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ITALIANI D'ISTRIA

Da maggioranza a minoranza: economia e storia di un popolo 1947/1999


La storia di coloro che rimasero ad abitare in Istria e a Fiume sotto il regime del Maresciallo Tito dopo l’occupazione compiuta dalle truppe jugoslave alla fine del secondo conflitto mondiale è ancora poco conosciuta in Italia.

La maggioranza degli abitanti di quelle terre scelse l’esodo e abbandonò le proprie case ed i propri averi per trasferirsi oltre confine, pur di fuggire dalla nuova realtà che veniva percepita come ostile e pericolosa.

Chi invece rimase assistette in breve tempo ad uno sconvolgimento totale del tessuto sociale, della vita politica, delle relazioni economiche e umane.

Questo lavoro è specificatamente dedicato a questo particolare aspetto delle vicende che colpirono i territori ormai ex italiani del confine orientale ed intende contribuire alla conoscenza di una tematica finora quasi ignorata al di fuori dell’ambito strettamente locale.

Guido Rumici, nato a Gorizia nel 1959, si è laureato a Trieste in Economia e Commercio. Dal 1986 è docente di Economia Aziendale presso l’Istituto “Enrico Mattei” di Palmanova. Ricercatore di storia ed economia regionale, è autore di numerosi articoli e pubblicazioni sulla storia della Venezia Giulia e della Dalmazia. Nel 1998 ha vinto la settima edizione del “Premio Carbonetti” con un saggio dal titolo “L’Istria cinquant’anni dopo il grande esodo”, con cui ha delineato l’evoluzione storico-economica e politica della vicina penisola negli anni che vanno dall’immediato dopoguerra ai giorni nostri.


Recensioni e interviste


PREFAZIONE DI GIULIO VIGNOLI
Titolare delle Cattedre di Organizzazione Internazionale e Diritto delle Comunità Europee nell’Università di Genova

Guardare al futuro considerando il presente ed il passato. Penso che questa breve frase riassuma lo spirito del libro di Guido Rumici. Ed il concetto su esposto assume, riferito alle pubblicazioni sulle terre perdute al confine orientale, un significato rivoluzionario.

La stragrande maggioranza di queste pubblicazioni, infatti, presenta soprattutto un mero profilo storico, spesso studiando il lontano passato di Istria, Fiume e Dalmazia o fermandosi ad esaminare l’esodo e le persecuzioni patite dalla popolazione italiana di quelle terre nel dopoguerra. Poi, il nulla.

Rumici, invece, esamina il presente e volge gli occhi al futuro pur non dimenticando il dato storico.

La persistenza della componente socio-culturale italiana nella Venezia Giulia e nella Dalmazia cedute alla Jugoslavia nel 1947 ed ora appartenenti alle nuove Repubbliche di Slovenia e Croazia, sarà data in massima parte dallo sviluppo di coloro che, per motivi diversi, restarono, accettando o subendo la nuova realtà.

La situazione internazionale che si è venuta a creare, cinquant’anni fa, a seguito della Seconda Guerra Mondiale, non è da ritenersi mutabile in una prospettiva di lunga durata. Di qui la necessità che la difesa dell’italianità avvenga in zona. Chi è lontano, chi è esule ha nel cuore il dolore, lo struggimento, la ferita del distacco, ma non molto può fare autonomamente (soprattutto se è stato costretto ad emigrare in lontani Paesi), tranne che salvaguardare la memoria storica ed appoggiare chi ancora lotta per la propria identità sul territorio.

Il libro esamina perciò, con profondi acume e discernimento, la posizione dei “Rimasti”, le loro attività, le loro prospettive, le loro difficoltà, spesso immense, in cui sono costretti ad operare.

Aspetti tutti poco conosciuti in Italia o trascurati anche da chi è legato per motivi sentimentali od ideologici a quelle terre.

