Pantera di Lorenzo Trenti Berlino, ore 18.48 "Sappiamo solo che è lì, in Germania", disse la voce nel cellulare. "L'identikit ormai ce l'hai." "Non male", rispose la donna, seduta in auto. "Un vago identikit e un campo d'azione vasto come l'intera Germania per cercare il nostro uomo. Un compito facile." "E' per questo che l'abbiamo affidato a te. Sappiamo che non ci deluderai." La donna riappese senza salutare. Si voltò a guardare, senza farvi particolare attenzione, i passanti all'esterno. Il tassista si schiarì la voce. "Allora, dove la porto?", chiese in tedesco. "All'hotel Luxor. E faccia in fretta." L'autista annuì e svoltò verso Est. La donna si passò una mano tra i capelli neri. Poi trasse dalla borsetta un disegno fatto al computer. Era l'identikit di un uomo sui trentacinque anni, castano, gli occhi di un blu profondo. Aveva zigomi pronunciati e capelli corti, leggermente ricciuti. Si accese una sigaretta e la aspirò in silenzio. "Signora... Entschuldigen Sie... non è permesso fumare sui mezzi pubblici...", azzardò l'autista. La donna continuò ad aspirare dalla sigaretta. Fissò con acredine il tassista, sostenendo il suo sguardo nello specchietto, finché questi non distolse gli occhi. Tornò a osservare l'identikit. Cosa le avevano detto? Sostanzialmente nulla, come al solito. Ma una professionista come lei giocava secondo le proprie regole. Erano loro a doversi adattare, non lei. Ne avrebbe saputo di più. E poi l'avrebbe preso. Con la sigaretta ormai terminata bruciacchiò l'identikit, praticandovi un foro circolare all'altezza della fronte. "Ti prenderò. Ovunque tu sia. O non mi chiamo più Diana Fowley", mormorò. (sigla!) Berlino, Stazione di Polizia, ore 7.31 Fowley estrasse dall'elegante giacca nera un tesserino di riconoscimento. "Sono l'Agente Speciale Diana Fowley, della CIA. Mi trovo nel vostro paese per dare la caccia a un pericoloso ricercato... questo è il suo identikit", disse passandolo sul bancone. Il capitano di Polizia, dall'altra parte, preferì esaminare per primo il tesserino governativo. "CIA, eh? Non si offende se prima faccio un controllo, vero?" "No di certo", disse Fowley. "Basta che faccia in fretta." Il poliziotto la squadrò sollevando un sopracciglio. Poi si girò e fece una rapida telefonata all'ambasciata statunitense. Dopo avere mugugnato qualcosa con sussiego, tornò a rivolgersi alla sua interlocutrice. "Va bene, Frau Fowley, pare che lei sia considerata molto importante presso il suo paese... l'ambasciatore ha sottolineato l'importanza del caso che sta seguendo. Questo signore è un terrorista, vero?" "Può darsi", si limitò a dire Fowley. "In ogni caso la prego di diramare questo identikit alle principali stazioni di Polizia, specie quelle poste sui confini." "Agli ordini", disse il biondo capitano con un sorriso beffardo. "Le ricordo comunque che al confine con i paesi dell'Unione Europea non viene più effettuato il controllo dei documenti... questo suo soggetto potrebbe girarsene tranquillamente per l'Europa con molta facilità." L'altra fece una smorfia. "Glielo dico così, per aiutarla...", aggiunse quello. "Incoraggiante", mormorò a denti stretti la donna. Bonn, ore 14.20 "Diana! Che sorpresa! Entra, vieni... era da un po' che non ti vedevamo..." Fowley venne accolta nell'abitazione, tutta fatta di mattoni scuri e legno laccato di bianco. Per l'occasione aveva abbandonato il suo solito tailleur nero e aveva optato per abiti più semplici, una camicetta bianca con un motivo a fiori, una gonna a tubino blu e occhiali con la montatura dorata. L'impressione era quella di una segretaria o di una amministratrice: proprio quello che voleva. All'interno si trovavano altre quattro donne, compresa Liese, la padrona di casa. Si accomodarono al tavolo e ognuna estrasse dalla borsetta un piccolo contenitore di vetro con un minuscolo frammento metallico all'interno. Oramai era diventato una specie di segno convenzionale tra loro. Liese sorrise per quella specie di piccola società segreta in rosa. "Certo che la vita riserva strane sorprese... e ti fa incontrare compagne ancora più strane", disse. "Be'", disse Anna, "non saremo ai livelli delle donne americane che si trovano nella nostra stessa condizione... certo, qui i..." sembrava imbarazzata nel dirlo. "...i rapimenti sono stati molto minori. Sembra che 'loro' - indicò significativamente in alto - prediligano le americane!" Fowley sogghignò, e qualcun altro emise un risolino. "Va bene, va bene... allora, chi di noi ha fatto progressi...?", chiese Liese. La mezz'ora successiva fu occupata da racconti di sedute di ipnosi, di