OMEGA Rx18 X-040600 ---------- CAPITOLO 1 ---------- ******* §1.1 (Monica) Quitelife, Virginia, Sabato 9 maggio 1998, ore 5:25 a.m. Alle cinque del mattino la collina era deserta. Il sole ancora doveva sorgere, ma, anche all'arrivo dell'alba, non sarebbe apparso splendente d'oro sopra le montagne all'orizzonte: il cielo era coperto di nuvole grigie che non promettevano una pioggia liberatrice, ma solo un fitto schermo dal sole. Il pendio dava su un'ampia vallata coperta di pini, conifere e sempreverdi. Nessun segno di civiltà, eccetto la sua automobile. Aveva acceso l'autoradio, ma non riusciva a trovare una stazione su cui soffermarsi. "Oggi si prevedono rovesci nell'ovest dello stato della Virginia..." Statico. "Quando ti ho sentita mia..." Statico. "I Prodotti della FluffyWare possono essere trovati in tutti i negozi..." Statico. "And put on a cassette we can pretend you're a star - 'cause life so very simple, just like la-la-la..." Statico. "If we stay here we're not together, anywhere is..." Statico. "Il Signore ha mutato il mio lamento in danza, dice il Salmo 29,12." Statico. "Heavenly shades of night are falling, it's twilight time..." Questa poteva andare. "Out of the mist your voice is calling, it's twilight time..." Smise di girare la manopola della frequenza. "When purple-colored curtains mark the end of day..." Raccolse la Smith and Wesson 1056 e la osservò per qualche istante. "I'll hear you, my dear, at twilight time Deepening shadows gather splendor as day is done..." Respirò a fondo l'aria fredda dell'abitacolo. "Fingers of night will soon surrender the setting sun I count the moments darling till you're here with me..." Quindi si puntò la pistola sotto la gola e premette il grilletto. "Together at last at twilight time..." ******* OMEGA ******* di Monica M. Castiglioni & Stefania Murazio (con la partecipazione di Elena Romanello) "Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente." (Apocalisse I,8) ******* §1.2 (Monica) Alexandria, Virginia Appartamento di Fox Mulder Sabato 9 maggio 1998, 8:07 a.m. Mulder si svegliò di soprassalto, convinto di aver sentito un forte rumore. Guardò l'orologio: le otto. "Maledizione..." Si preparò di corsa. In mezz'ora era in strada e poco dopo varcava la soglia dell'ufficio degli X-Files. "Scully?" chiamò entrando. Strano. La collega non era ancora arrivata. Il suo sguardo cadde sul calendario di Playboy appeso al muro. Mulder scosse la testa e si lanciò un paio di insulti. "E' sabato..." Si lasciò cadere sulla sedia ed accese il computer. Ormai era lì, tanto valeva dare un'occhiata alla posta elettronica. Ma poco prima di riuscire ad aprire la directory della posta in arrivo, il cellulare squillò. "Mulder." disse, rispondendo. "Agente Mulder, sono il tenente Roy Mirrow. E'... è richiesta la sua presenza al Dipartimento di Polizia di Quitelife, in Virginia." "Che succede?" "Dovrebbe... identificare un corpo." "Un corpo? Che intende dire?" La mente di Fox si rifiutò di cedere al pensiero. --Oh Dio mio...-- Il suo cuore fece un balzo e sembrò fermarsi. --Scully.-- Poi altri nomi si rovesciarono nella sua mente. --Samantha. Mamma. Frohike. Langly. Byers. Denny.-- "E' stata appena trovata in un'automobile, sembra un suicidio..." Mirrow esitò per alcuni istanti. "Mi dispiace, agente Mulder. Sembra che si tratti della sua collega. L'agente Dana Scully." ******* §1.3 (Monica) Quitelife, Virginia Dipartimento di Polizia Sabato 9 maggio 1998, 12:43 p.m. Roy Mirrow stava attendendo che Fox Mulder arrivasse. Aveva trovato una rubrica telefonica nel portafoglio della donna, che conteneva il numero di telefono di Margaret Scully da chiamare in caso di emergenza. Non riuscendo a trovarla, si era rivolto ai numeri segnati su un biglietto da visita che Scully aveva con sé. Walter Skinner, che era stato chiamato perché era il diretto superiore di Dana Scully, era appena arrivato. Mirrow gli stava spiegando la situazione, quando Mulder entrò urlando nel dipartimento: "Dov'è?!" Skinner lo prese per un braccio e lo tirò di lato. "Mulder, si calmi." "Calmarmi?!" esclamò lui, senza chiedersi come mai Skinner fosse già lì. Era ancora convinto che Scully non si sarebbe mai suicidata, ma in fondo al cuore temeva che quella fosse la tragica realtà. "Voglio vederla!" "Non in queste condizioni!" Mulder si divincolò da Skinner, che si rassegnò ad accompagnarlo sul retro dell'edificio dove Roy Mirrow stava facendo strada. Al centro della stanza c'era un tavolo, sotto una lampada bianchissima. Mulder osservò il corpo ancora coperto dal lenzuolo azzurro e dimenticò per qualche istante come respirare. Fu Skinner a riportarlo indietro. "Agente Mulder..." Fox annuì, spostando lo sguardo dal lenzuolo al vicedirettore, quindi di nuovo sul tavolo. Mirrow, rimasto in silenzio fino a quel tempo, si schiarì la gola. "Da... uhm... da un'analisi preliminare sembra che si sia seduta in macchina, intorno alle cinque di questa mattina, abbia acceso l'autoradio e si sia sparata un colpo sotto il mento." Mulder non disse nulla. Skinner annuì a Mirrow, che lasciò discretamente i due uomini soli. "Agente Mulder," iniziò Skinner. "non è necessario che lo faccia lei." Ma Fox non lo ascoltò. Si avvicinò al tavolo, sollevò delicatamente il lenzuolo, scoprendo il volto di donna. Osservò il viso chiaro. La ferita d'arma da fuoco sotto il mento. I capelli rossi scompigliati. I lineamenti delicati. Le labbra carnose e perfette. Gli occhi chiusi e le lunghe ciglia ricurve che sfioravano le guance un tempo rosee, ma ora di un candore di morte. Fox rimase immobile, sotto shock. Non riusciva più a muoversi, era completamente paralizzato. "Agente Mulder..." sussurrò Skinner. "Mulder." ripeté con maggior decisione, mettendogli una mano sulla spalla. Mulder si tirò indietro di scatto. "Cosa le hanno fatto?!" urlò. Skinner sospirò, nella sua voce un tono comprensivo. "Non lo so..." Fox stava tremando. "Perché?" ******* §1.4 (Steffy) Annapolis, Maryland Appartamento dell'agente Dana Scully Sabato 9 maggio 1998, 1:15 p.m. Dopo aver guardato il volto della collega per l'ennesima volta come ad imprimere nella testa la sua immagine, Mulder uscì dalla stanza con calma. Si recò al parcheggio, entrò in macchina, sordo alle parole di Skinner che lo chiamava, e la mise in moto. Andò via dall'obitorio e, per assicurarsi di non aver sognato, si recò a casa di Dana. Il piede premuto sull'acceleratore dell'auto che non voleva saperne di rallentare. Arrivato di fronte allo stabile spense il motore e, dopo aver preso un profondo respiro, scese dalla macchina. Entrò in casa quasi timidamente e richiuse la porta alle sue spalle. Il gelo del suo cuore gli serrava le labbra in una smorfia di dolore e paura. Fermo all'ingresso, fece ruotare lo sguardo attorno a sé. Era tutto così dolorosamente in ordine. Un ordine che non abitava la sua mente, in quel momento. Si avviò in cucina e da lì scorse la camera da letto di Scully. A passi felpati, come a non disturbare il rumore del silenzio, vi entrò. L'odore nell'aria era un misto di pesca e vaniglia: il profumo di Dana. Sfiorò con la mano sinistra il copriletto fiorato e vi si sedette senza far alcun rumore come per cullarsi della convinzione di vivere un sogno. Appoggiato sul comodino accanto al letto, un piccolo quaderno dalla copertina bordeaux richiamò la sua attenzione: era un diario. Lo prese tra le mani e si aprì automaticamente alla pagina dove Scully aveva lasciato la sua stilografica per tenere il segno. Scrisse, come un automa, la data del giorno. '[sabato, 9 maggio 1998] Ore 1:20 p.m. Sento dei passi. Leggeri, si avvicinano. Credo che tra un attimo comparirai da quella porta e sentirò il tuo profumo che mi riempirà le narici. Mi parlerai dolcemente e prenderemo quel tè che non abbiamo mai bevuto insieme. Ma è solo un sogno ad occhi aperti e da questo mi sveglio, d'un tratto. Sono seduto sul tuo letto, posso vedere le cose che hai usato ogni giorno. Il libro che stavi leggendo è ancora qui, sul tuo comodino. E questa? E' la tua penna. Un regalo di laurea a cui, chissà perché, eri esageratamente affezionata. Il tuo diario è tra le mie mani. L'ultima pagina che hai scritto porta la data di ieri. Non oso leggerla, non sono ancora tanto forte da carpire i tuoi pensieri più nascosti. Con la tua stilografica ho deciso di scrivere l'epilogo della tua vita, Scully. Dolce compagna di un lavoro che ha finito col coinvolgerci troppo. Appena mezz'ora fa, ho visto il tuo corpo in un obitorio. Hai deciso di lasciarmi ed io sono qui senza la forza di versare una sola lacrima per te. Il dolore è tanto forte da non lasciarmi il tempo di pensare a quello che ho perso. Sento il cuore come in balìa di una strana calma che è solo tempesta. Una tempesta che ha bisogno di un soffio di vento per essere scatenata. A casa tua, fra le tue cose, ho cercato un motivo qualsiasi che riuscisse a darmi la forza di piangere, di maledirti per avermi abbandonato. Non ho trovato nulla. E' tutto qui, fermo, in attesa che tu riprenda la tua vita dal punto in cui l'hai interrotta. Ma non tornerai. Non finirai di leggere il tuo libro. Non aggiornerai questo diario. Allora, lo farò io per te. E cercherò di dare una risposta a queste lacrime che non arrivano. Da che punto iniziare, dunque? Dalla fine. Eri lì, stesa su un tavolo d'acciaio freddo. Sul tuo volto inespressivo il pallore era rotto solo dalle labbra di un rosa irreale. Ti ho sfiorato il viso ed eri fredda. Ho tentato irrazionalmente di scaldarti, appoggiando le mie mani sulle tue guance, ma l'unico risultato è stata la constatazione che non esistevi più. Non posso far altro che chiedermi quando. Quando hai deciso che il conto da pagare era arrivato al suo saldo? Quando la tua mente razionale ha iniziato a deviare dai consueti percorsi dei viali scientifici per approdare sull'isola della follia? Non mi chiedo il perché del tuo gesto, so che è a causa mia. La mia pazza corsa contro un drago spietato ti ha reso debole e indifesa. Ed io non ho voluto accorgermene. Dietro le tue rassicurazioni di donna forte è chiaro solo ora a me, uomo credente di ogni verità bugiarda ma negatore dell'evidenza, quanto eri fragile. E allora, quando hai deciso che io non sarei più stato in grado di proteggerti?' Dopo aver scritto poche parole di folle lucidità, Mulder si alzò dal letto di Scully, diede un ultimo sguardo alla sua stanza e uscì. Presto, sarebbe arrivata l'FBI a fare le indagini del caso. Uscì dall'appartamento richiudendo, senza fare troppo rumore, la porta alle sue spalle. Entrò in macchina e partì senza sapere dove andare. Nel cruscotto, il diario di Scully. ******* §1.5 (Monica) Alexandria, Virginia Appartamento di Fox Mulder Sabato 9 maggio 1998, 4:04 p.m. Dopo avere girovagato senza meta per tutto il giorno, Mulder tornò al suo appartamento. Si buttò sul divano stringendo al petto il diario di Scully. Chiuse gli occhi e sospirò. Prese tra le mani il diario e lo rigirò, ne scrutò la copertina, ricordando quella lontana notte ad Allentown. Scully gli aveva promesso che avrebbe lottato. E aveva mantenuto quella promessa. Fino ad allora. Fino a quella mattina maledetta. Mulder si girò sul fianco destro, tenendo il diario protettivamente sotto la mano. Chiuse gli occhi, contemplando ancora l'immagine che gli appariva nella mente vivida come se l'avesse ancora davanti a sé. Dana Scully sdraiata su quel tavolo d'obitorio, con la ferita d'arma da fuoco sotto il mento. Il lenzuolo azzurro che copriva il suo corpo. Le parole di Skinner che gli giungevano da lontano. Roy Mirrow in piedi, in disparte, testimone di una tale tragedia. Il dolore lancinante che gli squarciava il cuore. Lasciando solo un'indolente apatia. Il telefono squillò all'improvviso, distogliendolo dai suoi pensieri e risvegliandolo da quel tormentato dormiveglia. Ebbe la tentazione di lasciarlo squillare, ma si alzò e prese la cornetta. 