Humana Species 3

Caso X-2MC07190899:

Aurora

 

New York, Istituto Friedrich Froebel

5 maggio 1999, 4:04 pm

Aurora lanciò la pallina da tennis lontano. Il cane corse a prenderla e trotterellò verso di lei, abbandonando la pallina tra i piedi della bambina, che la prese e la rilanciò.

Il gioco poteva andare avanti per diverso tempo. A stancarsi per primo, in generale, era il cane. Si sedeva ai piedi della bambina ed aspettava che qualcuno decidesse che era ora di ritornare a casa.

Aurora si alzò in piedi e camminò fino alla casetta di legno che era stata sistemata nel giardino. Aprì la porticina e sorrise. Entrò, chiudendo fuori il cane. Il cucciolo abbassò le orecchie e si mise tranquillo ad aspettare che lei uscisse.

 

New York, Istituto Friedrich Froebel

5 maggio 1999, 5:25 pm

Joy Melody Carter fece un cenno di saluto alla suora di turno all’entrata. Con lei c’era un ex-collega di New York, David Knight.

"Lavori sul serio con lo spettrale Mulder?" le chiese.

"No, fortunatamente no. Lavoro nella sezione scientifica ancora, e a volte do una mano al Dinamico Duo per qualcosa."

"Qualche richiesta strana da Mulder?"

"Un plico."

"Mel, non in senso scientifico." David sorrise.

La donna gli lanciò uno sguardo divertita: "Cheeeee? Mulder? Ma va."

"Uno stoccafisso, insomma."

"David, non è detto che tutti gli uomini di questo modo debbano cedere al mio fascino." Aprì la porta che dava sul cortile, tenendola perché lui passasse. "Che tra l’altro è inesistente."

"No, Mel, ti sottovaluti. Hai molto fascino. Un fascino felino."

"Fottiti, Knight." fece lei, seguendolo fuori.

"Ehi, guarda che qui siamo in mezzo alle suore."

Mel scosse la testa.

"Ah, scusa, dimenticavo che tu sei cresciuta dalle suore."

"Dacci un taglio, Knight." Indicò col un gesto del capo il cortile. "C’è il tuo cane. Dov’è Aurora?"

"Sarà nella casetta." David scrollò le spalle.

Il cane si alzò sulle quattro zampe e trotterellò allegramente verso di loro, saltando subito verso Melody per farsi accarezzare.

"E meno male che non vai d’accordo coi cani."

Carter sorrise. "Odio quando mi saltano addosso... Sta’ giù, Dodger." Sfregò la testa del cane, così che le orecchie facessero un leggero rumore di stoffa al vento. "Mi piace troppo fargli così."

"Non si chiama Dodger." disse David.

"Sai perché il tuo cane quando ci vede assieme fa le feste solo a me? Perché io lo chiamo per nome, non lo chiamo "cane" o "il cane" o "la bestia"."

"Gliel’hai detto che sei veterinaria? Non credo che ti amerebbe in modo così sguaiato se lo sapesse. Io odio tutti i medici che incontro."

"Non so parlare coi cani." disse tranquillamente Mel. "E comunque ci sono anche dei medici simpatici."

"Fammi un esempio."

Melody si inginocchiò davanti alla porticina della casetta. "Dana Scully." Poi bussò. "E’ permesso?" Aprì lentamente. Aurora era seduta all’interno, guardando verso la porta. "Buongiorno signorina Knight, si può? Le ho portato un regalino." La donna porse alla piccola un sacchetto di carta. La fanciulla non fece niente per prenderlo, né per aprirlo.

Mel si infilò nella casetta, mentre David rinunciò subito all’impresa. L’agente aprì il sacchetto e ne estrasse un peluche a forma di gatto. "Questo è un micio." disse Carter, ponendo il peluche tra le mani di Aurora. Solo in quel momento la bambina sembrò notarlo. Lo accarezzò lentamente, metodicamente. "Ehi." Carter cercò di richiamare la sua attenzione. "Ehi bellezza. Non mi dici niente oggi?"

"Ricky ti saluta." disse la bambina.

"Oh, grazie. L’hai salutato anche tu da parte mia?"

"Ricky dice che ti conosce."

Mel rimase in silenzio. Fu David a riprendere: "Aurora, puoi presentarmi Ricky?" Ma la bambina non rispose. "Aurora? Aurora, mi saluterai Ricky, la prossima volta che lo vedi?" Ancora niente.

Carter strisciò fuori dalla casetta e si pulì i pantaloni dall’erba e dalla polvere. David si rimise in piedi, scuotendo la testa. "Temo che per oggi abbia finito la sua razione di parole."

Mel porse una mano alla bambina, che la prese, tenendo stretto il gatto di peluche con l’altra. "Aurora, quando mi ha conosciuto Ricky?"

Nessuna risposta.

Knight sospirò. Guardò l’orologio. "Ora di cena."

