***

Le macchie di colori si susseguivano in un arcobaleno di vetri spezzati, senza più un ordine, una logica. I triangoli s'incuneavano tra i pentagoni, infiltrando colori sbagliati tra le sfumature incrinate.

Le piccole bolle dai mille colori rimbalzavano sui lati piatti dei quadrati e dei rettangoli, qualcuna sugli angoli e scoppiava in scintille dai colori brillanti delle sfumature del giallo. Schizzi di arancione e ocra bagnavano le superfici dei distanti cerchi bianchi e puri.

I perfetti esagono incastonati in una attenta geometria d'alveare scolorivano del loro giallo miele, tingendosi di rosso acceso e turchese, versato dalle linee rette che colavano dall'arcobaleno infranto.

Numeri crollavano a fiotti dalle fenditure aperte dai frammenti, in fiumi di bianchi zeri e neri uno, di due rosso sangue e tre verdi come foglie. Rimescolandosi creavano tutti i colori della natura, di cinque azzurri e sei rosa pelle, di sette turchesi e otto di sangue coagulato e nove marroni. E parole. Lettere si riversavano sopra il miscuglio di forme perfette e concetti universali, lettere effimere, inutili, assurde, relative e piene di colori, che sprizzavano energia da ogni curva e angolo, essenziali, dolci e ruvide, morbide e sfuggevoli. Accatastate in mucchi dispersi sopra la matematica, le lettere restavano in una stasi vuota e muta.

Finché tutto non si condensò in un nero di assenza di colori, una voragine senza forme, senza logica, senza increspature, un vetro fuso e amaro, un mare nero, profondo, freddo, senza ossigeno per respirare.

Il battito cardiaco era forte, un rumore marrone, a tratti rosso, mai azzurro. Intasava i sensi e i polmoni, la trachea era piena di colori tetri che non lasciavano respirare, l'esofago di urla che non gli appartenevano.

Poi bianco.

Un bianco tale da proibire colori.

Ci si sarebbe potuto dipingere lettere e numeri e forme con ogni tipo di colore, ma il bianco avrebbe inghiottito tutto.

Quindi un urlo riuscì a liberarsi dalla gola. Un urlo viola, un fulmine bianco, uno squarcio rosso.

Infine, nulla.

Assenza di colori.

Né nero, né bianco.

Semplicemente nessun colore.

 

***

Humana Species 16

Tempus Brevis

A mia Nonna Bianca

 

 

X-2MC2509122000

***

***

Ufficio di Karen Kosseff, FBI, Washington

Venerdì, 17 dicembre 1999, 5:25 p.m.

Carter lanciò il foglio, appallottolato sopra la sua testa e lo riprese al volo, quindi lo lanciò verso il cestino. Sbuffò quando lo vide cadere fuori. Raccolse un altro foglio lo appallottolò e gli fece fare la stessa fine della precedente dozzina.

Prese l'ultimo foglio che c'era sul tavolino e osservò il disegno per qualche secondo quindi lo appallottolò e lo lanciò. Finalmente fece canestro.

"Scusa l'interruzione, Melody..." disse Karen, entrando nel proprio ufficio, dopo essere stata chiamata d'urgenza. "Eravamo... Che è successo?" chiese, vedendo le palle di carte a terra.

Carter si tirò in piedi e andò a buttare nel cestino i fogli. "Preferisco che non li vedi."

La psicologa raccolse l'ultimo, che Carter non aveva ancora fatto in tempo a raccogliere e lo aprì. "Cos'ha che non va questo disegno?"

Carter si risedette sulla poltrona e scrollò le spalle.

Karen osservò il disegno. "Sai disegnare bene." riprese, come per incoraggiarla.

"Lo so che non è vero." replicò lei.

"C'è un gatto su un albero, accanto alle radici ci sono tre cani che sembrano addormentati."

"Capire cosa disegno non vuol dire che lo faccio bene."

"Di che cosa hai paura, Mel? Certo non di essere giudicata per il tuo stile, no?"

Carter si mosse sulla poltrona, a disagio. "C'è... a Quantico... quando stavo per entrare a Quantico... ho avuto dialoghi con parecchi psicologi. Penso che i piani alti non credessero che potessi farcela." Rise. "Oh, be', finora pare di sì."

"E?"

"E... uno psicologo... m'ha fatto fare il test delle otto immagini... il Warteg?"

Kosseff annuì.

"Mi ha impressionato, mi ha letto la personalità... e..." Si bloccò.

"Non vuoi ripetere l'esperienza?"

Mel scosse la testa. "Non lo so."

Kosseff alzò il disegno. "Cosa credi che voglia dire?"

"E' il sogno che ho fatto qualche notte fa. C'era un gatto in cima ad un albero e sotto cani addormentati..." Sospirò. "Avrei voluto che scendesse, ma lui era fermo. Avrei voluto andare da lui, ma avevo paura che i cani si svegliassero."

"Ti è capitato mai di sentirti così?"

"Sì... Ma non... non è importante... Cioè... m'è capitato di trovarmi davanti a situazioni che volevo cambiare... ma di non aver il coraggio per farlo. Ma erano situazioni poco importanti."

Karen raccolse un altro foglio. Questo era stato riempito con disegni a pennarelli. O meglio, con scritte coloratissime.

"Ti piacciono i colori, vero?" sorrise Karen.

Mel annuì.

"Come mai l'alfabeto e i numeri?"

L'agente scosse la testa. "Be'... quando mi hanno ritrovato non sapevo scrivere bene... così suor Romana mi faceva riempire un sacco di fogli con l'alfabeto latino. Mi permetteva di scriverli coi pennarelli perché così mi divertivo... Ogni tanto io mi mettevo a scrivere i numeri, mi piacevano di più."

Karen dispiegò altri due fogli. Su entrambi c'erano l'alfabeto e i numeri dallo zero al nove. Una veloce occhiata le permise di notare che molte lettere e tutti i numeri avevano lo stesso colore nei tre diversi fogli. "Ti capitano spesso sinestesie, Melody?"

"No... Ma... quei colori..." Indicò verso i fogli. "I numeri e le vocali, da quando io ricordo, sono sempre stati di quei colori. Le altre lettere talvolta cambiano... dipende." Sospirò. "E' da distorsione mentale grave, vero?"

"No, certo che no." Karen sorrise. "Ma è raro vedere sinestesie così radicate."

Karen appoggiò i fogli al tavolino, passando in rassegna altri disegni. Ne girò uno con disegnati degli occhi, alcuni umani, alcuni felini.

"Mi sento osservata." replicò Mel. "Sto diventando brava, eh?" chiese, con voce suggestiva.

Karen annuì.

"Posso andare?"

"Solo un momento. La nostra ora non è ancora finita."