resoconti di trattamenti chimici per arrestare il cancro scoperto dopo la abduction, di analisi fallite sul microchip che ognuna di esse si era ritrovata come impianto corticale. Anna raccontò qualche particolare emerso in sede di ipnosi regressiva, e lo esternò come una specie di sogno. O di incubo. Fowley cercò di non pensarci. "Io... credo di avere ricordato un volto", disse. Le altre donne si irrigidirono. "Uno di loro...?", chiese Liese portandosi la mano alla bocca. "No. Un uomo." "Un prigioniero come noi?" "Penso di sì. Non lo so. Ecco, ho provato a farne un disegno... sulla base dei miei ricordi. Sono solo dei brevi flash, delle immagini frammentarie, ma... be', ecco qui." Estrasse dal portamonete un foglio con sopra l'identikit del suo uomo, ricopiato a penna e con qualche sbavatura per renderlo più realistico. "Certo che è strano", disse Anna rompendo il silenzio che si era creato. "Come mai noi non ce ne siamo mai ricordate?" Tutti gli sguardi si posarono su Diana. "Forse non tutte l'hanno visto", rispose. "Anche il mio ricordo è affiorato solo ora. E poi anche di me nessuno si ricordava tranne Isolde." Il silenzio calò di nuovo. Isolde se ne era andata diversi mesi prima, ma aveva fatto in tempo ad introdurre Diana nel circolo delle donne rapite. "Sarebbe bello rintracciarlo... sapere quello che ha passato...", vagheggiò Liese. "Di chiedere alla Polizia non se ne parla, vero?", domandò Anna incrociando le mani sul tavolo. "No, lo sai, Anna... ci prenderebbero per pazze. E poi come mi potrei mai presentare alla Polizia? 'Salve, sto cercando un tizio che è stato rapito dagli alieni assieme a me, potreste aiutarmi?'...". Fowley incrociò le braccia e scosse la testa. "La tua posizione all'ambasciata non ti consente di tirare qualche filo...?", chiese una delle altre donne. "Ehi, sono solo una segretaria...", disse Fowley quasi scusandosi, "non un'agente speciale o che so io...". "Senti, Diana, sai cosa potremmo fare? Sentiamo dal MUFON... ho un amico che ci lavora e sta sempre col naso in su a cercare i dischi volanti... gli telefono e gli dico che puoi andare da lui. Magari anche questo tizio sta cercando delle risposte. Che ne dici...?" Fowley si alzò in piedi. "Liese, non so come ringraziarti. Vi farò sapere...". Uscì e per un attimo ebbe la tentazione di appoggiarsi alla porta per la stanchezza. Si limitò a sospirare e guardò il bigliettino che le aveva dato Liese. Berlino, ore 18.33 "Allora è lei l'amica di Lieselotte", disse l'uomo, biondiccio e piuttosto paffuto. "Io sono Andreas", le strinse la mano. "Diana. La ringrazio per la collaborazione. Immagino che Liese le abbia già spiegato la situazione." Andreas si accomodò dietro alla scrivania e iniziò a scartabellare tra pile di fax, riviste di ufologia, stampe di e-mail, volantini di contattisti e diagrammi astronomici. "Sì, qualcosa del genere... sta cercando una persona, vero? Un uomo..." Andreas trovò finalmente quello che cercava: un pacchetto di sigarette. Ne estrasse una e offerse il pacchetto alla donna. "Lei fuma, Diana?" Quella esitò un attimo, poi rifiutò. "Non proprio. Una ogni tanto, in memoria di mio marito", disse sibillinamente. "Ah. Ho capito. Credo. Comunque, mi faccia un po' vedere il suo uomo..." Gli porse il ritratto fatto a penna, e aggiunse. "Dovrebbe avere i capelli castani e gli occhi azzurri, quasi blu". Adreas lo squadrò per qualche secondo. Quando udì il particolare degli occhi blu trasalì all'improvviso. "Tombola", pensò Fowley. "Non so se è una coincidenza, ma penso di conoscere il suo amico", disse restituendo il disegno. "Sì... la ascolto", disse Diana, mal celando la propria impazienza. "Ecco, Frau Fowley... non so se posso dirle quello che lei vorrebbe sapere... sa, qui anche i muri hanno orecchie..." "Andreas, che le posso dire? Io sono solo una segretaria che vive da qualche anno qui in Germania... non penso di costituire un pericolo per il vostro gruppo." Evitò accuratamente di dire che afferiva - e non proprio come segretaria - all'ambasciata degli USA, il paese che presso i teorici della cospirazione era il più in vista nel losco affare delle trattative con gli alieni. "E poi sono un'amica di Liese", aggiunse. Andreas sbuffò, tamburellando le dita sulla scrivania. "E va bene... ma se poi viene fuori che lei è un'agente della CIA i miei colleghi mi scuoiano!", ridacchiò, poco convinto. Diana ricambiò il sorriso. "Bene, Frau Fowley... come le dicevo, credo di conoscere il suo uomo. Si è presentato qui qualche giorno fa... poche ore dopo la sua iscrizione al gruppo, è successo qualcosa di