 

Appartamento di Melody Carter

Annapolis, Virginia

5 maggio 1999, 8:03 pm

La sua casa era ancora piena di scatoloni dal trasloco. Ma che le era salato in mente di fare? Perché diavolo si era fatta dare il trasferimento a Washington? Era impazzita? --Lontana da Oliver Svanzen, da David Knight, dalle sue suore, da Charlie Demian... no, un momento, torna indietro. Charlie è stato trasferito due anni prima di te. Lontana da Aurora Knight.--

Ma a cosa stava pensando quando aveva firmato quella richiesta?

Melody si guardò in giro sbuffando. Oltre al fatto che doveva rimettere a posto tutto... Merda, era a due passi da Jeffrey Spender!

Scosse la testa.

Si buttò sul divano. Il sabato era finito a modo suo. La domenica si prospettava peggiore: togliere il disordine dalle scatole per sparpagliarlo in giro per casa.

Il telefono squillò quattro volte prima che lei riuscisse a raggiungere la cornetta senza alzarsi dal divano. "Chi è?" chiese.

"Ciao Mel, sono Dana."

"Ehi! Mhm... Ciao Dana. Come va?"

"A me bene, ma tu? E’ tutto il giorno che ti cerco."

"Ti ho lasciato i risultati in ufficio, li hai trovati?"

"Sì, volevo giusto ringraziarti di averci fatto passare davanti a tutti."

"Di niente. Mi chiedo cosa ci trovi di così speciale."

Scully sorrise. "E’ stato Mulder a ritrovare il dischetto, pensava che potesse esserci qualcosa di buono."

"Non intendevo nel dischetto, intendevo in Mulder." fece lei.

Scully scosse la testa. "Stai bene?"

"Certo, ti sembra strano che faccia commenti cattivi su Mulder?"

"No. Mi chiedevo solo come mai eri irraggiungibile."

"Sono stata da... hm... esci ‘sta sera?"

"No, non esco." fece lei.

--Già, perché dovresti? In fondo è solo un altro fottuto sabato sera in solitudine. Trecentosessantacinque giorni, Scully...--

"Vuoi che ci troviamo, Mel? Diciamo... tra mezzora da PCTools?"

"Dammi il tempo per ritrovare qualcosa di decente da mettermi in mezzo agli scatoloni. Un’ora, ok?"

 

Bar PCTools, Annapolis

5 maggio 1999, 9:04 pm

Scully entrò nel bar e andò direttamente verso il séparé. Melody era già arrivata, come al solito.

"Sei qui da molto?"

"Dieci minuti. Ordiniamo?"

"Sì... intanto, dimmi di cosa volevi parlarmi."

"Ti ho mai parlato di David Knight?"

"Sì, se non sbaglio faceva parte della squadra di cui facevi parte quando avete incastrato la cosiddetta "banda del papavero" di New York."

Melody annuì. "Esatto."

"Gli è successo qualcosa?"

"No, non ultimamente. Aveva un fratello, anche lui nell’FBI. Fratello minore, per la precisione. Si chiamava Hermann. Era sposato e aveva una figlia. Un giorno fecero un incidente stradale... probabilmente non casuale."

"Hermann era sulle tracce di qualcuno... o qualcosa?"

"Forse. Qualcuno o qualcosa più grande di lui." Melody ricevette la sua insalata di pollo dal cameriere e sussurrò un ringraziamento in russo, prima di replicare in inglese. "David credette che si trattasse di un giro di droga ed è stato principalmente grazie alle sue prime indagini che abbiamo concluso il caso della "banda del papavero"."

"Ma tu non credi che fosse quello, vero?"

"No, infatti." Melody prese una forchettata. "Ma non l’ho mai detto a Knight, sarebbe una bastardata." Scrollò le spalle. "Comunque, la figlia di Hermann sopravvisse all’incidente. Sopravvisse per modo di dire, perché ora è stata affidata alle suore, soffre di una grave forma di autismo."

"Alle suore?"

"Sì, lo stesso istituto dove sono cresciuta io. Ai tempi era solo un orfanotrofio un po’ più attrezzato di altri, oggi è una sorta di istituto psichiatrico per l’infanzia." Scrollò le spalle: "Non sto dicendo che io non necessitassi di psichiatri, ma non avevo dieci anni."

"Credi che quelli che hanno ucciso i genitori di Aurora siano ancora in circolazione?"

"Su questo non c’è dubbio."

"Pensi vogliano fare del male ad Aurora?"

"No. Non credo. Non è questo il punto. Aurora ha sviluppato una forma particolare di autismo."

Scully annuì.

"Lei parla pochissimo, e quando lo fa è solo attraverso una sorta di realtà immaginaria."

"In che senso?" chiese Scully.

Melody fece un gesto con la mano: "Sai... come se una persona parlasse sempre per sentito dire. "Lui mi ha detto che... Lui ti dice che..." E’ il modo di parlare di Aurora."

"Lui? Non parla di una lei, essendo una bambina?"

