***

Belgorod, Oregon

29 novembre, 10:13 a.m.

I due uomini stavano camminando tranquillamente sulla strada innevata in mezzo ai boschi.

"Il freddo è venuto prima, quest'anno." disse il più anziano. "Sarà un inverno particolarmente rigido. Per fortuna, niente rimane per sempre."

L'altro annuì, continuando a camminare. Si fermarono davanti alla piccola baita nascosta nella radura. L'anziano sospirò. "Ho costruito quella capanna anni fa. Prima che tu nascessi. Tua madre amava questo bosco, era bello quando passavamo l'estate qui. Tu avevi tanto posto per giocare..."

"Lo so, papà." disse lui, interrompendolo.

"Tanti ricordi, vero?"

Lui annuì.

"L'hai più incontrata?"

"No."

"Non ti andrebbe di andare a cercarla? Era di New York, se non erro."

"No, non voglio cercarla. Potrebbe... potrebbe essersi sposata, aver famiglia. Non voglio impicciarmi coi suoi affari, rischiare di rovinarle qualche cosa."

"Ci pensi spesso a lei?"

Il giovane sospirò e si spazzò la neve dalle maniche. "Ogni benedetto giorno." disse.

Avanzò verso la casa, lentamente. Il padre stette a guardarlo da lontano. Sospirò e il fiato divenne vapore. Il giovane si chinò a terra, osservando qualcosa da vicino.

L'anziano raggiunse il figlio, camminando lentamente: "Un fiore di bucaneve." disse.

L'altro annuì, senza staccare gli occhi dal fiore.

"Potrebbe essere un segno." disse il padre. "Forse quest'anno qualcosa di bello tornerà."

Il giovane si alzò e scosse la testa. "Non credo ai segni... e poi... sarebbe troppo bello anche rivederla una volta sola."

 

***

Sei mesi dopo - 9:09 p.m.

--Era qualcosa che non provavo da tempo.

L'ebbrezza di una nuova preda. Appetibile, indifesa, dolce e così semplice da scovare.

Pregustavo l'idea da mesi...

Una nuova collega? Buon giorno, signorina. Vive sola? Che piacere. C'è una scala antincendio che porta in camera sua, ma questo di certo lo sa. Bello questo appartamento, posso seguire le sue mosse, carino quell'abitino, perché non lo indossa più spesso?

Sono sicuro che si farebbe notare di più, se lo mettesse al lavoro.

Ma lei forse non vuole farsi notare, ha già un ragazzo con cui passare le notti. Lo vedo ogni tanto: uno strano ragazzo, entra ed esce dalla finestra della camera da letto, usa le scale antincendio e non l'ho mai visto fare altro percorso.

Strano ragazzo. Strana ragazza.

Una bella preda.

Vedo la ragazza che sta uscendo dal bagno, si mette al computer e scrive. Rapporti, forse. Analisi. Chi se ne importa. Quello che conta è che ha una piccola macchina verde metallizzato, che parcheggia sempre storta al suo posteggio numero 43. E' una donna piccola e magra, con lunghi capelli neri, fa fatica a portare scarpe eleganti e completi, tanto che in casa è sempre in tute e calzettoni. Non esce quasi mai, se non per andare al lavoro, raramente di sabato pomeriggio, qualche volta di domenica mattina. Mai di sera.

Siamo cresciute dalle suore? E' questo che ci hanno insegnato? Che non si esce di sera, ma poi ci si sfoga facendo entrare il proprio amante dalla finestra?

Oh, poveri Romeo e Giuletta, mi fanno così pena che quasi ho voglia di sparare un colpo in fronte ad entrambi per evitar loro una più tragica fine.--

 

***

Monica M. Castiglioni

con la collaborazione di F. "SleepyFX" Fioravanti & Andrea Bocchi

Humana Species 12:

Alethéia

(Syndrome)

X-2MC19201000

Soggetto di Monica M. Castiglioni, F. "SleepyFX" Fioravanti, Andrea Bocchi

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Dedicato a Franz

*****

Seconda Parte - Seguito di "Pravda (Bielo Dom)"

***

 

***

Due mesi dopo, 9:09 p.m.

--Il tuo ragazzo non entra dalla finestra da alcuni giorni, da quando quei due uomini ti hanno portato via. Dio, quasi credevo di essermi fatto sfuggire la mia preda, la mia nuova dolce vendetta.

Ma per fortuna sei tornata e pare che tu e quel tuo strano fidanzato abbiate litigato. Be', non importa, basta attendere che arrivi il momento buono e verrai con me. Che stai scrivendo al computer, ora? Questo binocolo è fenomenale, riesco a leggere sul tuo schermo come se fossi in piedi dietro la tua spalla. Una meraviglia, carissima. Stai scrivendo un'e-mail a Andrew Bocks. Che gli stai dicendo? Che lo saluti e vi rivedrete tra un po'. Da quanto tempo siete amici? Da quanto tempo sei amica di Fox Mulder? Povera piccola ingenua, non sai a cosa sei andata incontro a farti amicizie così pericolose.--

 

***

Ufficio di Walter Skinner, FBI, Washington

Il giorno dopo, 11:29 a.m.

Mel era seduta sul divanetto di fronte alla scrivania di Kimberly, la segretaria di Skinner. Il giorno prima era stata lì per presentare il rapporto sul caso della casetta bianca che aveva seguito il precedente weekend con Mulder e Scully. Sentiva in sottofondo Kimberly che lavorava, scrivendo al computer, segnando impegni sull'agenda di Skinner e parlando al telefono almeno un paio di volte ogni cinque minuti.

Sospirò. Quanto sarebbe dovuta rimanere ad aspettare? Kimberly le aveva detto che la riunione proseguiva già da parecchio tempo, quindi doveva ormai volgere al termine.

Carter sperò che non ci fosse troppa gente importante nell'ufficio, perché decisamente non era vestita in un modo che si confaceva ad un’agente dell'FBI. Aveva un paio di fouseax neri, una T-shirt e una giacca impermeabile. Non era venuta per lavorare, quel giorno.

Prima di uscire, sarebbe dovuta passare nell'ufficio degli X-Files, per salutare Mulder e Scully, ma se andava avanti così, pensò, non avrebbe fatto in tempo a raggiungerli prima che tornassero a casa.

Quando sentì il rumore di sedie che si muovevano, si alzò e uscì dall'ufficio sotto lo sguardo curioso di Kimberly. Camminò per qualche metro oltre la porta dell'ufficio, per non farsi notare, quindi, finito il flusso di gente, rientrò.

La segretaria indicò la porta: "Ti aspetta."

"Grazie."

Melody entrò in silenzio, salutò il suo capo con un cenno e si sedette davanti a lui.

"Melody, che c'è?" le chiese Skinner. "Non mi pare di averti fatto chiamare."

"No... sono qui per chiederti un po' di ferie. Dovrei avere tre settimane non godute dall'anno scorso."

Walter annuì. "Faremo controllare a Kimberly. Tutto bene? Mi sembri giù di corda."

"Niente..." sorrise. "Che fai, devi tenere informato Oliver sul mio stato psico-fisico?"

"Più o meno." replicò Skinner.

"Be', se te lo chiede, digli che ho realizzato il suo sogno dell'ultimo anno." Skinner le lanciò uno sguardo interrogativo, mentre lei si alzava. "Lui capirà." gli disse: "Ci vediamo fra tre settimane."

Mentre scendeva con l'ascensore fino al seminterrato, ripensò a Svanzen. Si chiese come mai, fin dall'inizio, fosse sempre stato così diffidente verso Alex. Non lo conosceva nemmeno eppure Mel sapeva che lo odiava. Non era semplice gelosia.

Bussò sulla porta aperta, restando sulla soglia. "Ciao ragazzi." disse, quando i due agenti sollevarono lo sguardo dal lavoro. Entrò. "Scusate se vi disturbo." disse.

"Nessun disturbo, Mel." le sorrise Dana.

"Tutto bene quaggiù?"

"Certo, lassù come va?" ribatté Mulder.

Mel scosse la testa. "Non ci sono andata stamattina. Da oggi sono in vacanza per tre settimane."

"Ferie non godute?" chiese Scully.

Mel annuì e si sedette accanto a lei. "Vi saluto, vado a fare un giro per gli States."

"Dove di bello?" le chiese Mulder.

"Oh... non so... per cominciare vado a salutare le mie suore. Poi vedrò, voglio anche salutare Svanzen e gli ex-colleghi. Poi non so, credo che andrò a ovest."

"California?"

Mel scosse la testa: "Belgorod, Oregon."

"C'è qualcosa di interessante, là?"

"Ci sono andata un paio di anni fa per una mostra dei gatti. Ora ci ritorno solo perché m'era piaciuto il posto." Sospirò.

"Qualcosa che non va, Mel?" le chiese Scully, notando che quel giorno era più tranquilla e silenziosa del solito.

Mel annuì. "Sì... qualcosa c'è... ho piantato Alex..."

"Mi spiace. Che è successo?"

"Oh, be', niente. Ho scoperto che mi ha mentito per un anno e passa dicendomi che non ricordava niente del mio passato."

"Ti ha detto qualcosa di nuovo?" fece Mulder, appoggiando la matita.

"Sì, ma lui dice che tanto non troverò niente."

"Riguardo te?" Mulder si rese conto che quel giorno Mel doveva proprio star male: dovevano incoraggiarla ad ogni frase per farla parlare.

Mel annuì. "Sì..."

"Che hai saputo di nuovo?"

"Be'... tanto per cominciare sono nata il 30 dicembre del '68 e non il 12 gennaio del '69. Che mi chiamavo Tereskova di cognome, che non era il cognome di mio padre perché lui non si sa chi sia. E che mia madre mi ha fatto perdere la memoria e mi ha abbandonata a New York, volontariamente."

Scully le strinse dolcemente la mano. "Potrebbe non essere vero." le disse.

"Potrebbe." Mel si alzò in piedi. "Ma non ho modo di verificare nulla, non c'è niente di registrato e io ancora non ricordo nessun fatto."

"Possiamo provare a scavare un po' noi." offrì Mulder.

Carter sorrise: "Grazie, ma non voglio che perdiate tempo. Anzi, adesso vado, così voi potete rimettervi al lavoro. Ci vediamo." Li salutò con un gesto della mano e uscì silenziosamente dall'ufficio.

"E' messa male." sussurrò Mulder.

"Non l'ho mai vista così silenziosa." convenne Scully.

 

***

Redazione di "The Magic Bullett"

1:12 p.m.

"Avanti, ragazzi, aprite. Sono io."

La faccia sorridente di Langly apparve quando il pesante serramento ruotò sui cardini, dopo che il biondo 'pistolero' aveva fatto scattare una decina di serrature.

"Ciao Mel, entra." Si scostò e Carter entrò lentamente: "Gli altri due pazzi furiosi dove sono?"

"Sono qui!" esclamò Frohike da dietro un computer.

"Ciao Frohike."

"Ehi, Mel." Byers emerse da una porta, salutandola. "Tutto bene?" Lei annuì e osservò una scatola piena di buste bianche.

"Siediti." disse Langly, porgendole una sedia. "Come mai qui?"

Mel si sedette: "Passavo... Posso?" Indicò le buste. "Mi prendo la mia copia, così vi faccio risparmiare le spese di spedizione."

"Fai pure." disse Frohike.

"Mi sembri silenziosa." disse Langly, stupito, come chiunque altro, dal fatto.

"Devo chiedervi un favore." disse lei sottovoce, mentre faceva passare le buste bianche. "Oh toh."

"Che c'è?" chiese Langly.

Mel alzò una busta. "Fox Mulder. Ci ho lavorato assieme qualche volta. E' anche lui un agente dell'FBI."

"Non mi dire che lo conosci." replicò Frohike.

"Chi non conosce Mulder nell'FBI? Ma anche voi lo conoscete di persona?"

"Certo." Byers le sorrise, porgendole una tazza di caffè.

"Grazie." sussurrò lei, andando avanti a cercare la propria busta.

"Abbiamo conosciuto Mulder nel 1990, quando noi non eravamo ancora un gruppo." rispose Byers.

"Quant'è piccolo il mondo." replicò Mel, che, finalmente aveva trovato il suo plico, appoggiò il caffè ed estrasse la copia del 'Magic Bullett'. "Vi lascio la busta."

"Tu come lo conosci Mulder?"

"L'anno scorso ci hanno affidato un caso insieme. Quello sulla pantera di New York."

"Ancora vivevi a New York, ai tempi." disse Frohike, emerso da dietro la scrivania.

"Mi sono fatta trasferire qui per cercare di lavorare più vicina agli X-Files... che a questo punto immagino sappiate cosa sono."

I tre annuirono assieme.

"Solo che pare che nella sezione ci sia posto solo per due."

"Non credo che l'incantevole agente Scully ti cederà il passo." replicò Frohike, prendendola in giro.

"Conoscete anche Scully?"