'Mulder, sono io. Smettila di curiosare nel mio diario!' Sperò di sentire dall'altro capo della linea Scully rimproverarlo come non aveva fatto mesi prima. Invece, gli giunse un'altra voce familiare: "Fox? Sono Maggie Scully. Possiamo parlare?" ******* §1.6 (Monica) Washington D.C. The Reflecting Pool Sabato 9 maggio 1998, 5:25 p.m. "Fox." lo salutò Maggie, abbracciandolo. "Signora Scully." Mulder si sedette accanto alla donna sulla fredda panchina di pietra. L'approccio fu diretto, senza molti convenevoli. "Il vicedirettore Skinner mi ha detto che l'hai identificata tu." Fox annuì senza parlare. "Ma io non ci ho voluto credere finché non l'ho vista." "Stento a crederci anche ora." sussurrò lui. "Fox, probabilmente sei stato l'ultimo a vederla. Cos'è successo?" Mulder socchiuse gli occhi, cercando di ricordare il venerdì sera. Non avevano passato una settimana particolarmente impegnativa: rapporti da concludere, files da archiviare. Lavori noiosi, non pericolosi, ma tutto era passato come al solito. Non aveva notato niente di particolare in Scully, ma quando mai lo faceva? Mulder chiuse gli occhi e inspirò profondamente: per cosa aveva una laurea in psicologia, se poi non riusciva nemmeno a comprendere la sua collega, la persona più vicina che aveva? Mentre finiva di descrivere la giornata alla signora Scully, alle loro spalle sopraggiunsero due uomini. "Fox Mulder?" chiese uno di loro. Si girarono quasi contemporaneamente. "Sì, sono io." I due mostrarono un distintivo della polizia. Quindi lo stesso che l'aveva chiamato, riprese: "Lei è in arresto per l'omicidio dell'agente Dana Scully." Mulder sgranò gli occhi, sentendo l'aria mancare intorno a lui. Scosse leggermente la testa, ma non riuscì a parlare. Il secondo agente iniziò a leggergli i diritti, mentre l'altro, prendendolo per un braccio, lo fece alzare. Mentre si allontanavano da lì, Mulder poté solo scorgere Margaret Scully. Sconvolta, delusa e tradita. ******* §1.7 (Elena) Penitenziario dello Stato di Virginia Sabato 9 maggio 1998, 8:07 p.m. L'agente Mike Sanders osservava Fox Mulder: davanti a lui c'era un uomo disperato, straziato dal dolore, che poteva però essere un assassino. "Dovremo sottoporla alla prova del DNA." disse. "Perché?" chiese Mulder, stancamente. "C'è stata una colluttazione violenta, in quella macchina: sotto le unghie del cadavere" La parola cadavere fece nascere altre lacrime negli occhi di Mulder. "è stata trovata della pelle, come se avesse graffiato il suo aggressore e poi... andiamo, mi dica come è andata: ci provava da mesi, la sua collega non ci stava, lei non ci ha visto più, l'ha aggredita e poi uccisa." Mulder scosse la testa, disperato: "L'hanno... no!" Era ancora più terribile di sapere che era morta, che si era uccisa: il fatto che qualcuno le avesse fatto del male. A lei. A quella Dana Scully che era entrata nella sua vita cinque anni prima, che l'aveva sostenuto, che era stata il suo punto forte. Aggredita, violata ed uccisa, dopo essere stata rapita, sottoposta ad esperimenti, resa sterile, menomata... "Da un primo esame direi che non è stata tecnicamente violenta," disse l'agente Sanders, "ma sui suoi vestiti ci sono tracce di liquido seminale. Come se qualcuno l'avesse voluta costringere, lei si è ribellata e sappiamo come è finita." "E' terribile che le abbiano... fatto questo... no, ma perché... per colpire me!... Ma come è possibile... non è giusto, ma chi ha potuto volerle fare del male... Era meglio se ammazzavano me!" disse Mulder. "Questo, mio caro signor Mulder, me lo deve spiegare lei. Mi spiace ma gli indizi conducono a lei! Le devo ripetere cosa è successo? Ha perso la testa, stufo magari dell'ennesimo no, perché confessi un po', quante volte ci aveva provato? L'ha uccisa dopo essersi divertito un po' con lei. Io gente come lei la spedirei subito sulla sedia elettrica." "Ma è assurdo... le hanno fatto del male, io non ero lì a proteggerla..." "Forse lei non era molto in sé, o no? Aveva magari bevuto per farsi coraggio, o preso qualcosa di più forte... Andiamo, confessi e magari si salva dalla condanna a morte." Sanders si alzò e si avvicinò a Mulder: lo afferrò per il bavero e lo scosse, colpendolo in pieno volto con la mano. Fox pensò che ora l'avrebbe massacrato di botte, per convincerlo a confessare. Ma lui non temeva il dolore fisico: era distrutto dentro nell'animo, mentre pensava a Dana Scully che gli sorrideva in ufficio, che confutava le sue teorie, che lo seguiva in tutte le sue peregrinazioni, e che ora era morta, dopo che qualcuno le aveva fatto qualcosa di orribile... Avrebbe voluto avere lui davanti l'assassino, per vendicarla. Sanders si fermò, temendo probabilmente le ritorsioni se avesse massacrato di botte un agente federale e chiamò il suo capo: "Ho finito con lui, non gli tireremo fuori niente. Peggio per lui, tanto adesso gli facciamo il test." Poi si rivolse a Mulder, sprezzante: "Le serve un avvocato, signor Mulder: ci sono le sue impronte digitali sulla pistola che l'agente Scully aveva con sé, il numero di serie è quello registrato all'FBI a suo nome ed ora sapremo anche il resto dopo la prova del DNA." "Posso chiamare dei miei amici?" "Certo, purtroppo lei ha ancora dei diritti... feccia! Sono proprio curioso di vederli in faccia, i suoi degni amici!" Mulder ignorò la sua provocazione e chiamò i Lone Gunmen. "Sappiamo tutto, non ti preoccupare..." "Hanno ucciso Scully, l'hanno uccisa... E io sono qui mentre il suo assassino è fuori... le ha fatto del male... Io non posso stare qui, mentre è successo questo, non posso..." "Non ti preoccupare: ora però cerca di avere cura di te." "Non posso... lui è là fuori e colpirà magari di nuovo, magari un'altra donna come Dana..." ******* §1.8 (Elena) Penitenziario dello Stato di Virginia, Obitorio Sabato, 09 maggio 1998, 8:09 p.m. Il dottor Robbins scosse la testa ancora una volta guardando il cadavere di quella giovane donna disteso sul letto dell'obitorio: era morta per la ferita d'arma da fuoco alla gola e prima c'era stata uno scontro. C'era pelle sotto le sue unghie e liquido seminale sui suoi vestiti. Non era difficile indovinare cosa fosse successo. Sapeva che avevano arrestato un sospetto, il suo collega, e che l'avrebbero sottoposto all'esame del DNA: il suo compito era accertare che coincidesse. Riempì le provette con i campioni di tessuto sporco e della pelle presa da sotto le unghie e le mise nella sua borsa da portare a casa: amava portarsi il lavoro a casa, e riprenderlo in mano poi lì. La sua nipotina Dorothy, di sei anni, adorava starlo a vedere mentre lavorava e gli aveva detto che voleva diventare anche lei un dottore come lui. Povera piccola, avesse saputo che cosa voleva dire fare il suo lavoro, vedere lo strazio sul volto di parenti e conoscenti delle vittime! Era quel giovane venuto a riconoscerla l'indiziato: decisamente non ci si poteva fidare di nessuno. Robbins si allontanò dalla stanza, dopo averla chiusa, e salutò Mary, una delle nuove donne delle pulizie. Poi si incamminò verso casa. Mary aspettò che tutti se ne andassero e poi aprì la porta di servizio: due uomini entrarono. "E' nella stanza 33, fate presto!" ******* §1.9 (Monica) Penitenziario dello Stato di Virginia Domenica, 10 maggio 1998, mattino presto La notte era trascorsa tormentata e colma di visioni non più spaventose della realtà stessa. Mulder sognò di vedere Scully. Seduta nella sua macchina, in Virginia, con la pistola puntata sotto la gola, mentre stava per premere il grilletto. Correva verso di lei, arrivava appena in tempo per incontrare il suo ultimo sguardo. E con il colpo, si svegliava. Solo per ricordare che lei se n'era già andata e non avrebbe mai potuto riportarla indietro. Per ricordare che lei era morta da sola. Altre volte la vedeva combattere con un uomo. Accorgendosi di non avere la pistola, batteva coi palmi sul finestrino, urlando all'aggressore e quando lui si girava... vedeva se stesso. A quel punto erano le sue stesse urla di terrore a svegliarlo. Erano le cinque del mattino quando l'ennesima visione lo trascinò sul bordo della toilette a vomitare l'anima. Nessuno sembrava sentirlo e Mulder sperò di essere già passato all'altro mondo. Per la prima volta si addormentò senza sognare. Fu risvegliato tre ore dopo da una voce nota. "Mulder?" Aprì gli occhi lentamente, accorgendosi si essere ancora steso sul pavimento, vicino alla toilette. Qualcuno stava facendo scorrere l'acqua e lentamente l'odore acido che ristagnava nell'aria si dissolse. Fox si aggrappò al lavandino per alzarsi, aiutato da Frohike e da Langly. Di peso, lo trascinarono fino alla branda. Mulder si sedette contro il muro, coprendosi il viso con le mani. "Mulder, abbiamo saputo cos'è successo." disse Frohike. "Mi dispiace." disse Byers, mettendogli una mano sulla spalla. "Siamo stati a casa tua, poco prima che l'FBI la rivoltasse come un guanto." "Mulder, ma che cosa è successo?" Fox si tolse le mani dal volto e disse: "Non lo so... io... mi sono svegliato e mi hanno detto di andare ad... identificare il suo... corpo. Poi... mi hanno accusato di averle fatto del male... di aver tentato di violentarla e averle sparato perché lei si rifiutava... ma..." Le parole svanirono. Mulder si lasciò cadere contro il muro, gli occhi chiusi per non permettere alle lacrime di scorrere. "Dio..." sussurrò Frohike. "E non hai idea del perché lei si sia suicidata?" "Sei probabilmente stato l'ultimo a vederla, venerdì. Che cosa è successo?" fece Langly. "Non lo so... niente di particolare." "Faremo di tutto per tirarti fuori di qui, Mulder." disse Byers, con voce rassicurante. Mulder