"No. Questo è il punto. Sai era tanto che non sentivo parlare Aurora e oggi... E’ stato molto particolare. Mi ha detto: "Ricky ti saluta, lui ti conosceva"."

"Che significa?"

Melody appoggiò le posate e si lasciò andare contro lo schienale. "Ho avuto una specie di visione dal passato. Io che parlavo con un certo... Ricky."

"Credi che sia vera?"

"Non lo so." Carter sospirò. "Sono confusa. Aurora... Aurora ha sempre parlato con un bambino immaginario che chiamava Ricky."

"E’ tipico dei bambini crearsi amici immaginari. Lo fanno tutti, è un principio di socializzazione, di abbandono del punto di vista egocentrico dell’infanzia."

Melody annuì. Poi sorrise: ""Avrei dovuto portare mio figlio dallo psicanalista quando ho saputo che i suoi amici immaginari non volevano giocare con lui."" citò.

Anche Scully sorrise: "Quante volte hai visto "Fiori d’Acciaio"?"

Carter scrollò le spalle: "Non ho idea, ho perso il conto. E a proposito di conto, offro io e non discutere."

"Melody..."

"Dana..." La giovane sorrise: "Grazie di essere stata ad ascoltarmi. Mi sento meglio."

"Se avessi ancora bisogno, anche per Aurora, chiama pure, ok?"

"Ok. Devo... devo solo mettere a posto qualche ricordo."

 

Appartamento di Melody Carter

Annapolis, Virginia

5 maggio 1999, 9:04 pm

Carter entrò nell’appartamento tenendo, come suo solito, le luci spente. Chiuse la porta a chiave e fece pochi passi prima di inciampare negli scatoloni e finire in mezzo a una quantità di ciarpame accumulato dentro uno di essi.

"Caz..." Un picchiettio sulla finestra della camera da letto la fece alzare in piedi di corsa. Aprì la finestra e Alex Krycek entrò velocemente e, senza perdere un attimo, la baciò. "Quinto piano, Joy?" le chiese.

"Hmm, cosa ne pensi?"

"Non me l’hai ancora fatto vedere il tuo nuovo appartamento." Alex la spinse a terra lentamente.

"Se stiamo qui sarà un problema, fartelo vedere."

Alex si slacciò velocemente i jeans. "Mi interessa soprattutto la camera da letto."

"Hmmmm, non te la consiglio, qui le uniche stanze agibili sono la cucina e il bagno."

"Joy, mi meraviglio ti te, a cosa stai pensando?"

"Chi io?... Alex, come cacchio ti sei allacciato la camicia?"

"Non l’abbiamo mai fatto nella vasca da bagno."

"Nemmeno sul tavolo della cucina."

Alex scoppiò a ridere. "Shhh..."

Mezz’ora dopo erano ancora stesi sul pavimento, ma i vestiti erano sparsi intorno a loro. "Sono andata a trovare Aurora."

"Come sta?"

"Sempre il solito. Oggi però... Alex, credo di aver avuto un ricordo."

"Di che si tratta?"

"Ricordi per caso se io da piccola ho mai giocato ad avere amici immaginari?"

"Non ricordo, ma lo facevo anch’io, molto probabilmente l’avrai fatto anche tu. Aurora... Aurora parla attraverso amici immaginari, giusto?"

Mel annuì. "Ricky." disse.

"Ricky?"

"Sì. E’ il bambino immaginario con cui parla Aurora. E io sono quasi sicura che sia lo stesso nome che usavo io. Anche perché, oggi, Aurora ha detto che Ricky mi conosceva."

Alex chiuse gli occhi brevemente. "Ricky non mi è nuovo, Joy."

"Cosa?"

"Ricky..." Alex si mise a sedere e recuperò i propri boxer. "Ho in mente qualcuno che si chiamava così... faceva parte del Proekt, forse."

"Davvero?!" Melody cercò i propri vestiti.

"Sì... Sì, ora ricordo. Era un mio compagno di qualche corso... Quelli di armi forse. O inglese."

"Poca differenza..."

Alex sorrise. "Ricky Corchinov. Se non sbaglio. Il suo vero nome non era Ricky, ma lo chiamavamo tutti così."

Fuori iniziò a piovere quasi di colpo. Alex e Mel si girarono verso la finestra assieme. "Credo che ‘sta notte sarai costretto a rimanere con me."

Lui sorrise.

"Vai avanti a raccontarmi di Ricky, intanto ti preparo il tè." Si alzarono in piedi e si diressero verso la cucina.

"Be’... Ricky era una sorta di genio. Soffriva di una strana forma di autismo."

"Come Aurora?"

"No... Ricky sembrava un ragazzo normale, ma quando doveva concentrarsi, usciva completamente dal mondo e andava dritto al punto, finché non aveva raggiunto il suo scopo non si fermava e niente e nessuno poteva interromperlo."

"Sarebbe diventato un soldato perfetto." disse Melody. "Molto meglio di te e me."

"Infatti. I suoi genitori cercarono di scappare con lui. Furono presi, riportati indietro, messi in isolamento."

