto volentieri il compito di riunire e di preparare per la stampa i vari scritti di Grabar Garbari. A quest’ultimo era altresì legato da una lunga amicizia, pertanto la cura di questo libro è stata anche un omaggio alla sua memoria.

Una profonda cesura

Parenzo, proprio come altre località istriane, subì un cambiamento radicale. Nel secondo dopoguerra fu scossa alla base, per trasformarsi completamente nel giro di qualche anno. La città anche nei secoli passati aveva conosciuto delle cesure, si pensi solo ai flagelli della peste che nel XVII secolo l’avevano ridotta a una manciata di anime, la cui ripresa fu possibile solo grazie al successivo ripopolamento da parte della Repubblica di San Marco con genti di varia provenienza. Quanto avvenne sessant’anni or sono, però, ebbe delle conseguenze diverse e profonde. Oltre al venir meno della comunità ivi residente fu messo in atto un processo che rivoluzionò lo stato delle cose, che interessò sia le istituzioni sia i singoli individui, introducendo un sistema diverso, valori differenti, ma anche un idioma che non apparteneva a quel centro urbano e al contempo entrarono usi e costumi tipici di altri contesti. Per la prima volta nella secolare storia parentina i nuovi venuti non sarebbero stati assorbiti e attratti dalle consuetudini e da quell’insieme di caratteristiche – sebbene in minima parte quel fenomeno non venne meno, a riprova della forza rappresentata da un’identità specifica abbarbicata a quel suolo – che nel corso della storia aveva forgiato chiunque fosse giunto entro il perimetro cittadino, a prescindere dalla provenienza geografica.  

L'assotigliamento degli autoctoni 

E la popolazione autoctona, quella istro-veneta, assottigliatasi ai minimi termini con l’esodo, si trovò sempre più sola e per giunta guardata con sospetto e osteggiata dalle nuove autorità, almeno negli anni bui del lungo dopoguerra.

Negli scritti che presentiamo non si parla di quella condizione, dato che la famiglia dell’autore abbandonò Parenzo, bensì si propone un insieme di tasselli sulla città sino al termine del secondo conflitto mondiale, storie minime, di ogni giorno, che sono senz’altro importanti in quanto fanno rivivere, almeno virtualmente, i momenti vissuti da Mario Grabar Garbari e dagli altri suoi concittadini in quella località della penisola. Lo evidenzia lo stesso curatore nella prefazione, ricordando che “tali fonti possono peraltro rappresentare, come nel caso di Parenzo, uno strumento utile per iniziare una più articolata ricerca sul tema della società giuliana, nella convinzione che anche questi pochi tasselli possano aiutare, pur nella loro brevità e nella semplicità degli episodi descritti, a comprendere meglio il clima in cui questi uomini e queste donne vissero (e forse il più ampio mosaico delle vicende di un popolo successivamente lacerato e diviso dalla portata dei grandi eventi storici del Novecento). 

Il volume contiene sia foto d’epoca, innumerevoli provenienti dall’archivio familiare, e cartoline messe a disposizione da varie persone sia immagini realizzate da Rumici le quali propongono scorci di Parenzo che lo arricchiscono e accompagnano il lettore attraverso le varie zone della città.  