grosso." Andreas si asciugò la fronte con un fazzoletto. "Qualcosa di grosso?" Fowley avrebbe voluto cavargli le informazioni con più celerità, ma si rese conto che l'altro avrebbe potuto insospettirsi della sua insistenza. Pazienza, Diana, pazienza, si disse. "Be', finora siamo riusciti a circoscrivere la notizia. Pare che ci sia stato un avvistamento. Probabilmente un UFO crash." "Un... ho capito bene?" "Ha capito bene. Il fenomeno è rimasto circoscritto a una zona scarsamente popolata, ma un nostro uomo ci ha dato la notizia e abbiamo subito organizzato una spedizione nello Schwartzwald." "La Foresta Nera", disse Fowley, annuendo. "E nessun satellite se ne sarebbe accorto...?" "Non lo so. Se possono viaggiare tra le stelle forse sono anche capaci di mascherarsi ai segnali radar. Ma alle voci di paese non si può porre freno..." "Quindi quest'uomo..." "Si è presentato come Lomax. Non ho ancora capito se era il nome o il cognome, non sono io l'addetto alle iscrizioni." "...questo Lomax ha fatto parte della spedizione che avete organizzato." "Esatto. E per la cronaca sono ancora là." Diana rimase brevemente in silenzio. Poi ringraziò Andreas e si alzò in piedi, ma nel farlo urtò una pila di documenti sulla scrivania, e questi si rovesciarono a terra. "Oh... mi dispiace...", disse Diana. "N-non fa niente", borbottò Andreas mentre si chinava in fretta per raccoglierli. "Allora, quando Lomax si rifarà vivo le farò sapere qualcosa, intesi?" Fowley salutò un'altra volta e uscì. Nella confusione delle carte era riuscita a vedere ciò che le interessava. Non appena fu a una distanza ragionevole si fermò in mezzo a un parco pubblico. Imprecò ed estrasse il cellulare, compose il numero ed attese con impazienza battendo il piede sul selciato. Finalmente dall'altro capo del filo qualcuno rispose. "Sono io, alla buon'ora. No... no, stammi a sentire tu. Abbiamo un probabile codice rosso, proprio qui in Germania. Nella Foresta Nera. Devi mandare immediatamente una squadra di berretti blu alle coordinate che ti indicherò, io li aspetterò ai margini del bosco." Diana continuò con i dettagli tecnici. "E fate in fretta!" Spense la comunicazione. Poi chiamò il capitano di Polizia che le aveva offerto collaborazione. "Capitano...? Sono l'agente Fowley. Abbiamo un nome, si chiama Lomax. Controllate gli imbarchi, i passaporti e gli archivi. Se tenta di uscire dalla Germania mi chiami immediatamente." Foresta Nera, ore 22.14 I berretti blu del recupero UFO arrivarono celermente ai bordi del bosco, su un elicottero nero. Fowley li stava aspettando; il sergente Sutin, un massiccio uomo di colore, le fece il saluto militare. "Riposo, sergente", gli disse. "Immagino che dalla centrale vi abbiano già riferito ciò a cui stiamo andando incontro. Le priorità sono la segretezza e l'allontanamento dei civili dall'area: usate la forza, ma non in modo letale. Poi provvederemo a isolare la zona. Il governo tedesco sa che dovrà collaborare. Andiamo", disse, girandosi e inoltrandosi nel bosco con il visore a infrarossi. Trovarono il luogo dopo circa quaranta minuti. Le prime avvisaglie di qualcosa che non andava furono gli odori: odori strani, metallici, non di questo mondo, misti al sentore penetrante di legno bruciato. Poi arrivarono sul luogo dell'UFO crash. Gli alberi erano stati spezzati e facevano filtrare la scarsa luce del primo quarto di luna, che lambiva la scena con una luce irreale e rarefatta. L'agglomerato metallico era lì, per metà interrato, inclinato di circa 30 gradi; nessuna mano umana avrebbe potuto costruirlo. Ma il miracolo tecnologico che consentiva di viaggiare tra le stelle appariva ora contorto, bruciato, un ammasso di lamiere sventrate. Fowley impiegò qualche minuto per tornare alla realtà. Pochi esseri umani erano preparati a scene di questo genere. Poi si scosse e cominciò a dare ordini. "Voi due, controllate che non ci sia radioattività nemmeno in prossimità del velivolo ed esaminatelo. Sergente, lei e gli altri setacciate la zona in un raggio di almeno cento metri. Se gli ufologi sono qui non devono essere lontani." Dopo qualche minuto di ricerche nel bosco, fu chiamata via radio dal sergente Sutin. "Agente Fowley, credo che li abbiamo trovati." Diana li raggiunse correndo nel bosco, ignorando gli sterpi e i rametti, e arrivò nel punto segnalatole. C'erano cinque uomini per terra. Cinque corpi. Distesi come se si fossero accasciati al suolo. "Condizioni?", chiese Fowley. "Tutti deceduti", rispose immediatamente Sutin. "Al momento i dati disponibili sono troppo vaghi per poter accertare le cause della morte. Non ci