Un libro nuovo, dunque, una ricerca di grande interesse ed attualità. Giudizio positivo che si estende alle Appendici ed alle tabelle contenenti dati utilissimi, spesso ignoti od ignorati. Di estremo rilievo, infine, le interviste che offrono uno spaccato illuminante della situazione passata e presente di quei territori le cui dolorose vicende per sempre sono custodite negli animi di chi sente l’appartenenza alla nazione italiana.


RECENSIONE DI ANGELA ZUCCHI

“ITALIANI D’ISTRIA – 1947/1999”, LA STORIA DEGLI ITALIANI CHE RIMASERO A VIVERE SOTTO TITO.

USCITO DA POCHI GIORNI IL VOLUME SCRITTO DAL PROF. GUIDO RUMICI ED EDITO DALL’ A.N.V.G.D. DI GORIZIA.

Ancora poco conosciuta in Italia è la storia di coloro che rimasero ad abitare in Istria e a Fiume sotto il regime del maresciallo Tito dopo l’occupazione compiuta dalle truppe jugoslave alla fine del secondo conflitto mondiale.

Questo lavoro è stato specificatamente dedicato a questo particolare aspetto delle vicende che colpirono i territori ormai ex italiani del confine orientale ed intende contribuire alla conoscenza di una tematica finora quasi ignorata al di fuori dell’ambito strettamente locale.

Ne è autore il Prof. Guido Rumici, docente di economia presso l’Istituto “Enrico Mattei” di Palmanova, ricercatore di storia ed economia, recente vincitore della settima edizione del Premio “Carbonetti” ed autore di numerosi articoli sulle tematiche inerenti l’esodo della popolazione italiana dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia. E’ il primo libro scritto in Italia da una persona nata dopo l’esodo su un avvenimento che ancor oggi, dopo più di cinquant’anni, fa sentire le sue conseguenze sulle popolazioni interessate.

Il libro si apre con la storia drammatica dell’esodo e parla del graduale svuotamento della penisola istriana che perse così gran parte di una sua componente demografica, quella italiana; una tragedia che la storiografia nazionale ha relegato a lungo in un secondo piano, dimenticando pure le sorti di coloro che rimasero, volenti o nolenti, a vivere nella Jugoslavia comunista del maresciallo Tito.

Se da una parte si parla perciò delle comprensibili ragioni di coloro che scelsero di rimanere italiani in Italia, dall’altra si parla di coloro che rimasero a vivere in Istria per le più svariate ragioni: per il legame con la propria terra, con le proprie origini e tradizioni, per restare vicino a delle persone care anziane o malate, per convinzione ideologica o per opportunismo, per le opzioni negate o per pura e semplice convenienza personale.

Negli anni del dopoguerra, dopo l’esodo, le foibe, le deportazioni, le mille minacce e vessazioni subite, gli istriani rimasti a vivere nella nuova Jugoslavia dovettero vedere gradualmente trasformato tutto il tessuto sociale in cui avevano sempre vissuto.

Si chiusero le scuole italiane, i cognomi e la toponomastica vennero tradotti in slavo e molti preferirono mimetizzarsi per quieto vivere e per non dover subire ulteriori soprusi.

Nel suo libro, edito dall’ANVGD di Gorizia, il Prof. Rumici analizza tutti questi aspetti di cinquant’anni di comunismo e tenta di chiarire i lati più oscuri di un dopoguerra che, in queste terre, non si è, forse, ancora chiuso.

Non mancano i riferimenti all’attualità, alla dissoluzione della federativa creata da Tito, alla nascita delle nuove realtà statuali di Slovenia e Croazia ed alle aspirazioni democratiche dei nostri connazionali ancora residenti in Istria. Il tutto è riccamente corredata da foto, documenti, testimonianze e tabelle e prospetti utili per capire gli aspetti statistici della presenza italiana in Istria in questi ultimi anni.

Un libro nuovo, quindi, tutto da leggere e da diffondere, e non solo tra i cultori della materia.