"Che anno era?"

Krycek prese la tazza da Melody. "Credo... più o meno il ‘72." Alex alzò lo sguardo. "I genitori di Ricky lo uccisero poco dopo. Poi si suicidarono."

Carter appoggiò la tazza al tavolo. "Mon Bog..."

Krycek imitò il suo gesto, quindi la prese per mano. "Vuoi che ti dia una mano a mettere un po’ a posto?"

Mel annuì. "Sì, grazie... Alex... devo ritrovare alcuni disegni che mi aveva regalato Aurora. Devo averli in giro."

 

Appartamento di Melody Carter

Annapolis, Virginia

6 maggio 1999, 2:12 am

Alex si lasciò cadere sul divano distrutto. "Dio mio, Joy, pensavo che non avremmo mai finito." Melody era distesa per terra prona, cercando in una cartelletta piena di fogli. Era la quinta che apriva. Lei e Krycek avevano appena finito di mettere a posto tutte le cose di Melody. Per essere partita da zero da soli tredici anni, Carter aveva accumulato moltissima roba. La metà era finita in qualche discarica di New York, e l’altra metà era stata sistemata nel nuovo appartamento.

"Joy?"

"Credo di averlo trovato." Melody si alzò e si sedette accanto lui. Gli mostrò il foglio. Dietro, nella grafia allegra di Carter era stato scritto: "La famiglia di Ricky – Aurora Knight – 3.8.95".

"Come fai a sapere che è la famiglia di Ricky?"

"Hm... Be’... io ci vedo... ecco." Indicò la macchia rosa al centro: "Credo che questo sia Ricky. Al centro del foglio. Poi, queste due figure blu sono i genitori di Ricky."

"E la barra nera che hanno in mano la pistola con cui fu ucciso." proseguì Krycek.

"Dio mio..."

"Questo vuol dire che Aurora vede Ricky."

Carter chiuse gli occhi e annuì. "E che anch’io lo vedevo."

Alex non disse nulla. Guardò Melody alzarsi e camminare lentamente fino alla cucina, prendere un bicchiere d’acqua. Ne bevve un sorso poi lo scagliò con tutte le forze contro il muro opposto. Rimase per qualche secondo in piedi, respirando affannosamente, quindi crollò a terra, scoppiando a piangere.

Krycek si alzò in piedi e si abbassò accanto a lei, la prese il braccio, senza parlare e la portò in camera da letto. Rimase seduto accanto a lei ad accarezzarle il viso per diversi minuti, finché lei non si calmò.

"Alex?"

"Sì?" disse lui dolcemente.

"Vorrei far vedere quel disegno."

"A uno psicologo? Forse posso trovarti qualcuno nel..."

"Mulder."

Alex rimase in silenzio, poi annuì. "E’ un bravo psicologo."

 

Ufficio degli X-Files

FBI, Washington DC

7 maggio 1999, 10:13 am

"E’ permesso?"

Mulder alzò lo sguardo: sulla porta era apparsa Melody Carter. "Ehi. E’ un po’ che non ci si vede."

"Ho avuto da fare con il trasloco. Scully?"

"Sta facendo un’autopsia." Mulder le indicò la sedia davanti a sé. "Qual buon vento?"

Melody gli passò il disegno di Aurora e si sedette. Mulder guardò il disegno. "Cosa sto guardando?"

"Tu che ne pensi?"

Fox alzò lo sguardo su di lei: "Un indovinello?"

"Ho bisogno di un parere da psicologo."

"Carter, non si interpreta un test senza conoscere il soggetto."

"Sì, ma qualunque cosa ti dica, potrebbe falsare le risposte."

Mulder annuì. "Sembra... Ci sono tre forme principali. Due grandi e una piccola: potrebbero essere due genitori e un figlio. L’artista è il figlio. Messo al centro. Visione egocentrica, diciamo... quattro o cinque anni? Forse sei?"

"Sei." disse Carter. "Ok, per ora hai indovinato tutto. Fin qui più o meno c’ero anch’io."

"Continuo a non vedere il punto, Carter."

"Vai avanti, per favore."

Mulder annuì. "Il bambino si sente... debole. Nudo, indifeso. I genitori... giudici."

"Sì, è vero."

Fox le lanciò uno sguardo, poi proseguì. "Queste righe nere intorno alle tre figure... credo che siano altre persone. Potrebbero essere delle figure... di cui fanno parte anche i due genitori, che sono blu scuro."

"La tua interpretazione è finita?"

"Non ti è stata utile?"

"No, anzi. Molto. Non avevo pensato a..." Indicò le righe nere, poi sussurrò: "Oh Bog..."

"Mi chiedo cosa sia la riga nera in mano ai due genitori."

"E’ una pistola." Melody si alzò in piedi e sospirò. "Hai ancora dieci minuti da dedicarmi?"

"Anche venti."

Melody si risedette, ma non riprese a parlare.

"Di chi è il disegno?" le chiese Fox.

"Aurora Knight. E’ la nipote di David Knight."