Origini e background dell'autore

La figlia Cristiana ha curato una nota biografica, riportiamo qualche elemento per meglio inquadrare Mario Grabar Garbari. Questi nacque a Trieste il 13 luglio 1927 da Luigi, originario di Pola, e da Evelina Sabatti di Parenzo. Trascorse l’infanzia nel capoluogo giuliano in cui i genitori gestivano una drogheria, successivamente si trasferì nella città istriana nella casa del nonno di via Marco Tamaro. Lì si diplomò all’Istituto magistrale (1945) e iniziò le prime collaborazioni con i giornali. L’anno dopo l’esodo aveva portato la famiglia a Palmanova. Qui sposò Emilia Bert e da quella unione nacquero i figli Cristiana e Francesco. Fu maestro elementare nella Bassa Friulana e ricoperse pure il ruolo di caposettore degli Affari Generali al Comune di Palmanova, con mansioni di responsabilità nei settori di commercio, economato e cultura, dal 1960 sino al pensionamento avvenuto nel 1989. Fu cronista per vari fogli: “Il Piccolo”, il “Messaggero Veneto”, la “Gazzetta dello Sport”, “Stadio”; per le cronache sportive collaborò con varie emittenti locali e nazionali, tra cui la Rai.
Fu direttore responsabile della rivista “La Plume”, organo della sezione del mandamento palmarino degli alpini, e di “Stare insieme”, dedicata alle attività comunali per gli anziani. E scrisse parecchio per “In Strada Granda” il periodico dei parentini in esilio in cui mise nero su bianco i ricordi legati alla cittadina abbandonata. Appassionato di sport, fu tra i fondatori della sezione “Veterani sportivi”. Per le sue molteplici attività ricevette, nel 1989, il premio “Palma” e successivamente il “Triario dello Sport”; fu premiato anche per i cinquant’anni di attività giornalistica dall’Ordine regionale dei giornalisti del Friuli Venezia Giulia, fu insignito della carica di cavaliere della Repubblica Italiana, di quella di Cavaliere Ufficiale e di quella di Commendatore. Fu colpito da una grave malattia e in breve tempo si spense (6 febbraio 2009).

Liberazione o "liberazione"?

Particolarmente interessante è l’intervista proposta da Rumici la quale funge quasi da introduzione ai vari capitoli che compongono il libro. Come fu accolta la “liberazione” nella città eufrasiana? Mario Grabar Garbari rammenta che i partigiani jugoslavi entrarono in fila indiana in un completo silenzio, la gente, infatti, era chiusa in casa e non osava muoversi. Quella fu l’accoglienza riservata ai vincitori, che immediatamente avrebbero dato vita a una ferrea occupazione, con metodi illiberali sia nel periodo compreso tra la fine delle ostilità e il Trattato di pace del 10 febbraio 1947 sia negli anni successivi, che furono una delle cause prime dell’esodo che ridussero la componente italiana al lumicino. “Tutti noi si guardava da dietro le imposte delle case – così l’intervistato – e c’era un clima di terrore e paura generalizzato. I partigiani occuparono la città in poco tempo e riempirono le mura delle case di scritte inneggianti a Tito e alla Jugoslavia. Mio nonno si lamentò che gli stavano pitturando la casa e mandò via in malo modo il giovane partigiano pittore. Il nonno rischiò molto per il suo gesto e mio padre dovette andare a scusarsi con le autorità inventandosi che il nonno non era più completamente a posto con la testa. Era ovviamente una bugia per salvarlo” (p. 15).  

Tinte forti e sfumature

Un clima di sospetto contraddistinse la vita di quel periodo, basti ricordare che anche nella squadra di calcio del Parenzo ad un certo punto entrò un croato di Zagabria, molto bravo con il pallone, l’unico in mezzo a soli italiani, soprannominato “Dinamo” come l’omonima squadra zagabrese; quei giovani scoprirono solo successivamente che quel nuovo compagno era in realtà una spia dell’Ozna. Nonostante il ruolo svolto non volle tradire quelli che nel frattempo erano diventati degli amici. “(…) un giorno “Dinamo” mi chiamò in disparte e mi disse a voce bassa che il mio nome figurava in un elenco di persone che sarebbero state arrestate per cui mi consigliava di scappare quanto prima in Italia” (p. 16). La sua “colpa” era riconducibile a una rimostranza evidentemente non gradita. Da questo episodio emerge palesemente come sia difficile dipingere tutto e tutti con tinte fosche, come spesso e volentieri accade. D’altra parte in quei frangenti non era inusuale trovarsi di fronte a situazioni di ogni tenore. Lo stesso Grabar Garbari ricorda che nel momento in cui si precipitò al Municipio di Parenzo per chiedere il lasciapassare per Trieste il funzionario altro non era “(….) che il mio istruttore ai tempi degli avanguardisti e che da Capomanipolo della Milizia era diventato poi uno zelante esecutore di ordini del nuovo regime di Tito” (p. 16). Ma anche questi sarebbe stato vittima di quel sistema.  

Sull'isola Calva

Con l’incrinarsi dei rapporti tra l’Unione Sovietica e la Jugoslavia il medesimo fu accusato di essere un “cominformista” e come tanti altri finì a Goli otok. Fece ritorno a casa ma in condizioni pietose, colpito nel fisico e nell’animo.