"Naturalmente." sorrise Frohike. "Conosco e ammiro."

Carter sorrise. "Già, ho capito. E' bello lavorare con lei."

Sfogliò per qualche istante ancora la rivista, quindi finì il caffè.

"Ci dovevi chiedere qualcosa?" fece Byers, notando che Mel rimaneva in silenzio.

"Sì... ho avuto dei nuovi dati."

Langly prese un blocco di carta e una penna. "Dimmi tutto."

"Allora, dovrei essere arrivata qui all'inizio del gennaio del 1983, con una nave russa che aveva a bordo alcuni clandestini, tra cui me e mia madre. Il suo cognome è Tereskova ed è anche il mio. Sono nata il 30.12.68."

"Cercheremo di trovarti qualcosa." fece Frohike.

"Grazie. Mi cercate anche qualcosa su una sostanza chiamata H28?"

Byers annuì.

"Grazie, ragazzi, siete indispensabili." Si alzò. "E grazie anche del caffè, Byers."

"Figurati."

"Puoi sempre farmi un favore e mettere una buona parola per me con l'agente Scully." le disse Frohike.

"Ma non è già impegnata con Mulder?" fece lei.

"No, non credo proprio." disse Langly.

"Ma dai... no, seriamente, io li prendo sempre in giro, ma pensavo che tra loro ci fosse davvero qualcosa."

Frohike scosse la testa. "Spero proprio di no."

Carter sorrise. "Be', sentite, se scoprite qualcosa, me lo tenete in caldo? Parto oggi, sarò in giro per un po'. Vi chiamo io."

"Sta' tranquilla." le sorrise Byers.

"Ok... allora, ci vediamo tra qualche giorno." raccolse la sua copia del giornale, quindi li salutò e uscì.

 

***

Appartamento di Oliver Svanzen, New York

8:07 p.m.

"Mel." Oliver le sorrise, aprendo la porta. "Che sorpresa."

"Ti disturbo?"

"No, vieni. Entra."

Carter camminò lentamente oltre la soglia: "Sei in casa..."

"Da solo." annuì lui. "Walter m'ha chiamato."

"T'ha chiamato?"

"Sì, mi ha detto che ti ha vista un po' giù."

Mel si sfilò la giacca e la sciarpa, sedendosi sul divano. Passò la mano sul tessuto morbido che conosceva così bene. Non ricordava nemmeno quante volte lei e Oliver avevano fatto l'amore su quel divano, restando poi a dormire abbracciati.

"E poi mi ha detto che hai realizzato il mio sogno." Si sedette accanto a lei, mettendole un braccio sulle spalle. "Mi dispiace, però."

Carter annuì e si lasciò andare nel suo abbraccio.

"E' questo il problema? Che hai lasciato Alex?"

"Non solo. Tante cose. Ricordi quando mi hai detto che... che forse la mia perdita di memoria dipendeva da un trauma di origine sessuale?"

Oliver annuì.

"Be', ho ricordato che Alex... che Alex non aveva esattamente il mio consenso."

"Mi spiace." La baciò sulla fronte. "Oh Dio, non credevo che sarebbe stato così brutto."

"Oggi sono stata dalle suore."

"Com'è andata?"

"Niente di nuovo. Ho salutato Knight e quelli della Squadra. Era più bello prima. Ero più ingenua."

"Il tempo passa." sussurrò Oliver. "Anch'io vorrei tornare indietro ai tempi in cui stavamo assieme."

Carter sorrise. "Non è possibile."

"No..." sussurrò Svanzen, con il volto affondato tra i capelli di lei. "Non è possibile." Stettero così, in silenzio, per alcuni minuti, poi Oliver riprese: "Vuoi star qui per un po'? Senza..."

"No, voglio tornare in Oregon."

"Vuoi rivedere Martin?" le chiese.

Mel annuì. "Sto... rivedendo tutto il mio passato."

"Ogni tanto mi viene in mente quella mattina, la prima volta che ci siamo visti."

"Sì, anche a me... E' stato il primo passo verso Quantico."

"Avevi... quanti anni avevi?"

"Era l''83, giusto? Be'... ne avevo più o meno quattordici."

Oliver sorrise. "Dio mio, questo vuol dire che io ne avevo..."

"Trentacinque." disse subito Mel.

Oliver rise. "Ah, che bei tempi..."

"Demian." disse lei.

"Cosa?"

"Oh, niente... stavo pensando a Demian."

"Ho saputo che s'è fidanzato." sussurrò Svanzen.

"Già. Con una ragazza immensamente fortunata."

"Non t'è ancora passata la cotta per lui?"

"Non è una cotta. Semplicemente Charlie è il mio ragazzo ideale." Mel si distese nell'abbraccio di Svanzen.

"Credo che sia il ragazzo ideale del 90% delle donne sulla Terra."

"E del 10% degli uomini..."

Oliver scoppiò a ridere. "Già..."

"Mi manca il periodo in cui io, lui e Knight andavamo in giro assieme a fare i deficienti."

"I tre moschettieri." Oliver fece passare una mano tra i capelli di Melody. "Era più divertente la vita di agente..."

"Mai pensato di tornare indietro?"

"Sul campo? Sì, spesso... ma ormai... Chiedilo anche a Walter. Ti direbbe la stessa cosa."

Carter annuì, ma rimase in silenzio. Solo dopo alcuni minuti riprese a parlare: "Avevo ragione..." sussurrò.

"Riguardo a cosa?"

"Al fatto che forse era meglio non sapere..."

"Mel, ognuno dovrebbe conoscere il proprio passato."

"Sì, però... Forse era meglio continuare a fantasticare come facevo con Maya... di essere figlia di due grandi scienziati, che qualcuno mi aveva strappato alla mia famiglia e che un giorno i miei genitori sarebbero venuti a riprendermi... piuttosto che sapere che arrivate a New York mia madre mi avrebbe abbandonato in mezzo a una strada fregandosene di quello che sarebbe potuto succedere."

"Questo è quello che ti ha detto Alex?"

Lei annuì.

"Molto gentile..."

"Non è stato gentile perché non me l'ha detto subito." replicò lei. "Mi ha mentito."

"Forse Lara non era tua sorella."

"Infatti..." Mel sospirò. "Posso stare qui stanotte?"

"Certamente." Oliver si alzò, facendo in modo che la ragazza non dovesse spostarsi. "Vuoi una camomilla?"

Carter scoppiò a ridere e si girò su un fianco.

"Che c'è?"

"Forse mi sbaglio." disse. "Non è Charlie il ragazzo ideale, sei tu."

"Ragazzo? Nessuno mi dà più del ragazzo da vent'anni."

"Sei vecchio, Oly."

"Non te l'ha mai detto nessuno che la vita inizia a quarant'anni?"

"Ah, be', allora quando compi cinquantotto anni ti devo fare il regalo per la maggiore età."

"Manca ancora qualche anno..." Svanzen si accovacciò davanti a lei, sorridendo: "Però potremmo fare una festicciola privata."

"No, preferisco quelle orrende feste pacchiane che si fanno all'FBI. Quest'anno che giorno cade il 13 ottobre?"

"Non lo so." Oliver sorrise.

"Sai che anche Mulder dev'essere nato il 13 ottobre?"

"E' un gran giorno!" Sospirò. "Quando parti?"

Mel scrollò le spalle. "Domani torno ad Annapolis a fare le valigie e a sistemare un paio di cose." Sbadigliò.

Svanzen le scostò i capelli dal volto. "Vuoi che venga con te ad Annapolis?"

Mel scosse la testa.

"Puoi prenderti il letto." le disse.

"Preferisco il divano." gli rispose.

"Il divano?" le chiese, andando in cucina.

"Già... perché ormai ci sono sdraiata sopra, non devo nemmeno muovermi." Mel chiuse gli occhi, dicendo a se stessa che li avrebbe aperti quando Oliver le avrebbe portato la camomilla.

Pochi secondi dopo, Svanzen spense il fuoco e chiuse il gas, sapendo benissimo che Carter si era già addormentata.

 

***

Appartamento di Oliver Svanzen, New York

2:13 a.m.

Carter si svegliò, chiedendosi dove fosse. La radiosveglia era alla sua sinistra, mentre a casa sua era a destra. Si ricordò di essere da Oliver quando riuscì a vedere, nel buio, i mobili che la circondavano. L'uomo non aveva cambiato una sola virgola in quegli anni.

Si era addormentata sul divano, ma evidentemente Svanzen l'aveva trasportata nella camera da letto e aveva dormito lui stesso in sala.

Era notte fonda e Melody poteva sentire il vento che correva e fischiava fuori dall'edificio. Il pensiero le fece venire i brividi e, non volendo avere un'altra crisi di freddo, si raggomitolò sotto le coperte.

--Il vento...-- pensò. --Oregon.-- Sorrise e chiuse gli occhi. I suoi ultimi quindici anni erano così chiari e li ricordava talmente bene che a volte le sembrava impossibile che dei primi avesse solo poche immagini sfuocate e disperse. Ricordava così bene quella gita in Oregon...

Chiuse gli occhi. A ripensarci, forse non avrebbe dovuto rivedere Fraser. Se lui era cambiato, se si era fatto una famiglia... non sarebbe stata una vista piacevole.

 

***

Annapolis

11:21 a.m.

Carter entrò nei sotterranei del suo palazzo, infilando il posteggio numero 43 con una sola manovra e lasciando l'automobile, naturalmente, storta.

Uscì e aprì il portapacchi per raccogliere un sacchetto di cibi non facilmente deperibili che avrebbe lasciato a casa per poi trovarsi la spesa fatta una volta tornata dall'Oregon.

Stava scappando.

Sospirò, raccogliendo un pacco di pasta che era scivolata fuori dal sacchetto. Stava scappando dai suoi problemi e questo non le piaceva. Da quando la madre superiora era morta, Mel aveva imparato ad affrontare guai e problemi, senza scappare nel bosco ogni volta che gli altri bambini la prendevano in giro.

Chiuse il bagagliaio e premette il pulsante per innestare l'antifurto dell'automobile. Si incamminò per prendere l'ascensore, senza notare l'uomo nascosto dietro la colonna.

Non fece in tempo a pensare a nulla quando lui le mise un panno imbevuto di etere sul viso. Crollò a terra priva di sensi.

 

***

Ufficio degli X-Files, Washington

12:30 p.m.

"E' ora di andare a mangiare."

Mulder alzò lo sguardo dal fascicolo, trovando Scully sulla soglia. "Già le sette di sera?"

"No, è mezzogiorno e mezzo."

"Peccato." Mulder si alzò e si stirò. "Giornate noiose."

"Giornate tranquille." ribatté Scully.

Il telefono squillò e Mulder tornò indietro per rispondere. "Mulder."

"Sono Langly. Ti chiamo da una cabina, non posso stare al telefono per molto."

"Che c'è, Langly?"

Scully raggiunse il collega accanto alla scrivania.

"Ho saputo che conosci Melody Carter."

"Sì..." replicò Mulder. "La conosci anche tu?"

"E' una nostra abbonata." replicò velocemente Langly. "Ci ha telefonato ieri mattina, le abbiamo cercato alcune informazioni."

Mulder lanciò un'occhiata a Scully.

"Ci aveva detto che sarebbe passata ieri pomeriggio da noi, ma non s'è fatta viva. L'abbiamo chiamata, ma niente da fare. Allora questa mattina sono andato a casa sua... e ho trovato vicino alla sua macchina... qualcosa... credo che sia stata rapita... C'era un po' di... disordine intorno alla sua macchina."

"Controllo subito, Langly." Mulder appoggiò la cornetta e raccolse il soprabito. "Sembra che Carter sia scomparsa."

"Melody conosce i Lone Gunmen?"

"Così pare."

 

***

Annapolis, appartamento di Joy Melody Carter

2:12 p.m.

La situazione era come Langly l'aveva descritta. Il garage ora brulicava di agenti della polizia in cerca di prove.

Scully e Mulder entrarono nell'appartamento di Carter, dopo aver suonato invano per quasi dieci minuti. C'era una valigia aperta sul letto, ormai piena.

"Ha detto che sarebbe andata in Oregon, Mulder."

Fox annuì. "Sì," alzò un biglietto di aereo che aveva trovato sulla scrivania: "ma sarebbe partita dopodomani."

"Lo so." Scully accese il computer.

Mulder camminò lentamente fino alla finestra della camera, quindi andò nel piccolo bagno. "Non ci sono segni di scasso." riferì alla collega. "Mi chiedo chi possa averla portata via... sai, Scully, a volte credo che..." Mulder si interruppe quando vide Scully, nettamente pallida, fissare lo schermo del computer. "Che succede?" le chiese, mettendosi subito al suo fianco.

"Temo di aver capito chi l'ha portata via."