scosse la testa, come per dire che in fondo, non era quello il primo dei suoi interessi. "Mulder? Che ti prende?" "Non sono più... sicuro di essere... innocente." "Che vuoi dire?" fece Langly. "Se... se l'avessi uccisa io... e ora... non me lo ricordassi?" "Mulder, ma che stai dicendo? Sappiamo tutti che non lo faresti mai." Una guardia arrivò nella cella comunicando che il tempo a loro disposizione era finito. "Potrei sempre averla spinta io, in qualche modo..." sussurrò Mulder, mentre i tre si alzavano. "Faremo luce su quella notte, Mulder." Li guardò scomparire dietro al muro. Restò seduto sulla branda per diverso tempo. Pensò a lungo. Finché non seppe qual era l'unica cosa da fare. Aveva trovato un motivo per continuare a vivere, per tirare avanti ancora per un po'. La sua crociata, gli X-Files, la stessa ricerca di sua sorella ora avevano perso il loro senso. L'unica cosa che voleva fare, prima di concludere la sua vita nello stesso tragico modo in cui era finita quella della sua collega, era trovare il colpevole. Trovarlo e punirlo per il suo crimine, non avrebbe più soppresso il forte impulso di vendicarla. Non più. E se l'assassino fosse stato lui stesso, non meritava una morte più dolce di quella di Scully. Chiuse gli occhi e pensò a quanto sarebbe stato bello, in quel momento, poter essere in macchina, in cima a quella collina maledetta, con una canna di pistola puntata sotto la gola e il dito sul grilletto. ******* §1.10 (Elena) Penitenziario dello Stato di Virginia, obitorio Lunedì, 11 maggio 1998, 10:30 p.m. Il dottor Robbins era sconvolto: era successo l'incredibile, il corpo di quella poveretta era sparito e il laboratorio era completamente a soqquadro. Ma tra sé e sé sorrideva, ricordando che sua moglie lo prendeva sempre in giro perché aveva l'abitudine di portarsi a casa le provette con i campioni. Questa volta era stato previdente. In più si era licenziata d'improvviso Mary, quella strana donna delle pulizie. Robbins compose il numero di telefono di Steve Collins, un suo amico avvocato e gli disse: "Senti, io ho bisogno di parlare con quell'agente dell'FBI, che credo abbia bisogno di una mano, non pensi... Credo che possa far parte dei suoi diritti... Sai, non mi torna che abbiano fatto sparire il cadavere: dovevo ancora completare l'autopsia... sì, avevo solo prelevato campioni da analizzare. Poi il corpo andava restituito alla famiglia... Qualcosa non mi torna, mi sa che vogliano nascondere qualcosa, non è solo un omicidio..." Poi il dottor Robbins decise di andare a parlare con la polizia e con Fox Mulder. Paul Riordan, che era appena tornato dall'irruzione fatto all'appartamento di Mulder, scosse la testa: "Dottore, faccia il medico. E' inutile che vada a vedere quell'assassino!" "Io faccio il dottore, le ricordo che chiunque è innocente finché non è stata provata la sua colpevolezza. Sa cosa mi ricorda lei? I racconti di mio fratello sulla Gestapo. E guardi che se a quel ragazzo capita qualcosa, io chiamo i miei amici giornalisti ed avvocati e pianto un casino che lei non se ne fa un'idea!" "Quel ragazzo? Sa cos'è quel ragazzo? Un depravato e un maniaco! Lei ha avuto la sua vittima sul tavolo operatorio e ha visto come è morta e cosa le è stato fatto prima: ecco cosa sognava di fare di lei quel bravo ragazzo!" Riordan mostrò al dottore una videocassetta. Il dottor Robbins guardò Riordan e disse: "Ha presente il giornalaio che c'è verso la statale? Ecco vada da lui e lo arresti perché vende queste cassette. Poi faccia una bella perquisizione in casa di tutti i maschi dello Stato, magari anche di tutte le donne, li arresti tutti! Questa cassetta non prova niente, se provasse qualcosa allora avreste molto più lavoro ad arrestare maniaci. E..." La sua voce diventò bassa: "non passereste le serate qui a giocare a poker e a guardare le partite!" Riordan scosse la testa ma rimase in silenzio: vecchio dottore testardo, bravissimo ma sempre pronto a fargli la morale. ******* §1.11 (Monica) Penitenziario dello Stato di Virginia Lunedì, 11 maggio 1998, 5:25 a.m. Mulder percepì appena il rumore della porta della cella che si apriva. Non aprì gli occhi finché non sentì una voce conosciuta: "Ehi spettrale." Si girò appena per vedere Paul Riordan. L'agente speciale della sezione Crimini Violenti Paul Riordan. "Andiamo." disse. "Devo farti un paio di domandine." L'uomo gli rivolse un sorriso perfido. Fox si alzò senza parlare e si lasciò condurre nuovamente nella stanza degli interrogatori. Si sedette al tavolo, sempre in silenzio e senza mai guardare Riordan. "Hai combinato un bel casino, spettrale. L'aggressione e l'omicidio di un'agente dell'FBI è campo dei federali." disse l'uomo, standogli alle spalle. --Già.-- pensò Mulder. --E tu ti divertirai un mondo, Riordan.-- "Ma evidentemente non ti bastava fare quello che hai fatto. Allora, chi è stato il tuo complice?" Mulder si girò verso di lui, stupito. "Sai che se dici il nome potresti avere una riduzione della pena." Paul si spostò, mettendoglisi davanti. "Che so... da due ergastoli a uno?" Paul sorrise di nuovo. "Non... Riordan, sinceramente, non so di cosa stai parlando." "Sì, dicono tutti così, non è vero, Spettrale?" Mulder abbassò lo sguardo sul tavolo. "Non ho ucciso io Scully." sussurrò. "Poniamo che sia così." fece Riordan, meravigliandolo. "Allora perché far sparire il corpo? E chi hai mandato?" "C-cosa? Il... il corpo di... no... non..." "Fortunatamente, il medico legale John Clair aveva già prelevato alcuni campioni-" "Un momento!" lo interruppe Mulder. "Non era lui, era... mi avevano detto che sarebbe stato il dottor Robbins a fare l'autopsia sul cada... su-" Paul sbatté i palmi sulla superficie lucida del tavolo. "Stai zitto. Tu sei solo un assassino, una merda senza diritti. Come ti permetti di interrompere un interrogatorio?" Si scostò da Mulder solo per cercare un pacchetto di sigarette nella tasca interna della giacca. "Clair ha identificato il gruppo sanguigno dell'aggressore. 0 negativo. Ti ricorda niente?" Paul si accese la sigaretta come se stesse parlando di quale fosse la birra migliore da bere mangiando la pizza. Mulder si coprì il volto con le mani. "Non sono stato io." sussurrò, senza però mettere molta importanza nelle parole. "Puoi accettare o no di sottoporti al test. Certo è che, se come dici tu sei innocente, quel test potrà dare una prova che non sei tu l'aggressore. Ma l'hai uccisa per gelosia." Mulder scosse leggermente la testa. "E' inutile, Riordan." "Già. Perché sappiamo entrambi che sei stato tu sia ad aggredirla sia ad ucciderla, non è vero?!" "No!" esclamò Mulder, alzando la voce a un livello normale per la prima volta. Poi cadde di nuovo in un sussurro. "Stanno cercando di incastrarmi." "Sì, naturalmente. Come le tue varie crisi di amnesia, non è vero, Mulder? Su, non è la prima volta che commetti un crimine e poi te ne dimentichi." Paul si accese la sigaretta e rimase per qualche istante a fumare. Fox scosse la testa. "Abbiamo trovato questa nel tuo appartamento." Paul gli mostrò una videocassetta. "Anche questa sarebbe stata infilata nel tuo videoregistratore e messa al momento magico solo per incastrarti?" Il suo tono era di derisione. "Non è illegale per un adulto possedere e vedere pornografia." disse. "Ma lo è uccidere una collega!" Paul buttò la cassetta sul tavolo. "Avanti, quanti anni sono che ci pensi? Da quanti anni hai questi desideri morbosi verso la tua collega?" Lo sguardo di Mulder cadde sulla copertina della videocassetta, sulla quale, in atteggiamento molto intimo, una donna dai capelli rossi e un uomo, mezzi nudi, erano gli avvenenti protagonisti del film, di cui, naturalmente, Mulder non ricordava nemmeno la trama. "Non... non ho mai avuto pensieri... morbosi su di lei." Paul era di nuovo dietro Fox. "Allora perché l'hai uccisa?" Si chinò su di lui e continuò. "Vuoi farci credere che stavate facendo qualche giochetto erotico stile guardia e ladro e, ops!, è partito un colpo di pistola per sbaglio?" Rise. "Avanti, chi ci crederebbe mai? Dana Scully era un'agente rispettata, in gamba, poteva puntare in alto." Prese una boccata dalla sigaretta ormai finita e aggiunse: "Poi ha conosciuto te." Spense la sigaretta nel posacenere. "E stanotte, per evitare che trovassimo le prove, hai mandato qualcuno a portare via il corpo, ma sono arrivati tardi." Paul continuava a girargli intorno. "Le hai negato tutto. La vita sociale, la promozione, la vita stessa... e adesso le neghi pure una degna sepoltura? Il pianto dei suoi parenti? Sei un gran figlio di puttana, Mulder." Al silenzio di Fox, Paul riprese. "Pensaci. Tornerò presto a farti visita." Fece un cenno alla guardia e Mulder fu riportato nella sua cella. ******* §1.12 (Monica) Penitenziario dello Stato di Virginia, obitorio Martedì, 12 maggio 1998, 2:12 a.m. La notte arrivò presto. Mulder sapeva che gli incubi sarebbero ritornati, ma non ci sarebbe stata Scully a sussurrargli nel sonno che tutto andava bene, che avrebbe ritrovato Samantha. Né ci sarebbe stato nessun altro a tranquillizzarlo, perché Dana non sarebbe più tornata. Rassegnato ad essere accusato di un omicidio che non ricordava di aver commesso e a non poter più vedere la sua collega, si addormentò. "Mulder..." Quella voce... "Mulder..." Scully?... "Mulder, svegliati!" Fox aprì gli occhi e si girò sulla brandina scricchiolante. "Scully?!" esclamò. Tese le mani verso di lei, che raggiunse il suo abbraccio. "Oh Dio, Scully... perché? Cos'è successo?" "Non lo ricordi?" sussurrò lei, alzando il volto dal suo petto. "No..." "Oh, Mulder... come puoi arrenderti così? Come puoi rassegnarti alla mia morte? Come puoi lasciare che il mio corpo venga rubato e la verità strappata un'ultima volta da te?" "Scully, io..." Fox sospirò e la strinse a sé. "Mi manchi..." "Mulder, ti stai arrendendo!" "No..." "Non puoi arrenderti! Devi scoprire la verità!" "Io... io non posso!" "Sì che puoi! Devi cercare la verità! Dentro di te e là fuori!" Dana gli accarezzò il volto, poi fece per sciogliersi dal suo abbraccio, ma lui la trattenne. "Non andartene." "Mulder, lasciami." "No!" "Ti ho detto di lasciarmi andare!" "No! Devi restare con me!" "Mulder, mi fai male!" Scully urlò e di colpo era ancora nella sua macchina, sulla collina, sabato all'alba. Ma questa volta, Mulder non la vedeva da fuori. Era nell'abitacolo con lei. Era sopra di lei. Dana cercava di spingerlo indietro, ma lui era più forte e più grande, i suoi sforzi erano inutili. Ad un tratto, Dana aveva in mano la pistola. "Che stai facendo?" Fox sentì la propria voce urlare. Dana teneva la pistola con entrambe le mani, puntata contro di lui. "Che cosa stai facendo?!" Mulder la prese per i polsi e la spinse indietro. Il colpo partì proprio mentre la canna