Una testimonianza rilevante è anche quella relativa al passaggio della Commissione alleata. Le manifestazioni pro Jugoslavia e inneggianti a Tito, sotto la magistrale regia del regime comunista, dovevano fornire l’immagine di una popolazione schierata compattamente a favore dello Stato del maresciallo. Erano dimostrazioni pubbliche orchestrate, in cui si utilizzavano persone trasportate colà intenzionalmente, mentre gruppi di italiani “assistevano in silenzio per paura di conseguenze personali”. A riprova della difficile situazione in cui vennero a trovarsi i connazionali, alla mercé di un potere oppressivo, riportiamo quanto il Nostro raccontò a Rumici. “Era quasi impossibile esternare in quel periodo in alcun modo la nostra volontà a favore dell’Italia. Guai a farsi beccare. Alcuni coraggiosi si erano dipinti le mani con il tricolore bianco, rosso e verde e aprivano le mani solo al passaggio dei membri della Commissione per far vedere che erano per l’Italia. Era proibito sventolare bandiere italiane a meno che non avessero avuto sopra la stella rossa come simbolo di adesione al regime di Tito. Sarebbe stata molto pericolosa qualsiasi altra forma di manifestazione filo italiana. Saremmo stati subito chiamati al comando dell’O.Z.N.A. che aveva il suo ufficio in Strada Granda e avremmo rischiato conseguenze inimmaginabili” (p. 17). Era un’ulteriore prova difficile sopportata da quella comunità, toccata profondamente dai primi infoibamenti dell’autunno del 1943 e dai successivi funerali avvenuti in Basilica il 13 dicembre di quell’anno, dopo la riesumazione avvenuta a Vines. “La gente era completamente affranta”. Vi fu poi la dura occupazione nazista (“rammento con angoscia la volta che i tedeschi, dopo aver catturato e fucilato due partigiani istriani, decisero di lasciare esposti i loro cadaveri appesi ad alcuni lampioni di Parenzo, come monito alla popolazione” (p. 19)) ed i bombardamenti aerei anglo-americani, mentre dalla primavera del 1945 in poi una nuova stagione plumbea avvolse quella cittadina: deportazioni, sparizioni, uccisioni nelle voragini carsiche e un clima di terrore generale “furono fattori che alimentarono in seguito, a guerra finita, la volontà di molti parentini nel voler fuggire via dall’Istria” (p. 18).

Prima e Seconda guerra mondiale

Il primo capitolo, “Dalla prima alla seconda guerra mondiale”, propone degli interessanti contributi storici che mettono a fuoco taluni aspetti della storia di Parenzo o legati a questa località che offrono elementi rilevanti anche per gli studiosi. Lo scritto dedicato all’idroscalo si sofferma sulla situazione nel corso della Grande guerra. Durante i primi giorni delle ostilità, le incursioni italiane dal cielo colpirono Pola, seguirono quelle austriache su Venezia e su Ancona. Dopo un attacco sulla città lagunare, un idroplano colpito dalla contraerea italiana con non poche difficoltà raggiunse Parenzo; il pilota che chiedeva della benzina per ripartire non poté ottenere alcun aiuto, alla fine il giovane ufficiale e l’aereo furono dirottati verso il porto militare dell’Impero al rimorchio di un natante. Per dare un riparo alle unità impegnate nelle azioni, fu deciso di erigere un hangar, contemporaneamente mutò la situazione della città la quale divenne strategicamente importante: furono collocate delle batterie di cannoni sull’isola di San Nicolò, un posto di radiotelegrafisti, un potentissimo riflettore e un cannone da 75 mm.