Gradisca, 18 febbraio 2000 / Novecento - Incontri con la storia
Centro isontino di ricerca e documentazione storica e sociale “Leopoldo Gasparini”- GRADISCA

PRESENTAZIONE

“ITALIANI D’ISTRIA.
DA MAGGIORANZA A MINORANZA: ECONOMIA E STORIA DI UN POPOLO” DI GUIDO RUMICI

di Ezio Giuricin

Italiani d’Istria. Perché è importante questo libro? Forse, anzi, sicuramente, perché si tratta della prima opera di carattere storiografico che abbia cercato di stabilire un  ponte, di ricostruire e rinsaldare un rapporto, turbato da profonde lacerazioni, tra gli “andati “ ed i “rimasti”: due realtà speculari ma separate di uno stesso popolo, le  due metà, i due tronconi degli autoctononi istroveneti dell’ Istria, di Fiume, del Quarnero e della Dalmazia divise dall’inclemenza della storia.

Sinora sulla storia dell’esodo e degli esodati, sulle vicissitudini della minoranza italiana rimasta in Jugoslavia, dopo la seconda guerra mondiale, e che oggi continua a vivere nei territori passati alla sovranità croata e slovena, sono state scritte migliaia di pagine, centinaia di volumi. Sono state raccolte valanghe di documenti, di testimonianze. Sono state fatte ricerche scrupolose, ammantate dalla pretesa di una fredda obiettività scientifica, si sono sedimentati giudizi, opinioni, chiavi di lettura spesso piegati dalla logica degli interessi politici e di parte, seguiti da un inevitabile carico di stereotipi, di luoghi comuni, di interpretazioni fuorvianti.

Ma mai si è cercato di riunire, riportare gli elementi di questa storia, di queste esperienze così complesse, in una cornice più ampia e comune. Di legare i fili, i tratti spezzati di una memoria collettiva. Di scrivere, cioè, la storia di una comunità divisa - cui la separazione è stata artificialmente e violentemente imposta dagli eventi politici, militari, diplomatici - che, dopo avere subito innaturalmente per oltre mezzo secolo quest’umiliazione e quest’insulto - chiede oggi e spera - almeno questo è il sentire dei più giovani, delle seconde e terze generazioni - di ricomporsi, di ritrovare la propria unità. Un’ unità innanzitutto culturale, morale, umana, spirituale, ma anche, laddove sia possibile, sociale e politica,.

Anzi, per essere più precisi, la storia vera, una storia completa, critica, liberata dagli orpelli delle impostazioni e delle interpretazioni di parte, del mondo degli esuli e di quella di rimasti in Istria, , non è stata ancora realmente scritta.

Abbiamo avuto delle diverse versioni, delle diverse verità storiografiche, degli accenni di studio che hanno tentato di coprire tardivamente taluni vuoti e lacune, ma mai un serio tentativo di tracciare un progetto di ricerca storica che fosse realmente organico ed obiettivo, che tentasse di superare quegli schemi precostituiti che le barriere politiche e ideologiche, la pigrizia intellettuali, i ritardi culturali avevano imposto.

Rumici nel suo libro lo denuncia con chiarezza: “per molti anni - afferma - la storia di questi avvenimenti - che poi è parte integrante della storia delle Venezia Giulia - è stata relegata in una posizione abbastanza marginale sia dagli organi di informazione che dal mondo della cultura, soprattutto per ragioni di ordine politico.

Era una storia che non si doveva scrivere, che i contemporanei dovevano dimenticare, che doveva essere cancellata. Dall’ Italia ufficiale di allora perché costituiva il pericoloso richiamo a una coscienza storica che avrebbe dovuto fare ancora i conti con il bilancio di una guerra perduta, di una frattura ed un’onta che, tutto sommato, per motivi politici, sarebbe stato meglio dimenticare. Per la Jugoslavia, perché quella storia, se realmente ed obiettivamente scritta, avrebbe svelato tutti gli errori e gli orrori commessi da un regime, mettendo a nudo i fantasmi del proprio nazionalismo, nascosti sotto la spessa patina ideologica di quell’epoca.