Mel sospirò. "Karen, non è per te... sono convinta che fuori da questo ufficio potremmo essere amiche."

La donna annuì. "Lo so. Dimmi cosa c'è in questo periodo. Hai richiesto tu di riprendere le nostre sedute."

"Sì, be'... sono successe un po' di cose che sono..." fece un gesto con la mano. "...strane."

"Ad esempio?"

Mel sbuffò. "Ultimamente ho avuto un problema abbastanza grave. Lo sanno solo Skinner, Mulder, Dana e Oly. Sono... regredita all'età di quattordici anni."

La psicologa sembrò abbastanza sorpresa dal fatto.

"Non ricordo niente di quelle ore... Ero abbastanza fuori di testa, comunque. Mi hanno drogato per farmi diventare così. Ora... be'..." Sospirò. "Sono confusa. Ho quasi paura a uscire di casa... E soprattutto sono confusa dal punto di vista dei sentimenti."

"Ovvero?"

"Be'... credo che... insomma, sì, mi piacerebbe poter stare ancora con Oly. D'altra parte non ho voglia di..." Si bloccò.

"C'è stato qualcosa che non andava con lui?"

Mel alzò lo sguardo sulla psicologa, poi scosse la testa. "No, se non si conta che è più vecchio di me di ventun anni, che all'inizio mi ha aiutato a risolvere alcuni problemi e che... e che quando ci siamo lasciati lui continuava ad essere geloso..."

"In che modo era geloso?"

"Mah... niente in particolare. Non aveva un atteggiamento irritante. Però mi chiedeva spesso se tutto andava bene. Con Alex... non so... è come se sentisse che c'era qualcosa che non andava. Ma è sempre andato tutto bene con lui."

"Quali sono i problemi che ti poni ora?"

"A ritornare con lui? Che io vivo ad Annapolis e lui a New York?"

"La lontananza rafforza l'amore." disse Karen, sorridendo.

"Oppure lo distrugge." replicò Mel. "Lady Cocca e Lady Marian nel 'Robin Hood' di Walt Disney."

La psicologa rise leggermente e annuì.

"Non sono nemmeno sicura di voler tornare con Oly. A volte temo che lo farei solo per... non restare sola..." Mel scrollò le spalle. "Sono un po' confusa."

"E' normale." replicò la donna. "Per quanto riguarda lavorare sul campo?"

"Non credo che Skinner me lo permetterà per i prossimi mesi."

"Ti spaventa pensare di essere lasciata in ufficio?"

Carter scosse la testa. "Ho passato anni in ufficio. Non mi dispiace, adesso... anche se ogni tanto qualche uscita con Mulder e Dana me la farei... ma ho paura di mettere in pericolo loro e il caso." Mel guardò l'orologio. "Ti sto facendo fare straordinari che non ti pagano." disse, alzandosi.

"Non preoccuparti, se vuoi rimanere ancora un po'..."

"No, devo andare a casa a dare da mangiare alla gatta."

Karen sorrise. "Ti piace avere un animale per casa?"

Mel aprì la porta e sorrise all'altra. "E' meglio del sesso." La salutò con un cenno della mano e uscì.

 

***

Le note si susseguivano di ogni colore. Le più alte di un candido bianco di ali di angelo, le più basse scure come i pozzi senza luce. Le sinfonie di arcobaleni si rincorrevano in un rotolare di colori gialli e rossi. Le punte acute azzurre e blu spiccavano nell'uniformità beige dello spartito del musicista cosmico, intento a comporre la sinfonia dell'universo.

Una nota, un'anima.

Una chiave di sol a mettere tutti d'accordo. Una chiave viola, in alto sopra al mondo, a comandare su tutto.

I suoni morbidi di velluto si susseguivano in cicli di porpora e blu come il cielo di notte. Il verde, nei suoi colori del mare e della montagna, emanava onde di schiuma e suoni freschi, gorgoglio di acque tra i sassi, di nuvole spumose bianche, di stelle incerte al tramonto.

 

***

Appartamento di Joy Melody Carter, Annapolis

Venerdì, 17 dicembre 1999, 6:07 p.m.

"Enya!" chiamò Mel entrando in casa. "Enya?" C'era qualcosa di strano se la gattina non era arrivata come un razzo ad accoglierla sulla porta di casa. Mel estrasse la pistola, tenendola stretta nella mano. --Se qualcuno m'ha toccato Enya, lo ammazzo lentamente...-- pensò, mentre avanzava verso la camera da letto. "Metti giù la mia gatta." disse, senza abbassare la pistola.

"E' carina." disse lui, mentre la micia scivolava fuori dalla sua presa per andare a nascondersi dietro le gambe della donna.

"Non toccarla mai più."

"Non pensavo che non mi avresti nemmeno fatto accarezzare la tua gatta." disse con voce calma e tranquilla.

"Tu non devi nemmeno permetterti di entrare in casa mia."

"L'ultima volta che ti ho visto non eri di questa idea. Pensavi di avere quattordici anni."

"Vaffanculo, Krycek."

Lui si alzò in piedi, Carter fece un passo indietro tenendo la pistola puntata contro di lui.

"-Stai tremando.-" commentò lui, in russo.

"-Vattene.-"

"-Da quando hai ripreso a parlare russo così bene, devochka?-"

"Togliti dai piedi."

"Ho un messaggio per te." disse lui.

"Respinto al mittente."

"Non vuoi nemmeno sentire chi te lo manda?"

"-Net.- No."

"Mi manchi, lo sai?"

"Non mi interessa. Vattene."

"Il fumatore vorrebbe parlarti."

Mel scosse la testa. "Io no."

"E' un uomo potente e un gran figlio di puttana."

"Fuori dai piedi."

"Joy, se lui vuole qualcosa, la otterrà. Stai attenta." Si avvicinò alla porta. "E stai attenta anche a Svanzen."

"Devo starci attenta perché è un uomo in gamba, dolce e attraente?"

Krycek emise una leggere risata sarcastica. "Un uomo..." Scosse la testa.

Mel lo guardò uscire dalla porta, quindi tirò un profondo sospiro di sollievo. Ringuainò la pistola, quindi si abbassò per prendere in braccio la gatta. La strinse dolcemente a sé, lasciando che la piccola strofinasse la fronte sulla sua spalla. "E' difficile, Enya..."

 

***

La sensazione sui polpastrelli aveva un colore marrone chiaro e grigio scuro. L'idea di una carta ruvida dal suono continuo, monotono e scordato, trasudava di colori opachi e scuri. La stoffa era ruvida come canapa, come le parole di un superiore adirato.