L’area entrò pertanto negli obiettivi militari, vari furono i raids da parte della regia marina, tra cui le incursioni dal mare di Nazario Sauro (1916) e quella della squadriglia ai comandi di Gabriele d’Annunzio (1917). Quegli attacchi misero a dura prova la popolazione civile la quale non disponeva di rifugi, tranne uno piccolo alle Tre Ville ma riservato per lo più alla guarnigione dell’idroporto. Intanto si giunse all’agonia dell’Austria-Ungheria. Il Consigliere aulico Lasciac abbandonava la città per Trieste a bordo dell’automobile della Dieta provinciale, inseguito dagli insulti e dalle sassate della popolazione furibonda. Gli ufficiali della guarnigione parentina non vollero sparare sui dimostranti, anche perché in buona parte erano boemi e quindi erano decisi a difendere la città con le armi. Al teatro Verdi i Parenzani si riunirono a consiglio, l’avvocato Tomaso de Vergottini chiese la nomina di un Comitato di Salute Pubblica e l’istituzione della Guardia nazionale. Le caserme furono saccheggiate degli stessi soldati della duplice monarchia e anche l’hangar delle Tre Ville fu abbandonato (31 ottobre 1918), nemmeno un mese più tardi, il 28 novembre, un incendio lo distruggeva completamente. 

La rivolta di Cattaro e altre pagine

“Il parentino Antonio Grabar e la rivolta di Cattaro (1918)” propone le vicende dello zio dell’autore, uno dei quattro marinai dell’imperial regia marina che quell’anno furono fucilati in quanto capi della sommossa scoppiata l’1 febbraio e sedata grazie all’uso massiccio di forze di terra e di mare. Durante il processo tenutosi a Cattaro dal 7 al 10 febbraio 1918 da quell’I.R. Giudizio di guerra, divenuto Corte marziale, emerse che Grabar, presente sulla “Sankt George”, aveva gridato all’ammiraglio Oscar Hansa: “Vogliamo la pace, non restiamo più qui, a bordo dobbiamo crepare, abbiamo troppo servizio senza ottener mai licenza, così non va più avanti. Non ci sono più rapporti. Qui siamo tutti eguali. A casa mia sono anch’io ammiraglio!”. Non possiamo soffermarci su tutte le parti, ricordiamo che il volume propone anche i seguenti contenuti: “La Deutsche Torpedoboote S-63”, “L’ultimo imperatore d’Austria-Ungheria eletto agli altari”, “Le strane invenzioni di nonno Checo”.

Le incursioni aeree

Grabar e Rumici si soffermano pure sulla “Storia dei bombardamenti di Parenzo”. Il 9 giugno 1944 si registrò la prima incursione dal cielo e sino alla primavera del 1945 i bombardamenti furono complessivamente trentacinque i quali danneggiarono o rasero al suolo almeno 260 stabili. Parenzo era un obiettivo strategico perché colà arrivava la terra rossa ricca di bauxite che poi veniva caricata sulle navi per Marghera e da lì prendeva la via per gli altiforni dell’Italia settentrionale e della Ruhr. Il 25 aprile 1945 “(…) ci fu l’ultima incursione aerea su Parenzo, in cui ben undici quadrimotori, pilotati da esperti aviatori sudafricani, colpirono la città. Ricordo che in perfetta formazione da battaglia si divisero in due boxes a 10 mila piedi (circa 3200 metri d’altezza), colpendo praticamente il porto e buona parte della città vecchia. Dalla testa della Squadriglia lanciarono un enorme razzo bianco, segnale dell’attacco, poi piovvero le bombe e gli spezzoni in una tremenda serie di boati che sorpresero i parentini ancor rimasti in città. Venne distrutto il palazzo della Pretura in via Dante, dove si produsse un enorme cratere, e molte case furono letteralmente rase al suolo. Era di mercoledì e quel disastro si aggiungeva ai tanti delle precedenti incursioni. Disastro inutile dato che si trattava del 25 aprile ’45 e la guerra si stava concludendo con la vittoria degli Alleati” (p. 67).

Momenti indimenticabili

I contributi concernenti l’ultima fase del conflitto e l’immediato dopoguerra sono trattati anche in “Era di maggio quando gli Alleati si fermarono per non entrare in Istria” e “La vigilia di Natale del 1945: una brutta vicenda”.