Sullo schermo, in un candore di ghiaccio, era aperta la finestra di un'e-mail:

<<Salve agente Carter,

sono ansioso di fare la sua conoscenza nella speranza che possa nascere una profonda amicizia, ma ahimè, ho molte cose da fare ultimamente, il che mi impedisce di poterla incontrare di persona. Non si preoccupi comunque, forse quando andrò a trovare Fox passerò anche da lei, magari per cenare insieme, naturalmente offrirò io...

Saluti

D.S. Cain>>

"La troveremo, Scully." sussurrò Mulder.

 

***

Ufficio di Walter Skinner

4:27 p.m.

"Vi chiedo priorità assoluta per questo caso." stava dicendo Skinner al gruppo di agenti riunito in tutta fretta. Ognuno di loro aveva davanti un fascicolo che racchiudeva tutto ciò che si sapeva su Cain. "D.S. Cain non è un criminale da sottovalutare. Gli agenti Mulder, Scully e Bocks hanno già esperienza, per cui fate capo a loro per qualsiasi esigenza. In quanto a voi, vi raccomando estrema cautela."

La porta si aprì senza preavviso e Oliver Svanzen apparve sulla soglia come un uragano in piena azione. "Novità?" chiese subito, senza perdere tempo.

"Ancora nessuna. Stiamo cercando."

"Ho ricevuto la scheda, ti avverto che se questo psicopatico" come se stesse parlando solo con Skinner, Oliver alzò il fascicolo su Cain. "tocca Melody, gli sparo sai tu dove." Nonostante le parole dure, Svanzen appariva estremamente controllato. Lanciò il fascicolo sul tavolo e mentre si toglieva il soprabito iniziò: "Agenti, per chi ancora non mi conoscesse, sono il vicedirettore Oliver Svanzen del nostro distaccamento di New York. Sono stato il superiore di Carter e di Demian per diverso tempo. Seguirò questo caso da vicino e mi aspetto la vostra completa collaborazione." Girò intorno al tavolo velocemente per sedersi in un posto libero. "L'ultima volta che è stata vista qui era al Tekram Market, esatto?"

Demian, un suo ex-agente, seduto accanto a lui, annuì: "E' arrivata con un aereo da New York, il giorno seguente ha chiamato..." Cercò sul fascicolo: "John Byers, quindi non se n'è saputo più nulla."

"Il che significa," riprese Svanzen. "che sono stato io l'ultimo a vederla."

"Abbiamo trovato un ago ipodermico nel garage." riprese Scully. "Il sangue sull'esterno coincide con quello dell'agente Carter, all'interno sono state trovate tracce di nembutal, un potente sonnifero che ha un effetto pressoché immediato."

"Probabilmente," riprese Skinner. "chiunque l'abbia portata via ha perso l'ago."

"Chiunque? Non siamo ormai certi che sia stato questo Cain?" replicò Svanzen.

"Non può averlo fatto da solo." disse Mulder. "E' zoppo per una ferita d'arma da fuoco."

"Questo bastardo ha complici." disse Svanzen alzandosi. "Come avete fatto a entrare in contatto con lui, l'ultima volta?"

"E' stato sempre Cain a contattarci, dopo aver rapito qualcuno." replicò Bocks. Aveva pochi anni in meno di Mulder, che conosceva da molto tempo. Aveva capelli biondi leggermente più lunghi del tacito standard dell'FBI.

"Perché Carter?" chiese Svanzen.

Gli rispose Skinner: "Crediamo che stia mettendo a punto un'altra delle sue vendette trasversali, contro gli agenti Mulder e Bocks. Da quando è rimasto menomato ad una gamba per causa loro, nel '90, probabilmente la vendetta è diventata lo scopo principale della sua vita. E da uno che ha al suo attivo diciotto omicidi, tutti portati a termine in modo particolarmente crudele, non c'è da aspettarsi nulla di buono..."

Andrew sospirò, togliendosi gli occhiali. "Diventa sempre più difficile." sussurrò.

Svanzen scrutò Mulder e Bocks per qualche istante, come se li volesse incenerire con lo sguardo. Un lampo di gelosia fu nettamente riconoscibile nei suoi occhi, ma proseguì: "Mi state dicendo che dovremo aspettare una sua mossa?"

"Temo sia l'unica cosa che possiamo fare."

Demian si alzò in piedi, sopprimendo un'imprecazione. "Non è possibile." Si girò: "Questo bastardo scompare nel nulla per due anni e poi riappare così, di botto, cercando vendetta..."

Fu interrotto da Kimberly, che dall'interfono chiamò Skinner: "Signore? Ho in linea una telefonata per l'agente Mulder."

Gli agenti si scambiarono uno sguardo e annuirono.

Mulder prese un profondo respiro e alzò la cornetta: "Mulder."

"Oh, chi si risente." La voce di Cain risuonò squillante e allegra. "Sono convinto, Fox, che tu ti sia già accorto che la tua nuova collega è svanita."

L'agente non replicò.

"Non preoccuparti, è un buone mani. Non è vero, Melody?"

La voce si interruppe e Mulder poté sentire solamente un respiro. "Carter, stai tranquilla." disse. "Verremo a riprenderti."

"OK, basta così." replicò Cain. "Peccato che lei non abbia voluto dirti niente. Non capisco il perché... forse per il bavaglio? Arrivederci, Fox."

Mulder sospirò di frustrazione, quando sentì il rumore della linea che cadeva. "L'abbiamo preso?" chiese.

"Non c'è stato abbastanza tempo." replicò Skinner.

Svanzen soffocò un'imprecazione.

"Non possiamo che attendere nuove notizie." disse Skinner. "Raccomando ancora cautela. Sappiamo per certo che Cain è uno psicotico con il piacere di infliggere dolore e che vuole vendetta verso gli agenti Mulder e Bocks."

Il silenzio piombò nell'ufficio per alcuni istanti.

Quindi Svanzen disse: "Per quelli di voi che ancora non lo sanno, questa operazione è molto importante per me. Mi aspetto molto." Così dicendo, lasciò l'ufficio.

 

***

Luogo sconosciuto

5:25 p.m.

L'uomo fischiettava tranquillamente, andando avanti e indietro lentamente, lo guardava avvicinarsi e allontanarsi da lei in maniera esasperante.

Cercò di parlare, ma la stoffa soffocava ogni sillaba.

Cain si avvicinò a lei. Aveva in mano un coltello e lo teneva bene in mostra. "Non hai paura?" le chiese.

Carter scosse leggermente la testa.

"Come sei strana."

Si sedette sul letto accanto a lei, prendendole le mani legate in una delle sue. "Spero che tu sia comoda, perché dovrai rimanere qui a lungo."

Mel chiuse gli occhi, il suo sospiro fu impercettibile.

"Ti guardo da molto tempo. Da quando ho scoperto che hai fatto amicizia anche con Andrew Bocks. Mi sembrava troppo bello per essere vero." Fece scivolare la punta del coltello sul dorso della sua mano, mentre la teneva con la propria. "Ti hanno parlato di me?"

Mel scosse la testa.

"Peccato." sorrise. "Mulder mi considera un bastardo sadico omicida." La punta del coltello premette sulla sua pelle, tagliandola. Mel si irrigidì, ma poi sentì il dolore svanire. "Senti? Posso provocarti dolore e poi togliertelo."

Mel gli lanciò uno sguardo interrogativo.

Cain avvicinò il coltello al viso di lei, lentamente. "Sento tanto dolore dentro di te. Quel bastardo che entrava dalla finestra della tua camera ti ha fatto soffrire, vero?"

Carter cercò di allontanarsi dal coltello, ma Cain infilò la lama sotto il bavaglio e lo tagliò, senza ferire la ragazza, questa volta.

"Ma chi sei?" chiese lei, finalmente libera di parlare.

L'uomo si alzò. "Mi chiamo D.S. Cain, signorina Carter." Fece una sorta di mezzo inchino e poi le sorrise. "Lei sarà mia ospite per qualche giorno."

Si allontanò da lei di nuovo, lasciandola legata al letto.

Carter sbuffò. "Boje moi... ci mancava pure lo psicopatico..."

 

***

Caffetteria, FBI, Washington

7:07 p.m.

Oliver Svanzen era seduto da solo all'interno del séparé. Osservava il suo volto nel vetro e ripensava alla prima volta che aveva visto Melody, quando ancora lui non aveva capelli grigi e lei viveva ancora all'orfanotrofio.

Chiuse gli occhi. Era tutto chiaro come se fosse stato il giorno stesso. Eppure era successo così tanti anni prima.

Stava tornando a casa in automobile. Era mattino presto, il sole doveva ancora sorgere, faceva freddo. Il cielo era grigio e coperto completamente di nuvole uniformi, come il marrone delle foglie secche ai lati della strada.

O meglio, uniforme come avrebbe dovuto essere se non ci fosse stata quella macchia nera che aveva appena sorpassato. Oliver fermò la macchina sul lato della strada e scese. Camminò lentamente, pronto a prendere la pistola ad ogni momento. Ma quando ebbe sorpassata la prima fila di alberi, si rese conto che quella che aveva davanti non rappresentava di certo un pericolo per un agente dell'FBI con quasi otto anni di esperienza. Si chinò accanto alla ragazza, che aveva addosso abiti scuri, sporchi e rovinati. Il suo volto era pieno di tagli e lividi come le mani e le braccia.

"Ehi." Alzò lo sguardo sul bosco. Non sembravano esserci segni di lotta lì intorno. Corse indietro alla macchina per prendere una coperta, quindi si inginocchiò accanto alla ragazza e la alzò tra le braccia per coprirla.

Lei sbatté gli occhi qualche volta, prima di riuscire a mettere a fuoco l'immagine sopra di sé.

"Ciao." le disse Svanzen.

La ragazza si mosse, cercando di allontanarsi, ma lui la strinse a sé, rassicurandola: "Sono un agente dell'FBI." le disse. "Stai tranquilla. Come ti chiami?"

La ragazza non rispose. Oliver si alzò in piedi, portandola in braccio fino alla macchina. Una volta che l'ebbe sistemata al sicuro e al caldo nel sedile passeggero, estrasse il distintivo e glielo fece vedere. "Io mi chiamo Oliver Svanzen."

"Joy Melody Carter." rispose la sua voce sottile.

"Ciao Joy." le disse lui, mentre Carter si tirava la coperta fin sotto gli occhi.

"Mel." disse, con voce dura.

"Mel. Ok. Ti riporto a casa."

"Non ci voglio andare..."

"Che cos'è successo? Hai avuto una lite coi tuoi genitori?"

"Io non li ho i genitori."

"Vivi al Froebel? All'orfanotrofio?"

Lei annuì.

"Che è successo? Ti hanno picchiato?"

"Mi prendono in giro."

"Adesso hai bisogno di andare in ospedale." le disse. "Sei stata fuori tutta la notte?"

Lei annuì.

"Ti sei ferita da sola, nella foresta, o c'era qualcuno con te?"

"Alberi." replicò lei.

"Signore?" Svanzen alzò lo sguardo dal vetro, incontrando quello di Scully, che aveva infranto il flusso dei suoi ricordi.

"Agente Scully." la salutò Svanzen. "Ci sono aggiornamenti?"

"Purtroppo per ora no." Si sedette accanto a lui.

Oliver annuì.

"Per quanto Cain possa essere pericoloso," gli disse Scully. "non uccide le sue prede facilmente."

"Ho letto i rapporti, agente Scully." replicò lui.

Dana annuì: "Ho speranze di ritrovarla viva."

"Le speranze le ho anch'io." sussurrò Svanzen, sorseggiando il caffè ormai freddo. "Mi ha parlato spesso di lei." disse.

"Di me?" chiese Scully, stupita.

"Sì. L'ammira molto, oltre al fatto che mi ha confessato che lei è la sua prima amica donna da anni."

Dana sorrise e sussurrò un grazie al cameriere che le aveva appena portato il suo caffè. "Mi stupisce. Per quello che ho notato io Mel parla di sé, ma poco degli altri."

"Quando una persona la colpisce molto, ne parla spesso."

Scully non disse nulla. Era stupita dalle affermazioni del vicedirettore.

"Avrei dovuto adottarla." sussurrò lui.

Dana non poté evitare di lanciargli uno sguardo interrogativo.

"L'ho incontrata che aveva quattordici anni, io trentacinque. Avrei dovuto portarla via dal Froebel, dopo che ho visto quello che la madre superiora le faceva. Ma non l'ho fatto."

"Mel mi ha detto che dopo la morte della madre superiora, al Froebel c'è stata benissimo."

"Sì," Svanzen alzò lo sguardo sull'agente. "infatti. In realtà poi l'ho persa di vista. Ci siamo reincontrati solo quando lei è stata assegnata alla Squadra Antipapavero di New York. Quasi non ci potevo credere che fosse lei."

"E' piccolo il mondo." Scully sorrise e finì il caffè.

"Agente Scully, non so quanto Melody le abbia detto su di me, ma siamo stati assieme per più di due anni." Svanzen appoggiò la tazza, il caffè era ormai imbevibile. "Melody aveva circa ventotto anni, quando è successo." aggiunse lui, quasi a volersi giustificare.