Imboccare la porta, uscire, rifugiarsi nel proprio ufficio, sedersi alla scrivania, abbassare lo sguardo e appiattire le mani sul piano lucido della scrivania. Liquido. Marrone scuro come la cioccolata calda, nei giorni freddi di Natale, le luci dell'albero lampeggiano colorate e sorridenti, le bocce di cristallo scintillano di contenti e soddisfatti rosso e oro.

Poi guardare l'orologio, il ticchettio bianco e nero della lancetta dei secondi si fonde coi rumori grigi della strada piena di smog unto e spesso, monotono come il suono di un metronomo lasciato da solo in una stanza senza musicisti. Vedere le ore, le bellissime cinque di sera, dal colore ocra, decorate di azzurro, prendere la giacca e uscire, nel caos viola e nero della sera.

 

***

Appartamento di Joy Melody Carter, Annapolis

Sabato, 18 dicembre 1999, 8:09 p.m.

<<Lovers in the long grass

Look above them

Only they can see

Where the clouds are going

Only to discover

Dust and sunlight

Ever make the sky so blue>>

--Finalmente la mia umana domestica ha smesso di parlare con la banana bianca... 'telefono' lo chiama lei... e ha messo su una bella musica. Mi ha detto che l'umana che canta si chiama come me. Mah. Non ne sono così tanto convinta. Non mi pare che lei dica 'Firsa'.--

<<Afternoon is hazy

River flowing

All around the sounds

Moving closer to them

Telling them the story

Told by Flora

Dreams they never knew.>>

"Enya?" Joy Mel attendeva con un pezzetto di pollo cotto al vapore in mano. "A che stai pensando?"

--Ops. Devo aver divagato un po'. La mia umana domestica mi sta guardando con aria interrogativa. Meglio mangiare il pezzetto di pollo che ha in mano, prima che pensi che non ho fame e metta via tutto. Buono... Strizzo gli occhi, così lei sorride. Mi piace questa tipa. Ecco, mi chiama Enya, come la cantante. La guardo con gli occhi tutti aperti, la testa un po' inclinata, così lei sorride ancora e mi dà del pollo. Sì, una brava umana domestica. Forse questi umani non sanno dire i nostri nomi di cuore, per cui lei invece di chiamarmi Firsa, ha scelto un nome di faccia per me. Enya. Un bel suono. E le canzoni mi piacciono.--

<<Silver willows

Tears from Persia

Those who come

From a far-off island

Winter Chanterelle lies

under cover

Glory-of-the-sun in blue>>

--Ok, basta pollo. Non c'è un po' di quella crema?...--

"Panna, Enya?" Joy Mel prese un po' di panna da un vasetto sul tavolino accanto al divano. La gattina si premurò di ripulire perfettamente il cucchiaino di plastica.

<<Some they know as passion

Some as freedom

Some they know as love

And the way it leaves them

Summer snowflake

For a season

When the sky above is blue

When the sky above is blue>>

--Vedo che ci capiamo. Sì, direi proprio che con questa umana domestica si può vivere bene. Basta che qui nella mia casa non entri più quel tizio alto e magro. E' antipatico, ha le mani di temperature diverse. Ha il fare da ratto. Era più simpatico quell'altro, il tizio che sta sempre assieme alla rossa.--

"Enya, ti piace questa canzone?"

--Strizzo gli occhi, alzo il mento e miagolo, vediamo se mi capisce... gli umani in generale sono abbastanza ritardati, non riescono a capire quando parliamo.--

"Be', allora la risentiamo da capo."

--M'ha quasi capito. Be', non c'è male. Peccato che io intendevo 'sì, mi piace, ma è la dodicesima volta di fila che la sentiamo, se ne può sentire un'altra?' Adesso prende in mano la banana argentea e torna indietro. Sì, bella canzone. Però tredici volte di fila...--

Carter si mise a grattare la testa della gatta, passando alla schiena, quindi alla gola.

--Mhm... be', se questa canzone mi fa mangiare pollo e crema e lei si mette ad accarezzarmi così, potremmo anche sentirla quindici o sedici volte...--

"Enya?"

--Mhm?... Un po' più su...--

"Sai che a volte ho proprio l'impressione che tu stia pensando e che mi capisca perfettamente?"

--Embe'?--

 

***

Bonnie's Boutique

Sabato, 18 dicembre 1999, 3:21 p.m.

"Ho idea che creperai di freddo con quel vestito..." Mel osservò le spalline sottili dell'abito che Dana Scully stava provando.

"Dici?" replicò lei, guardandosi con occhi critici.

"M-hm..." Si girò verso lo zainetto che era appoggiata accanto a lei sulla poltroncina rosa del negozio. "Tu che ne pensi, Enya?"

La gatta, con la testa che sbucava dall'apertura, guardò Scully, mosse l'orecchio sinistro, quindi si reimmerse nel caldo dello zainetto.

"Enya ha detto che fa schifo."

Dana scoppiò a ridere. "Sei incredibile, Mel."

"Perché ti riferisco i pareri che dà la mia gatta o perché me la porto in giro?"

"Entrambe le cose, immagino."

Carter si alzò in piedi e prese uno degli abiti che aveva scelto per sé. "Iniziamo la tortura." sospirò, entrando nel camerino. "Tra poco" continuò a parlare dall'interno. Quando uscì dal camerino, Scully la guardò alzando un sopracciglio.

"Che c'è?"

"Non è un vestito da capodanno."

Carter si mise accanto a lei, per vedersi allo specchio. "No?"

"Per niente." Dana le sistemò la scollatura e la targhetta che le usciva dalla scollatura posteriore del vestito. "Così va già meglio."

"Fa schifo."

"No, è bello. Devi solo... mhm... dovresti farlo stringere un po' sui fianchi."

"E' largo. Sembra una campana."

Enya emise un miagolio sconcertato. Le due donne si girarono verso di lei. La gatta aveva sulla faccia un'espressione sconvolta e schifata.

"Nemmeno a Enya piace." replicò Carter, rientrando nel camerino.

"Se andiamo avanti di questo passo, compreremo i vestiti per il capodanno 2001."

"Il vero inizio del Millennio." fece lei, uscendo. "Questo va decisamente meglio."

Scully annuì. "Tranne la targhetta che esce dal colletto, le maniche infilate storte e la gonna lunga dieci centimetri di troppo." L'aiutò a sistemarsi, quindi annuì. "Questo ti sta bene."

"Vieni da me, la sera del 31, così mi aiuti a vestirmi?"

Scully rise. "D'accordo. Hai pensato cosa fare per Natale?"

"Be'... sì... Andrò al Froebel a festeggiarlo... come tutti gli scorsi anni."

Dana annuì, sorridendo.

"Grazie dell'invito, comunque..."

"Figurati." Scully sorrise. "Comunque, se per caso ci ripensi, puoi anche farmelo sapere all'ultimo momento."