"Figlia di Hermann Knight?"

Melody annuì. "Sì, lo conosci?"

"Ricordo di aver letto la notizia della sua morte. Era un giovane e promettente agente della VCS, trentun’anni se non sbaglio."

--La mia... presunta... età.-- pensò Melody. "Sì. Esatto. David, suo fratello maggiore, fece parte della squadra che ha incastrato la "Banda del papavero". Eravamo colleghi nel ’95, per quello conosco lui e la nipote. Ora Aurora ha dieci anni: dal giorno dell’incidente è autistica."

"Ti stai specializzando in forme di autismo nei bambini, Carter?"

"Forse il caso di Jennifer Robertson mi fu assegnato proprio per la mia esperienza con Aurora. Dopo aver conosciuto David e la storia di suo fratello, ogni settimana andavo a trovare Aurora. E’ una bambina talmente bella e intelligente. Lei... A volte ho creduto che tutti avessero scambiato per autismo il mutismo."

"Una bambina che ha imparato già a non parlare."

Melody annuì. "Alla fine di questo periodo, Aurora iniziò a parlare."

"Ma non nel modo consueto."

"Esatto."

"Dov’è?"

"Aurora?"

"No, l’uomo che fuma. Carter..."

"Aurora è all’Istituto delle Suore Romane Friedrich Froebel."

"Quell’Istituto?"

"Sì, quello." Melody si avvicinò leggermente a lui: "Mulder... questa bambina non è un caso... cioè, non... Non voglio che lo diventi."

"Non lo diventerà."

Melody annuì. "D’accordo."

"Carter? C’è qualcos’altro che dovrei sapere?"

"Che intendi?"

"Questo disegno, chi rappresenta?"

Melody annuì. "Hai ragione, sto saltando un pezzo della storia. Aurora parla attraverso questo Ricky. A volte si riferisce direttamente a me. Sabato Aurora mi ha detto che io e Ricky ci siamo conosciuti."

"Ed è vero?"

"Credo di sì."

"Come?"

"Faceva parte del Proekt, hai presente?" Mulder annuì. "Morì ucciso dai genitori, che poi si suicidarono."

"E questo spiega il disegno di Aurora. E’ possibile che lei stia, in qualche modo, parlando con l’anima di Ricky."

"E’ stata la mia stessa idea. I bambini si creano spesso degli amici immaginari. A volte dei mondi immaginari. Se... se questo fosse un modo per... comunicare con altri mondi e... e Aurora stesse comunicando con il mondo dei morti?"

Mulder non rispose, ma rimase a fissare il disegno. "Ma perché con un bambino russo morto anni fa?"

"Forse per la mia interazione con Aurora. Da quello che ne so, Ricky morì intorno al 1972. Io... hm... io credo... credo, dai pochi ricordi che ho, che anch’io parlassi con lui... quando Ricky era già morto."

"Una porta su un mondo ordinato come il nostro, dunque." concluse Mulder. "E’ logico."

"E pericoloso." disse lei. "Aurora potrebbe oltrepassare la soglia e non riuscire più a tornare indietro. Non so se è una porta o una valvola."

 

FBI, Washington DC

Caffetteria

7 maggio 1999, 10:13 am

"E’ libero questo posto, dolcezza?"

Melody alzò lo sguardo e sorrise: "Certo, agente."

L’uomo si sedette davanti a lei con un vassoio pieno. "Non pensavo di vederti così presto a Washington."

"Mi scusi, ma ci conosciamo?" chiese lei.

"No." Lui rise: "Bisogno di cambiare aria, oppure di stare lontana dalla gelosia di Svanzen?"

Carter sorrise. "Entrambi. Certamente un motivo peggiore del tuo. Da agente a agente speciale. Che hai, una pistola più grossa?"

Lui scosse la testa: "Uno stipendio più alto." Le tese una mano con il palmo rivolto verso l’alto. "Benvenuta, Melody."

Lei batté il proprio palmo con quello di lui: "Grazie Charlie."

"Allora, cosa ne dici di questo postaccio?"

"Mi piace."

"Anche se c’è quello là?"

Melody alzò lo sguardo dal suo piatto e guardò nella stessa direzione di Charlie. "Sì, anche. E’ la prima volta che lo incontro."

"Da quanto tempo sei qui?"

"A lavorare da due settimane, ma a Washington ci sono da tre."

"Alex ha accettato il cambiamento di buon grado? Se non sbaglio lui è newyorkese."

"Lui viaggia." disse semplicemente lei.

"Un giorno dovrai farmelo conoscere."

"Un giorno." Melody sorrise. Un cellulare squillò con una musichetta strana. "E’ il mio." disse Carter.

"Con quella cazzata di soneria non può essere certo il mio."

"Pronto?... Knight, ciao! Sono qui con Demian... cosa?... Ne siete certi?... Mon Bog, arrivo subito." Spense il telefono e si tirò in piedi. "Aurora è scomparsa."

"La piccola Aurora?"