sono segni di aggressione, ferite o colpi di arma da fuoco. Gli occhi sono aperti. Dalle posizioni sembra come se stessero montando una sorta di cinepresa o macchina fotografica, vede questo cavalletto? Da qui si può osservare il relitto a ragionevole distanza." Fowley osservò i corpi degli ufologi, in un paio di casi girandoli con un piede per vederli in faccia. "Lomax qui non c'è", disse. Diede un'occhiata agli zaini e all'equipaggiamento degli uomini. "Rivoltate tutto l'armamentario e sequestrate ogni rullino, bobina, memoria digitale, dischetto, libro o taccuino che trovate. Poi fate..." Fu interrotta da un grido proveniente grossomodo dalla zona del relitto. I berretti blu scattarono all'erta e impugnarono le armi. "Andiamo, presto!", ordinò il sergente. "Formazione omega, proseguire compatti!" Avanzarono nel buio, fino a tornare in prossimità del relitto. Commutarono i visori in modalità di ricerca termica, per meglio notare eventuali movimenti, e colsero una sagoma umana chinata di fronte al relitto. Si acquattarono tra gli alberi e presero posizione, le armi puntate. Fowley commutò nuovamente in modalità infrarossi, e scorse per terra i corpi dei due soldati che aveva lasciato ad esaminare l'UFO. Alternò tra le due modalità più volte: con la ricerca termica i due corpi quasi non comparivano sul visore. "Ma... è impossibile!", sussurrò al sergente al suo fianco. "Anche se sono morti, dovrebbero conservare ancora un calore corporeo normale... L'energia termica non si dissipa così in fretta!". Sutin rimase impassibile, apparentemente non era stato scosso dalla morte di due dei suoi uomini. Cercando di fare meno rumore possibile, estrasse un sottile cilindro di metallo grigio dalla tasca e lo pose a Fowley. "Vuole avere lei l'onore?" Diana tornò a guardare l'uomo inginocchiato di fronte al relitto. Era di spalle e non lo vedeva bene, ma avrebbe potuto essere Lomax. Sulle prime le era sembrato immobile, poi si accorse che in realtà il suo corpo era scosso da fremiti. Come se stesse singhiozzando. "Non credo che ci sarà bisogno di questo affare", disse lei dopo un attimo di esitazione, rifiutando lo stiletto. Poi alzò la voce, per farsi sentire. "Polizia! Sei circondato e ci sono armi puntate su di te. Girati e metti le mani dietro alla schiena!" I soldati presero accuratamente la mira, cercando di reprimere la paura. L'uomo si alzò in piedi e si girò. Era Lomax. Fowley fu quasi sicura di vedere, nonostante il buio e la distanza, gli occhi blu dell'uomo. Ignorò l'impermeabile scuro con cui era vestito, ignorò la barba di qualche giorno e i capelli scarmigliati; ignorò l'astronave dietro alla sua preda; ignorò i corpi dei due berretti blu. Ignorò tutto e si concentrò solo su quegli occhi. "Lomax, sono l'Agente Speciale Diana Fowley, incaricata dal governo degli Stati Uniti d'America di scortarti al sicuro fuori da questo paese. Seguici senza opporre resistenza, è nel tuo interesse." L'altro rimase fermo, le spalle leggermente ricurve, come se fosse sottoposto a un grande peso. Girò la testa per tornare a osservare il relitto. Poi guardò vagamente nella direzione da cui era provenuta la voce. "Sono morti", disse in inglese, sgranando gli occhi. Non sembrava pienamente in sé. E non sembrava nemmeno che avesse inteso una parola del discorso di Fowley. "Lomax, hai capito quel che ho detto?", gli chiese. L'uomo - se di un uomo si trattava - cominciò ad avanzare verso il luogo in cui si trovavano i soldati. "Sei tu che non hai capito! Sono morti! Morti!" Sembrava come spinto da una rabbia disperata, e avanzava a grandi passi. "E adesso che cosa volete da me? Volete trattarmi come quegli altri, vero? Come tutti i miei..." Ormai era a pochi metri dai berretti blu. "Fuoco!", ordinò Sutin all'improvviso. "No!", gridò Fowley, ma era troppo tardi. I fucili stavano già detonando i propri colpi. Di quel che seguì, Diana Fowley non fu mai troppo sicura. In seguito avrebbe steso un rapporto volutamente lacunoso. Questo comunque fu quello che le parve di vedere, nella concitazione e nella semioscurità. I proiettili erano volati all'indirizzo di Lomax, ma Diana avrebbe giurato che avessero rallentato fino a finirgli ai piedi, con la stessa velocità e pericolosità di una biglia metallica lanciata dalle dita di un bambino. Lomax non sembrava aver compiuto nessun movimento, si era limitato a stare immobile, a denti stretti. Sutin aveva bestemmiato, ordinando poi una seconda salva di spari. La scena si era ripetuta, solo che questa volta un paio di proiettili avevano colpito Lomax di striscio, facendogli sanguinare il