Carter annuì. Quindi sospirò. "Io odio comprare vestiti. Perché insisto a farlo?"

Scully la osservò per qualche minuto. "Andiamo."

"Dove?" replicò Carter, prendendo lo zainetto.

"Vedrai." Scully ripose i quattro abiti che avevano provato, quindi uscirono dal negozio.

 

***

Una piccola fiamma blu risplendeva al centro del candore di cera, ai piedi dell'alta montagna di suoni turchesi e celesti. Blocchi di nuvole di bianchi silenzi interrompevano la scalata, portando scompiglio sul perfetto pentagramma universale. Le note nere e blu crollavano a terra, sopra le fiammelle, in cumuli dispersi e afoni, senza ordine né successione. Qualcuna rimbalzava fuori dalla ringhiera, o scivolava oltre le sbarre, finendo con un suono umido, sottile e grigio, dentro una pozzanghera marrone e liscia. Le increspature formavano onde sonore lievi, morbidi e arancioni cerchi concentrici dal suono di un giradischi d'epoca e dal sapore impercettibilmente dolce.

 

***

Giorgia's Music Shop

Sabato, 18 dicembre 1999, 4:04 p.m.

<<Ergo

Radius solis

Et umbra,

Ignis, aqua

Caelum, luna,

Terra, stella,

Hiems et aestas,

Autumnus et tempus vernum...>>

--Sarebbe un posto interessante, se le due tipe qui non se ne stessero ferme, sedute sulle poltroncine con delle cose nere sulle orecchie. La mia umana è simpatica e dolce, ma tra lei e la rossa non so chi sia più anormale. Ci sono tantissimi quadrati qui intorno. So che sono quei contenitori da cui la mia umana domestica prende dei cerchi che mette in quel coso da cui poi esce musica. Qui ce ne sono molti di più che a casa mia. E quindi non riesco a capire perché le due umane stanno qui sedute a far niente, invece di guardarli. Come sono strane. Oh, be'. Appoggio il mento alla gamba di Mel (così si chiama la mia umana domestica) e sonnecchio.--

"Che cosa stai ascoltando?" chiese Scully, aggiustandosi le cuffie.

"'Tempus Vernum' di Enya."

"Ma non hai appena comprato il CD?"

"Eh... Ma è bella."

Scully rise e scosse la testa. "Prova a sentire il CD dei Cranberries. E' bellissimo."

Mel si tolse le cuffie e le mise vicino alla testolina di Enya. La gatta aprì gli occhi.

--Musica. Ah, be', questi umani sono strani, ma trovano musica ovunque.--

Enya strizzò gli occhi in apprezzamento. Mel prese un'altra cuffia e iniziò ad ascoltare 'Just My Imagination' dei Cranberries.

"E' bella." disse Mel. "Non è che tra un po' ci cacciano fuori? Siamo qui da quasi venti minuti..."

"No, ci possiamo stare finché chiudono."

<<Lovers in the long grass

Look above them

Only they can see

Where the clouds are going

Only to discover

Dust and sunlight

Ever make the sky so blue>>

--Mel! Ancora 'Flora's Secret'. E' ora del pollo e della crema! Salto sulle quattro zampe e inizio a miagolare.--

"Che cos'ha?" chiese Scully.

"Ha fame." sospirò Mel.

"Vuoi che andiamo?"

"Forse è meglio." Mel mise la gatta nello zaino, quindi raccattò una copia del CD dei Cranberries e si diresse verso la cassa.

 

***

Ufficio degli X-Files

Mercoledì, 22 dicembre 1999, 11:21 a.m.

Mel bussò sulla porta che si aprì al suo tocco. "Si può?" chiese, entrando lentamente. L'ufficio era vuoto e si chiese come mai la porta era aperta, conoscendo quanto paranoico fosse Mulder.

"Svetlana."

Carter fece un balzo e si girò di scatto, sfoderando la pistola.

L'uomo sorrise. "Gli agenti Mulder e Scully sono a fare un sopralluogo. Non credo che ti inviteranno."

"Sono io che li ho invitati a una festa, non loro. Senti, che vuoi?"

"So che Alex non è riuscito a parlarti, ieri."

"E non ci riuscirai nemmeno tu." Fece per uscire dall'ufficio, ma lui le bloccò la strada.

"Non dirmi che ce l'hai ancora con me per quello che è successo anni fa..."

Mel alzò le spalle. "Indovina."

"Ho bisogno di un favore."

"Perché non lo chiedi a Krycek?"

"Perché lui non sa quello che sai tu."

"E io cosa saprei in più di lui?"

"Sai parlare il Canto Comune."

"Io non so parlare il Canto Comune." Lo superò e andò verso le scale.

"Non te lo ricordi, forse, ma lo conoscevi bene, un tempo."

"Non mi interessa."

"In questo caso, Mel, dovrò chiedere a Jennifer Robertson."

Carter si fermò e si girò. "Tocca Jenny e non m'importa di chi sei padre, ti ammazzo con le mie mani."

L'uomo sorrise leggermente. "Anche se non sei sua sorella, assomigli molto a Mulder." Avanzò lentamente verso di te. "Non voglio che vieni con me solo per Jenny."

"Ah no?"

"No. So dov'è tua madre." replicò lui. "E posso fartela incontrare."

Lei non parlò.

"Jennifer verrà lasciata tranquilla. Tu rivedrai tua madre. Staremo via per poco."

"Di che cosa hai bisogno?"

"Vieni. E te lo mostrerò."

Lei scosse la testa. "Chi ti dice che sono interessata a rivedere mia madre?"

"Andiamo, Mel, lo sappiamo bene entrambi che lo vuoi." sorrise.

"No, non è vero."

"E invece non vedi l'ora."

Mel scosse la testa. "No."

"Ti conosco, Svetlana. Sono pur sempre tuo padre." Le sorrise, quindi iniziò ad allontanarsi. "Vorrei solo che tu venissi in un posto, senza portartici con la forza."

Carter sospirò. Quindi lo raggiunse. "Devo tornare a casa prima, ho bisogno di fare una cosa... urgente."

"Dire alla tua vicina di casa se ti tiene la gatta?"

Mel lo guardò sgranando gli occhi e si fermò. "Come diavolo sai che ho una gatta?!"

L'uomo rise. "Avanti, non è poi così difficile da immaginare."

"Tu mi spii!"

"No, solo mi assicuro che tu stia bene. Ti ho visto in giro con la gatta."

Mel scosse la testa. "Sei proprio uno stronzo."

 

***

In volo sopra la Virginia

Mercoledì, 22 dicembre 1999, 7:07 p.m.

"Ti vedo pensierosa, Svetlana." disse l'uomo, sedendosi accanto a lei.