della pistola sfiorava la gola di Scully. I suoi occhi erano ancora aperti, lo guardavano senza capire quel tradimento, mentre l'anima scivolava via. Mulder si svegliò di soprassalto. Si scostò le coperte, andando a sbattere contro il muro. "Oh Dio, no..." sussurrò. "Oh no... sono stato io... oh no... Scully..." Scoppiò a piangere. "Scully, perdonami... perdonami, perdonami, perdonami..." ******* §1.13 (Steffy) Sezione crimini violenti, FBI Building Washington D.C., Virginia. Lunedì, 12 maggio 1998, notte. Quel caso era semplice, molto più degli ultimi che aveva dovuto risolvere da due anni a quella parte. Uno che ammazza la propria collega per motivi passionali era così consueto che meritava di essere archiviato su due piedi. E allora perché era lì, alle quattro del mattino, con una tazza di caffè imbevibile in una mano e il fascicolo del caso nell'altra, a maledire il giorno in cui Fox Mulder era venuto al mondo? La risposta gliela davano dieci anni di lavoro alla sezione crimini violenti e l'espressione degli occhi dei colpevoli preoccupati solo di essere assolti... Ma Mulder non era preoccupato per se stesso, non gliene importava niente della sedia elettrica, era troppo addolorato della morte della collega per accorgersi che per lui poteva finire male. Se qualcuno aveva fatto sparire il corpo della donna doveva esserci un motivo. E l'unica ragione era quella di farlo apparire colpevole... Paul Riordan appoggiò la tazza del caffè sulla scrivania affollata di ogni cianfrusaglia possibile, gettò il fascicolo del 'caso Scully' sul tavolo e si avvicinò alla grande finestra del suo ufficio che dava sulla strada. Appoggiò la mano destra su un fianco e si toccò il mento con la mano sinistra con fare perplesso. "Se quello non si difende, che posso fare? Lasciarlo marcire in prigione per un crimine che magari non ha commesso?" pensò ad alta voce. Si girò verso la scrivania e il dossier, tirò un sospiro profondo e si sedette di nuovo. Lo aprì alla prima pagina. Riepilogò tutte le indagini svolte fino a quel momento. Per l'ennesima volta. "OK, la donna muore. Il cadavere viene portato in obitorio e il medico... il dottor Robbins, inizia un'autopsia superficiale prendendo campioni di tessuto, di liquido seminale e se ne va a casa con il suo lavoro, rimandando il seguito al giorno dopo. La mattina seguente, il corpo è scomparso lasciando Mulder nei guai fino al collo." In fondo al fascicolo trovò il primo esame preliminare di Robbins, lo rilesse: "'Sotto le unghie ci sono frammenti di pelle dell'aggressore, sui vestiti ci sono tracce di liquido seminale... tutto da analizzare e comparare con eventuali campioni del presunto omicida'." Sul foglio seguente, la firma del dottore è diversa. "E qui Mulder aveva ragione, solo successivamente il dottor Clair viene incaricato dell'autopsia. Il motivo... ah, ecco 'indisponibilità del medico legale assegnato precedentemente all'esame autoptico'. Perché non me ne sono accorto subito?" Cercò il nome e l'indirizzo del dottor Robbins: nonostante fosse notte fonda, era intenzionato a scoprire il motivo per cui il primo medico legale era stato sostituito. Perché perdere una notte di lavoro? Prese il soprabito, il fascicolo e uscì dall'ufficio. Quando arrivò al 1425 di Thurmington Hill, si fermò. Le luci al piano superiore della villetta, residenza di Robbins, erano accese. Alle 4:30 di mattina non era impossibile, ma quanto meno improbabile. Si avvicinò alla porta d'ingresso, suonò il campanello ma non ottenne risposta. Bussò caparbiamente alla porta ma non gli rispose ancora nessuno. Chiamare i rinforzi non sarebbe servito a molto --magari in casa non c'è nessuno, per questo motivo Robbins non è reperibile. Forse hanno dimenticato le luci accese prima di andar via--, pensò l'uomo. Basta con le ipotesi, decise di entrare in azione. Fece il giro della villa per arrivare sul retro dove trovò la porta aperta e i vetri infranti. Entrò in casa con la pistola puntata verso un probabile intruso. A passi felpati si inoltrò nella cucina in ordine, poi passò al soggiorno. Non c'era niente di strano ma non era facile stabilirlo con una piccola torcia dalle pile quasi scariche. Si guardò attorno sperando, a quel punto, che non ci fosse nessun abitante che potesse spaventarsi di lui. Lo studio era buio e in disordine. Decise di vederci meglio ed accese la luce. I cassetti della grande scrivania erano aperti e molti fogli e altri oggetti erano sparsi per la stanza, ma non c'era nessuno. Salì le scale, verso la stanza con la luce accesa. Dopo i primi gradini, si accorse di alcune macchie di sangue che sporcavano il tappeto. Sul pianerottolo c'era il corpo di un uomo: il dottor Robbins. L'agente Riordan si piegò su di lui e, mentre con circospezione si guardava attorno per difendersi da un probabile attacco, tastò il polso dell'uomo e si rese conto che era morto. Si alzò dal pavimento, si recò nella stanza con la luce accesa. Era la camera da letto, il pigiama sistemato sul letto come se aspettasse di essere indossato; attorno c'erano segni di lotta. Il dottore, stabilì Riordan, era stato sorpreso in quella camera e, dopo essere stato stordito con un colpo alla nuca, si era accasciato per terra. Qualcuno aveva cercato qualcosa di importante. L'uomo, accortosi di ciò che stava avvenendo, aveva iniziato a ribellarsi e a trascinarsi per le scale tentando una via di fuga ma era stato colpito al cuore, di spalle. Era morto sul colpo, da almeno un giorno, considerato il cattivo odore che si respirava nell'aria. Dopo quel primo esame sull'accaduto, Riordan chiamò la scientifica e iniziò le indagini del caso. Fu chiamato anche il nuovo medico legale, il dottor Clair, che ormai si occupava della faccenda al posto di Robbins, per stabilire la causa della morte dell'uomo. Quando tornò in ufficio, nel redigere il rapporto, non dimenticò di dire che nella tasca della giacca interna, il dottor Robbins aveva nascosto le provette con liquido seminale e pelle dell'aggressore che aveva prelevato dal corpo dell'agente Scully. Probabilmente, era ciò che l'assassino aveva cercato invano. ******* §1.14 (Steffy) Penitenziario dello Stato di Virginia Martedì, 12 maggio 1998 ore 12:40 a.m. Seduto curvo sulla sponda di quel letto sottile e scomodo di prigione, i gomiti appoggiati alle ginocchia e i palmi delle mani a coprire gli occhi bagnati, Mulder piangeva lacrime che credeva giuste. E se i suoi sogni fossero un riaffiorare di una memoria inconscia? Significava solo che lui aveva ucciso Scully... ma lei gli aveva detto anche di cercare la verità. Riordan aveva ragione, avrebbe dovuto donarle almeno una sepoltura degna del suo nome, anche se per lui significava il carcere per trent'anni prima di finire su una sedia elettrica. I no che la testa formava significavano due pensieri opposti e paralleli: -no, non sono stato io- oppure -non posso credere di averlo fatto-. D'un tratto, una lacrima cadde su qualcosa che sporgeva da un incavo presente tra la brandina e il materasso. Accorgendosene, Mulder si chiese cosa potesse essere. La copertina bordeaux gli ricordava qualcosa, forse un libro o un quaderno. Con la mano destra lo prese e si accorse che era il diario di Scully. Chi l'aveva lasciato lì se non i Lone Gunmen? Gli avevano detto di essere stati a casa sua. Sì, erano stati certamente loro, ma per quale motivo avrebbero dovuto lasciarlo lì? Lo sguardo curioso cadde sul diario, poi attorno a sé. Quando fu sicuro che nessuno potesse controllare i suoi gesti, sfilò un foglietto sporgente . 'Mulder, abbiamo deciso di lasciare a te il compito di leggere quello che Dana ha confessato a questo diario. Eri la persona che la conosceva meglio. Siamo convinti che lei preferirebbe così. Speriamo che, in queste pagine, tu possa trovare la ragione di tanto dolore. Se Scully ha deciso di togliersi la vita volontariamente, la verità può essere solo qui dentro. I Lone Gunmen.' Mulder strinse nella mano quel biglietto improvvisato chiedendosi se seguire o meno il suggerimento dei suoi amici. --Perché io? E se non trovassi le risposte che cerco? Oh, Dana! Se togliermi la vita bastasse a ridarti la tua o solo a capire il motivo del tuo gesto disperato, lo farei. Ma non porterebbe a niente. Lo so. Seguirò il tuo consiglio 'devi scoprire la verità. Dentro di te e là fuori.' Dentro di me? C'è il vuoto, dentro. Mi sento solo, in pieno oceano. Nessuno che possa salvarmi dalla mia disperazione. C'eri tu, prima. Ora...--. Scoppiò in lacrime. Solo per due persone, in vita sua, era riuscito a piangere a quel modo: Samantha e Scully. Lacrime così dolorose da solcare il viso per arrivare giù, fino al collo, e farlo rabbrividire. Di paura. Paura perché, per la prima volta, non riusciva a mettere a posto le idee, i pensieri che erano confusi come tanti rivoli d'acqua tra le rughe del letto di un fiume prosciugato. Nessuno andava per lo stesso verso e questo lo perdeva in tanti piccoli pensieri pazzi. Fino a che una lacrima non cadde di nuovo sulla copertina del diario della sua compagna. Forse la risposta era lì, non fuori, ma lì dentro. Eppure non ci credeva. Con quale freddezza Scully avrebbe deciso una cosa tanto assurda? Perché avrebbe dovuto regalare al suo diario la confessione di un suicidio che sarebbe avvenuto lontano nel tempo? Col dorso della mano destra, si asciugò il viso. Si sedette a gambe incrociate sul letto e fu sul punto di aprire il diario della collega, quando venne avvertito di una visita. Infilò, non visto, il diario sotto la brandina e si preparò all'incontro. ******* §1.15 (Monica) Penitenziario dello Stato di Virginia Martedì, 12 maggio 1998, 3:21 p.m. Mulder venne condotto di nuovo nella saletta degli interrogatori. Si chiese chi ci sarebbe stato, questa volta, a divertirsi a torturarlo rigirando il coltello nella piaga. Quando arrivò sulla soglia, vedendo la persona seduta al tavolo, si girò, quasi pronto ad implorare di essere riportato indietro, ma lei lo chiamò: "Fox..." Mulder si sedette lentamente al tavolo e sentì la porta chiudersi, indicando che era stato lasciato solo con Margaret Scully. "Fox, io so che tu e Dana eravate buoni amici. E non so cosa ti abbia spinto a compiere un simile gesto." Mulder non alzò lo sguardo. "Ma ora, ti prego... permetti almeno di seppellirla." "Signora Scully..." iniziò lui. Cosa avrebbe dovuto dirle? "Non sono stato io ad ucciderla"? Ormai neppure lui era più convinto della sua stessa innocenza. "Non... non sono stato io a... a fare portar via il corpo." Il silenzio di Margaret fu così lungo da far alzare a Mulder lo sguardo per la prima volta. Vide una donna straziata dal dolore. Un dolore che lui stesso aveva provocato. Lei riprese: "Fox, dimmi che non sei stato tu... a uccidere Dana." Mulder fece