Una storia artificialmente rimossa dai libri e dalle coscienze perché avrebbe richiamato alla luce le responsabilità dei vinti e dei vincitori, svelato le colpe degli Stati, dei potenti. Si temeva - a torto, secondo il mio giudizio - che una storia vera - troppo poco importante per i vincitori e gli equilibri che essi  avevano imposto in queste regioni - avrebbe ostacolato  la ricostruzione, il processo di pacificazione, lo sviluppo di nuove relazioni in un territorio che era stato smembrato, diviso, modellato intorno a nuovi confini.

Si trattava di una semplice scusa, di una menzogna.

La rimozione di questa storia - fatta dall’insieme delle microstorie delle popolazioni di quest’area, del complesso, tortuoso percorso subito dagli esuli giuliano - dalmati, e dagli italiani rimasti, diventati minoranza - ha ostacolato, o quantomeno rallentato lo sviluppo di una adeguata coscienza critica, di una più evoluta maturità civile, e dunque anche politica e democratica, proprio in queste regioni. Trieste e Gorizia da una lato, e l’Istria dall’altro, hanno subìto in pieno il peso di quest’operazione. Il fatto che, a livello nazionale, in Italia, ma anche nell’ex Jugoslavia, oggi in Slovenia e Croazia, non siano stati sciolti questi nodi storici, ha condannato questa sottile fascia di frontiera a profondi ritardi, che in parte continuiamo a scontare ancora oggi.

La rimozione forzata della memoria storica, l’impedire che i ricordi si sedimentassero gradualmente coinvolgendo in un normale dibattito l’opinione pubblica, la società nel suo insieme, hanno creato nuove barriere, hanno congelato la situazione, proprio qui da noi, al confine orientale. Ostacolando l’evolversi, nella popolazione, di una coscienza storica, ha consentito che attecchissero, del ricordo, solo le sue pericolose tossine: il rancore, la diffidenza, la sfiducia. Per una parte di Trieste e della Venezia Giulia, per le generazioni più anziane che hanno subito le fratture della storia, è come se quest’ultima si fosse improvvisamente fermata. Il vicino, il confinante, l’altro - e tra questi anche gli italiani rimasti di là, in Croazia e Slovenia - sono stati considerati per troppo tempo  nell’ottica dell’immediato dopoguerra, sono rimasti sempre quelli - stereotipi precostituiti o meno - di una volta. Il non parlarne ha fatto si che non ci si accorgesse che in cinquant’anni, di qua e di là del confine, le cose sono radicalmente cambiate. La storia rimossa ha impedito di trarne insegnamento per costruire, soprattutto, il futuro.

La storia della Venezia Giulia, di quei due terzi di territorio italiano passati alla sovranità jugoslava, e con essa la storia dell’esodo di centinaia di migliaia di persone, delle vicissitudini delle decine di migliaia di italiani o istro - veneti rimasti, non ha trovato - per i motivi che abbiamo tentato di spiegare - diritto di cittadinanza nei libri di testo scolastici,  nei programmi di studio e nei testi  universitari. Non è divenuta oggetto di nessun grande progetto di divulgazione, di studio, di approfondimento scientifico o culturale a livello nazionale, non ne hanno parlato - se non sporadicamente, per affrontare scandalisticamente dei casi o contribuire a sterili diatribe politiche - i grandi giornali, le testate importanti, le televisioni e i media a diffusione nazionale. Gli intellettuali più noti, i grandi scrittori e opinionisti sul tema spesso hanno taciuto. Lasciando che dell’argomento si occupassero delle frange politiche marginali - che se ne facesse materia di strumentalizzazione politica,  spesso a scopi elettoralistici, ad uso e consumo di gretti interessi locali o di parte.