braccio. L'uomo si era portato la mano sulla ferita, e aveva gridato per il dolore. Un grido rauco e disperato, un grido che raccontava il dolore di un popolo, più che quello di un individuo. All'improvviso i soldati si erano portati le mani alla testa e si erano accasciati a terra. Tutti. Come se si fossero spenti. Diana, nelle retrovie, avrebbe voluto scappare, ma era rimasta immobilizzata sul posto. Non avrebbe saputo dire se per la paura o altro. L'unica cosa che era riuscita a pensare, mentre Lomax le si avvicinava ansimando per il dolore, era: "Perché il suo sangue è blu e non verde?". L'uomo l'aveva raggiunta. Negli occhi aveva uno sguardo stanco. "Io... non dovete farmi fare queste cose... hai capito? Non dovete! Non posso controllarle come vorrei! Non posso, capisci?!?". Sembrava esausto. "Noi chiediamo solo di stare in pace!", urlò, afferrandola per la giacca. "Vogliamo solo questo! Non vogliamo entrare nelle vostre faccende! Noi non c'entriamo!". Le aveva dato numerosi scossoni mentre diceva queste cose. Poi l'aveva fissata negli occhi. "Chi è il vostro capo? Chi c'è dietro a tutto questo?". Diana Fowley non avrebbe parlato neanche se avesse voluto. Invece, mentre guardava quegli occhi blu, aveva sentito la propria mente come se fosse attraversata da qualcosa. Aveva avuto un ultimo pensiero cosciente, dopodiché aveva perso i sensi. ore 14.38 L'aeroporto non era molto affollato, e trovò quasi subito un taxi. Durante il tragitto ebbe modo di ripensare a quanto era successo la notte precedente, in Germania. I militari morti, esattamente come gli ufologi. Il complicato lavoro di recupero e occultamento del relitto. L'esame dell'UFO e il rinvenimento dei due cadaveri carbonizzati all'interno. Grazie a Dio, di tutto questo se ne stava occupando qualcun altro. Diana Fowley fermò il taxi di fronte alla piantagione e pagò il tassista. Camminò sotto il sole cocente verso l'ufficio principale, una semplice costruzione ricoperta di calce bianca. La Turchia era già molto calda, in quel periodo. L'edificio sembrava deserto: si diresse verso l'ufficio principale e bussò. La porta era socchiusa, così entrò, con cautela. Strughold si trovava all'interno. E questo era normale, essendo il suo ufficio. Meno normale era il fatto che fosse legato alla propria sedia. E che Lomax gli puntasse contro una pistola. "Non hai bisogno di quella, a quanto pare", disse Fowley, facendo un cenno col capo in direzione dell'arma. "Te l'ho già detto, agente Fowley, non ho il controllo che vorrei. Quindi vedi di non farmi arrabbiare, o di causarmi shock improvvisi. La divisione tedesca del MUFON l'ha imparato a proprie spese, purtroppo." Sembrava sinceramente dispiaciuto. "Agente Fowley, mi tolga da questa situazione!", ordinò Strughold, dibattendosi sulla sedia. "Signore, le faccio presente che Lomax ha una pistola puntata alla sua testa. Non sarebbe saggio tentare qualche tipo di reazione. Così, intanto mi accomoderò qui - si sedette sul bordo di un mobile dall'altra parte della stanza - e sentirò le sue richieste. Se Lomax avesse voluto ucciderla l'avrebbe già fatto. E certo non con quella pistola." Lomax allentò impercettibilmente la tensione. "Molto bene. Molto, molto bene", ripeté. Si sedette a sua volta, a fianco di Strughold, puntandogli la pistola contro il petto. "Allora, Lomax, che cosa vuoi?", gli chiese Diana. "Voglio pace per il mio popolo. Voglio riunirmi con i miei simili. Non mi sembra di chiedere troppo!" Fowley tamburellò con le dita sul mobile. "Lomax, io non so nulla della tua gente. Ma devi anche capire che qui ci sono dei rapporti di potere ben precisi." "Già", ribatté l'altro sarcasticamente, "questo l'avevo capito! Strughold me l'ha rivelato... su questo pianeta voi non siete i dominatori, ma semplicemente delle pedine! Degli schiavi! Dei collaborazionisti!" "Collaborazionisti?", chiese Fowley, fingendo stupore. "Certo! 'Loro' tengono in pugno anche voi. E non ci vogliono qui. Credete che quel velivolo nella Foresta Nera si sia schiantato da solo?" Le ultime parole erano quasi state gridate. "Lomax, se questo è vero, tutta questa pantomima non ha alcun senso. Nemmeno Strughold può farci niente se 'Loro' non vi vogliono." L'uomo sgranò gli occhi. Quella donna aveva ragione. Valutò attentamente la situazione, mordendosi il labbro, mentre una gocciolina di sudore gli scendeva lungo la tempia. Le puntò contro la pistola. L'unico movimento di Fowley consisté nel contrarre leggermente le labbra. "Forse non potremo avere la pace. Forse saremo cacciati come dei reietti. Ma da qualche parte ci saranno altri