per giurarlo, ma qualcosa dentro di sé lo fermò. "Signora Scully... io... io non lo ricordo." Eppure Margaret gli aveva dato una grande possibilità. Si era fidata di lui. Per questo non poteva mentirle. Margaret sospirò. Aprì la borsa e Mulder sperò che ne estraesse una pistola per sparargli. Invece gli passò una busta bianca, sul davanti solo una scritta nitida: "Mulder", nella calligrafia di Scully. "Dana voleva che io ti dessi questa." Senza dire altro, si alzò ed uscì. ******* §1.16 (Steffy) Penitenziario dello Stato della Virginia Martedì, 12 maggio 1998, 4:00 p.m. Quando dopo l'incontro con Margaret Scully ritornò in cella, Mulder si avvicinò alle sbarre della piccola finestra da cui entravano i caldi raggi di sole della primavera ormai inoltrata. Gli offrì il volto, che si scaldò al loro tiepido calore. Nella mano destra stringeva la piccola busta bianca che racchiudeva le parole di Dana rivolte a lui. Sapeva che avrebbe dovuto aprirla e scoprirne il contenuto, ma credeva che in quel messaggio non avrebbe trovato la risposta alla domanda che lo tormentava. Non avrebbe dimostrato la sua innocenza... o la sua colpevolezza, ma l'avrebbe solo riportato a immaginarla ancora lì, sulla collina... Quando, dopo eterni minuti, il sole scomparve dietro le mura della prigione, Mulder abbandonò la sua posizione per sedersi al piccolo tavolino di plastica, un po' traballante, che era di fronte al letto. Osservò la busta per molto tempo forse tentando di immaginare quali parole, quali pensieri destinati a lui potesse custodire. D'un tratto, con rabbia, quasi che qualcosa l'avesse trattenuto fino a quel momento dal farlo, la aprì strappandone l'orlo al lato. Ne estrasse un foglietto bianco, piegato in due. La scrittura era minuta e ordinata, molto di più rispetto a quella che lui ricordava tipica della collega. Segno che, al momento della sua redazione, il contenuto fosse stato ragionato più volte. Tenne quel foglio con entrambe le mani tremanti e iniziò a leggere. 'Mulder, ho pensato a questo momento molte volte. La natura del nostro lavoro è talmente rischiosa da rendere azzardati i progetti a lungo termine. Prima o poi, avrei dovuto scrivere questa lettera, ma non ho mai trovato il coraggio. Non riuscivo a pensare a ciò che avrei dovuto dirti immaginando che l'avresti ricevuta dopo la mia morte. Ecco, non so esattamente cosa scriverò, ma credo che questo sia il momento giusto per farlo. E voglio esserti comunque vicina, per questo la scrivo di pugno. Stamattina sono andata a trovare Melissa. Sono passati due anni da quando è morta e vado spesso da lei, le confido le mie paure, le mie ansie, le mie gioie. Oggi, però, non sono riuscita a raccontarle niente. Nel cuore avevo solo un desiderio: dirle che le voglio bene. Ma le parole mi riuscivano spezzate anche nel pensiero... E' strano l'affetto, Mulder. Ami una persona totalmente e non riesci a confessarlo. E anche quando è morta ti riesce difficile pensare che possa ascoltarti e che di quella tua confessione tardiva possa farne qualcosa. Missy sapeva esternare i suoi sentimenti, riusciva a parlarne con nostra madre... io no. Mi sembrava pericoloso regalare un sentimento così profondo a qualcuno che avrebbe potuto calpestarlo, tradirlo... quindi non lo facevo. E ora, mi pento di non aver ceduto con mio padre, con Melissa... con te. Tutto questo mi ha portato a pensare a tua sorella Samantha. Ho paura che tu non ti sia rassegnato alla sua scomparsa perché avevi un rapporto in sospeso con lei, non solo una partita a Stratego. Se quella sera avessi avuto il tempo di dirle qualcosa prima che scomparisse per sempre dalla tua vita, forse le avresti dichiarato il tuo affetto ed ora non ti danneresti l'anima per scoprire dov'è... E' questa la ragione che mi spinge a scriverti. Quello nell'FBI è un lavoro pericoloso e non vorrei che un incidente imprevisto tenga il nostro rapporto in sospeso, portandoti a colmare questa perdita con la ricerca spasmodica di una qualunque verità che sostituisca un affetto. Sarebbe una verità offuscata dai sentimenti, dalla ricerca di una giustificazione della mia dipartita. Mi hai dato così tanto, Mulder. In questa vita, sei stato l'unico di cui mi fidassi ciecamente; più di chiunque altro... più della scienza. Cos'è quello sguardo, non ci credi? Eppure è la verità. Ho affidato anche la mia malattia alle tue mani invece che a formule chimiche. Ricordi? Questa mia fiducia in te, così totale e che mi porta a sostituirti alle persone in cui dovrei confidare, mi spinge a donarti quella parte di me che non hai mai conosciuto. Hai rischiato la tua vita per la mia tante di quelle volte da meritare di conoscermi un po' di più. Sai bene che aggiorno un diario, quello personale, che racchiude tutti i segreti del cuore. Voglio che lo prenda tu perché ti aiuti a comprendere il motivo che mi spingeva ad essere così ferma e puntigliosa nel mio lavoro... nel *nostro* lavoro. Sì, perché la tua ricerca era diventata anche la mia. Trovare una verità, corroborata dalle prove che ti ho costretto a cercare per anni, sarebbe stata una verità totale. La nostra vittoria. Continua a cercare quelle prove, Mulder. Combatti ancora, per entrambi. E, per questa ragione, metti da parte le lacrime e scopri la verità con la tua tenacia, quella forza che ci ha salvato tante volte... mi ha salvato tante volte. Non sorprenderti di questa dichiarazione di umanità, Mulder. Nonostante la tua eterna ricerca di una vita oltre la Terra, ricorda che siamo umani e che possiamo sbagliare. Ma ognuno di noi è libero di fare delle scelte. Spero che tu scelga di continuare nella tua battaglia. Per me. Scully.' Mulder fece come la sua collega gli aveva chiesto. Si asciugò le lacrime e, dopo aver osservato ancora una volta il cielo limpido, si sdraiò sulla brandina chiudendo gli occhi. Presto, cadde in un sonno senza sogni, senza Scully. ******* §1.17 (Monica) Penitenziario dello Stato di Virginia Mercoledì, 13 maggio 1998, 12:30 a.m. Fox Mulder era terrorizzato. Raramente aveva avuto così tanta paura in vita sua. Avrebbe potuto paragonare quello stato di panico al momento in cui aveva sentito Scully sulla segreteria telefonica implorare aiuto perché Duane Barry la stava attaccando, e quando pochi mesi prima era entrato nella stanza d'ospedale di lei ad Allentwon, trovandola vuota. E il diario aperto sul comodino. Girandosi sulla branda, Mulder seguì la linea del letto sotto le coperte ed andò a sfiorare la copertina del diario, nascosto ancora sotto il materasso. Pregò che non lo trovassero mai. Chiuse gli occhi per un instante e le immagini del sogno si replicarono di nuovo davanti a lui. Erano nitide e chiare, tanto che lui aveva iniziato a ricordare nuovi particolari. Sapeva che potevano essere solo frutto della sua fertile fantasia e della stanchezza, ma nel profondo del suo cuore temeva e credeva fossero veri. Arrivò ad immaginarsi tutto, e continuava a replicarlo nella sua mente quasi in cerca di un particolare che avrebbe potuto dirgli che era tutto falso, e infine come per punirsi di quello che aveva fatto. "Io vado a casa, Mulder." disse Scully, alzandosi dalla sedia. Fox alzò lo sguardo dal fascicolo: "Seratina calda in programma?" le chiese, notando che lei stava uscendo più presto del solito. "Naturalmente. Appena arrivo a casa una bella doccia calda, poi una minestra calda, quindi mi infilo nel mio pigiama caldo, mi metto sul divano sotto una bella coperta calda a guardare 'Mezzogiorno e Mezzo di Fuoco' in televisione." "Serata allettante, posso infilarmi anch'io nel tuo caldo pigiama e sotto la tua calda coperta?" Scully si limitò a sorridere, mentre si infilava il soprabito. "Ho capito, vuoi lasciarmi a casa da solo senza riscaldamento, a farmi una doccia fredda, bere un bicchiere di tè freddo, sul mio divano di pelle fredda a guardare 'Il Grande Freddo' in TV..." "Ci vediamo lunedì, Mulder." Con un gesto della mano era svanita dietro la porta e lui non le aveva nemmeno augurato "buon fine settimana". Come di consueto. Ma ora gli dispiaceva, avrebbe voluto farlo. La serata si era conclusa come molte altre. Era arrivato a casa, si era steso sul divano con qualche cosa da mangiare che nemmeno ricordava e che probabilmente aveva in frigorifero da troppo tempo, poi aveva infilato una cassetta nel videoregistratore e si era steso a guardarla. A ben pensarci, ricordava di essere stato indeciso su cosa guardare quella sera. Certamente non era in vena di "Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo" e nemmeno di "Mezzogiorno e Mezzo di Fuoco", almeno non senza sentire i movimenti di Scully che si preparava ad andare a dormire nella stanza di motel accanto. Quindi aveva ripiegato su qualcosa tipo "Le Notti Rosse di Scarlett". Mulder si rigirò nel letto, lasciando andare la presa del diario. Da circa metà film, nei suoi ricordi tutto diventava buio e veniva rischiarato solo dai sogni, dai presentimenti. Doveva essere quasi mattina. Forse le tre. Si era svegliato, aveva chiamato Scully, implorandola di seguirlo per l'ennesima volta. Lei aveva detto che sarebbe passata a prenderlo in breve. Era arrivata da lui, che era già in strada ed erano partiti, forse per vedere un UFO o qualcosa del genere. Scully aveva parcheggiato la macchina sul pendio. Era l'aurora, in breve il sole si sarebbe alzato sull'orizzonte distante di montagne frastagliate. Erano seduti in macchina, forse Scully gli stava parlando di quanto fosse stupido andare a caccia di UFO e via dicendo. Evidentemente lui non la stava ascoltando perché non ricordava niente di quello di cui lei gli stava parlando. Ad un tratto lui si era girato verso di lei, l'aveva baciata. Scully si era mostrata stupita, forse un po' adirata per essere stata svegliata alle tre del mattino solo per finire a sbaciucchiarsi in cima a una collina come due ragazzini. Forse, invece, era diventata di colpo timida. Gli aveva detto che non se l'aspettava, che era presto per passare a una relazione più profonda di quella che già avevano, che non se la sentiva, non era pronta. Allora lui aveva perso il controllo. Era scivolato velocemente tra lei e il volante, bloccandola con il suo peso, urlando contro di lei frasi che ora nemmeno riusciva a mettere assieme. Lei forse era rimasta shockata, forse aveva cercato di farlo ragionare parlando lentamente, con calma. Forse si era messa a piangere. E il resto era storia. Mulder ficcò la testa sotto il cuscino. Il solo pensiero di aver fatto piangere Scully lo faceva star male. Si premette il cuscino sulla faccia finché si sentì mancare il respiro. Poi rilasciò la presa e si mise a sedere sul letto. Perché diavolo non ricordava nulla? Non riusciva a capire perché, per quello che ne sapeva, aveva dormito sonni stranamente