Melody annuì e si alzò in piedi: "Devo chiamare Mulder."

 

New York, Istituto Friedrich Froebel

7 maggio 1999, 4:04 pm

Melody entrò nell’istituto di corsa, seguita subito da Mulder. Percorse sapientemente il corridoio centrale, quindi arrivò a un ufficio. Bussò due volte, quindi entrò.

"Joy Melody, è un piacere rivederti."

Carter si costrinse a tirare un profondo respiro. Poi disse: "Suor Romana. David Knight mi ha appena chiamato, ha detto che Aurora è scomparsa."

"Essere così agitata non ti gioverà a nulla. E, Joy Melody, hai dimenticato le buone maniere?"

Carter abbassò lo sguardo. Un leggero sorriso sul volto delle due donne non passò inosservato agli occhi di Mulder. "Fox Mulder, un mio collega all’FBI, Suor Romana."

"E’ un piacere conoscerla, agente Mulder." La suora, che era su una sedia a rotelle, allungò la mano verso di lui. "Spero potrà aiutarci a ritrovare Aurora."

"E’ quello che spero anch’io."

"Ho già detto tutto allo zio di Aurora, comunque, la piccola è andata in cortile, come fa di solito nei bei giorni di bel tempo. E’ arrivato qui il cane di suo zio..." Guardò Melody e disse: "Dodger. Poi è entrata nella casetta ed è sparita. Il cane sempre poi essere tornato a casa."

"Io credo che Aurora abbia avuto contatti con l’aldilà." disse Mel. "C’era un ragazzo che continuava a tenerla in contatto coi suoi genitori morti."

"Joy Melody, ti rendi conto di quello che stai dicendo, vero?"

"Io..."

"Joy Melody."

"Sì, lo so, è assurdo. Ma Aurora parlava di Ricky. E anch’io ho conosciuto Ricky."

"Lo stesso Ricky, Joy Melody? Ne sei certa?"

Carter scosse la testa. "No, ma... non vedo altre spiegazioni."

Suor Romana sorrise ai due agenti. "Le vie del Signore sono infinite. Joy Melody, tu sai quello che è giusto nel tuo cuore." Le due donne rimasero per un lungo minuto a guardarsi, come se tra di loro passasse una tacita comunicazione.

Alla fine Carter disse: "D’accordo."

"Il Signore sia con te."

"E con il tuo spirito." rispose Melody, uscendo dall’ufficio.

Mulder salutò cortesemente la suora e seguì Melody. "Sembri molto a tuo agio, qui dentro." Era una domanda.

"Ci sono cresciuta, Mulder. Con Suor Romana leggevo i racconti sugli animali, studiavo veterinaria. Mi ha aiutato in tutte le mie crisi, in tutto. E’ stata come una madre, per me."

Mulder annuì. "Di cosa avete parlato?"

"Come?"

"Ho avuto l’impressione che abbiate parlato mentalmente. Non è così?"

"No." Melody si fermò davanti alla porta del dormitorio delle bambine. "Lei semplicemente ha detto che dovevo sapere cosa fare e io ho capito." Entrò, andando diretta verso un séparé. C’erano due lettini all’interno. Raccolse il gatto di peluche e lo mostrò a Mulder: "L’ho dato io ad Aurora due giorni fa."

Mulder sorrise. "Un gatto, non a caso."

"Già." Glielo porse. "Puoi dare tu un’occhiata qui? Io... vorrei provare a vedere la sua casetta di legno."

"Se è là che Aurora è scomparsa..."

"No. Vorrei andarci un attimo da sola."

"D’accordo. Ho chiamato Scully, venendo qui. Arriverà tra poco."

Carter annuì. "Farò in fretta."

Melody entrò nella casetta. Il cortile era vuoto, evidentemente la polizia era già passata, viste le strisce gialle. I bambini erano nelle aule, le suore in chiesa.

Lei poteva stare tranquilla almeno per qualche minuto. Si sedette a gambe incrociate fronteggiando la porta, come faceva Aurora.

Chiuse gli occhi e ispirò profondamente.

"Ricordi gli esercizi, Joy Melody?"

"Sì, li ricordo."

"Ispira. Espira. Ispira. Espira. Lentamente, Melody. Lentamente. Pensa al "Chiaro di Luna" di Beethoven. Devi essere quella melodia. Lenta. Tranquilla."

Melody respirò lentamente. I dottori avevano detto di tutto su di lei. Nessuna delle loro "oscure profezie" si era avverata.

Ora era pericoloso. --Se vai di là, potresti non tornare più indietro. Se ti perdi, resterai nel loro mondo per sempre. Forse anche Aurora è là. Nel loro mondo. Il mondo dei morti.--

Continuò ad respirare lentamente, come i medici le avevano insegnato. C’era qualcosa di molto più vecchio di tredici anni in quegli esercizi. Avevano... tanti anni... li aveva imparati da piccola... anche Alex li aveva imparati con lei...

Carter cadde in una sorta di trance.