"Questo spiega perché Melody parla con grande affetto di lei."

Svanzen sorrise. "E' una brava ragazza."

Scully annuì. "La troveremo."

 

***

Luogo sconosciuto

8:09 p.m.

Carter stava cominciando a stancarsi. I polsi legati le facevano male e ormai era in quella posizione da diverse ore: la sua schiena gliela stava facendo pagare.

Emise un gemito di frustrazione, non riuscendo a muoversi che di pochi centimetri. Cercò di girare le mani nella corda che gliele legava, ma non fece altro che procurarsi nuovi lividi.

"Cain!" urlò.

Nessuno le rispose. Cercò ancora di tirare le corde, finché non sentì la pelle delle mani spaccarsi. Poi dovette smettere.

Cain entrò e la guardò per qualche istante dal fondo della stanza. "Tu non hai paura."

"Ho solo voglia di tornare a casa."

"Non sei nemmeno arrivata e già te ne vuoi andare..." fece lui, sarcastico. "Non sei gentile." Camminò fino ad arrivarle accanto. "Guarda. Ti sei tagliata da sola." fece, prendendole un polso.

"Che... ma cosa... come cavolo ci riesci?" gli chiese Mel, sentendo il dolore svanire.

"Ci riesco." replicò lui, semplicemente. "Il dolore mi piace, agente Carter." Sorrise. "La paura mi diverte." Raccolse un bisturi dal tavolino accanto al letto e lo tenne tra le mani rimirando la lama affilata. "Ma tu non hai paura."

"Forse ci sono abituata a queste situazioni." replicò lei.

"A queste situazioni... già." Cain la guardò e sorrise. "Vuoi bene a Mulder, vero?"

"Che te ne frega?!"

"Io lo odio."

Melody sospirò. "Non sono affari miei."

"Oh, sì che lo sono. So che tu lo vedi quasi come un fratello... che non ricordi niente del tuo passato." Appoggiò il bisturi. "Hai mai pensato che potresti realmente essere sua sorella? Samantha, quella che è scomparsa quando aveva otto anni."

"E' improbabile." fece lei.

Cain prese tra le mani il braccio sinistro di Mel. "Quante cicatrici. Devi aver sofferto."

"Senti, perché se tu hai questa capacità di assorbire il dolore, non vai a lavorare in qualche ospedale? Potresti fare una bella cosa e nel frattempo soddisfare i tuoi bisogni..."

Cain scoppiò a ridere. "Questa è bella."

"Non era una battuta. Dicevo seriamente..."

"Senti, Carter, stai parlando troppo per i miei gusti." Si alzò in piedi e prese una siringa. "Oltretutto dobbiamo cambiare casa, quindi sarà meglio se dormi un po'."

"Non vuoi che ti aiuti col trasloco?"

 

***

Appartamento di Melody Carter, Annapolis

10:13 p.m.

"Abita qui da mesi." disse Svanzen, entrando. "E io non sono mai venuto a vedere il suo nuovo appartamento, anche se me l'aveva chiesto." Mulder rimase silenziosamente indietro, mentre Oliver guardava la sala. "Agente Mulder, lei ha conosciuto Alex?"

Mulder scosse la testa.

"Nemmeno io. Eppure avrei dovuto, pensando a quanto Mel gli voleva bene."

"Se torneranno assieme, ci sarà la possibilità di conoscerlo." replicò Mulder, con le mani affondate nelle tasche e un gran senso di impotenza.

"Non credo che lo faranno." Svanzen raccolse un libro dallo scaffale, 'La Gioia del Pi Greco'. Guardò la prima pagina. 'A Mel, la mia gioia - Oly'.

Mulder non replicò, rimase in piedi sul fondo della stanza.

Oliver chiuse il libro e lo ripose. Arrivò fino a Mulder. "Alex è un altro che devo ammazzare."

Fox alzò lo sguardo: "E' innamorato di lei."

"Da anni. Agente Mulder, grazie di avermi portato qui."

Mulder annuì: "Non c'è problema."

 

***

Luogo sconosciuto

10:56 a.m.

Carter si svegliò e si accorse che Cain l'aveva trasportata in un altro luogo legandola ad un altro letto. Sospirò. Se fosse partita due giorni prima, non si sarebbe trovata in quel luogo, ora. Cercò di nuovo di liberarsi, ma i polsi le facevano troppo male.

La porta si aprì lentamente, uno spiffero di luce rischiarò l'interno della piccola stanza. "Sveglia?"

"Che m'hai dato?"

"Valium." fece lui.

"Be', posso andare, adesso?"

"Direi proprio di no. Sai che i tuoi amici Mulder e Bocks non stanno facendo molto per trovarti?"

Mel sbuffò: "Non puoi saperlo per certo."

Cain si sedette sulla sedia che aveva posto accanto al letto. "Come lo puoi dire?"

"Se mi avessero già trovato, vorrebbe dire che tu hai commesso qualche errore... oppure che sei troppo facile da scovare. Ma non è così, vero?"

Cain scoppiò a ridere. "Se pensi che dopo questo complimento ti libererò, sei fuori strada."

"Posso almeno sgranchirmi le gambe?"

Cain scosse la testa. "Ti ha mai detto nessuno che parli troppo?"

"Più o meno una volta al giorno."

"D'accordo." Iniziò a slegarle la mano sinistra.

"Mi fai alzare?" chiese Carter, con poche speranze.

"No." Le tenne il polso stretto nella sua mano. "Voglio vedere se questo ti farà stare un po' zitta..." Raccolse il bisturi. "E soprattutto se ti farà venire un po' di paura..."

 

***

Ufficio di Walter Skinner, Washington

12:30 p.m.

Kimberly si era appena allontanata per il pranzo, quando Svanzen entrò nell'ufficio dell'ex-collega.

"Novità?" chiese senza perdere tempo.

"Per ora niente." rispose Demian, che stava passando in rassegna, per la centesima volta, un plico su Cain alto due centimetri, mentre, seduto accanto a lui, Bocks stava esaminando le mappe di Annapolis.

"Skinner non c'è?" chiese.

"Sono qui." disse lui, entrando. "Oliver, siediti."

Svanzen e Bocks alzarono gli occhi su di lui e il primo si abbassò lentamente su una sedia, mentre Mulder e Scully entravano.

"Abbiamo ricevuto un messaggio da Cain, questa mattina."

Scully mise sul tavolo una busta che conteneva un bisturi. "Il sangue è dell'agente Carter." disse.

Svanzen saltò in piedi, sbattendo le mani sul tavolo: "Devo parlare con questo figlio di puttana!"

Come in risposta, il telefono squillò.

Skinner si mise davanti a Svanzen: "Oliver, calmati. La rabbia non servirà a niente." Alzò la cornetta, mentre Bocks dava il segnale perché la scientifica iniziasse la ricerca del telefono chiamante. "Skinner."

"Potrei parlare con l'agente Mulder?" la voce di Cain.

Skinner guardò l'ex-collega. Doveva tentare d'azzardo. "Al momento non è qui, se può aspettare in linea, glielo faccio chiamare."

"Non fa niente, signor Skinner, lo so bene che Mulder è seduto al suo tavolo. Mi passi pure il suo collega, Oliver Svanzen."

Istintivamente Skinner si guardò intorno. Quindi alzò la cornetta verso Svanzen. L'uomo la raccolse e rispose: "Svanzen." disse.

"So che ci tiene molto alla sua puttanella, signor Svanzen."

"Tu, pezzo di..."

"Ah ah ah. Non si tratta male una persona che ha in mano qualcosa di così prezioso."

"Che cosa vuoi da lei? Cosa vuoi da me?!"

"E' agitato, signor Svanzen. Per ora vorrei solo che riportasse questo messaggio di Melody agli agenti Bocks e Mulder." Sentì in sottofondo Cain che parlava a Carter: "Saluta il tuo ex-capo."

"Vaffanculo, Cain."

"Mel?!" la chiamò Svanzen.

"Oliver..."

"OK, basta." Di nuovo la voce di Cain.

"Bastardo, se tu..."

"Basta così, signor Svanzen. Il tempo è scaduto."

'Click'.

Con un urlo di frustrazione, Oliver sbatté il telefono sulla base.

Charlie lo chiamò. "Signore."

"Al diavolo, Demian!"

"Oliver!" gridò Charlie. "Ho capito che ti senti di merda, ma incazzarsi in questo modo non serve a niente."

"Demian, quello sa perfettamente quanto tempo ci mettiamo a rintracciare una telefonata e..."

Skinner alzò un foglio davanti agli occhi di Oliver, su cui era scritto: 'Forse ha una cimice qui dentro.'

Svanzen annuì e uscì dall'ufficio.

 

***

Luogo sconosciuto

1:12 p.m.

Mel stava mangiando da un piatto di carta con una forchetta di plastica, avendo libera solo la mano sinistra. Aveva la nausea, ma sapeva che se non avesse mangiato avrebbe perso ogni forza nel giro di poco. Cain entrava e usciva dalla stanza, come se volesse controllarla. La ferita non era stata abbastanza profonda da sanguinare per più di qualche minuto.

"Una fame da lupi." disse Cain, ritirando il piatto vuoto.

"Posso avere il bis?"

L'uomo rise. "Non t'è ancora passata la voglia di parlare, eh?"

Carter scrollò le spalle. "E' stata una carognata."

"Che cosa?" sorrise lui.

"Parlare con Oliver."

Cain si avvicinò a lei e le prese la mano sinistra, legandogliela di nuovo alla spalliera del letto. "Sembra molto affezionato a te."

"Sì, e se mi fai ancora qualcosa ti cercherà fino a Urano per prenderti a calci nel culo."

L'uomo rise di nuovo. "Sei divertente." Le scostò un ciuffo di capelli dal volto e Mel si tirò indietro di scatto. Il sorriso di Cain divenne di colpo consapevole. "Ho trovato qualcosa di cui hai paura, agente Carter." Con il palmo della mano le accarezzò la guancia.

"Non toccarmi, bastardo!"

Le prese il volto tra le mani, costringendola a rimanere ferma. "Adesso arriva la parte divertente."

 

***

Appartamento di Melody Carter

10:13 p.m.

Skinner entrò lentamente, in silenzio. La luce della luna illuminava di azzurro la stanza, senza essere invadente, delineando i contorni debolmente, privando gli oggetti dei loro colori.

Il vicedirettore si fermò qualche istante sulla soglia, quindi avanzò, fino ad arrivare a pochi passi dal divano.

"Perdere il controllo non gioverà alla situazione."

Svanzen bevve un altro sorso del liquido denso e marrone dal bicchiere, il sapore forte e bruciante dell'alcool gli scese nello stomaco lentamente, infiammandogli la gola. "La sto perdendo." sussurrò.

Skinner sospirò e si sedette accanto a lui. "Mulder, Scully, Bocks e sua sorella sono finiti nelle sue mani." disse. "Sono ancora vivi."

"La sorella di Bocks è paralizzata. E Cain è vivo." replicò Svanzen, che ormai conosceva il fascicolo a memoria.

Skinner prese il bicchiere dalla mano dell'amico e lo appoggiò lontano da lui, sul tavolino da caffè. "Mel è una ragazza forte. Ne ha già passate di tutti i colori, sopravvivrà anche a questa."

"Non avrei dovuto lasciarla andare." sussurrò Svanzen.

"E che cosa potevi fare?" fece Skinner. "Ha chiesto lei il trasferimento, lo sai che era attratta dagli X-Files e ha sempre fatto di tutto per poter lavorare con Mulder e Scully."

"Lo so... ma forse se non fossi stato... così duro con lei, quando ha incontrato Alex, non sarebbe scappata da New York."

"Oliver, con tutti i difetti che può avere, non puoi dire che Melody non sappia quello che vuole. Ha fatto delle scelte, e le ha fatte consapevolmente."

"Avrei dovuto adottarla." replicò lui.

Skinner scosse la testa. "Hai fatto tutto quello che hai potuto." Si alzò in piedi. "Non pensare che mi sia dimenticato che per tutta la settimana che lei è stata in ospedale, dopo che l'hai ritrovata, sei andato ogni giorno per sapere come stava, o che per tutto il mese successivo, ti sei informato su di lei per vie traverse."

"Sì, ma poi ho lasciato andare... l'ho persa di vista."

Skinner sospirò: "Non dimenticarti che i suoi stessi genitori l'hanno persa di vista a New York, nell''83."

"Altri due che si aggiungono alla lista di persone che devo ammazzare, appena scopro chi sono."

 

***

Luogo sconosciuto

Il vento era freddo, ma il panorama era troppo bello per volersi muovere di lì. Se non fosse stato per i Lone Gunmen, che erano sempre informatissimi su ogni convention della Terra, lei non sarebbe mai andata alla mostra dei gatti di Belgorod e non avrebbe mai visto quel tramonto magnifico.