tranquilli e rilassanti per tutta la notte. Eppure aveva ucciso Scully. Aveva ucciso la sua migliore amica dopo averla trascinata in un luogo deserto e solitario per cercare di sedurla. Mulder sentì il bisogno ancora più pressante di chiamarla. Lei riusciva sempre a tranquillizzarlo, quando lui si risvegliava da qualche incubo. "Voglio parlare con Scully." sussurrò. "Voglio parlarle... devo parlarle... devo... chiederle scusa." Sulle parole di un perdono che avrebbe voluto chiederle, Mulder si addormentò. ******* §1.18 (Monica) Penitenziario dello Stato di Virginia Mercoledì, 13 maggio 1998, 8:07 a.m. Aveva dormito in una posizione strana quella notte, ed ora il suo collo glielo stava facendo pesare. Seduto ancora nella sua cella, Mulder stava fissando la copertina del diario di Scully. Ancora non aveva avuto il coraggio di leggerlo. Attendeva, sperando che i Lone Gunmen o chiunque altro avesse potuto portagli la prova della sua innocenza e soprattutto la prova che tutto quello era solo un incubo e che Scully era viva. Gli avevano annunciato una visita e, quando sentì dei passi arrivare verso la sua cella, alzò lo sguardo sperando ancora di vedere la sua collega arrivare e dirgli: "Ho saputo che non hai dormito molto, questa notte." Sapeva che era impossibile, quindi chiuse gli occhi e sperò che il rumore oltrepassasse la sua cella e lo lasciasse immerso nel suo sterile masochismo. "Agente Mulder?" Aprì gli occhi quel tanto che gli bastò per scorgere l'imponente figura di Skinner davanti a sé. "Signore." sussurrò in saluto. "Ieri ho parlato con Paul Riordan." Skinner optò per l'approccio diretto. "Ho avuto anch'io il piacere." disse Mulder. "Riordan crede che lei sia colpevole. Io no." Mulder lo guardò con una leggera aria di stupore: "Allora è l'unico." Skinner non badò al commento e senza perdere un colpo continuò: "Da quello che mi ha detto, non si è dichiarato innocente." Fox abbassò lo sguardo sul pavimento ruvido e grigio della prigione. "Sta cercando di proteggere qualcuno o qualcosa, agente Mulder, o è solo autolesionismo?" gli chiese, in tono molto duro. "Io non sono... non so se sono innocente o no." "Andiamo Mulder, saprà bene se ha premuto quel grilletto o no." "Non ha più importanza." disse Mulder. "Non mi interessa. Scully... Scully è morta, che differenza fa se l'ho uccisa io o no? Anzi, se sono stato io, almeno l'assassino verrà punito. Voglio la sedia elettrica." "Dannazione, Mulder, come può lasciarsi andare in questo modo?! Scully era la sua collega, se non è stato lei ad ucciderla, dovrebbe almeno tentare di farle giustizia! Scoprire la verità per lei. Io credo che glielo debba. Se veramente contava qualcosa, credo che questo sia il minimo che lei possa fare per l'agente Scully." La cella cadde in un silenzio piatto per diversi minuti. Alla fine fu di nuovo Skinner a parlare: "Non è la prima volta e non sarà l'ultima che qualcuno cerca di incastrarla. Non ha mai pensato a questo?" Mulder incontrò per la prima volta lo sguardo di Skinner. "Io ho sognato di ucciderla. Era un sogno vivido, vero... allucinante." "Non può basarsi su un sogno. Mulder, se lei si lascia andare, tutto quello che lei e l'agente Scully avete scoperto, tutto quello che avete faticosamente messo assieme, la sua stessa morte, saranno inutili. Non sarà servito a nulla, tutto quello che avete passato insieme. Tutto quello che avevate." Senza dire altro, Skinner si alzò in piedi e poco dopo se n'era andato. Mulder chiuse gli occhi, respirando a fondo per qualche minuto. Le parole di Skinner l'avevano punto sul vivo. Era ora di scoprire la verità. Dentro di sé e là fuori. Fox fece scivolare la mano sotto il cuscino, dove aveva nascosto il diario appena aveva sentito i passi. Ne accarezzò la copertina per alcuni istanti. Quindi l'aprì. Sulla prima pagina, la calligrafia di Dana descriveva tutta la sua angoscia della scoperta del cancro. Mulder aveva letto una sola volta quella pagina, come alcune successive, eppure la ricordava a memoria. "Per la prima volta nella mia vita sento il battito del cuore che scandisce il tempo e i secondi che scorrono rapidi come una minaccia..." Mulder scorse avanti, verso la fine della pagina. "Vedo allontanarsi la prospettiva di continuare un viaggio intrapreso non molto tempo fa, un percorso seguito con una fede debole, ma corroborata dalla tua tenacia, senza la quale in questo momento non avrei mai trovato la forza per affrontarlo senza timore, e affrontarlo da sola, sperando che mi perdonerai per non voler compiere il resto del viaggio insieme a te..." Mulder chiuse gli occhi per qualche istante, come per evitare di leggere quelle pagine così piene di dolore. Com'era finito quel viaggio? Con un colpo di pistola sotto il mento che forse lui o lei stessa avevano sparato. Mulder girò qualche pagina, i suoi occhi scorrevano veloci sulla grafia a lui così nota e cara. "E se quando leggerai queste righe le tenebre mi avessero inghiottito..." "Scully, quali tenebre... quale morte alla fine?" sussurrò al diario. Girò pagina, cercando di scacciare i ricordi di opprimenti radiografie. "Abbiamo sempre viaggiato insieme, spalla a spalla, ma quest'ultima tappa la devo necessariamente percorrere da sola." Mulder chiuse il diario, non riuscendo a continuare a leggere quelle pagine. Anche se quell'ultima frase, sembrava dargli il minimo conforto dell'innocenza. Prese qualche respiro profondo e riaprì il diario. Girò velocemente le pagine che conosceva a memoria, diede un veloce sguardo alle poche scritte successive, fino ad arrivare al venerdì precedente. "Ti ho detto che sarebbe stata una serata calda. Peccato che non lo è per niente. Non ho nemmeno acceso la TV, ho solo mangiato la mia razione quotidiana di verdure, quindi mi sono messa qui sul divano a scriverti. Ed eccomi qui. Fa freddo. Non è un freddo fisico... ho guardato sul termometro, prima, non è tanto freddo come lo sento io. Ho freddo dentro. Mi sento sola e questo accade da tempo, il venerdì sera, il sabato... e anche la domenica. Forse avrei dovuto proporti di venire qui. Avremmo potuto parlare, mangiare assieme e poi guardare uno di quei film che ti piacciono tanto, come 'Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo'. Potrei ancora chiamarti. Sono solo le dieci e... e so già che non lo farò. Mi chiedo perché, dopo tutti questi anni insieme, sia ancora così difficile per me parlarti. Scrivere è così semplice." Mulder girò pagina e trovò solo la propria grafia. Che strano, la frase prima sembrava lasciata in sospeso. Eppure alle dieci anche lui stesso era ancora sveglio. Lo ricordava bene, era rincasato tardi ed aveva visto almeno mezzo film. "Signore?" Mulder alzò lo sguardo dal diario, per trovare una suora accanto al secondino. "Posso parlarle?" Mulder annuì, stupito della presenza della donna, ma i suoi pensieri erano ancora altrove. La suora entrò e attese che il secondino si fosse allontanato. "Come ti chiami, figliolo?" "Mulder." disse lui, appoggiando il diario sul letto, spingendolo leggermente sotto al cuscino. "Io passo di qui per parlare con alcuni uomini, se vuoi posso venire anche per te." Mulder abbassò lo sguardo. "Io non so se è il caso di farle perdere tempo..." "Nessun'anima è una perdita di tempo." Fox strizzò un sorrisetto. --Ci manca solo questa...-- Poi si ricordò che Scully era cattolica, quindi una chance alla suora poteva darla. "Io sono Suor Mary." disse lei, regalandogli un sorriso dolcissimo. "Cos'è successo, come mai sei qui?" Al silenzio di Mulder, lei replicò: "Se non vuoi dirmelo, sei libero, ma devo assicurarti che quello che dirai rimarrà tra di noi." "Ho ucciso..." Mulder si bloccò. "Pensano che abbia ucciso la mia collega." "Oh mio Signore..." sussurrò la suora, congiungendo le mani davanti a sé. "Mi dispiace... ma... è vero?" Fox scosse la testa. "Non ricordo." Una guardia apparve sulla porta: "Suor Mary? Le sue sorelle la stanno aspettando all'uscita." Suor Mary si rivolse a Fox: "Mi dispiace, ma devo proprio andare." Mulder annuì, grato, in realtà, di quella partenza. "Io o una delle mie sorelle torneremo a trovarti, la prossima settimana." La donna sorrise. Quindi uscì. Mulder sospirò, sentendo il rumore di passi svanire. ******* §1.19 (Monica) Fuori dal penitenziario dello Stato di Virginia Mercoledì, 13 maggio 1998, 11:21 a.m. Suor Mary salì in macchina e attese di aver oltrepassato i confini del penitenziario. Quindi estrasse un telefono cellulare e premette l'autodialer. "Sono io. Ormai è cotto a puntino. Il pollo crede di essere stato lui. C'è cascato." Prima di ricevere una risposta, la donna sentì un soffio di fumo. Dall'altra parte, l'uomo fece cadere la cenere dalla sigaretta. "Fa' in modo che rimanga di quell'idea." "C'è un'altra cosa." disse Mary, togliendosi, con un gesto liberatorio, la cuffia da sopra i capelli biondi. "Credo abbia un diario, qualcosa del genere, con sé. Ha cercato di nasconderlo, quando sono arrivata." "Non è un problema." L'uomo spense il telefono, osservando la donna ancora incosciente davanti a sé. Le scostò una ciocca di capelli rossi dal viso, quindi si girò verso l'assistente. "Quando si sveglia, chiamami." Così dicendo lasciò la stanza. ******* §1.20 (Steffy) Luogo sconosciuto Mercoledì, 13 maggio 1998, 12:00 a.m. In lontananza riusciva a sentire il rumore del vento, il fruscio delle foglie che si cullavano sotto le sue carezze. Si era svegliata, rendendosi conto di avere gli occhi bendati e una spossatezza fisica mai provata fino ad allora. Nessuna certezza sul luogo in cui si trovava, a parte la sicurezza di essere in compagnia di qualcuno che camminava ritmicamente avanti e indietro, compiendo un percorso di soli tre passi ogni volta. La innervosiva e oltretutto aveva la testa che le dava dei dolori lancinanti. Che roba le avevano dato per farla stare tanto male? A malapena riusciva a ricordare il proprio nome. E non aveva nemmeno la forza di chiedere dove fosse e perché. Fu il giovane uomo, sui venticinque anni, a parlare appena si rese conto che la donna si era svegliata. "So che senti la bocca asciutta. Vuoi bere?". Silenzio. "Guarda, non voglio farti del male. A parte l'averti portata qui di forza, non ho nessuna intenzione di ucciderti. Stiamo solo aspettando una persona. Lo vuoi un sorso d'acqua?". Il caldo che sentiva attorno a sé era troppo per rifiutare quell'offerta. Probabilmente, aveva la febbre. Non sarebbe successo niente se avesse accettato un po' d'acqua. "...Sì..." Aveva ascoltato la sua voce roca, debole e impaurita come se provenisse da una terra lontana. Aveva sempre avuto paura di ciò che non poteva vedere. Odiava giocare a moscacieca coi fratelli proprio per questo. Sentì che la persona che era lì con lei versava un liquido in un bicchiere di plastica. Il rumore era inconfondibile. Si avvicinò a lei e le afferrò la mano destra permettendole di prendere il bicchiere. "Posso sbendarmi gli occhi?" "No. E non provarci nemmeno. Dopo che me ne sarò andato, potrai fare tutto ciò che credi. Adesso, no." Il bicchiere che stringeva nella mano era fresco. Che voglia di bere e che paura di portare quel liquido alla bocca! Poteva essere qualunque cosa. Alla fine cedette. Si bagnò appena le labbra e, in quel momento, ringraziò Dio in silenzio per aver creato l'acqua. A piccoli sorsi, bevve tutto il contenuto del bicchiere che abbandonò per terra accanto alla scomodissima sedia su cui l'avevano costretta da chissà quante ore. "Perché sono qui?" "Devi incontrare una persona. Non preoccuparti, sarà qui presto." "Chi è? E tu chi sei?" "Ah! Sei davvero ingenua se pensi che te lo dica. Buona, che avrai tanto da parlare dopo." Detto questo, si avvicinò a lei, le sfiorò una guancia. "Devi essere davvero in gamba per essere qui." "Allontanati da me!" "Hm, permalosa anche!". La porta alle spalle del giovane uomo si aprì. "Puoi andare." Una voce profonda, rugosa, che evidentemente aveva il potere di suggestionare il ragazzo, lo costrinse ad uscire in fretta. --Ho già sentito questa voce. Dove?