della mia razza! Qualcuno deve esserne a conoscenza! Tu che ne sai?" L'uomo fissò Fowley negli occhi. Di nuovo quella sensazione, pensò la donna, sostenendo lo sguardo di quegli occhi blu. Lomax abbassò la pistola. Sulle prime sembrò desolato, poi assunse un'aria soddisfatta. Uscì dalla porta camminando all'indietro, per vedere che Fowley non tentasse nessuno scherzo, ed uscì. "Grazie al cielo! Mi liberi, presto!", disse Strughold. La donna si mosse senza troppa fretta. "Va bene. Comunque penso di avere diritto a una spiegazione, no?" Strughold si massaggiò i polsi per riattivare la circolazione. "E sia", concesse. "Dopotutto se lei non fosse arrivata sarebbe potuto accadere di tutto." Si versò un drink ghiacciato, con la mano leggermente tremante, e cominciò a spiegare. "Non sappiamo come si chiamino. I contatti finora sono stati pochissimi. Per convenzione li abbiamo definiti 'gli Altri'. Sappiamo poco anche della loro storia. Da quel che siamo riusciti a ricostruire, 'Loro' hanno attaccato il pianeta di origine degli Altri. Non una colonizzazione, proprio un attacco in grande stile. La loro società pian piano è crollata sotto il tallone dell'invasore. La popolazione è stata sterminata quasi per intero. Alcuni hanno tentato la via dei profughi. Anche sulla Terra. Ed eccoli qui." Strughold bevve un sorso della propria bevanda. "Fisiologicamente sono molto simili a noi, ma hanno un sangue bluastro e due cuori, tra le altre cose. Normalmente si tratta di gente pacifica, ma messi alle strette... be', ha visto anche lei di cosa sono capaci. Il più delle volte lo fanno a livello inconscio e incontrollabile. Ma è la loro condizione ad averli resi così: normalmente, a quel che ne sappiamo, non usano la violenza. Anzi, sono una razza profondamente filosofica e spirituale. Hanno con le stelle un rapporto quasi mistico." "Manipolano i campi energetici, vero?", chiese Fowley. "Riteniamo di sì. Gli individui di cui siamo venuti a conoscenza - pochi, in verità - presentavano caratteristiche diverse ma riconducibili allo stesso schema. Probabilmente dipende dai genotipi. Tra gli umani a volte nascono persone con un talento naturale per l'arte, altre volte per la scienza o lo sport. Tra gli Altri vengono al mondo individui che possono interagire con l'energia di origine elettrica, cinetica, biologica, magnetica... Non è infrequente che ci sia una mescolanza di queste affinità. Lo stesso pensiero umano, entro certi limiti, è costituito dall'oscillazione di un debole campo elettrico, e quindi possono percepirlo, più o meno vagamente." Strughold finì il drink. "Ha altre domande?" "Sì. Perché non sono stata messa al corrente di tutte queste cose?" "Lei conosce la nostra politica. Meno persone conoscono, e meglio è." "Anche tra i vostri agenti?" "Soprattutto tra i nostri agenti." Rimasero in silenzio ancora qualche istante. "Le nostre... fonti ci avevano detto che Lomax si sarebbe diretto in Germania. Evidentemente sapeva che alcuni dei suoi simili stavano arrivando, e Loro sapevano che lui sapeva. Lei è stata mandata ad intercettarlo. Ma mi creda, anche le nostre fonti non lo ritenevano così pericoloso." "Cosa ne farete?" "Di Lomax? Questi non sono affari che la riguardino. E comunque se l'è fatto sfuggire." "Questo lo crede lei. Io so esattamente dove è andato", disse sprezzante Fowley. Aereo in volo sull'oceano atlantico, ore 18.05 Diana Fowley sorrise, compiaciuta. Nonostante gli imprevisti tutto procedeva come desiderava. Strughold le aveva rinfacciato il fatto che, se avesse tenuto d'occhio i terminal internazionali, avrebbe saputo che Lomax aveva preso il primo volo per la Turchia. Questo Diana lo sapeva benissimo: il capitano della Polizia di Berlino gliel'aveva comunicato immediatamente. Chissà che faccia avrebbe fatto Strughold se avesse saputo che lei, Diana Fowley, aveva preso lo stesso volo di Lomax! Quando, nel bosco, aveva capito che le stava sondando la mente, aveva focalizzato i propri pensieri su Strughold, e quindi era sicura che il suo uomo si sarebbe diretto dal capo del Consorzio. Dopodiché aveva atteso poche decine di minuti e aveva percorso il suo stesso tragitto verso la piantagione. Con questo era sicura che, di fronte a una minaccia concreta, il suo capo le avrebbe fornito ciò che prima le aveva nascosto. Più o meno con lo stesso accorgimento era riuscita a portare Lomax dove voleva. Fowley, sull'aereo per la Turchia, aveva avuto molto tempo per riflettere; così si era ricordata di almeno altri due casi che riportavano una somiglianza con quanto accaduto nella Foresta Nera. Dovette fare uno