Respirò l'aria fredda, pura e cristallina, che aveva il sapore dell'acqua fresca di montagna. Quando il sole scese sotto l'orizzonte, lasciando macchie di rosso infuocato sulle nuvole, iniziò a camminare verso il parcheggio dove aveva lasciato l'auto. Avrebbe dovuto percorrere quasi un'ora in macchina per tornare al motel, e preferiva farlo con la luce seppure fioca della sera, piuttosto che guidare in una notte buia.

Si avvicinò alla sponda del torrente per osservare l'acqua scorrere, camminare con lei per qualche metro, parlando con lo sciabordio di una lingua comune a tutti i fiumi del mondo.

Mentre camminava, iniziò a nevicare.

Guardò verso il cielo bianco, affondando le mani nelle tasche. I fiocchi apparivano grigi contro il gelido candore dell'immensa massa delle nuvole.

"Eccoci." sussurrò, ferma davanti al ponticello di legno che attraversava il fiume. Semplicemente lo odiava. L'aveva fatto all'andata e le era sembrato di camminare su uno di quei ponti che si vedono sempre nei film d'avventura: piccolo, fragile e insidioso.

Si attaccò alla ringhiera e, ringraziando il cielo di aver deciso di mettere scarponi da neve, iniziò ad attraversarlo. Arrivata a un terzo del percorso, si fermò. --Sei un'agente dell'FBI, forza!-- Ma non riusciva più a muovere un passo. Aveva le vertigini, la paura di cadere le paralizzava le gambe.

Era già successo.

"Dai!" esclamò a se stessa.

Un passo in avanti. Un altro ancora. E un altro. Poi si fermò di nuovo, aggrappandosi con le mani guantate alla ringhiera. Emise un gemito di frustrazione quando sentì che stava per arrivare la nausea.

Fece un altro passo in avanti. Poi si fermò. Aveva imboccato il lato sbagliato del ponte, quello dove mancavano alcuni metri di ringhiera. "Oh no..." sussurrò. Doveva attraversare i tre metri di larghezza del ponte per arrivare sull'altro lato.

"Signora!" sentì qualcuno che la chiamava alle sue spalle. Restando aggrappata con tutte le sue forze alla ringhiera, si girò lentamente. "Sì?"

"Ha bisogno d'aiuto?" Era un uomo, all'inizio del ponte, vestito con la divisa degli U.S. Marshall.

--Cavolo, sì! No, cioè, sei un'agente dell'FBI, vai avanti con tranquillità anche dove non c'è la ringhiera!-- comandò a se stessa. "No, grazie!" Gli sorrise. "Ero... ferma a vedere il panorama." Fece un gesto con la mano, indicando il fiume. "Grazie, comunque!" Si girò e si fece coraggio.

Un passo, due passi, tre passi, una scivolata ed era giù nel fiume.

Non si era nemmeno resa conto di essere caduta, finché non sentì il gelo pungente di acqua a quasi 0°C infilarsi sotto i vestiti.

"Stia tranquilla!" esclamò l'uomo. "Arrivo subito!" Difatti, nemmeno trenta secondi dopo, era già accanto a lei, nel fiume fino alla vita.

"Oh!" esclamò Carter, che ancora non aveva bene realizzato com'era finita tra le sua braccia.

"Stia tranquilla, la porto subito fuori di qui."

"Sì, io..." Stava tremando e faceva fatica a mettere assieme troppi pensieri per volta, ma riuscì comunque a convincere il gentiluomo che sapeva camminare da sola. Raggiunsero la riva da cui entrambi erano partiti, mentre lui le teneva un braccio sui fianchi per sorreggerla.

"Sta bene?"

"Sì... solo infreddolita." disse. "Ma credo che lo sia anche lei. Grazie."

"Oh, si figuri. Dovere."

"E' un dovere tirare fuori imbranate che scivolano sui ponti ghiacciati?"

"Succede spesso." disse lui. "E' per questo che in generale nessuno attraversa questo ponte, a quest'ora. E' ghiacciato, si cade facilmente." Il vento iniziò a soffiare ancora più forte. "Dove abita?"

"Ho una stanza al motel Umbriel..."

"Umbriel?" fece lui. "Giù a Morganton?"

"Eh, sì."

"E' a più di un'ora di strada da qui. Venga, le darò qualcosa di asciutto da mettersi addosso."

"E' davvero gentile, ma non voglio approfittare della sua ospitalità..."

"Non si preoccupi, venga. La mia baita è dietro quella collinetta." Iniziarono a camminare sul leggero pendio. "Non mi sono presentato." disse poi, quasi imbarazzato da quella dimenticanza. "Sono Martin Fraser, U.S. Marshall."

"Piacere." sorrise lei. Aprì la giacca per estrarre il distintivo, pentendosene per il freddo. "Melody Carter, FBI."

"Sta seguendo un caso?"

"No, no... sono in vacanza, sono venuta per la mostra dei gatti."

Fraser annuì. "Per questo non ha trovato stanze qui a Belgorod."

"Già."

Quando arrivarono alla baita, il tempo era peggiorato. Martin aprì la porta e fece entrare Melody.

"E' molto gentile." disse lei. "Qui è molto caldo."

"Sì, mio padre ha fatto in modo di mettere un buon riscaldamento anche se di solito passavamo qui solo l'estate."

"E' molto bella."

"Venga, abbiamo anche uno scaldabagno, è meglio che si faccia una doccia o rischierà di congelarsi."

"No, io non credo... sia il caso..." balbettò Melody.

Fraser si fermò e abbassò lo sguardo, decisamente in imbarazzo. "Mi scusi, agente Carter, non era mia intenzione metterla a disagio."

"Oh, no... no... Lo so che..." si schiarì la gola. "Non voglio approfittare della sua gentilezza."

Martin sembrò sollevato: "Be', allora prego, venga." La condusse in una piccola stanza da bagno con una doccia ed estrasse sa un armadietto un asciugamano pulito. "Le lascerò dei vestiti puliti nella camera accanto." disse, indicando la seconda porta che si apriva nella stanzetta.

Appena l'uomo uscì, Carter si spogliò in fretta e si infilò nella doccia. Aveva talmente tanto freddo che non sentiva più i piedi e le mani. L'acqua era calda e anche se avesse voluto stare sotto la doccia un'eternità, pensò che oltre al fatto che non era educato, anche il suo ospite era bagnato e avrebbe voluto scaldarsi. Uscì dalla doccia, si avvolse nell'asciugamano, bianco e morbido come fosse nuovo, e aprì lentamente la porta: "Si può?"

Ma la stanza, che era arredata da un semplice letto a due piazze e un piccolo armadio, era vuota. C'erano dei vestiti, appoggiati ordinatamente sul letto. Carter se li infilò in fretta, quindi uscì. L'aria del piccolo salotto era calda, al centro della parete si apriva un piccolo camino in cui ardeva un fuoco caldo e rosso.

"Si sieda a scaldarsi un po'." le disse Fraser, uscendo dalla porta accanto alla camera, vestito ora in abiti civili.

"Sì, grazie... posso... le dispiace se metto un attimo i miei vestiti ad asciugarsi?"

"Li dia a me." disse lui. Li prese dalla sue mani e li stese con cura su fili che dovevano essere stati tesi proprio per appenderci vestiti bagnati.

Mel si era seduta sul divanetto davanti al camino e osservava le fiamme crepitare e muoversi in una danza di vita.

"Agente Carter."

Lei alzò lo sguardo: "Mel." disse.

Fraser annuì. "Martin." replicò con un sorriso. "Vuoi qualcosa di caldo? Un tè o una cioccolata? Magari un caffè?"

Melody sorrise: "Sì... grazie, un caffè andrà benissimo."

Poco distante dal camino c'era un angolo cottura e un tavolo quadrato. Martin Mise la caffettiera sul fuoco e notò che Melody lo stava guardando interrogativamente. "Qual... qualcosa che non va?"

Carter trasalì. "Scusami." disse. "E' che sono anni che non bevo un caffè fatto con la moka."

Fraser sorrise. "Quanto zucchero?"

"Tre."

"Ti piace dolce?"

Carter annuì, sorridendo.

Martin versò il caffè in due tazze, quindi le chiese: "Panna?"

"Se non è un problema."

"Certo che non lo è." Portò le tazze fino al divano su un vassoio.

Mel raccolse la sua tazza. "Grazie."

"Figurati." sorrise Martin. "Me l'avrai detto mille volte."

"Cosa?"

"'Grazie'. Hai avuto un'educazione severa?"

"Sono cresciuta dalle suore."

Martin annuì leggermente sorseggiando dalla sua tazza di caffè. Il vento soffiò più forte contro i muri della baita. "Temo che il tempo vada peggiorando."

Melody guardò verso la finestra. "Be', forse riesco ad arrivare alla macchina prima che faccia buio." disse.

"Sta per arrivare una tempesta di neve." replicò Fraser. "La prenderai in pieno se esci ora per arrivare a Morganton." Si girò verso di lei. "Non voglio apparire insistente, ma potresti restare qui fin quando la situazione sarà migliorata."

Carter abbassò lo sguardo sul caffè. "Uhm, Martin, io..."

"Ci sono due camere da letto qui, potrai chiudere a chiave la porta..."

"No, no... Martin... io... non credo..."

"Non ho intenzione di approfittarmi di te, voglio solo che non rischi di uscire con questo tempo. Anche i guidatori più esperti spesso rimangono vittime di questo tempo."

"Lo so, ma..." Si girò verso di lui. "Mi sembra che sia io quella che si sta approfittando di te."

Fraser sorrise. "Non preoccuparti. Per me è un piacere aiutare chi ha bisogno."

Mel annuì. "Grazie. E grazie del caffè." Ripose la tazza vuota nel vassoio.

"Prego." sorrise lui, alzandosi per portare via il vassoio e scomparendo dalla sua vista. Tornò solo alcuni minuti dopo: "Da dove vieni?" le chiese, risedendosi accanto a lei.

"Da New York."

"Dovrò andarci un giorno."

"Sì," annuì lei. "sarebbe bello, così potrei ricambiare la tua ospitalità."

Martin sorrise. "D'accordo, allora non farti problemi qui." Guardò l'orologio.

"Oh, aspettavi qualcuno?"

"No." lui scosse la testa. "Stavo solo pensando che probabilmente mio padre è rimasto bloccato in paese dal mal tempo."

"Oh, mi spiace..."

"Ah, non fa niente. Abbiamo una piccola casetta, di solito viviamo lì. Io sarei venuto qui a sistemare un po' la casa e lui mi ha detto che sarebbe passato, ma evidentemente non ha fatto in tempo."

Melody annuì. "I tuoi quindi vivono in paese?"

"Mio padre." annuì lui. "Mia madre è morta quando avevo sette anni."

Carter si morse la lingua. --Cretina.-- pensò. "Mi spiace."

"E' passato tanto tempo." Martin sorrise leggermente. "I tuoi sono di New York?"

Carter scrollò le spalle: "Non lo so. Non li conosco. Sono cresciuta in un orfanotrofio. O meglio, mi sono trovata lì a quattordici anni circa, con un'amnesia completa."

"Ah, mi spiace." disse Fraser. "Non dev'essere semplice."

"No... ma non fa niente." sorrise. "Hai fratelli?"

"No, figlio unico." disse lui.

"Io ogni tanto mi chiedo se ne ho... Se sono stati abbandonati anche loro o vivono con... quelli... coi miei...." Sospirò. "Con i miei genitori."

Fraser annuì. "Non hai mai pensato di cercare?"

"Ho esaminato tutti i database a cui ho accesso per cercare se qualcuno aveva denunciato la mia scomparsa." Scosse la testa. "Niente. A volte credo... che sia meglio non sapere..."

"Perché?" chiese lui gentilmente.

"Be'... meglio tenersi stretta la favola di essere una discendente di Anastasia Romanova, che essere sicura che mia madre mi ha abbandonato perché non sapeva che farsene di una come me."

Martin le prese la mano nella sua. "Una come te? Che c'è di male?"

"Oh, be'..." Carter fece una sottile risata amara. "Non ero certo la figlia perfetta..."

Fraser si avvicinò a lei. "Non si direbbe."

Carter si girò a guardarlo negli occhi. "Mi avevano diagnosticato un grave ritardo mentale, epilessia e dislessia, sono scappata dall'orfanotrofio una settimana sì e l'altra pure per i primi due anni, e nessuno mi ha adottata. Tutto questo vorrà dire qualcosa."

"Ma..." Fraser si accorse che la ragazza stava tremando. Si avvicinò a lei, mettendole un braccio intorno alle spalle per scaldarla. "Le diagnosi si sono rivelate false, non è vero?"

"Pare di sì." sussurrò lei. "Ho passato tutti i test dell'FBI e ho scoperto che parlavo male inglese perché parlavo bene il russo."

"Oh. E... quanto alle fughe... sono cessate dopo i primi due anni?"

"Sì..." fece lei.

"Pare che le suore siano state molto severe nell'educarti."