Il secondo capitolo, “Parenzo mia cara”, propone i ricordi più personali, legati alla fanciullezza e alla gioventù trascorse nella città di San Mauro ma anche alla vita di quella collettività: “Via Tamaro, strada della nostra breve gioventù”, “Ricordi del Circo ‘Zavatta’”, “Carnevale, Pasqua e Pasquetta”, “Ricordando quando si era fra i banchi delle elementari”, “La battana con la croce uncinata”, “La clapa de scojo”, “I sapussi a scojo”, “Un antico clan sparso ai quattro venti”, “Ricordi del calcio parentino”, “Non solo calcio e nautica a Parenzo”, “Breve storia del canotaggio a Parenzo”, “Dal ricreatorio alla grande boa”, “La ‘cara Parenzana”’, “‘Amarcord’ con Marco”, “Una giornata indimenticabile a Parenzo fra esuli e ‘rimasti’”. Ci soffermeremo su questo scritto. Grabar Garbari ricorda il piacevole incontro avuto con l’archeologo Marino Baldini che illustrò alla sessantina di istriani residenti per lo più a Trieste e nel Friuli Venezia Giulia in generale gli ultimi scavi nel centro storico e con l’ingegner Musizza il quale portò il gruppo davanti all’Istituto magistrale nonché alla chiesa sconsacrata di San Francesco già sede della Dieta provinciale dell’Istria. Significativo il seguente passo che riproduciamo: “Ma al di là dei convenevoli, dei cròstoli e della malvasia, del pranzo a Fontane c’è stato quel contatto, magari piuttosto breve e temporaneo, che ha lasciato certamente in ciascuno di noi un segno profondo. Abbiamo capito, io credo, quanto bisogno ha quella gente di un sostegno morale, di un incoraggiamento a sostenere i diritti degli italiani in queste terre, per evitare un eventuale, secondo esodo degli elementi italiani, affinché non scompaiano per sempre dall’Istria, da Parenzo i segni di quell’italianità che il Sommo Poeta indicava nella Divina Commedia (…). Ora tocca a noi della diaspora dei 350mila esuli stendere una mano verso questi giovani, cresciuti in tempi terribili ma capaci di conservare intatte in più di mezzo secolo di persecuzioni la parlata istriana, la lingua e la cultura del nostro Paese”. L’autore dello scritto evidenzia che per molti esuli queste posizioni sono difficili da accettare perché tra i persecutori vi erano anche persone che parlavano la stessa lingua, “eppure un giorno dovremo stendere quella mano, se si vorrà che quel lembo di terra istriana che non è più nostra, parli ancora il veneto, l’italiano dei nostri padri” (pp. 142-143). 

Note e curiosità

Il capitolo terzo, “Storie antiche”, propone alcune note sul passato della città e non solo: “Ricerche alla torre pentagona del Decumano”, “A Marafor trovato il Cardo Maximus”, “Il parco archeologico del ‘Loron’”, “Quanti erano in Istria i leoni di San Marco?”, “Il ‘sacco’ di Parenzo del 1354”. Il capitolo quarto è dedicato invece ai personaggi: “Lucio Visintini, eroe dell’impresa di Gibilterra”, “Albano Albanese, un azzurro dell’atletica”, “Alida Valli, una star istriana”, “Due spiriti eletti: Lina Galli e Biagio Marin”, “Padre Flaminio Rocchi”, “I Cuzzi di Parenzo”, “Marco Tamaro, un giornalista che precorreva i tempi”, “L’ingegner Gianpiero Musizza”, “Ghigo Zanfrognini: maestro d’arte e di civiltà”, “Un comandante con i ‘fiocchi’: Mario Di Giovanni”, “Enea Marin, un grande amico ‘andato avanti’”, “Il marchese Benedetto Polesini”. 

Una valenza mitologica

In appendice la figlia Cristiana sottolinea che “nei ricordi leggeri, in punta di penna, di mio padre, Parenzo ha sempre assunto una valenza mitologica. Depurata dai calcinacci dello scorrere quotidiano degli eventi, è diventata un’idea incorruttibile, una forma poetica velata dalla malinconia” e ancora “ci ha insegnato ad amare il nostro luogo d’origine, ad essere curiosi compartecipi degli avvenimenti belli o brutti che vi accadono, a studiare, ad indagare ogni angolo ed ogni pietra perché nascondono sempre tracce della nostra storia sconosciuta”.

Una messe di notizie, di considerazioni, di appunti e di riflessioni grazie al lavoro certosino di Guido Rumici e al suo impegno ha trovato spazio in un volume che contribuisce alla divulgazione della storia, della cultura e dell’umanità di quell’angolo d’Istria.

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