"Mi sto ancora chiedendo che vaccata ho fatto."

L'uomo le passò un bicchiere. "Quando tua madre è rimasta incinta ho pensato anch'io di aver fatto una vaccata. Eppure, adesso non la penso più così."

"Ah, davvero?" fece lei, bevendo l'acqua. "E per quanto tempo l'hai pensato? Fin quando non hai scoperto che ti servivo?"

"Hai un carattere più difficile di tuo fratello, lo sai?"

Mel lo guardò incuriosita e decisamente sconcertata. "Mio *fratello*?"

"Jeffrey."

Carter scattò in piedi e si diresse verso il fondo della fusoliera, dove c'era la porta d'uscita.

"Svetlana, dove vuoi andare? Siamo in volo."

Mel si fermò davanti alla porta. Sarebbe stato naturalmente impossibile aprirla... ma ora...

L'uomo le pose una mano sulla spalla. "Pensavo che lo sapessi."

Mel si girò verso di lui: "Jeffrey Spender?"

Lui annuì. "Mio figlio."

"Anche lui?"

L'uomo rise. "Già. Ero sposato con sua madre."

"Ah, già..."

"Siediti."

Mel scosse la testa. "Voglio scendere."

"Ti tiri indietro?"

"Sì, voglio tornare a casa."

"Non hai pensato a Jenny?"

Mel si girò, dandogli le spalle. "Bastardo ricattatore." disse.

"Adesso siediti." ripeté lui.

Carter tornò al suo posto sull'aereo deserto, quindi bevve un sorso d'acqua.

"Pare che l'agente Scully non ti abbia messo al corrente di molte cose."

"Lei che ne sa?"

"Ben poco... ma questa cosa la sapeva."

Mel annuì. "Non vedo più Jeffrey da mesi, ormai."

L'altro non rispose, ma riprese il discorso da dove l'aveva lasciato. "Ho scoperto che non eri un errore quando ti ho visto per la prima volta. Avevi un mese. Tua madre era felice."

Lei annuì. "Senti, ti dispiace lasciarmi sola, ora?"

Il fumatore scosse la testa, si alzò e andò a sedersi poco più avanti sull'aereo vuoto.

 

***

La Base (distaccamento 1, Trinity Forest - Virginia)

Giovedì, 23 dicembre 1999, 7:07 p.m.

"Ho una vaga sensazione di dejà-vù." disse Mel, camminando accanto al padre per i corridoi.

"Siamo arrivati." disse lui, aprendo la porta con una tessera magnetica.

"Potrò uscire, se entro?"

Lui annuì. "Naturalmente."

Carter fece un passo avanti, quindi sentì la porta fare un secco rumore metallico per chiudersi alle sue spalle. Rabbrividì e avanzò lentamente nel corridoio del secondo sottolivello. Il fumatore le teneva aperta una porta. Mel entrò lentamente, osservando la grossa gabbia di metallo posata su un tavolo in fondo alla piccola stanza. Si sedette su una delle due sedie davanti alla gabbia e avvicinò la mano alle sbarre. Il gatto, furioso, saltò verso di lei, urlando, graffiando e soffiando, con il pelo irto e le pupille dilatate. Carter ritrasse di colpo la mano.

"Che gli hanno fatto?"

L'uomo si sedette accanto a lei. "L'hanno lasciato vivo. Stranamente."

"Chi?"

"Loro."

"Loro?"

"Non fare troppe domande, Svetlana."

"Mel Carter." replicò lei.

Lui annuì. "Mi spiace non averti potuto dare il mio cognome, lo sai?"

"Spender?" fece lei, riportando l'attenzione sul gatto. "No, grazie, preferisco avere il nome di una via." Il gatto continuava a guardare minaccioso fuori dalla gabbia. "Loro... Loro chiunque siano, di solito li uccidono, vero?"

"Gli animali sì. Gli uomini no."

"Che differenza c'è?"

Lui non rispose, ma sorrise. "Ho bisogno di sapere un formula."

"Chimica?"

Lui annuì.

"E questo gatto incazzato la conosce?"

"Credo proprio di sì."

Mel gli lanciò uno sguardo scettico. "Normale."

"E' questione di ricordi, Mel. Su di loro non intervengono con la cancellazione dei ricordi."

Carter sospirò. "D'accordo. Ho bisogno di tempo. Di un lettore CD e di pace. Afferrato?"

 

***

La Base (distaccamento 1, Trinity Forest - Virginia)

Venerdì, 24 dicembre 1999, 11:29 p.m.

<<Here am I

Yet another goodbye!

He says Adiós, says Adiós,

And do you know why

She won't break down and cry?

she says Adiós, says Adiós, Goodbye.

One by one my leaves fall.

One by one my tales are told.>>

Sprofondata nella poltrona su cui era stata a dormire la notte precedente, con una coperta di lana avvolta intorno alle spalle, Mel ascoltava senza parlare le note di Enya. Accarezzava lentamente la testa del gatto, massaggiando lentamente la schiena.

Sorrise, sentendo le fusa sollevarsi dalla gola dell'animale in dormiveglia.

Lo accarezzò sulle orecchie e sulle guance, quindi prese una delle zampe tra le mani, sentendo al tatto i cuscinetti morbidi.

<<It's no lie

She is yearning to fly.

She says Adiós, says Adiós,

And now you know why

He's a reason to sign

She says Adiós, says Adiós, Goodbye.>>

Chiuse gli occhi e ripensò a tutte le volte che aveva associato un suono a una sensazione tattile o a un colore, quanti di quei sogni aveva fatto.

Le sembrava di poterlo sentire al tatto il nero del pelo del gatto, con le piccole macchie bianche sotto il mento e sulle zampe.

Un leggero battito arrivò dalla porta.

"Avanti." disse lei, tranquillamente.

Il fumatore entrò, guardando la gabbia vuota e il gatto sulle ginocchia della ragazza.

"Dunque?"

Lei gli porse un foglietto stropicciato, su cui c'era una scritta.

"Questa?"

"E' quella che si ricorda. Io spero solo che non sia niente per cui mi debba pentire di avergliela chiesta."

L'uomo scosse la testa. "Non te ne pentirai." Guardò il gatto. "Come ci sei riuscita?"

Lei sorrise. "Musica, pazienza e amore."

Si mise in piedi, lasciando al gatto la poltrona e la coperta.

<<My, oh my!

She was aiming too high.

He says Adiós, says Adiós

And now you know why

There's no moon in her sky

he says Adiós, says Adiós, Goodbye.>>

"Ho da chiederti un'ultima cosa." fece lui.

"Vorrei solo..."

"E' solo una proposta." la interruppe lui. "Ho cercato a lungo qualcuno che potesse succedermi."