"Già..." Melody prese un profondo respiro. "Ma nessuno mi ha adottata..."

"Ma eri grande... la gente cerca bambini piccoli... è per quello."

"Sì, però... io..." deglutì nervosamente.

Fraser le scostò un ciuffo di capelli dal volto. "All'FBI sei entrata senza problemi, vero?"

"Ho una... propensione per le... materie scientifiche... così mi hanno detto i... professori delle superiori..."

"Immaginavo." sussurrò lui, avvicinandosi al suo viso.

"Fraser..."

L'uomo la baciò leggermente sulla bocca. Quindi si tirò indietro. "Scusa..." le disse.

"Oh no... non fa niente... anzi..." Carter sorrise. "Moj Bog..." disse, tutto in un solo fiato, mise una mano sulla nuca di lui e lo tirò verso di sé in un altro bacio.

Martin le rimboccò le coperte, stringendola a sé. "Giuro che non era mia intenzione finire qui."

"E io che non mi era mai successa una cosa del genere." sussurrò Melody.

"Oh be', strano che io sia il primo uomo caduto ai tuoi piedi."

Carter scoppiò a ridere. "'Caduto ai miei piedi'?! Addirittura?"

"Sì. Da quando stavi tremando sul divano... Ho avuto la tentazione di mettermi in ginocchio davanti a te e chiederti di poterti abbracciare."

Carter sorrise. "Sei la persona più romantica che conosca..." Si girò sulla schiena. La stanza era illuminata dalla fioca luce del camino. "Era la camera dei tuoi, questa?"

"Sì... ma mio padre l'ha usata poco. In generale stavamo qui soli io e mia madre. Era bello. Lui era in giro a lavorare, così raramente veniva qui."

"Che lavoro faceva?"

"Anche lui U.S. Marshall. Non è ancora andato in pensione."

"Una passione di famiglia. Anche tuo nonno lo era?"

"No, lui era un Mountie Canadese. Siamo di origini canadesi, ci siamo spostati qui perché mia madre odiava il freddo."

Rimasero in silenzio per un po'. Quindi Mel riprese: "Non ti ho detto una cosa."

Fraser la guardò in volto: "Non dirmi che sei sposata."

"No! No... non è questo, non sono nemmeno fidanzata. Non sono 'in vacanza'. Mi hanno sospeso."

Martin scoppiò a ridere. "Oh Dio, scusa, non rido per te... è..."

"Per la storia delle suore?"

"No... sì..." sorrise. "Scusami."

"No, non fa niente. E' la prima volta che mi sospendono, davvero."

"Che è successo?"

"Be'..." Si girò appoggiandosi alla spalla di lui. "Ho fatto più di due anni alla sezione scientifica di New York, facevo sorveglianza telematica. Poi sono entrata in una squadra, e siamo riusciti a incastrare una banda di spacciatori. Mi sono fatta un altro po' di tempo alla Scientifica, poi sono stata promossa alla sezione Crimini Violenti e lì ero in coppia con un agente, Spender... siamo rimasti in coppia tre mesi... non facevamo che litigare, insultarci... alla fine, l'ho sentito che parlava male di me in caffetteria e l'ho aggredito. Così mi hanno sospeso per due settimane e probabilmente verrò ritrasferita alla Scientifica. Per fortuna non cambio il mio superiore, che è in gamba."

"E quando finiscono queste due settimane?" C'era una sorta di paura nella sua voce.

Mel sospirò: "Tra tre giorni."

 

***

Luogo sconosciuto

9:09 a.m.

"Finalmente ti vedo un po' silenziosa." disse Cain, entrando in camera.

Mel gli lanciò uno sguardo eloquente.

"Già." disse lui, appoggiando un bicchiere di succo di pera sul tavolino. "Se non parli con la bocca, parli con gli occhi." Indicò il succo. "La colazione."

"Non ho sete." disse lei.

"Be', ragazza, o lo bevi, o te lo farò andare giù io chiudendoti il naso. Ma visto che ieri notte mi hai ripetuto più volte che non vuoi che ti tocchi..."

Mel sospirò e prese nella mano sinistra il bicchiere. Ne bevve qualche sorso, poi disse: "Pera, che schifo."

"Forza."

La ragazza lo guardò con estremo odio e riprese a bere. "Che c'hai messo?" disse, ad un tratto. "Valium?"

"Scommetto che avevi il massimo dei voti in chimica. Bevi tutto, ti farà solo dormire per un po'. Stai tranquilla."

Mel considerò le possibilità che aveva di liberarsi del maniaco attraverso il bicchiere: erano nulle. Il bicchiere era di plastica ed era leggero. Cain, poi, glielo strappò dalla mano appena fu arrivata in fondo.

 

***

Sezione scientifica, FBI, Washington

Quattro giorni dopo, 10:28 a.m.

Svanzen stava esaminando di nuovo il bisturi sotto la luce azzurrognola fluorescente, quando Mulder entrò nell'ufficio. "Signore?"

Oliver alzò lo sguardo: "Novità, agente Mulder?"

Fox scosse la testa. "Ancora niente. Nuove impronte?"

Svanzen spense la luce. "Avrò fatto passare questo bisturi cento volte." Sospirò. "Sempre e solo le impronte di quel bastardo. Andrà a finire che ci lascio le mie." Si girò. "Agente Mulder, era venuto per dirmi qualcosa?"

"Il vicedirettore Skinner sta riunendo di nuovo il gruppo."

Svanzen annuì. Si alzò in piedi e seguì l'agente nell'ufficio dell'ex-collega. Prima di sedersi al tavolo notò un nuovo acquisto della squadra, che, ancora in piedi in fondo alla sala, stava parlando con Demian. "Signore." lo salutò David.

"Agente Knight." rispose lui.

"Avrei gradito essere informato prima della situazione. Mel è anche mia amica."

Svanzen sbuffò: "Avvertire tutta la squadra anti-papavero è stata l'ultima cosa che mi è passata per la mente." Si sedette. "Aurora?"

"E' da mia madre." rispose Knight. "A che punto siamo?"

Bocks intervenne: "Sono quattro giorni che non riceviamo notizie da Cain, dall'ultima chiamata non è uscito nulla."

"E siamo qui ad aspettare?" chiese David.

"Vi ho riuniti" rispose Skinner, quando tutti si furono seduti. "proprio per mettere a punto una nuova strategia. Dobbiamo andare a caccia di Cain, al più presto. Abbiamo già setacciato i luoghi dove è stato in precedenza, controllato ogni denuncia per ricatti. Quale potrebbe essere la sua prossima mossa?"

Mulder rispose: "In generale Cain fa arrivare piccole notizie sulle sue vittime. Quindi attira me o l'agente Bocks sul luogo."

"Mi raccomando che siate seguiti a vista dai rinforzi." disse Svanzen. "E non solo per Melody, anche per voi."

I due agenti annuirono.

Qualcuno bussò alla porta e Kimberly entrò al permesso di Skinner. "Signore... hanno recapitato questa." disse, passandogli una busta.

Il vicedirettore la prese in mano. "Non abbiamo trovato cimici." ricordò. "Eppure Cain sembra sempre sapere cosa stiamo facendo."

Knight annuì e si alzò lentamente. "Ci penso io." disse. "Tanto non riesco a star qui seduto a fare un cazzo." Uscì, non prima di aver lanciato uno sguardo d'odio al suo vicedirettore. Oliver trattenne un sospiro e si chiese se Knight l'avrebbe mai perdonato per essersi dimenticato di lui.

Skinner riportò la sua attenzione sulla busta. Era beige, formato A4, imbottita, aveva l'indirizzo del Bureau. Il nome di Fox Mulder era seguito da un 'c/o Walter Skinner'. Il vicedirettore passò la busta al suo agente.

Tutti erano in silenzio, osservavano Mulder.

"E' la sua grafia." disse. Sapevano tutti a chi si riferiva. Fox aprì la busta, lentamente. Rovesciò il contenuto sul tavolo: diverse ciocche di capelli neri e un foglietto. 'Questo è solo l'inizio, Mulder.'

 

***

Luogo sconosciuto

Due giorni dopo, 11:00 p.m.

"Peccato." disse Cain, entrando. "Un certo tuo collega, David Knight, è riuscito a scovare la telecamera che avevo messo nell'edificio di fronte. Persa telecamera, perso teleobiettivo."

Mel non rispose. Era ancora mezza addormentata, ma soprattutto non aveva voglia di parlare.

"Non ha importanza. Sai quanta gente sono riuscito a mettere assieme per darti la caccia? Ben sette agenti dell'FBI." Le scostò uno dei ciuffi dei capelli, ora così corti, che le era finito sul viso.

"Non toccarmi."

"Stai meglio coi capelli corti."

"Bastardo..."

Cain sorrise. "La prossima volta, invece di tagliarti i capelli, dovrei tagliarti la lingua." Prese una siringa e le iniettò altro tranquillante. Melody si riaddormentò subito. "Buonanotte di nuovo. Dormi tanto, vero?"

Fece per raccogliere un coltello sporco di sangue per metterlo in una busta, ma sentì una voce da dietro: "Lascia il coltello, figlio di puttana."

Cain, preso di sorpresa, si girò. "Chi sei?"

"Di questo non te ne deve fregare un cazzo."

"Tu non sei uno degli agenti che..."

"No, non sono uno di loro." replicò l'altro, tenendogli la pistola puntata alla fronte. "Se non vuoi morire, prendi il telefono e chiama Dana Scully. Dille dov'è l'agente Carter. Poi potrai andartene."

L'uomo scosse la testa. "E perché dovrei?" fece lui.

"Perché se no premo il grilletto, tu sei morto e Melody è libera. L'alternativa è che tu sei libero e Melody pure."

Cain guardò l'uomo: "Come hai fatto a trovarmi? Come hai fatto ad entrare qui?!" urlò.

"Queste non sono cose che t'interessano. Prendi quel cazzo di telefono e fa' la chiamata. Ora."

Cain prese il cellulare e compose il numero.

Il telefono squillò due volte, quindi si sentì la voce per niente assonnata di Scully rispondere.

"Melody dorme molto, ultimamente." disse al telefono. "E' strano, non ho mai visto una persona agitarsi così tanto nel sonno."

L'altro fece ondeggiare leggermente la pistola, incitandolo a farla breve.

"La troverà a Manson Street, 617. Fate come cazzo volete, ma riprendetevela. E' una logorroica, le taglierei la gola volentieri..." Spense il telefono. "Adesso voglio andarmene."

"Vai, allora. Fuori dai piedi." rispose l'altro. "Non farti più vedere, non toccare mai più Melody Carter o ti ammazzo. E ti assicuro che è molto facile per me premere il grilletto." Una volta che Cain fu scomparso in strada, si avvicinò a Melody e si inginocchiò accanto al letto. Le scostò i capelli dal viso e la baciò delicatamente sulla fronte. "Ti voglio bene, oci ciornie." Si alzò e uscì.

 

***

Manson Street 617, Washington

11:21 p.m.

Le auto arrivarono in corsa sotto la casa e la frotta di agenti si riversò nel cortile.

Svanzen entrò con Mulder, Scully e Knight al piano terreno, Skinner salì le scale per il secondo piano con Demian e Bocks. Camminarono lentamente per i corridoi scuri, pronti a qualsiasi attacco.

"Qui Skinner." gracchiò la ricetrasmittente. "Il solaio è sgombro, scendiamo."

C'erano poche stanze al pian terreno, tutte vuote tranne una.

Un piccolo letto, un tavolino... e Melody Carter.

Svanzen fece un salto in avanti, lasciando cadere la pistola e ogni cautela. "Mel?" le mise una mano sotto la gola. La ragazza non si mosse, ma Oliver riuscì a sentire il battito cardiaco. Lasciò andare un sospiro di sollievo, mentre Mulder le slegava i polsi. "E' finita, Mel. E' finita."

Scully si fece avanti, controllando i suoi segni vitali. "Mi sembra che stia bene." disse, mentre Svanzen la prendeva in braccio e la stringeva a sé con quanta forza poteva senza soffocarla. "Perché non si sveglia?"

"Cain deve averla drogata." disse Knight. "Ci sono delle fiale e delle siringhe qui in giro."

Oliver la baciò sulla tempia: "C'è bisogno di un'ambulanza."

"La sta chiamando Scully." gli rispose Knight.

Skinner e i suoi agenti arrivarono in quel momento.

"L'abbiamo trovata." annunciò Mulder con un mezzo sorriso.

In lontananza, la sirena dell'ambulanza fischiò sempre più forte, fino a fermarsi davanti all'edificio. L'atmosfera tesa si infranse di colpo e Mel, inconsapevole del sollievo che aveva portato tra i sette agenti, mise un braccio intorno alle spalle di Oliver, come se non volesse lasciare l'abbraccio per la barella. Svanzen la portò fuori e salì con lei in ambulanza.