"-Svet...-"

Mulder, sospirando si alzò e fece per uscire dal dormitorio, ma sulla porta apparvero Scully e la suora in carrozzella.

"Ciao Scully. Hai visto Carter?"

Rispose la suora. "Melody deve essere lasciata sola, in questo momento. Almeno per un po’."

"-Svetlana.-"

Carter aprì gli occhi. Si trovava stesa a terra, in posizione fetale, ma quello che era strano era ciò che la circondava: tutto era di un bianco spumoso, come se il mondo intero fosse diventato cotone idrofilo. Melody si mise a sedere a gambe incrociate.

"-Svetlana, è un piacere rivederti.-" disse una voce in russo.

Lentamente una forma apparve davanti ai suoi occhi. Non era definita. Sembrava una sfera trasparente, che distorceva leggermente le nuvole di cotone dietro di sé. In essa si alternavano tutti i colori dell’arcobaleno, traslucidi, tenui, meravigliosi. Melody allungò la mano verso la sfera. Sorrise. Un’allegra risata arrivò alle sue orecchie. "Ricky?"

"-Oh Svet, che bello, non ti sei dimenticata di me.-"

Melody guardò la sfera, grande circa due volte il suo palmo fluttuare sopra la sua mano aperta. "Ricky, tu sei questa sfera?" Scosse la testa poi ripeté la frase in russo.

"-Sì, Svet. Non è così che tu te la immagini l’anima?-"

"-Oh... non lo so... Non ci ho mai pensato...-"

"-Ne sei certa?-"

"-No.-"

"-Sei cresciuta dall’ultima volta che ci siamo visti.-"

Melody rise. "-Adesso mi chiamano Joy Melody Carter.-"

"-Per me rimani sempre la piccola Svetlana che adorava gli animali di peluche. La piccola Occhi Neri.-" La sfera salì in alto di colpo, poi ridiscese lentamente alle spalle della ragazza. Lei si girò. "-Cosa devo fare, Ricky?-"

"-Tu lo sai, Svet.-"

"-Tu... tu mi puoi dire chi sono, vero? Tu conosci la mia storia... la mia famiglia...-"

"-Svetlana.-" La voce di Ricky era chiara e tranquilla. Si avvicinò a lei. "-Ricordi qual era la regola? Una regola che va sempre rispettata.-"

Melody socchiuse gli occhi. Le onde di colore continuavano a susseguirsi sulla superficie della sfera trasparente. "-Una domanda per volta.-" rispose lei.

"-Cosa vuoi sapere, Svet?-"

"-Io...-" Passò un lungo attimo di silenzio. --Chi è mia madre? Chi è mio padre? Quanti fratelli ho lasciato al Proekt? Chi sono io?-- Oh Dio, che decisione difficile da prendere. Che decisione impossibile.

"-Do... hm... Dov’è... Dov’è Aurora?-"

La suora non aveva quasi parlato per gli ultimi dieci minuti. Mulder e Scully erano rimasti a parlare della scomparsa di Aurora guardando tra le cose della bambina. Suor Romana aveva detto loro che le cose di Aurora erano a casa dello zio, lì era stato portato solo il necessario, anche se pian piano sia Melody che David si erano premurati di riempirle gli scaffali.

Dal fondo del dormitorio, la donna in carrozzella li chiamò. Loro arrivarono subito. La suora indicò un lettino in fondo, vicino alla finestra. "Quello era il letto di Joy Melody."

Era tremendamente piccolo, in quell’angolo. Sembrava che rispecchiasse Melody: isolata, pur in mezzo agli altri.

La suora alzò lo sguardo: "E’ ora di andare a prenderla."

I due agenti seguirono la donna fino al cortile posteriore, quindi percorsero il prato fino alla casetta di legno.

Mulder si chinò davanti alla porticina, preparandosi a trovare Melody incantata a pensare a dove potesse essere finita la bambina. Ma trovò Melody distesa a terra in una posizione strana, fremiti scuotevano il suo corpo in preda a convulsioni. "Scully!"

Dana si inginocchiò accanto a lui: "Sta avendo una crisi epilettica." disse lei. "Dobbiamo tirarla fuori di lì."

"Non è epilessia." disse tranquillamente la suora.

Mulder prese cautamente la ragazza in braccio.

"E’ meglio portarla all’interno." disse Scully, alzando leggermente le palpebre di Melody per controllare le pupille.

I due agenti seguirono la suora, che li portò in una stanzetta a parte, con un letto all’interno. Melody si era ormai calmata e ora sembrava dormire tranquillamente. Fox restò in piedi accanto a lei, mentre Scully chiese alla suora di uscire a parlare.

"Ha detto che non è epilessia. Cos’è?"

"I medici non hanno mai saputo dire che cosa fosse." La donna scrollò le spalle. "Trance. Estasi." rispose.

"Religiosa?"

"Non ne ho idea. L’unica cosa che so, è che è autoindotta."

"Vuole dire che Melody si è messa da sola in quella condizione?"