sforzo di memoria perché aveva letto semplicemente dei rapporti, ma nel suo mestiere occorreva ricordare molti particolari e tenere sempre d'occhio ciò che facevano i colleghi. Entrambi i riferimenti a soggetti della stessa razza di Lomax risalivano al '97. Il primo caso sembrava un assassinio su commissione, pare. Affidato a Krycek. La vittima si chiamava Daryll ed era stata adottata da un membro del Consorzio dopo un incidente (o un attentato) che aveva causato la morte dei suoi genitori. Ma non era gradita e fu eliminata, probabilmente anche per alcune implicazioni politiche dei suoi genitori. Il secondo caso era un x-file del '91 con aggiornamenti finali al '97. Una certa Enola Elpiso, o Enola Quasar, dotata di talenti affini a quelli di Lomax, probabilmente più potenti. Alla fine pareva fosse morta anche Enola. Fece una telefonata. "Qui Fowley. Dovete mettermi sotto controllo questi numeri di telefono che ora vi fornisco." Quando Lomax le aveva sondato la mente una seconda volta, Diana aveva pensato proprio a questi due casi. L'Altro doveva avere capito che le sue simili non erano più in vita; ma parlando con coloro che le avevano rintracciate, forse sarebbe venuto a conoscenza dell'esistenza di altri della sua gente. E siccome Alex Krycek non era proprio la persona più facilmente reperibile del pianeta, Lomax si sarebbe diretto da un'unica persona: il responsabile degli x-files. Madison Square Garden, il giorno dopo, ore 21.00 "Vuoi spiegarmi cosa ci facciamo qui, Mulder?". Scully era seduta sulla gradinata, attorniata da fan con magliette, cappellini, guantoni di gommapiuma e tutto il genere di accessori kitsch che ci si poteva aspettare in una manifestazione del genere. Mulder le rispose senza distogliere gli occhi dal campo da gioco. "Ci guardiamo i Bulls contro i Lakers. Con il superlavoro degli ultimi mesi direi che ci meritiamo una pausa!" "Sì, be', mi riferivo all'altro motivo..." "Oh", fece lui, "sì, certo. In sostanza ho ricevuto una telefonata anonima. Qualcuno che vuole parlare con me di alcune cose." "Le solite cose...?", chiese Scully con un filo di scetticismo. "Scully, come fai a mostrare così poco entusiasmo? Qui stiamo parlando della vita su altri pianeti!" "Io mi accontenterei di una vita su questo pianeta", mormorò a nessuno in particolare. Pur nel frastuono, Mulder udì un trillo dal proprio cellulare. Lo estrasse e osservò il display. "E' un SMS. Il mio amico misterioso vuole incontrarmi adesso nel corridoio 7A, di fronte al bar. Vieni anche tu?" Scully annuì, e i due lasciarono vuoti i posti. Madison Square Garden, corridoio 7B, ore 21.07 "Aspetti qualcuno?" Lomax si girò, e vide Diana Fowley avanzare verso di lui nel corridoio. Il rumore dei tacchi della donna riecheggiò nel corridoio deserto. "Ecco la pantera che si avvicina alla sua preda", disse Lomax. Fowley gli arrivò di fronte e incrociò le braccia. Non sembrava avere molta voglia di scherzare. "Cosa stai dicendo?" Lomax sorrise ed entrò in una stanza lì vicino, doveva essere uno sgabuzzino di qualche tipo. Fowley lo seguì. L'uomo si sedette su una vecchia panchina di ferro e continuò la sua spiegazione. "La pantera è una cacciatrice solitaria, anche se a volte lavora in coppia. Ha un manto nero molto elegante, ma se ti soffermi troppo ad apprezzarlo, be', potrebbe essere l'ultima cosa che farai. Caccia sempre nello stesso territorio e lo mantiene per anni. Si muove silenziosa, mimetizzandosi nell'ambiente, fino al momento in cui attacca. Ha molta pazienza e autocontrollo. E soprattutto spinge la preda dove vuole, in modo da seguire sempre le proprie regole." Diana rimase a guardarlo. "Sarei io?" "Sei tu. Sei tu la pantera", disse, scrutandola con i suoi occhi blu. "E io sono la preda." Fowley rimase in piedi, ma si appoggiò al muro con parte del corpo. "Vediamo se indovino", continuò lui. "Hai intercettato il mio messaggio a Fox Mulder, e con un sintetizzatore vocale lo hai indirizzato da un'altra parte, vero?" "Sì e no", ammise l'altra, "gli ho semplicemente spedito un SMS. Tecnologia accessibile a tutti." Lomax guardò fuori da una piccola finestra, piuttosto sporca. "Sapevo che mi avresti raggiunto qui. Non avevo bisogno di sapere da te dei contatti precedenti con esponenti della mia razza. Avevo già avuto il tempo di sondare la mente di Strughold. E anche piuttosto a fondo." Per la prima volta, Fowley parve sorpresa. "Cosa stai cercando di dirmi?" "Non c'è speranza per quelli come me. Se ci va bene siamo uccisi, altrimenti il vostro governo ci utilizza come cavie da laboratorio. E' già successo altre volte. Non