Charlie osservò il mezzo svanire dietro la curva e, con un braccio appoggiato alla spalla di Knight, sospirò pesantemente, attirando l'attenzione degli altri. "Ah, l'amour." disse, sorridendo.

"Coglione." replicò David, scostandosi.

Demian riprese l'equilibrio e si girò verso l'ex-collega. "A chi ti riferivi? A Svanzen, spero!"

David gli fece un gesto di assenso con la mano, quindi entrò nell'auto di Demian, con la quale era arrivato sul posto. Charlie scrollò le spalle e salutò gli altri, quindi si allontanò in auto con Knight.

"Vado all'ospedale." disse Scully, dirigendosi verso la sua macchina. "Voglio vedere come sta Melody."

"Vengo con te." replicò Mulder.

Skinner e Bocks li salutarono, quindi salirono nelle proprie auto e partirono.

Krycek uscì da dietro la casa, camminando lentamente sulla strada con un leggero sorriso soddisfatto. Estrasse il cellulare e compose un numero di telefono. "Ti ho trovato un nuovo fenomeno da baraccone." disse e aspettò di sentire il classico sospiro di fumo. "D.S. Cain. Lo conosci?"

"Sì, lo conosco."

"Bene, allora se lo vuoi nel tuo circo, manda qualcuno a prenderlo, deve essere ancora dalle parti di Manson Street." Spense il cellulare e sussurrò al vento: "Io, per oggi, ho finito."

 

***

Mother Teresa Hospital, Washington

12:30 a.m.

Scully bussò leggermente sulla porta, quindi la aprì di uno spiraglio.

Svanzen, che non aveva sentito bussare, alzò lo sguardo e le sorrise. Dana entrò silenziosamente. "Non s'è ancora svegliata?" gli chiese.

"No." Oliver scosse leggermente la testa, tenendo la mano di Joy Mel tra le sue. "Le hanno appena finito l'esame fisico, stanno facendo quello del sangue."

Scully raccolse la cartella clinica che il vicedirettore le stava passando.

"Spero solo che mentre le faceva tutte quelle cose, lei stesse dormendo." disse lui.

--Temo di no.-- pensò Dana, ma non glielo disse. Scorse velocemente la sfilza di lesioni che avevano trovato sulla collega, quindi gliela ripassò. "Conosco una brava psicologa di Washington." disse. "Se Mel ne dovesse sentire il bisogno, le farò avere il numero."

Svanzen annuì leggermente. "Dormirà a lungo, secondo lei?"

"Non lo so. Dipende dalle dosi di tranquillante che Cain le ha dato. Lo sapremo con l'esame del sangue."

Quasi in risposta, Mel sbatté gli occhi qualche volta, senza poi aprirli, forse a causa della luce della stanza. Oliver sorrise e le accarezzò una guancia. Carter si scostò dalla sua mano. "Non toccarmi..." sussurrò.

Svanzen chiuse gli occhi per qualche istante, quindi le lasciò andare la mano.

Carter aprì gli occhi e disse: "Oly?"

"Ehi." Le sorrise.

"Sei tu?..." La sua vista era annebbiata.

"Sì, certo che sono io."

Melody alzò una mano e andò a cercare il volto dell'uomo. Oliver le mise una mano sopra la sua, tenendola vicino al viso.

"Finito?"

"Sì. Tutto finito."

Mel scorse Scully accanto al letto: "Dana?"

L'agente, che stava per allontanarsi, si fermò e le sorrise: "Sono io." Le prese l'altra mano e la strinse affettuosamente.

"Ah, bello..." Chiuse gli occhi di nuovo, quindi si portò una mano sui ciuffi di capelli che le arrivavano ora appena sotto le orecchie. "Quel figlio di puttana m'ha tagliato i capelli..." sussurrò. Sbadigliò, sentendo che il sedativo stava perdendo il suo effetto. "L'avete preso?" chiese.

"No, purtroppo non c'era già più quando siamo arrivati." rispose Scully.

"Ah, peccato. Dovrebbero condannarlo ai lavori forzati in ospedale..." Cercò di mettersi a sedere, ma la mancanza di forze e la premura di Svanzen e Scully glielo impedirono.

Mulder apparve sulla soglia: "Si può?"

"Oh, toh, Mulder." Gli sorrise Carter. "Sai che abbiamo tre amici in comune? Byers, Langly e Frohike."

Fox rimase sulla porta. "Sì, l'ho saputo. E' stato Langly a dare l'allarme."

"Già... dovevo passare a prendere i risultati della ricerca... Da quanto sono via?"

"Più di una settimana." replicò Oliver.

"Quindi vuol dire che oltre ad averli fatti aspettare tutto questo tempo, ho anche buttato via una settimana di ferie?"

Svanzen scoppiò a ridere e la baciò sulla guancia. "Scommetto che Walter sarà più che disposto a fartela recuperare."

Lei annuì e sospirò. "Sono i capelli che ci vorranno anni a recuperarli." Raccolse la cartella clinica che Scully aveva letto poco prima e Oliver ebbe la tentazione di strappargliela dalle mani. Ma Carter aveva tutt'altro interesse. La girò e si specchiò nella parte posteriore lucida. "Cavolo, faccio schifo."

"No, non è vero." dissero gli altri tre assieme.

Mel scosse la testa. "Mi sembra di essere tornata al Froebel, dove non potevo tenere i capelli lunghi."

Oliver sorrise. "Da quando sei uscita di là, nessuno t'ha più tenuto."

"No... in tutti i sensi..." Si osservò per qualche istante, quindi ripose la cartella sul comodino e cominciò a sfregare la benda che aveva sul braccio sinistro.

"Mel, lasciala stare." le disse Scully.

"Ma mi dà fastidio..."

"Hai una ferita abbastanza profonda su quel braccio, rischi che ti rimanga una cicatrice se togli la benda."

Carter sospirò.

"Tra due minuti non ti accorgerai nemmeno di averla."

"Due minuti sono lunghi... A proposito che ore sono?"

Dana guardò l'orologio: "Le 12:43."

"Di notte immagino. Che ci fate alzati voi tre? Dovreste essere a letto a dormire."

Scully le sorrise. "Skinner ti ha assegnato un agente. E' qua fuori a farti da guardia. Possiamo andare, allora."

Mulder annuì semplicemente, dal fondo della stanza.

"Ok." disse Carter. "Sogni d'oro, ragazzi." I due agenti uscirono e Mel si girò verso Oliver. "Non vai a dormire?"

"Non ho sonno." rispose lui. "Se non ti spiace, sto qui con te."

Lei scosse la testa. "Resta pure." Si girò su un fianco ed emise un gemito.

"Mel, che c'è?"

"Oh, niente... solo... mi fa male un po' ovunque..." Sbadigliò. "Parliamo domani, ok?"

"Ok." Svanzen si abbassò per baciarla sulla linea della mandibola, quindi spense la luce. "Buonanotte, stella bianca."

"Mhm? Come m'hai chiamato?"

"Dormi, tesoro." sussurrò Oliver.

 

***

Mother Teresa Hospital, Washington

8:09 a.m.

Skinner arrivò davanti alla porta della stanza 211, con in mano un mazzo di rose bianche. L'agente assegnato, seduto in corridoio, lo salutò con un cenno del capo. Quando si accostò alla porta, sentì rumori di tosse e leggeri lamenti di Carter. Aprì la porta lentamente. "Si può?" chiese.

Svanzen aveva tra le braccia Mel che stava vomitando.

"Devo chiamare un medico?" disse subito Skinner, allarmato.

"No! No." disse Mel, ributtandosi indietro sul letto, che era stato alzato perché lei potesse restare seduta. Prese un sorso d'acqua. "Colpa sua." disse, indicando Svanzen. "Gliel'ho detto che non m'andava la colazione."

"Ok, scusa." disse lui, prendendole una mano e allontanando il vassoio. Lanciò uno sguardo geloso a Skinner, notando il mazzo di rose bianche.

Il vicedirettore se ne accorse e giustificò subito i fiori. "Erano fuori." disse, passandoli a Mel. "L'infermiera ha detto che te li manda un uomo sulla sessantina dal sorriso affascinante."

Mel non toccò le rose, ma lanciò uno sguardo interrogativo a Skinner.

"Non è Cain, gli ho mostrato la foto. Sono già stati controllati."

Carter li prese in mano e disse: "E' strano. Dev'essere qualcuno che mi conosce bene per sapere che le rose bianche sono i miei fiori preferiti." Estrasse il biglietto e lesse: 'I miei migliori auguri per una veloce guarigione. - Yuri Tereskov'

"Mel, che c'è?"

Doveva essere rimasta a lungo a fissare il biglietto dattiloscritto, visto Svanzen la stava chiamando. "Mi ero dimenticata di questo tizio."

"Yuri Tereskov? E chi è?"

"Non lo so di preciso, ma tanto per cominciare è quello che ha pagato la cauzione a me quando sono finita dentro per il caso Cooper e a Mulder per il caso su Scully." Sospirò. "E Tereskova, il mio presunto vero cognome, è il patronimico di Tereskov." Mel chiuse gli occhi, sentendosi di colpo mancare. "Moj Bog..."

"Mel?" sentì la voce di Skinner e la mano di Svanzen sul volto.

"Sto bene." disse lei. "Solo... non capisco... questo... probabilmente è uno che mi conosce perché..." Sospirò. "Mi sta prendendo in giro."

Svanzen prese le rose e le appoggiò sopra al comodino. "Hai ancora bisogno di riposare. Va bene per te, se io e Walter andiamo a prenderci un caffè?"

Lei annuì. "Certo. Tanto c'è fuori Big Jim. La prossima volta mandatemi Ken, che almeno è più alto di Barbie."

Appena i due uomini furono usciti, Mel riprese in mano il biglietto. Lo avvicinò al naso, sentendo il vago odore di sigarette. --Ma chi sei?--

"Si può?"

Mel abbassò il biglietto e guardò verso la porta. Sorrise. "Vieni, Mulder."

Fox entrò con una busta bianca e un mazzo di fiori misti. Parve avere la tentazione di nasconderlo dietro la schiena quando notò le rose bianche, ma glielo porse comunque. "So che non è abbastanza per farsi perdonare, ma..."

"No, Mulder, non dirmi che mi ha formattato l'harddisk."

"Come? No, certo che no!"

Mel prese tra le mani il mazzo di fiori e lo annusò. "Allora cosa dovresti farti perdonare? Hai investito un gatto? Hai dato fuoco a casa mia?" Mulder tentava di parlare, senza risultati. "Hai detto qualcosa di brutto a Scully? Mi hai tagliato i capelli? Mi hai dato della ritardata mentale?"

Mulder scosse la testa: "No. Niente di tutto ciò."

Carter prese le rose e le buttò sul ripiano inferiore del comodino, sostituendole con i fiori di Mulder. "Allora non hai niente da farti perdonare."

Fox sospirò. "Possiamo... ti dispiace se... mi siedo un attimo e parliamo?"

"No, certo. Siediti." Batté con la mano sul letto, per farlo sedere vicino a sé. "Prima devo farti vedere una cosa." Alzò il biglietto.

"Ancora lui." replicò Mulder. "Ma chi è?"

"Non lo so, ha lasciato i fiori all'accettazione." Buttò il biglietto sopra le rose.

Mulder le porse una busta. "Questa è da Byers."

"Grazie." fece lei, prendendola e infilandola sotto il mazzo di fiori. "Allora. Cosa dovevi dirmi?"

"Di sicuro Cain ti avrà detto... perché ti ha rapita."

"Mhm." rispose lei.

"A volte credo che tutte le persone che mi stanno più vicine di un semplice conoscente siano in pericolo. Mel..."

"Mulder, non ho bisogno dei tuoi sensi di colpa." Gli batté affettuosamente una mano sulla spalla.

"Quel pazzo ti ha rapita solo perché sei mia amica."

Carter scosse la testa. "E chi gli ha detto che siamo amici?" Sorrise. "Mulder, se vuoi avere la coscienza a posto, promettimi che mi offrirai una pizza ai gamberetti e rucola, quando esco di qua."

Fox scosse la testa. "Anche due. Ma Melody..."

"Mulder." lo interruppe, spazientita. "Non m'hai sentito?"

"Sì, ti ho sentito ma..."

"Basta, ok? Mi devi due pizze, anche tre se insisti, e siamo a posto." Riprese in mano la busta.

"C'è un'altra cosa, Carter... di cui volevo parlarti da tempo. E mi dispiace di non averlo fatto prima... Mi dispiace di averti rotto una mano."

Mel alzò la sinistra: "E' di nuovo intera, no? E poi era solo il quinto osso del metacarpo."

"Be', mi dispiace comunque."

"Mi sono già vendicata, quando ti ho tirato il pugno." Aprì la busta. "Chissà se mi hanno trovato qualcosa." Estrasse un sottile plico di fogli. "Mulder, queste sono fotografie satellitari o sbaglio?" Gliene passò un paio.

"Sì, sembra che ci sia una nave che sta per attraccare al porto di New York." disse lui.