Il nodo dell’esodo, quello delle foibe hanno continuato così, ad esempio, per anni, a costituire un “nervo scoperto”, una ferita aperta, un motivo di scontro e di polemica politica a Trieste e in parte del Friuli - Venezia Giulia. Ed un pericoloso tabù, in Istria e nelle società croata e slovena. Le vicende degli andati, così come quelle della minoranza italiana, sono rimaste per troppi anni prigioniere di pesanti preconcetti: per troppo tempo gli esuli sono stati considerati - e non solo dalla sinistra più estrema - dei “fascisti”, e gli italiani rimasti sono stati ritenuti - non solo dalle destre e dai nazionalisti - dei traditori, dei rossi venduti. Il tutto perché a livello nazionale, soprattutto in  Italia, ma anche in Jugoslavia prima, in Croazia e Slovenia poi, si era voluto cancellare questa parte di storia, evitare di parlarne, di dibattere, di studiarla in modo serio ed approfondito. La questione dell’esodo, la problematica della minoranza italiana rimasta, di là del confine, non sono mai diventate reale oggetto di interesse nazionale, un patrimonio comune, collettivo - trasversale alle correnti politiche, partitiche o ideologiche - della società civile italiana.

E dunque grande è il debito che la società nel suo complesso, le forze politiche ed istituzionali, la realtà culturale italiana debbono ancora saldare quale condizione per una reale, vera riconciliazione, in questa fascia di confine, non solo tra andati e rimasti, ma soprattutto tra le culture, le etnie, i tanti elementi del mosaico che compongono la nostra delicata e complessa società regionale. Solo se verranno superate queste lacune Trieste e il Friuli - Venezia Giulia potranno proiettarsi a cogliere le grandi sfide di questo Millennio, aprirsi senza paura alla strada della collaborazione con i Paesi ed i mercati vicini. E solo se  verranno definitivamente colmati questi “buchi neri” della storia, la Slovenia e  la Croazia potranno, anche grazie ad una loro maturazione interna, vincere quelle diffidenze, quelle remore attorno al loro confine occidentale, che impediscono loro di aprirsi realmente e senza riserve alla cooperazione con l’Italia.

Ma ci sono delle condizioni, un passaggio importante - e qui torniamo al contributo porto dal libro di Rumici - che dipendono innanzitutto dalla lungimiranza e dall’energia intellettuale che saranno in grado di dimostrare  le stesse strutture associative e culturali degli esuli e degli appartenenti alla minoranza italiana. Andati e rimastidebbono iniziare a riscrivere, ad analizzare e studiare criticamente, entrambi, la loro storia, per liberarla dagli schemi ed i sedimenti ideologici del passato.

Una sfida che dovrà essere affrontata con grande coraggio e che io spero possa essere vinta soprattutto dai giovani, dagli appartenenti alle seconde e le terze generazioni dei rimasti e degli andati. Giovani che oggi pretendono di sapere cosa sia realmente successo, senza strumentalizzazioni, demagogie, preconcetti ideologici o culturali, che chiedono che di capire quanto è avvenuto, di leggere i percorsi del proprio passato inseriti in una cornice storica più ampia, in un quadro obiettivo di processi e di riferimenti. Capire significa innanzitutto sdrammatizzare, superare i motivi di contrasto e di tensione, significa ricordare meglio, con maggiore consapevolezza e maturità, significa crescere: conoscere il proprio passato per ritesserne i fili strappati, sanarne le fratture ed i traumi. Significa erigere le basi per la costruzione del proprio futuro.

Il libro di Guido Rumici si colloca proprio in questa direzione: è il frutto dello sforzo profuso da un appartenente alla seconda o terza generazioni degli “andati” che ha voluto innanzitutto capire quanto sia realmente avvenuto agli italiani rimasti al di là del confine. Che ha voluto comprendere ed analizzare,  lasciando ogni preconcetto o pregiudizio, le motivazioni, l’arco complesso delle scelte, delle ragioni, delle cause che hanno indotto gli appartenenti di un popolo diventato minoranza, di rimanere.

Io spero che il volume di Guido Rumici possa stimolare la crescita di una nuova produzione storiografica, in Italia, nel Friuli - Venezia Giulia, favorire la nascita di nuovi ambiziosi progetti all’interno delle strutture culturali ed associative degli esuli, così come della comunità italiana in Slovenia e Croazia. Un processo che possa avviare lo sviluppo di nuove impostazioni storiografiche, e stimolare l’interesse dell’opinione pubblica nei confronti di una storia rimossa in questo nostro angolo d’Europa, in Italia, Croazia, Slovenia.