tutti sono fortunati come Enola, che è tornata tra le stelle, nel posto che le spettava... non c'è speranza. Mulder non avrebbe potuto dirmi niente che non avessi già saputo da Strughold. Non c'è storia per la mia razza: sono tutti o morti o prigionieri." "Quindi..." Fowley esitò. "Tu sapevi che io sarei venuta qui...? Non hai mai tentato seriamente di metterti in contatto con Mulder. Perché?" Lomax ristette in silenzio. Poi si girò a fronteggiarla, spalancando gli occhi di un blu più cupo del solito. "Ma non capisci, Diana?!? Il mio popolo ha un destino che sarà lo stesso del tuo. Anche voi sarete soggiogati, scacciati dalle vostre case, usati come cavie, uccisi. Esattamente come noi. E' questione di pochi anni, ormai. Se non fate qualcosa adesso, tutto il vostro mondo crollerà. Tutte le persone a cui tenete moriranno." "Io non tengo a nessuno", rispose freddamente Fowley. "Non ci credo. E' proprio per questo che volevo incontrarti. Nessuno può essere così crudele da non avere a cuore un altro essere umano." "Per favore, risparmiami la predica", disse Fowley, innervosendosi. "No, no, io ho fatto in modo di incontrarti proprio per questo." Mentre parlava estrasse da una tasca della giacca una pistola. Fowley si irrigidì e si mise impercettibilmente in posizione di difesa, pronta a scattare. Inaspettatamente, Lomax le porse la pistola. Le fece stringere le dita contro il grilletto e le sollevò lentamente la mano in modo che la canna della pistola fosse puntata contro il proprio petto. "Voglio metterti alla prova, Diana Fowley. Dimostra che sei quell'agente spietata e impassibile che vuoi sembrare. Provami che non tieni a nessuno. Nemmeno a un profugo senza armi." Fowley si morse un labbro. Cosa stava blaterando quel tizio strampalato? "Avanti. Io non opporrò resistenza. Dimostrami che non sei così crudele da uccidere un uomo - o un alieno - così, a sangue freddo. Ma se non mi spari, io scapperò e tu non mi potrai mai più agguantare. Quindi scegli bene." Lomax sorrideva. Aveva in quegli occhi blu l'ingenua certezza di un bambino. Fowley si sforzò di considerare tutti gli aspetti di quella assurda situazione, mentre continuava a tenere l'arma contro il cuore - contro entrambi i cuori - di Lomax. Strinse più saldamente le dita contro l'impugnatura. Lomax chiuse gli occhi, con un debole sorriso sul volto. Corridoio 7A, ore 21.10 "Scully, hai sentito anche tu...?" "Cosa, Mulder?" "Sembrava... sembrava uno sparo. Non ne sarei sicuro, la folla fa troppo rumore... Andiamo a vedere", disse, iniziando a correre verso il corridoio 7B. Scully lo seguì un istante dopo. "Tanto il tuo amico ha ben pensato di non presentarsi", mormorò. Il corridoio era deserto. Mulder notò la porta semiaperta di uno sgabuzzino e vi entrò. "Scully, forse il colpo è stato esploso qui..." "Mulder... senti..." gli prese il braccio, amichevolmente. "Forse qualcuno ti ha semplicemente voluto giocare uno scherzo, non credi?" Mulder non rispose. Stava osservando alcune piccole gocce di una sostanza bluastra, presenti sul muro. La sfiorò con le dita, valutandone la consistenza, e la portò in prossimità delle narici. "Uno scherzo...?", disse, scuotendo il capo. "Credo che non lo sapremo mai. Sono quasi sicuro di sentire odore di polvere da sparo, qui dentro" Poi avvertì un altro profumo, in vicinanza del muro, e si mise ad odorarlo. "Questo... questo profumo... oddio, non lo sentivo da quasi dieci anni... lo portava una donna..." Scully annusò a sua volta, e storse il naso in segno di disgusto. "Un'essenza così grossolana può portarla solo una prostituta d'alto bordo." Scrollò le spalle. "Vieni, Mulder, andiamo a vederci la partita." Mulder diede un'ultima occhiata alle macchioline bluastre sul muro. Poi si girò e uscì assieme a Scully. In lontananza, dietro allo stipite dell'estremità opposta del corridoio, li osservava una donna delle pulizie (o almeno, sembrava proprio una donna delle pulizie). Stringeva in mano un biglietto di carta, leggermente macchiato di blu. Sopra c'era questa scritta: "Grazie del favore, Diana Fowley. Uccidendomi mi hai risparmiato una penosa esistenza nei laboratori del vostro governo. Non avevo alcun dubbio che avresti sparato. Una pantera non può concedersi sentimenti di fronte alla preda; né pietà, ne compassione." La donna, sfogando una rabbia repressa, accartocciò il biglietto tra le dita, mentre osservava i due agenti dell'FBI che si allontanavano. Si accese una sigaretta e ne aspirò qualche boccata. Poi si girò, spingendo con forza il carrello delle pulizie con sopra un sacco piuttosto voluminoso. F I N E