"Mhm... La nave dei clandestini. Forse ero su que..." I fogli le scivolarono tra le dita.

"Carter!" Mulder la prese per le spalle delicatamente. "Che ti prende?!"

"Oh... niente..." fece lei. "E'..." Sbuffò. "...tutto così strano..." Gli passò un foglio. Un verbale di polizia.

"'E' stato trovato in un registro un elenco con il nome di alcuni clandestini saliti a bordo della nave. Non avendo altro e non trovando nessuna delle persone, l'indagine venne interrotta.

I nomi erano:

Valentina Kochetkova e Aleksej Ivan Kochetkov

Ekaterina Dina Nemova e Vania Nemov

Rozalia Nurajeva e Elena Nurajeva

Anastasia Kolanskija e Dmitri Kolanskij

Lilia Tereskova e Svetlana Yuri Tereskova.'"

Mulder sospirò. "Ti hanno trovata."

Mel annuì. "Mulder?"

"Sì, che c'è?" le chiese, in tono dolce.

"Mi sento male." rispose. "Dio, Mulder mi sento male..."

Fox mise da parte i fogli e le mise una mano sul viso. "Stai tranquilla, adesso chiamo subito un medico."

"No... non ho voglia... basta coi medici... basta..."

"Stai calma, allora."

"Ho la nausea..."

"Lo so. Adesso respira profondamente, lentamente." Le tenne una mano sulla guancia. "Pensa a un posto dove ti sei sempre sentita al sicuro, Mel."

Carter chiuse gli occhi, poi scosse la testa. "Non esiste..." sussurrò.

Mulder non parlò per qualche istante. "Mel?"

"Ogni luogo della mia vita è segnato da qualcosa di brutto. Un ricordo, una sensazione, una crudeltà..." Mel aprì gli occhi. "Scusa, Mulder. Ora sto meglio."

Fox scosse la testa: "Ti ricordi che cosa ti ho detto, un paio di settimane fa?"

"Mhm... quale cosa?"

"Che se avessi avuto bisogno di uno psicologo con cui parlare, io sarei stato qui, presente per te come per Scully."

"Aspetta, quant'è la tua parcella?"

Fox sorrise. "Lo sai che per te è gratis."

"Vuoi risparmiare sulle pizze, eh?"

Mulder scosse la testa: "Melody, ti voglio parlare chiaramente. Stai cercando di evitare il problema ed è evidente."

Carter sospirò. "Sì, forse sì. Non so, non mi sento particolarmente pronta per affrontare tutti i problemi..."

"E' presto." convenne lui. "Ma il momento giusto deve arrivare."

Carter riprese in mano il plico. "Sai... quando... nel giro di un mesetto vieni a conoscenza di metà del tuo passato... Non è facile. 'Lilia'. E' probabilmente il nome di mia madre. E questo mio... secondo nome. 'Yuri'. E' maschile. Come te lo spieghi, Mulder?"

Lui scosse la testa. "Potrebbe essere un errore o..."

"Mulder, Yuri Tereskov. Devo capire chi è. Si chiama quasi come..." si interruppe.

"Mel?"

Carter sbuffò, infilò i documenti nella busta e disse: "Affanculo. Io non mi chiamo Svetlana Yuri Tereskova, non sono figlia di Lilia Tereskova. Mi chiamo Joy Melody Carter e la cosa più vicina a una madre che ho avuto è stata Suor Romana... che per quanto mi riguarda è una madre molto migliore di Lilia Tereskova."

"Ok." Mulder annuì.

"Vorrei trovare un posto sicuro, Mulder. Come posso fare?"

"Forse... dovresti cercare nella tua memoria. Prima o poi... arriverai a destinazione."

Melody lo guardò: "Mulder, posso confidarti una cosa?"

Lui annuì.

"Quando sono stata a Belgorod, in Oregon, alla mostra dei gatti... ho conosciuto un uomo. Abbiamo passato una notte assieme. Una storia che è cominciata velocemente quanto è finita. Ho pensato che quella potesse essere la mia isola felice... ma... tutto era pervaso da... sensi di colpa, paura e..." Sbuffò. "Ero appena stata sospesa."

Mulder annuì. "Forse un posto tranquillo e sicuro potresti creartelo."

Melody sorrise. "Forse."

"Ora è meglio che vada." Si alzò e disse: "Se avessi bisogno di qualsiasi cosa, chiamami."

"Non conosci un modo per fare in modo che i capelli crescano più velocemente?"

Mulder scosse la testa lentamente. "No, mi spiace." Anche se all'inizio aveva pensato che quello fosse solo un modo per spostare l'attenzione su altro, Fox ebbe la netta impressione che il taglio dei capelli fosse stato un vero trauma per lei. E indubbiamente il più esteticamente evidente.

"Mulder?"

"Sì?"

"Mi fai un piacere? Se vedi i due schizofrenici fuori di qui, puoi chiedere a Oliver se quando ha finito di bere il caffè più lungo della storia può mantenere la sua promessa?"

Mulder le lanciò uno sguardo interrogativo ma annuì. La salutò e uscì nel corridoio. Svanzen e Skinner stavano parlando, appoggiati al muro di fronte alla porta. "Signore," si riferì a Oliver. "Melody ha chiesto se può, cito testualmente, mantenere la promessa."

"Vacca morta." esclamò il vicedirettore. "Me ne sono dimenticato. Devo andarle a prendere il computer portatile."

 

***

Mother Teresa Hospital, Washington

10:13 p.m.

#X5 entered #Psicocats

<Koala> Ciao X5, è tanto che non ci si sente.

<LogoBabe> Hola.

<X5> Ciao a tutti.

<Mountie> Oh, chi si vede, ciao X5.

<X5> Di che stavate parlando?

<Mountie> Di te.

<Koala> Di te.

<X5> Chissà perché mi sento leggermente al centro dell'attenzione.

<LogoBabe > Ma no, che dici... Ci mancavi. Non ci sentiamo da più di 10 giorni.

<X5> Qualche problema.

<LogoBabe> Tutto bene, spero.

<X5> Sì... LogoBabe sei tu 'El Muchacho' sulla lista spagnola?

<LogoBabe > Come hai fatto a capirlo?

<X5> Sei una dei pochi che saluta con 'Hola'.

<LogoBabe> Me l'hai insegnato tu, muchacha.

<X5> Muchacha... e direi che io devo chiamarti 'muchacho'...

<LogoBabe> Non si svelano in questo modo gli altarini della gente.

<X5> Chi non lo sapeva qui che sei un uomo?

<Marty> Io.

<X5> Marty, è la prima volta che ti sento parlare da quando sono in questa chat.

<Marty> Ci credo. Parlate sempre voi.

<X5> Stai dicendo che siamo logorroici?

<Marty> Precisamente.

<X5> :-P

<Marty> :DDD

<Koala> Ma scusate, perché uno dovrebbe far finta di essere una donna?

<X5> Le donne attraggono l'attenzione più degli uomini.

<Koala> X5 tu sei una donna, vero?

<X5> Boh.

<LogoBabe> Piantala, X5. Sì, è una donna.

<X5> Più o meno, ho detto.

<Marty> Perché più o meno?

<X5> Boh.

<Marty> Sei esplicativa stasera.

<X5> :DDD Conoscete mica un modo per farsi crescere i capelli più velocemente?

<Koala> No, spiacente.

<LogoBabe> Sì, attaccargli dei pesi.

<Koala> Scemo, così diventi pelato...

#Marty asking private chat with X5

<Marty> Si può?

<X5> Marty, che c'è?

<Marty> Melody?

<Marty> Melody Carter?

<X5> Chi sei?!

<Marty> Mi è quasi sembrato sentirtelo esclamare. Mulder.

<X5> Oddio. Com'è piccolo il mondo.

<Marty> :DDD A cosa è dovuta questa reazione?

<X5> Io che ne so che tu vieni in chat?!

<Marty> #Psicocats parla di psicologia.

<X5> Sì, certo, peccato che gli 'Off-Topic' sovrabbondino sopra gli 'In-Topic'.

<Marty> E' interessante vedere come la gente si apre facilmente in chat. Tu comunque sei parecchio enigmatica.

<X5> Perché 'Marty'?

<Marty> Boh.

<X5> :-P

<Marty> :DDD E' un nome che mi piace. Perché me lo chiedi?

<X5> Ricordi il tipo dell'Oregon? Si chiamava Martin.

<Marty> Ah... ho capito... vuoi che cambi?

<X5> Nah... Basta che a Scully non vengano strane idee.

<Marty> In che senso?

<X5> Lascia stare.

<Marty> E tu perché X5?

<X5> Non noti una certa assonanza? 'Notte, Mulder!

#X5 has quit #Psicocats

<Marty> X-Five? X-File???

<Marty> Carter!

 

***

Belgorod, Oregon

4:27 p.m.

Martin Fraser sospirò.

"Ehi, Martin."

"Che c'è, papà?" replicò lui.

"Sono dieci minuti che sospiri davanti al computer. Cos'hai?"

"Niente..." Lo spense. "Ero in una chat-line."

"E allora?"

"Allora, niente..."

"Sono settimane che passi il sabato pomeriggio davanti a quello schermo." L'anziano gli batté una mano sulla spalla. "Non ritroverai Melody là dentro." Uscì dalla stanza blaterando qualcosa.

Fraser scosse la testa. --Non c'è Melody, ma X5 le assomiglia un po'... Se fosse lei... nah, il mondo non è così piccolo.--

 

***

Luogo sconosciuto

Notte

<<E così avete ritrovato l'agente Carter... Mmm, che intuito! E che attacco in forze! Addirittura sette agenti che irrompono in casa per svegliare una povera ragazza che in fondo aveva solo bisogno di riposarsi un po'... Avrete certamente apprezzato il fatto che non vi ho complicato la vita con trappole e stanze segrete... Mi sa che sto diventando buono! Ma no, è solo uno stato temporaneo. Vedrete che passerà!

Tranquilli, sono stato un vero gentiluomo, con Joy Mel: ho usato narcotici di prima qualità. Solo il meglio, per la vostra amica! Mi sa che metterò su una bella Clinica del sonno, con lo stress che c'è in giro farò affaroni! Chiedetelo a Carter: non ha fatto altro che dormire, dormire, dormire.... E' strana, però, quella ragazza. Ho sempre pensato che i narcotici impedissero i sogni, e invece lei sembrava sognare spesso. E si agitava pure! Ah, ma tu non hai amici 'normali', vero, Fox? Tutto regolare, allora.

OK, basta con queste sciocchezze. Vado a ritemprarmi il fisico con una bella dormita. Spero che voi possiate fare altrettanto. Ma qualcosa mi dice che per qualcuno di voi non sarà così... Questo è quel che si dice ottenere un buon risultato con il minimo sforzo.

Vostro D.S. Cain>>

Piegò il foglio, lo infilò in una busta, quindi la sigillò. Si alzò e uscì con il suo passo zoppicante dalla casa. A metà del vialetto estrasse la pistola e la tenne lungo il fianco, vedendo un uomo arrivare verso di lui. L'uomo aspirò una boccata dalla sigaretta accesa e soffiò il fumo nell'aria fredda e umida della serata.

"Credo che un mio agente l'abbia già avvertita. Stia lontano da Melody Carter."

"Com'è piccolo il mondo." disse Cain.

Il fumatore sorrise, quindi si allontanò.

FINE 2^ parte

***

Il personaggio di D.S. Cain è di F. "SleepyFX" Fioravanti e Andrea Bocchi. Il personaggio di Andrew Bocks appartiene a Andrea Bocchi. La prima lettera di Cain è stata scritta da Andrea Bocchi, la seconda da F. "SleepyFX" Fioravanti. Entrambi sono stati usati con il permesso degli autori.

Questo racconto è ispirato al gioco di ruolo 'Our Virtual Season', realizzato da F. "SleepyFX" Fioravanti (Fox Mulder e D.S. Cain), Andrea Bocchi (Andrew Bocks e D.S. Cain) e Monica M. Castiglioni (Joy Melody Carter e Dana Scully).

Joy Melody Carter, Oliver Svanzen, Charlie Demian, David Knight e la serie 'Humana Species' appartengono a Monica M. Castiglioni.

Martin Fraser e i suoi genitori sono personaggi di Monica M. Castiglioni, ispirati alla serie "Due South".

Dana Scully, Fox Mulder, Walter Skinner, Kimberly, i Lone Gunmen e gli X-Files sono di proprietà di Chris Carter, 20th Century Fox, 1013 Production e dei rispettivi interpreti.

Nessuna intenzione di infrangere diritti di copyright, questo racconto è stato distribuito gratuitamente.

Feedback molto apprezzato: xmcarter@email.it - grazie! :))

Joy Melody Carter è la protagonista della serie "Humana Species", che può essere trovata sulla sua pagina: http://digilander.iol.it/xbellatrix/jmc/

Spero vi sia piaciuto. Grazie per aver letto.

Monica