Lei gli lanciò uno sguardo interrogativo.

"Jeffrey, Diana... Alex."

Carter sospirò.

"Persino l'agente Scully."

"Dana? Per quale ragione?"

"E' una scienziata, una donna in gamba. Ma non ha interesse in fare quello che faccio io."

"Cosa ti fa pensare che io ne abbia?"

L'uomo scrollò le spalle. "Non è importante questo. Vorrei solo sapere se ti andrebbe."

Lei scosse la testa. "No. No, io voglio solo vivere una vita normale. Ti chiedo di lasciarmela vivere. Non cerco di essere una supereroina, né la donna che salverà il mondo. E poi... tu stai per andare in pensione?"

L'uomo sorrise leggermente. "Sto per morire." disse.

Il sorriso sarcastico di Carter svanì. "Prendi in giro?"

"No. Un'operazione al cervello andata storta."

Mel sospirò. "Oh Dio... chi lo pensava di trovarsi in questa situazione..."

"Be', non pensarci. C'è di peggio, Mel."

Lei alzò lo sguardo, aveva gli occhi lucidi. "Eh, be', almeno vedo che la prendi bene." Si avvicinò a lui leggermente. "Però tu in fondo sei mio padre."

"In fondo." replicò lui.

Lei annuì e l'abbracciò, mentre non riusciva a fermare le lacrime.

<<No Goodbyes

For love brightens their eyes

Don't say Adiós, say Adiós,

And do you know why

There's a love that won't die?

Don't say Adiós, say Adiós, Goodbye.>>

"Non piangere." le disse lui. "Non c'è niente da fare. Non possiamo recuperare il tempo perso."

Lei scosse la testa. "C'è stato troppo poco tempo." disse. "Troppo poco tempo."

"Lo so. Non sprechiamo quello che abbiamo ora." Le mise un braccio sulle spalle. "Tua madre ci aspetta."

 

***

In una casetta vicino alla Base 1

Sabato, 25 dicembre 1999, 1:12 a.m.

Carter rimase incantata a guardare il grande albero che si ergeva in mezzo alla sala, accanto alla tavola apparecchiata. Non aveva mai avuto un albero tutto per sé, tanto meno uno così bello.

Osservò le bocce di vetro, le ghirlande smerigliate, le luci colorate. Ogni boccia era particolare, ogni luce si rifletteva in modo diverso, ogni ramo era carico di bellissimi decori.

"Ti piace?"

Melody si girò di scatto sentendo la voce di donna. "Tu... tu sei quella che mi ha fatto scappare dalla Base." disse. Spalancò gli occhi, guardò suo padre, quindi riportò l'attenzione sulla donna. "Mamma?"

 

***

In una casetta vicino alla Base 1

Sabato, 25 dicembre 1999, 5:25 a.m.

Lilia osservò la figlia sorridente, addormentata sul divano: aveva un aria tranquilla, pacifica. Raccolse la fotografica istantanea che aveva scattato quando si erano seduti a tavola. Sembrava una famiglia felice, in realtà erano solo tre semi-sconosciuti con una relazione stretta di sangue.

Il fumatore le mise una mano sulla spalla. "Lilia, è ora."

"Non possiamo aspettare ancora un po'?"

Lui scosse la testa.

"D'accordo." Sospirò. "Mi dispiace lasciarla."

"Lo sai che è per il suo bene."

Lei annuì. "E' fuori, allora?"

"Per sempre. Andiamo."

 

***

In una casetta vicino alla Base 1

Sabato, 25 dicembre 1999, 8:07 a.m.

Carter aprì gli occhi, ritrovandosi davanti l'immenso albero di Natale. Non era un sogno. Si mise a sedere. La tavola era stata sparecchiata e c'era solo una busta sul tavolo.

Mel sospirò. Aveva la netta sensazione di essere stata abbandonata un'altra volta. Si alzò e prese in mano la busta. Era bianca. L'aprì e ne estrasse una foto in bianco e nero: una donna teneva in braccio una neonata. Mel Girò la foto. Sul retro c'era una scritta in russo:

"A moia s[na, Joi Melodi Karter - Lilia Tereskova "

[A mia figlia, Joy Melody Carter -- Lilia Tereskova]

Mel ripose la foto nella busta, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. Prese la giacca e uscì dalla baita.

Il conto col passato era stato saldato. Da entrambe le parti. Ora doveva guardare al futuro. Camminò in mezzo alla foresta innevata, verso una nuova vita.

 

***

Abitazione di Margaret Scully, Baltimora, Maryland

Sabato, 25 dicembre 1999, 6:29 p.m.

Dana aprì la porta e abbracciò l'amica. "Sono contenta che tu sia venuta!"

Mel ricambiò l'abbraccio. "Non ti dispiace se ho portato un'amica, vero?"

Scully rise. "No, entra. Dov'è Enya?"

"Oh, temo che sia già schizzata dentro alla ricerca di un posto senza quella 'strana roba bianca gelata'."

Infatti la gatta era seduta davanti al camino, mentre qualcuno già la guardava stranamente.

"Va tutto bene, Mel?" le chiese Scully, mentre l'accompagnava verso la sala da pranzo. "Sono tre giorni che ti cerco..."

Lei annuì. "Tutto bene." Tirò fuori dalla tasca la foto.

Dana guardò la foto. Alzò lo sguardo e sospirò. "E' tua madre?"

Lei annuì. "Da oggi sono libera. Non rivedrò più mio padre, e nemmeno mia madre."

"Mi spiace..."

Mel sorrise. "Be', almeno posso rifarmi una vita."

Un uomo sorridente apparve sulla soglia dietro Dana, chiamandola. "Ehi Doc, la mamma..." Si fermò di colpo, vedendo che Scully stava parlando con Carter. "Uh... Doc, non... non mi presenti la tua amica?" Lei sorrise e si girò leggermente. "Melody, lui è mio fratello Charlie. Charlie, lei è Mel Carter."

La ragazza sorrise e gli strinse la mano. "Quella davanti al fuoco è quell'insolente della mia gatta." disse. "Adesso vado a riprenderla."

"Ma no, perché? Lasciala lì, se vuole scaldarsi." Un bambino si aggrappò alla sua gamba. "Oh, chi c'è qui? Matthew! Che strano che sei tra i piedi!" esclamò Charlie, prendendo in braccio il bambino. "Andiamo che ti riporto dalla mamma." Sorrise a Mel e si allontanò.

Carter ricambiò. "Hai una bellissima famiglia, Dana."

Scully sorrise. "Sì." annuì. "E' vero."

Carter la guardò curiosa: "Doc?"

Dana rise. "Dottoressa. Mi chiama così da vent'anni."

"Matthew è suo figlio?"