I presupposti ci sono: fra questi il clima di tolleranza e convivenza presente da alcuni anni in Istria, grazie anche allo sforzo culturale e all’impegno civile e politico profuso dalle  locali forze regionaliste, il risveglio registrato, a partire dagli Anni Novanta, dalla comunità italiana in Istria ed a Fiume,  analizzato molto bene da Rumici nel suo libro, i rapporti di collaborazione instaurati dai comuni ed i poteri locali, di qua  e di là del confine, i recenti Protocolli di cooperazione siglati dalla Regione Friuli - Venezia Giulia con le vicine  Contee dell’Istria e del Quarnero.

Grandi prospettive inoltre si  potranno schiudere ora, a seguito dei profondi  cambiamenti politici registrati in Croazia, a seguito delle elezioni che hanno portato alla schiacciante vittoria delle opposizioni, e allo sviluppo di un clima e di condizioni certamente nuove e incoraggianti.

La Voce del Popolo 21/03/06 Cultura

- Guido Rumici :  Il senso di appartenere ad una cultura comune

LA PRESENZA ITALIANA NELL'ADRIATICO ORIENTALE VISTA DAL GRADESE GUIDO RUMICI

Storia, dialetti e tradizioni frutto di scambi millenari

Recentemente la Comunità degli Italiani "Giuseppe Tartini" e la Società di studi storici e geografici di Pirano hanno presentato il volume "Italiani d'Istria 1947-2000. Storia di un popolo" di Guido Rumici. Quest'ultimo da anni si interessa ai problemi concernenti gli Italiani rimasti nelle terre d'origine nel secondo dopoguerra ossia con l'esaurisrsi dell'esodo. In questa occasione abbiamo intervistato il ricercatore gradese chiedendogli la sua opinione su alcuni aspetti inerenti la presenza italiana lungo le coste dell'Adriatico orientale.

* Come mai lei ha questo particolare interesse per l'Istria e per la Comunità Nazionale Italiana, pur non essendo nato in Istria?

È vero, non sono nato in Istria, ma sono gradese e l'isola di Grado è l'estremo lembo occidentale della Venezia Giulia. Abbiamo la stessa storia, con tradizioni comuni e un dialetto simile, frutto di scambi millenari tra l'isola di Grado e la costa istriana.
A Grado sono giunti tantissimi istriani sia nel lontano passato sia nell'ultimo dopoguerra con l'esodo. Sono arrivati a centinaia, soprattutto pescatori, contadini, operai e diversi insegnanti e la loro nostalgia mi ha incuriosito. Oggi circa un gradese su tre è istriano o di origine istriana e molti miei amici erano figli di esuli. Mio nonno era di Albona. C'è ancora oggi a Grado un senso di appartenenza ad una cultura comune giuliano-veneta che i confini nati dopo il 1945 hanno solo in parte modificato. Mi ricordo che quando venivo da bambino in Istria in vacanza con i miei genitori ero affascinato dalla bellezza dei posti e a diciotto anni, appena ho avuto la patente, ho iniziato a girare questa terra in lungo e in largo, anche per capire meglio la situazione e la realtà di quelli che erano rimasti a vivere nella Jugoslavia di Tito."

Vicende istriane, l'interesse è... di moda

* Come si spiega lo scarso interesse da parte del mondo accademico e della pubblicistica italiana – salvo rare eccezioni – per la storia dell'Adriatico orientale?