-- si chiese la donna. Il nuovo arrivato, entrando, portò con sé aria pulita che provocò un contrasto con l'aria viziata che c'era stata nella stanza fino a quel momento. Sì sentì il 'clic' di un accendino. Poi, l'aspirare da una sigaretta. Infine, una ventata di fumo colpì la donna in faccia. Non poté fare a meno di tossire. La porta si richiuse alle spalle dell'uomo. "Buongiorno, Dana. Come si sente? L'hanno trattata bene? La vedo un po' giù." Lei non rispose, tentava di capire a chi potesse appartenere quella voce, ma senza risultati. "Voglio togliermi questa benda dagli occhi e voglio sapere perché sono qui. E..." "Ah ah ah, una cosa per volta." Fece un passo solo per avvicinarsi a lei. Le fu alle spalle e, con un rapido gesto, la liberò dalla benda bianca. Non c'era molta luce nella stanza. Appena uno spiraglio da una finestra con i vetri oscurati le diede fastidio agli occhi. Li richiuse immediatamente e abbassò la testa. Li aprì pian piano per abituarsi alla luce e poi, di nuovo, all'oscurità di quel luogo. L'uomo, intanto, si riportò davanti a lei. "Va meglio, adesso?" Scully alzò lo sguardo e incontrò gli occhi di lui. Con le poche forze che le rimanevano, si alzò dalla sedia quasi di scatto, spaventata. Quell'uomo era morto da più di un anno, non poteva essere lì. Forse era un sogno, o forse era tutto vero... "Lei dovrebbe essere... morto." Scully scosse la testa "Ma il male non muore mai, vero? Brutto figlio di..." "Le parolacce non si addicono a una donna intelligente come lei. Siamo qui per parlare, non per litigare." Scully si abbandonò sulla sedia e il suo pensiero andò immediatamente a Mulder. Doveva essere preoccupato se si era già accorto della sua scomparsa. E sua madre... Oddio, stava accadendo di nuovo. Il dolore che provava a saperli preoccupati le portò le lacrime agli occhi ma non pianse. Non era il momento. "Non abbiamo mai parlato a quattr'occhi a parte quella volta in South Dakota. Stavolta, sono qui perché ho bisogno del suo aiuto, agente Scully." "Nemmeno sotto tortura. A rischio di morire, non aiuterò mai un bastardo come lei." "Dobbiamo collaborare, meglio stabilire un rapporto di fiducia...". "Non con me." Lo interruppe Dana. "So come convincerla, Scully." Le porse una foto e, al guardarla, Dana si lasciò sfuggire un rantolo di disgusto, o dolore, o forse paura. Quante volte nella vita può capitare di guardare la propria morte in una fotografia? Sentì lo stomaco contrarsi e rivolse lo sguardo, di nuovo, a quell'uomo come per chiedergli conferma di ciò che credeva aver capito. Lui le rispose con la sua solita freddezza. "Rischieremo di inferocire il suo collega. Ormai, è convinto di non aver più nulla da perdere. Ma abbiamo bisogno dell'agente Scully. Anzi, della 'dottoressa' Scully." In quel momento, il cellulare dell'uomo squillò. Lui sembrò contrariato ma non perse la sua calma. Guardò Scully. Aspirò l'ultima boccata di veleno e gettò via la sigaretta. "Andiamo, non c'è più molto tempo." Un'auto li aspettava fuori dalla capanna immersa nella neve ammorbidita dal primo timido sole della primavera. Erano in Canada. Appena dodici gradi sopra lo zero. ******* §1.21 (Monica) Luogo sconosciuto tra le foreste del Canada Mercoledì, 13 maggio 1998, 1:12 p.m. Scully si raggomitolò sul suo sedile. "Non è possibile alzare il riscaldamento?" "E' già al massimo." fece il conducente, in tono piatto. "Dove stiamo andando?" "Ai laboratori, agente Scully." disse il fumatore, accendendo un'altra sigaretta. "Non sia troppo impaziente. Ci manca ancora un'ora di viaggio, un paio d'ore di aereo e un viaggio attraverso le foreste." Scully si girò alla sua destra, vedendo il ragazzino che l'aveva accolta al suo risveglio. Doveva avere non più di venticinque anni e una grande voglia di arrivare in alto. Sospirò, cercando di raggomitolarsi ancora di più. Si girò leggermente verso i sedili posteriori del furgoncino, ma il ragazzino riportò la sua attenzione in avanti. "Stavo solo cercando una coperta." disse lei. "Non vi sarò molto utile se arriverò congelata alla nostra destinazione." "Dio santo..." sentì una voce dire da dietro. Poi qualcuno scavalcò lo schienale e si sedette tra lei e il ragazzino. Qualcuno di nome Alex Krycek. "Non sapete proprio trattare con le signore." disse, appoggiandole sulle spalle il proprio soprabito. "Vediamo se così potremo viaggiare tranquillamente, dottoressa Scully." A un suo cenno il ragazzino sgattaiolò sul retro e Alex si rimise comodo a leggere sul sedile. Scully si infilò nel largo soprabito. "Non congelerai?" gli sussurrò. "Ja russkij." [Sono russo.] Si avvicinò al suo volto, con un sottile sorriso gelido sul volto, e le disse: "Adesso fa' a tutti il santo piacere di startene zitta e lasciarci fare i viaggio in santa pace." ******* §1.22 (Steffy) Luogo sconosciuto tra le foreste del Canada. Mercoledì, 13 maggio 1998, 3:30 p.m. L'auto si era fermata bruscamente e Scully, addormentatasi durante il lungo viaggio, si era risvegliata di soprassalto. Il suo sguardo si perse in quella radura sterminata di conifere mentre Krycek apriva la portiera per farla scendere. Dana lo guardò con durezza, poi uscì dalla jeep. Alex si avvicinò a lei e le parlò in un sussurro. "Ti dò un consiglio, Scully. Non provare a scappare. Ci sono dei lupi nei dintorni che hanno sempre molta fame." "Krycek, tu non sei solo un doppiogiochista. Non vali niente." "Vedremo." Il fumatore lanciò a Krycek uno sguardo di ghiaccio come a rimproverarlo della sua piccola conversazione con Dana, dopodiché si rivolse a lei: "Andiamo. Ci aspetta un lungo lavoro." Dana, guardandosi intorno, non riuscì a vedere nient'altro se non alberi innevati e qualche bucaneve. Dopo dieci minuti di cammino a piedi tra le montagne, arrivarono di fronte a un torrente. Scully seguì molto attentamente i movimenti dei tre uomini che la scortavano, tentando di prevenire gesti insoliti. Poi, d'un tratto, si ritrovarono di fronte una piccola baracca in legno. Era così ben nascosta tra la vegetazione che nessuno avrebbe potuto scorgerla facilmente anche da vicino. Scully rimase sorpresa nel trovarsela di fronte. L'uomo anziano fece segno di aprire la porta al più giovane che entrò per primo, seguito dall'uomo e da Scully. L'ultimo fu Krycek che entrò di spalle per controllare che nessuno li stesse seguendo e richiuse la porta. Era buio e la stanza era piccola e polverosa. Il giovane uomo si inginocchiò per terra in fondo alla capanna e sollevò un tappeto che risultò coprire una botola. Scese per primo la scala verticale che nascondeva il pavimento, fu seguito dal fumatore, Scully e, al seguito di lei, Krycek. "Dove mi portate?" Domanda stupida, quella di Dana; sapeva che non le avrebbero risposto ma in un attimo fu colta dalla sorpresa. La piccola scala che avevano sceso era la porta di comunicazione tra l'insignificante baracca che avevano appena lasciato e un un ampio e modernissimo laboratorio illuminato a dovere. Dana si voltò verso Krycek che era alle sue spalle, quasi a chiedergli spiegazioni ma lui la guardò e, subito dopo, con il ragazzo più giovane, uscì di nuovo da dove erano entrati. "Seguimi." le ordinò il fumatore. "Che posto è questo?" Silenzio. Mentre lo seguiva, Dana osservò alcuni uomini, con le mascherine in volto, che la squadravano da quando erano entrati nel laboratorio e che stavano maneggiando chissà quali sostanze in provette di vetro. Quando furono arrivati di fronte ad una doppia porta blindata, lui batté con il pugno destro due colpi secchi. La porta fu aperta immediatamente da un uomo e loro due entrarono. Quella che vide Dana, fu una sala operatoria in piena regola: il lettino per operare, le luci sul soffitto, gli strumenti chirurgici. Sul lettino, coperto da un lenzuolo bianco, probabilmente c'era un corpo. Con un gesto, il fumatore fece uscire i due uomini che erano nella stanza. Dopodiché, mentre si accendeva l'ennesima sigaretta, iniziò a parlare. "Scully, il lavoro che ha portato avanti con Mulder è stato seguito da noi fin nei minimi particolari. Ora, sto per regalarle la chiave del futuro." Dana ascoltò in silenzio ciò che l'uomo aveva da dirle ma sentiva che ciò che stava per proporle non le sarebbe piaciuto affatto. "Qui, avrà la possibilità di partecipare ad un progetto che rappresenterà una nuova frontiera per la scienza, per l'Uomo." "Di che progetto parla?" "Il progetto che la vede protagonista, Dana." Scully iniziò a spazientirsi. Fece cenno al lettino operatorio. "E' quello il progetto?" "Sì." "Non mi interessa. Lei è un vigliacco che non prova il minimo rimorso a uccidere gente innocente, ad accettare di creare dei mostri e solo per...". "Mai dire mai, Scully. Sono sicuro che questo 'lavoretto' la interesserà. Anche perché... vede... ormai nessuno l'aspetta più a casa." Dana corrugò la fronte e si avvicinò all'uomo guardandolo dritto negli occhi. "...Quella foto... avete mostrato quella fotografia alla mia famiglia... a Mulder. Credono che io sia morta. E' questo che intende dire?! Mi credono morta!!!" L'uomo non rispose, aspirò la sigaretta profondamente e continuò a guardare Scully. Lei abbassò lo sguardo dopodiché chiuse gli occhi. Non voleva che quell'essere spregevole le vedesse gli occhi lucidi. Continuò a osservarla per un po', così vulnerabile per la stanchezza, dopodiché appoggiò la sigaretta accesa su un posacenere e afferrò Dana per un polso. La portò accanto al lettino dove era adagiato quello che Dana pensava fosse un corpo qualunque. "La sua esperienza negli