Scully scosse la testa. "No, Charlie non è sposato. Matthew è figlio di Bill. Vieni che ti presento gli altri."

 

***

Abitazione di Margaret Scully, Baltimora, Maryland

Sabato, 25 dicembre 1999, 10:13 p.m.

Matthew stava giocando con Enya e, mentre la gattina cercava di zampettare lontano dal bambino e dai troppi piedi che la circondavano, Melody si stava preparando per tornare a casa. "Mulder?"

"Lui e Bill non vanno molto d'accordo." sussurrò Scully. "Ha detto che andava da sua madre a passare il Natale."

"Già." fece lei. "Immagino che non sia vero."

"Infatti. Gli ho telefonato questo pomeriggio ed era a casa."

"Magari faccio un salto a trovarlo. Se non ti dispiace."

"Perché dovrebbe dispiacermi?" ribatté Scully, troppo in fretta.

Mel la guardò sorridendo. "Devo raccattare la mia gatta."

Charlie apparve sulla soglia come per magia, con in braccio il felino incriminato. "Stai già partendo?" chiese.

"Sì... devo... passare anche da un collega."

Charlie le sorrise e le passò la gatta. "Magari ci rivediamo in seguito."

"Sì, sarebbe bello."

Dana osservò i due per qualche istante. Quindi disse: "La mamma mi ha chiamato. Charlie perché non accompagni tu, Mel?"

I due si girarono verso di lei.

"Ah, ma... ho lasciato la macchina qui vicino... non ce n'è bisogno..." balbettò Mel.

"Ma è buio!" esclamò Charlie.

Dana sorrise e abbracciò l'amica, baciandola sulla guancia. "Ci vediamo prima di capodanno per comprare i vestiti, allora?"

Carter annuì, un po' sconcertata. "Ok."

Scully grattò la testa a Enya, che si sporse dalle braccia di Mel per riuscire a prendere più carezze.

Charlie si infilò velocemente la giacca e aprì la porta perché la ragazza passasse. "Grazie." fece Mel, uscendo. L'aria della sera era fredda e pungente e Mel avvolse un lembo della sciarpa di pile intorno a Enya.

"Io e Doc... io e Dana... non ci incontriamo molto spesso, purtroppo." disse Charlie, camminando al suo fianco.

"Mi spiace." fece lei. "Dev'essere bello avere dei fratelli, comunque."

"Sì, molto." Charlie annuì. "Tu sei figlia unica?"

'No.' stava per dire. "Non lo so. Non ricordo la mia famiglia." L'avrebbe dimenticata, si disse.

"Oh... mi spiace."

Mel scrollò le spalle. "Ah... ecco la mia macchina." Gli sorrise. "Grazie per..." fece un gesto con la mano per indicare il percorso.

"Prego, figurati... noi... io... adesso sarò in Maryland per qualche tempo..."

Mel sorrise. "E' una bella notizia."

Lui annuì. "Sì... infatti... mhm... se... se... venissi qui per il pranzo di capodanno... saremmo contenti."

Carter sorrise. "Grazie."

"Sì... Be', di niente... so che tu e Dana siete molto amiche... e volevo chiederti se magari ci possiamo tenere in contatto."

Mel rimase senza parole per qualche istante. "Oh... sì..." Aprì la porta e infilò la gatta nell'abitacolo. Quindi estrasse dallo zainetto un biglietto da visita e glielo porse. "Il mio numero di telefono."

"Grazie" sorrise Charlie. Frugò nella tasca della giacca per qualche istante, quindi le porse il proprio biglietto.

"E' meglio che rientri." fece Mel. "Qui fuori fa così freddo."

Lui annuì e le sorrise. Quindi si incamminò verso la casa. Carter si sedette in macchina e stette a guardarlo finché non sparì dietro la porta. Quindi Enya si mise a miagolare insistentemente.

"Cosa?" fece Mel, ingranando la prima e partendo.

"Miao." rispose la gatta.

"Certo." fece lei. "Andiamo da Mulder, adesso."

 

***

Appartamento di Fox Mulder, Alexandria, Virginia

Sabato, 25 dicembre 1999, 10:56 p.m.

"Carter! Che ci fai qui?"

"Avevo un sacchetto di spazzatura da buttare." fece lei.

Mulder scosse la testa. "Entra. Com'è la temperatura, fuori?"

"Odiosa." Mel appoggiò lo zainetto sul tavolino da caffè e si tolse la giacca. "Non pensavo di trovarti. Dana mi ha detto che eri andato da tua madre."

"Mhm... no... è... non... non sono potuto andare lei... andava da amici e..." Indicò il divano. "Siediti." Si mise accanto a lei e guardò Enya che sbucava dallo zainetto. "Te la porti ovunque?"

"Sono stata a casa della madre di Dana, mi dispiaceva non portarla alla festa..."

La gattina uscì, zampettò fino al bordo, prese la mira e saltò in braccio a Mulder, scivolando però sul ginocchio e rischiando di cadere. Fox la prese al volo, tirandosela in grembo e iniziando ad accarezzarla.

"Dana ha una bella famiglia."

Mulder annuì. "Avresti dovuto conoscere sua sorella. Era una ragazza fantastica."

Carter sospirò. "Mulder?"

"Che c'è?" L'uomo alzò lo sguardo sentendo il tono leggermente imbarazzato di lei.

"Ho un po' di cose da dirti." fece lei, iniziando a grattare la gola di Enya. "Spero solo che non cambierai opinione su me..."

"Non può peggiorare, hai già raggiunto il fondo." scherzò lui.

Mel sorrise. "Non vorrei cominciare a scavare."

"Non lo farai."

Lei sospirò. "Ho incontrato i miei genitori, la scorsa notte. Sono mezza sorella di Jeffrey Spender." disse.

"Vuoi dire che tua madre è Cassandra Spender?!" esclamò Mulder.

"No, che mio padre è C.G.B. Spender, o Raul non-so-come."

Fox ebbe un sussulto e Enya balzò via dalle sue mani per rifugiarsi in grembo a Mel. La donna sospirò. "Ho piantato la punta del badile a terra, vero? Mi ha detto chi è."

"Che cosa hai..." Mulder scosse la testa. "Scusa."

"Mi stavi chiedendo cos'ho fatto per lui?"

Mulder annuì.

"Gli ho tranquillizzato un gatto, e ho scritto una formula chimica che il gatto s'è ricordato."

"A cosa gli serviva?"

"Non lo so. Ma lui... mi ha minacciato dicendo che altrimenti si sarebbe servito di Jenny. Comunque gliel'ho scritta sbagliata, tanto il gatto mica ha una memoria fotografica per forza..."

"Tipico." replicò Mulder, lasciandosi andare a un sorriso sarcastico. "Quello minaccia pure i suoi stessi figli."