"Spesso, purtroppo, l'interesse per determinate vicende diventa di moda o meno, a seconda che vi sia un motivo scatenante che attiri l'attenzione dell'opinione pubblica. In questo caso la sanguinosa dissoluzione della ex Jugoslavia ha messo sotto i riflettori un intero mondo che in Italia, ad occidente dell'Isonzo, ben pochi conoscevano. Ed in effetti tra la fine degli anni Cinquanta, risolta la questione di Trieste, e la fine degli anni Ottanta gli studiosi italiani avevano dedicato pochissima attenzione alle vicende dell'Adriatico orientale. Purtroppo c'è voluta una guerra per far riscoprire agli Italiani che oltre Trieste c'erano altre terre, come l'Istria, Fiume e la Dalmazia, ricche di storia, di cultura e di genti meno lontane di quanto si immaginasse.

* Dopo quasi sessant'anni l'Italia ha istituito il Giorno del Ricordo, che dovrebbe soffermarsi non solo sulle foibe e sull'esodo ma su tutte le vicende storiche e culturali in senso lato del confine orientale. A parte che ciò non accade, non Le sembra che si stia inflazionando tale evento? Troppe sono le manifestazioni, concentrate in pochi giorni, tutti ne parlano (anche superficialmente), poi, però, quasi immediatamente, ci si dimentica ti tutto ciò. Lei nell'ambito di tale giornata ha partecipato a varie manifestazioni, in quale misura si parla (se si parla) dei "rimasti"?

"Non credo che ci sia un'inflazione delle Giornate del Ricordo, perché nel corso dei decenni abbiamo assistito anche alla lenta scomparsa di altre date che una volta venivano celebrate con maggior solennità, penso al quattro novembre o allo stesso due giugno. Troverei invece più giusto sottolineare che la Giornata del 10 febbraio è stata istituita per ricordare l'intero dramma della Venezia Giulia e del confine orientale d'Italia, comprendendo perciò nelle sofferenze del popolo giuliano non solo le dolorose vicende di chi venne deportato e non tornò più a casa o di chi dovette andar via abbandonando per sempre case, campagne e lacerando la propria esistenza, ma pure le vicende legate a chi rimase, volente o nolente, ad abitare in questa terra sotto una nuova realtà politica che si rivelò molto spesso traumatica. Ed in effetti delle vicende dei rimasti, in Italia si è parlato poco, sia prima dell'istituzione della Giornata del Ricordo sia dopo."

Opinioni precostituite e ignoranza dei fatti

* In Italia le questioni del dopoguerra nelle nostre terre vengono affronatate con molti preconcetti ed esiste una notevole ignoranza. È vero?

"Purtroppo sì, è vero. Ed aggiungo che spesso all'ignoranza si aggiunge una totale mancanza di umiltà per cui capita spesso di sentire pronunciare affermazioni tipo slogan elettorali da parte di persone che vogliono avere solo conferme delle loro opinioni precostituite piuttosto che rischiare di sentire nuove spiegazioni che potrebbero mettere in dubbio quelle stesse opinioni."

* Lei ha presentato i suoi libri e varie conferenze sia lungo lo stivale sia in Istria, quasi in cinquanta località. Nel Bel Paese quali sono le reazioni quando si parla di Italiani autoctoni d'Istria?<

"Di solito c'è molto stupore e la domanda che più volte mi viene fatta da persone che non hanno mai avuto a che fare con l'Istria è relativa a quando gli Italiani siano venuti in queste terre, se sotto il fascismo o nell'Ottocento e poi quale sia la differenza tra gli Italiani dell'Istria e gli Italiani emigrati in Australia o in Nord America. Tra gli esuli invece mi vengono spesso fatte domande sulla colorazione politica degli Italiani rimasti, segno che ancora oggi si attribuisca alla scelta di rimanere motivazioni solo di tipo ideologico piuttosto che personali, affettive, economiche, o di altro genere."

* "Fratelli d'Istria" è stato pubblicato da un'importante casa editrice come Mursia. Qual è stato il riscontro dei lettori?