"Le sembra così impossibile, agente Scully?"

"No, può succedere, ma... è raro."

Mulder passò il palmo della mano sulle guance di Carter. Aveva pianto, o comunque lacrimato. Si girò verso Scully, appena fuori dalla porta, ma la sua attenzione fu riportata subito sulla ragazza. Si era mossa di scatto, come se stesse avendo un incubo.

"Scully..."

Melody aprì gli occhi di colpo, si mise a sedere, le braccia distese in avanti, e urlò: "Aleeeeeeeeex!"

D’istinto, Mulder l’abbracciò, stringendola a sé. "Carter, è tutto a posto."

Melody rimase ferma, respirando profondamente per qualche istante. Poi si allontanò da lui.

Scully fu accanto a lei in pochi istanti: "Come ti senti Mel?"

"Che è successo?" chiese.

"Che è successo?!" esclamò la suora con tono severo. "L’hai fatto di nuovo, Joy Melody."

"Oh." disse lei. "Aurora." Si mise in piedi di corsa.

"Aspetta, Melody!" esclamò Scully, seguendola subito assieme a Mulder. Melody arrivò in cortile, quindi corse verso gli alberi. C’era una sorta di grotta, all’interno di uno di essi. Melody si abbassò e guardò all’interno. "Aurora? Aurora..."

La bambina sbadigliò, quindi si tirò in piedi e uscì, abbracciando l’agente. "Ciao piccolina."

"Ciao Melody." disse lei, per la sorpresa di tutti.

"Ehi." sorrise lei.

"Ricky non tornerà più." disse. "E’ andato via. Tu l’hai visto, vero?"

Melody annuì. "Sì, amore. L’ho salutato. Non ero mai riuscita a farlo. Gli ho detto addio."

 

Ufficio degli X-Files

FBI, Washington DC

10 maggio 1999, 11:21 am

Mulder alzò lo sguardo dal fascicolo, quando sentì bussare. "Avanti."

Carter entrò, salutandolo.

"Come ti senti?"

"Bene, grazie. I medici dicono che devo smetterla di avere incontri coi morti."

Mulder sorrise. "Scully che dice?"

"Indovina." Si sedette davanti a lui.

"Non ci crede. Ma tu?"

"Non so cosa credere, Mulder. Non... non ho idea. Credo che non rivredrò più Ricky... Ma... Io non sono una credente... nel senso stretto della parola..." Sospirò.

"Sarà una reazione ad essere cresciuta dalle suore."

Melody sorrise. "Io mi ci trovavo bene. Forse prima di arrivare qui ero cristano-ortodossa. O forse atea, non so. Poi sono diventata cattolica e ora non so più cosa essere. A volte sono panteista, vedo Dio ovunque, altre volte... credo che non ci sia niente dopo la morte. E questa alternativa è la più spaventosa."

"La fede è sofferta, quando è vera, non si dice così?"

"Sì... sì, però, sai io invidio la gente che... che non crede, ma *sa*."

"E tu dove credi di essere stata, in quei momenti?"

"Non ho idea. Non so se veramente ho visto Ricky, non so se io e Aurora avevamo davvero una porta sul mondo dei morti in comune. Ma ho detto addio a Ricky ed è tornata Aurora."

"Bisogna fare dei sacrifici per ottenere quello che si vuole." Mulder annuì. "Non hai avuto paura di perderti?"

"Sì." rispose Melody. Quindi si alzò e girò attorno alla scrivania per avvicinarsi al collega. Dalla tasca interna della giacca tirò fuori un foglio piegato. "Aurora vuole che ti dia questo."

Mulder lo prese in mano: era un disegno, non più con gli angoli angoscianti di quelli di anni prima. Questo era dolce, a fiocchi rosa e azzurri, con fiori ovunque, cani, gatti, uccellini e coniglietti in armonia. Mulder sorrise, continuando a fissare il foglio.

Carter sospirò. "Mulder?"

Lui alzò lo sguardo dal disegno. "Sì, Carter?"

"Grazie."

La ragazza si alzò in piedi e andò verso la porta: "Be’, è tutto. Ora è meglio che vada, perché con tutto il tempo che abbiamo passato assieme in questi ultimi giorni, non vorrei che Scully iniziasse ad essere gelosa."

La porta si chiuse e Mulder si alzò in piedi e chiese: "Cosa intendevi con "Scully inizia ad essere gelosa"?" Uscì di corsa dall’ufficio. "Carter!"

La ragazza si girò con un sorriso e uno sguardo interrogativo. "Sì?"

"Tu credi... uhm... tu credi che tra me è Scully ci sia qualcosa?"

"Qualcosa in che senso?" fece lei con naturalezza.

Mulder prese un profondo respiro. "Un... mhm... sentimento..."

"Che vi amiate?"

"Eh, hm... s-sì."

"No, Mulder. Io non lo credo." Riprese a camminare per il corridoio, quindi gli lanciò uno sguardo da sopra la spalla: "Io lo so."

FINE