"Ho anche rivisto mia madre."

Mulder si girò verso di lei. Mel sembrava serena. "Sono contento per te." replicò dolcemente. "E' come la ricordavi?"

Mel scrollò le spalle. "Non la ricordo molto, in realtà. E' la donna che mi ha fatto scappare dalla Base... non l'avevo riconosciuta." Sospirò. "Mulder, non so se lui sia un uomo di parola. Ma se lo è... sono libera."

Fox le mise un braccio intorno alle spalle. "Sono contento per te." Accarezzò la schiena di Enya.

"Grazie." sussurrò lei. Si sporse verso lo zaino, tirò fuori un pacchetto avvolto in una carta rossa, verde e oro e glielo porse. "Buon Natale, Foxino."

"Oh Mel... io non t'ho comprato niente."

"Non ce n'è bisogno."

Mulder aprì il pacchetto e estrasse il CD di Enya. "Grazie." fece. "Immagino che sia bellissimo."

"E' fantastico." replicò Carter. Si alzò. "Ci vediamo a capodanno, allora?"

"Non so se verrò alla festa."

"E dai, fallo per Dana, almeno. O per me, come regalo."

"Ah, aspetta, tu compi gli anni il 30..."

"Sì, li compio." sorrise e si alzò in piedi. "Adesso è meglio che vada."

"Ne compi trentuno, vero?"

"Ciao, Mulder, ci vediamo all'FBI." Chiuse la porta dietro di sé.

 

***

Quartier Generale dell'FBI, Washington

1° gennaio 2000, 1:12 a.m.

Qualcuno era già tornato a casa, qualcun altro non era nemmeno venuto. Era andato a feste di amici o era stato in casa a festeggiare il 2000 con la moglie e i figli. Buon per loro.

Mentre ballava un lento abbracciata a Svanzen, Carter si chiese come mai, però, Scully non era arrivata. Non si era meravigliata che Mulder mancasse all'appello. Skinner stava parlando e ridendo in fondo alla sala e Carter pensò che dovesse aver bevuto qualche goccio di troppo per essersi lasciato andare a una risata in pubblico.

"Che strano." sussurrò.

"Mhm?" fece Svanzen.

"Sembri un morto vivente." replicò lei.

"Grazie."

"Prego."

"Be', che strano cosa?"

"Pensavo a Dana."

"Sarà con Mulder." replicò Oliver.

"Sì, probabile. O con i suoi."

"Sì, è con Mulder." ribatté Svanzen.

"Come?"

Oliver la fece girare su se stessa. Mulder e Scully erano appena entrati, vestiti in abiti comodi e Mulder aveva un braccio fasciato. "Moj Bog." sussurrò Carter.

Svanzen rise.

"Dana non s'è messa il vestito che abbiamo comprato assieme." disse lei.

"Perché, tu l'hai messo?"

Mel si girò. "Grazie per la splendida serata, Oly."

Lui annuì. "E' stato un piacere."

Si scambiarono un bacio sulle labbra, quindi Svanzen la guardò allontanarsi. "Il cupido rompiballe all'attacco." sussurrò. Rise, quindi decise che era meglio ridere con Skinner che da solo.

"Ehi ragazzi." sorrise Mel, arrivando direttamente davanti a Mulder e Scully. "Che è successo?"

Mulder le sorrise. "Un caso problematico."

"Ve l'ho detto che è pericoloso fare certi giochi a letto..."

"Carter!" esclamarono i due assieme.

Mel rise. "E dai scherzavo. Piuttosto..." Alzò lo sguardo e indicò la traversa della porta.

Mulder e Scully seguirono lo sguardo di lei. Proprio sopra di loro era appeso un rametto di vischio. Mel li baciò entrambi sulla guancia. "Felice anno nuovo." disse. "Ora tocca a voi." Quindi sorrise e li lasciò soli, avviandosi verso Svanzen e Skinner.

Mulder guardò Scully: "Non perde un colpo, vero?"

Scully sorrise. "Uno l'ha perso... uh... qui dentro fa caldo, usciamo un po' sul terrazzo..."

Mel osservò i due agenti uscire sul terrazzo e chiudersi la porta alle spalle. Non si tenevano per mano, ma poco ci mancava. Carter aveva un sorriso ebete sulle labbra che Svanzen sapeva riconoscere al volo.

"Ti sei innamorata." disse , mentre le metteva un bicchiere di aranciata davanti.

"Hm?" fece lei, girandosi per guardarlo.

"Chi è il fortunato, questa volta?"

"Chi è chi?"

"Quello di cui ti sei innamorata." replicò lui.

"Io? No, non sono innamorata di nessuno." Si alzò e andò a sbirciare dalla porta-finestra che dava sul terrazzo. Il sorriso ebete che aveva diventò ancora più grande.

Svanzen guardò fuori da dietro di lei. "Ma non erano solo colleghi?"

"Eh..." Carter si girò. "Sono una bella coppia, vero?"

Oly scosse la testa ridendo. "Non ne ho idea, non li conosco abbastanza." Guardò la ragazza. "Andiamo a ballare. Potrebbe essere l'ultima volta che posso farlo senza attirare le ire di qualcuno."

"Nah... potrai sempre accompagnarmi all'altare."

Oliver la prese per mano e l'accompagnò verso il centro della sala per ballare. "Non sarebbe una cattiva idea."

Mel appoggiò le braccia alle sue spalle. "E a chi altro potrei chiederlo?"

 

***

Appartamento di Joy Melody Carter

1° gennaio 2000, 4:27 a.m.

Senza un attimo di esitazione la gatta era corsa ad abbracciarle una caviglia. "Ciao bella! Come mai non stai dormendo?" La gatta si strofinò contro di lei e Mel la prese in braccio e la portò con sé sul letto in camera. Si buttò sul materasso, tenendo Enya sul petto. "Oggi, micia mia, è un gran giorno. Non ci crederai ma Mulder e Scully erano sul terrazzo abbracciati e si sono pure baciati." Rise. "Mi sembra di essere una deficiente." Si girò su un fianco, lasciando che anche la gatta finisse in quella posizione. "Non so perché la cosa mi renda così euforica..."

Enya si mise sulle quattro zampe e andò a strofinare la fronte contro la tasca del maglione di Melody. "Che cos'hai?" chiese lei, infilando la mano nella tasca. C'era qualcosa di cartone all'interno. Lo estrasse e scoprì che era il biglietto da visita di Charles Scully.

"Lo rivedo domani... cioè... oggi." sussurrò. Si girò e mise il biglietto sul comodino. Quindi si infilò senza cambiarsi sotto le coperte. "Una nuova vita... Buona notte, Enya."

FINE

FINE 2^ Serie