"Assolutamente positivo. Il volume 'Fratelli d'Istria' è andato esaurito e poi ristampato ben prima che queste vicende diventassero di attualità. Con molta soddisfazione posso dire che anche le varie recensioni uscite sui principali giornali italiani hanno messo in luce che il libro voleva essere un manuale per far conoscere la realtà degli Italiani rimasti, scritto nel modo più possibile semplice e lineare e quindi potesse essere letto sia dal lettore medio sia dallo specialista. Ho ricevuto importanti riconoscimenti a livelllo istituzionale e so che "Fratelli d'Istria" è stato utilizzato a scopo divulgativo anche da importanti personalità politiche per spiegare la realtà della minoranza italiana a chi non ne sapeva nulla."

Per la CNI tante azioni parallele e complementari

* Come osservatore esterno come vede la Comunità Nazionale Italiana?

"La situazione è molto variegata. Ogni singola comunità ha le proprie caratteristiche specifiche e solo chi conosce superficialmente il mondo dei rimasti lo vede come un insieme monolitico. Vi sono alcume comunità attivissime ed altre invece molto meno. Vi sono poi differenze notevoli nell'ambiente ove operano, se solo si considera il diverso peso percentuale che hanno le comunità del Capodistriano, del Buiese, dell'Istria centromeridionale, di Fiume o della Dalmazia. Molto diversa è soprattutto la diversa sensibilità che il popolo di maggioranza ha verso i nostri connazionali nelle diverse aree di insediamento storico, per cui ben differente è il sentirsi italiano, per esempio, nell'Alto Buiese o in Dalmazia."

* Quali sono i suoi problemi maggiori?

"Oltre alla diversa forma di tutela giuridica che si ha nelle varie zone geografiche alle quali ho appena accennato, un problema che ho riscontrato in molte località è lo scollamento esistente tra il mondo della scuola e quello delle comunità per cui è difficile coinvolgere i giovani nelle attività comunitarie. Spesso perciò buona parte dei ragazzi delle medie superiori non si inseriscono, una volta adulti, nella vita della minoranza."

* Cosa dobbiamo fare per salvaguardare ma anche promuovere la lingua e l'identità italiana di queste terre?

"Vi potrebbero essere diverse azioni parallele e complementari nelle quali anche le singole persone di buona volontà possono impegnarsi. Potrebbero essere incrementate, a tutti i livelli, le relazioni interpersonali tra i rimasti e i residenti in Italia. Penso per esempio alla nascita su Internet di una mailing list di tutti i connazionali che usano questo strumento, collegata alle analoghe liste già esistenti, come la ML Histria. L'aumento delle relazioni dovrebbe portare pure ad una maggior visibilità della Comunità Nazionale Italiana sui mass media italiani.

Penso poi alla costituzione di un sodalizio volto alla conservazione della cultura italiana in Istria che raggruppi tutti coloro, di qua e di là del confine, che sentano questa comunanza di intenti indipendentemente dalla propria residenza o dal proprio vissuto personale. Auspico infatti un riavvicinamento tra le due metà della popolazione giuliana, esodata e residente, che abbia come scopo almeno la salvaguardia di ciò che è rimasto della nostra cultura in loco.

Credo sia indifferibile l'istituzione di un sodalizio, di un organismo, di un centro di coordinamento, che raggruppi le persone desiderose di collaborare su questi temi. I tempi sono più che maturi per un superamento di talune divisioni che in passato hanno contribuito ad innalzare ostacoli e steccati tra la componente degli esuli e dei rimasti. Un'altra considerazione andrebbe fatta poi riguardo alla rete scolastica in lingua italiana già esistente in Istria e a Fiume che sarebbe positivo se potesse essere incrementata in quelle località dove è insufficiente."

* Secondo Lei nell'Europa unita e senza confini muterà qualcosa per i connazionali?

"Fare previsioni a medio e lungo termine sui processi di unificazione europei non è facile perché troppe sono le variabili in gioco. Vi sono fattori di segno opposto che potrebbero influenzare tali processi in una direzione o nell'altra. Preferisco piuttosto pensare al breve periodo e porre il problema di come diventerà il confine sul Dragogna appena la Slovenia applicherà il Trattato di Schengen. Vi saranno rischi e problemi per i nostri connazionali che andrebbero valutati ora."

Kristjan Knez


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