X-Files è importante per affinare il nostro lavoro. Siamo troppo vicini alla perfezione e lei può aiutarci ad ottenerla. Da questo momento, che lo voglia o no, farà parte del nostro team e del Progetto Omega." Scully lo guardò perplessa. Quell'uomo era troppo sicuro della sua affermazione. A parte aver inscenato la sua morte, cosa possedeva sul suo conto da renderlo tanto certo? "Cosa glielo fa credere? Non lavorerò con lei o per lei. I suoi metodi sono disumani." "Tanto, prima o poi, lo dovrà vedere. Meglio toglierci ora il pensiero." Trattenendola sempre per un polso e guardando in volto Scully scostò, con una sola mano e con un gesto secco e veloce, il lenzuolo che ricopriva il corpo. Dana osservò per una frazione di secondo il cadavere, non ebbe il tempo di dire nulla. Solo un respiro. Chiuse gli occhi e svenne. Gli uomini che erano usciti poco prima rientrarono dopo aver sentito qualcosa cadere per terra. Senza fare domande, presero Dana e l'appoggiarono su una lettiga che era nella stanza accanto. Il fumatore, intanto, ricoprì con il lenzuolo quella che era l'esatta copia di Scully. ******* §1.23 (Steffy) Luogo sconosciuto nelle foreste del Canada orientale Mercoledì, 13 maggio 1998, 2:40 p.m. "Si può sapere chi è quella? E poi com'è che hai tutte queste premure nei suoi confronti? Ti sei preso una bella cotta Alex, ammettilo." Il ragazzo che aveva badato a Scully durante i suoi giorni di incoscienza e Alex Krycek erano in macchina ad aspettare che il fumatore tornasse dopo aver illustrato a Dana la situazione. "Zitto, cretino. Non sai quello che dici. Scully è importante per questo progetto molto più di quanto non creda il capo." "Più la faccenda va avanti e meno la capisco..." "Meglio per te, Kyle." "E' un mese che dici così, ma ancora non mi hai detto perché e poi io voglio tornare a casa. Mi hai promesso di dirmi dov'è mia madre ma inizio a dubitare di te." "Senti, inizi a scocciarmi. Ti ho già detto che lo saprai alla fine del lavoro." "Almeno a sapere qual è questo benedetto lavoro!" Krycek era davvero innervosito. Se non gli fosse servito per il suo gioco, gli avrebbe già piantato da tempo una pallottola nel cervello. Così, tanto per farlo stare zitto. La verità era che nemmeno lui sapeva bene dove andare a parare. Ormai conosceva le intenzioni del fumatore ed era stato un bene che avesse rapito Scully. Sarebbe stato facile ricattare Mulder... ma come convincerlo a fidarsi di lui e unirsi ai suoi ideali? Non avrebbe capito quanto sarebbe stato pericoloso riuscire a terminare in tempo il Progetto Omega. Non gli avrebbe neppure creduto. "Ma, dov'è finito? Vado a vedere che succede." "No, ci vado io. Tu rimani qua e niente scherzi." "E dove vuoi che vada? Genio. Siamo nel bel mezzo della foresta. Te ne sei accorto?" Ad Alex, quel ragazzo dava sui nervi davvero. Uscendo dalla macchina sbatté forte lo sportello. Con il dito teso sul grilletto della pistola in caso di strani scherzi da parte dei suoi amici, si incamminò per il laboratorio. Con la solita cautela entrò e, arrivato al piano nascosto, chiese del fumatore. Uno degli uomini con le mascherine gli disse che era in una delle tante stanze con l'agente Scully. Aspettò nella sala che uscissero. A lui era proibito entrare lì dentro. Non aveva mai saputo cosa ci fosse dietro quelle porte blindate. A dire il vero, un'idea ce l'aveva ma non immaginava come fossero fatti questi ibridi che tentavano di perfezionare. E chissà se erano tutti uguali fra loro o meno. Era curioso. Prima o poi l'avrebbe scoperto e portato la situazione a proprio vantaggio. Come sognava da sempre. Immerso nei suoi pensieri, si accorse che il fumatore era da solo soltanto quando gli fu a un palmo dal naso. "E Scully? Dov'è? Non l'avrà già messa a lavoro?" "Krycek, le troppe domande che fai prima o poi ti costeranno la vita. Dobbiamo aspettare." Alex lo guardò, per la prima volta da quando lo conosceva, negli occhi. "Che è successo?" "Un piccolo malore. Nulla di grave." "Avete fatto del male a Scully?!" "Calma, Krycek. La nostra patologa è svenuta alla vista di un cadavere. Non è così forte come pensavamo." Il ragazzo non credeva alle parole dell'uomo. Se Scully stava male le avevano fatto qualcosa e se era svenuta c'era qualcosa di mostruoso, in quella stanza, da spaventarla a morte. "Non è da lei svenire così." Si avvicinò un uomo, uno dei due che avevano appoggiato Dana sulla lettiga. "Si è ripresa. Vuole parlare con lei, signore." "Krycek, rimani qui." Il fumatore si allontanò per recarsi nella "Camera". Alex iniziava a preoccuparsi di tutta quella faccenda. Che c'era là dentro di tanto allarmante? Il vecchio si era allontanato da poco, quando Krycek sentì delle urla: "Dio Santo, non potete chiedermi una cosa del genere!! E per quale ragione?!" ******* §1.24 (Steffy) Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada) Mercoledì, 13 maggio 1998, 4:40 p.m. Krycek si era avvicinato alla stanza dove l'uomo e la donna stavano parlando da quasi venti minuti, tentando di capire cosa stesse succedendo e magari sbirciare all'interno se si fosse presentata l'occasione. Scully stava dialogando concitatamente con il fumatore. Infatti, poteva sentirne il respiro affannoso oltre la porta. "Si rende conto che andrebbe contro ogni etica professionale e morale fare quello che lei mi chiede?!" "Non sa di cosa parla. Quello che ha visto non è un esperimento, è la prova concreta che la scienza può fare cose inimmaginabili con quello che nasconde dietro la parola 'clonazione'. Cosa crede che volessero fare quando hanno creato il primo essere vivente tramite l'ingegneria genetica? Quello..." "Quello che mi ha fatto vedere non è il risultato dell'ingegneria genetica! La genetica è una scienza studiata per spiegare la vita dell'uomo sulla Terra. E voi state manipolando questa scienza non per aiutare l'Uomo ma per creare dei mostri!!!" Aveva parlato in fretta, con rabbia e guardandolo in faccia. Poi, aveva abbassato lo sguardo, calmandosi, tentando di trovare le risposte alle mille domande, ai tanti dubbi che si stavano accavallando nella sua mente tutti insieme, in quel momento. "...è successo durante il mio rapimento, in quel maledetto periodo. E' stato allora che avete trovato il modo di... copiarmi." Alzò lo sguardo per incontrare di nuovo gli occhi inespressivi di quell'uomo di ghiaccio. E parlò ancora con calma. "Quante ce ne sono? Quante altre 'gemelle' ho? Quanti mostri avete creato da me?" Non si aspettava una risposta, ma la ottenne. "Ipoteticamente, un numero infinito. Ma sono tutte imperfette, come questa. Scully, lei è qui per perfezionarla. Nessun dottore, a parte lei, è in grado di farlo. Noi siamo arrivati fino a questo punto grazie alla dottoressa Lynn Rainbow, ma le mancano degli elementi che solo lei conosce perché fanno parte del suo DNA..." "E mi avete rapito di nuovo, per questo? Per compiere altri esperimenti su di me?! Mai. Non sarà col mio aiuto che migliorerete quel... quell'essere." "Vede, agente Scully, la sua collaborazione è importante per noi quanto per lei. Se collaborerà, eviterà al suo collega di indossare ancora per molto quell'orrenda tuta arancione che portano gli assassini. L'omicidio di un'agente dell'FBI è di competenza dei federali e sappiamo entrambi quanto sia duro il braccio della morte, vero?" Lui parlò con tono calmo mentre lo sguardo di Dana diventava duro, di nuovo. "Che sta tentando di dirmi?" Silenzio. La voce iniziava a tremarle. "Mulder... è in prigione?... credono che... credono che mi abbia uccisa?" Silenzio. "... non è possibile. In questo momento, Mulder mi sta cercando..." Il fumatore, con molta calma, prese dal taschino interno della giacca una pagina di giornale piegata accuratamente. La porse a Scully. Lei la prese con dita tremanti, sperando che non contenesse ciò che credeva. Lesse ad alta voce: 'Agente federale uccide collega di lavoro durante un raptus di follia. Gli inquirenti seguono la pista del delitto pass...' Si fermò sul termine 'passionale'. "E' assurdo. Non possono avere nessuna prova per quello che sostengono." "E perché no?" Chiese flemmaticamente l'uomo. Dana lo guardò, alzando un sopracciglio. "Perché no?! Perché non è vero, ecco perché!" "Scully, tanti anni a lavorare nell'FBI e non ha ancora capito che la verità e la menzogna si confondono col buio della notte." Scully guardò ancora una volta l'articolo di giornale e si soffermò sulla foto di Mulder e su quella di un fagotto coperto da un lenzuolo bianco. Non aveva mai creduto a quell'uomo, ma stavolta aveva davanti agli occhi la prova di ciò che sosteneva. Con lo sguardo basso e le braccia conserte sul petto, trovò la forza di porre la sua domanda. "Dov'è la dottoressa... Rainbow? Devo essere messa al corrente del lavoro che ha svolto fino a questo momento." Il fumatore percepì le intenzioni di Scully. Prima di uscire dalla stanza, regalò a Dana un'espressione soddisfatta e una nuvola di fumo in faccia. Krycek, da fuori, aveva ascoltato e memorizzato tutto il dialogo che avrebbe riferito a Mulder. ******* §1.25 (Monica) Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada) Mercoledì, 13 maggio 1998, 11:29 p.m. Quando il fumatore uscì dalla stanza, Krycek si era già allontanato abbastanza per non far nascere sospetti. Scully apparve sulla soglia, così pallida che sembrava sotto shock. "Alex ti farà vedere la tua camera. Domani incontrerai la dottoressa Rainbow e inizierai il lavoro." Dana si passò una mano sul viso, chiedendosi dove sarebbe andata a finire. Il fumatore si allontanò e Krycek fece cenno a Scully di seguirlo. Usciti da quello che doveva essere il centro operativo, imboccarono un lungo corridoio anonimo e libero, nel quale si aprivano alcune porte e altri corridoi a distanza regolare. Scully non parlò, semplicemente seguì la sua guida in silenzio. Fu Alex a iniziare il discorso: "Ti ci troverai bene... dopo i primi giorni." disse. "Non è male come posto." "E' qui che vivi?" "Viviamo tutti in uno dei distaccamenti della Base, quando non abbiamo altro da fare." Scully abbassò lo sguardo sul pavimento di linoleum verde chiaro. "Siamo arrivati." disse Alex. Aprì la porta perché lei entrasse ed accese la luce. Scully si guardò in giro. La stanza era piuttosto piccola, aveva un letto, una sedia, un armadio e in fondo si apriva un'altra porta, presumibilmente quella del bagno. Naturalmente nessuna finestra. Il letto aveva lenzuola bianche e una trapunta bordeaux. Tutto assomigliava molto a uno di quei motel dove lei aveva passato metà dei suoi ultimi cinque anni. Si girò verso la porta, dove Alex era ancora in piedi. "Claustrofobica?" "Un po'." annuì lei. "'Bianca Richards'. Chi era?" Alex girò lo sguardo verso la porta. C'era ancora il cartellino, inserito nell'apposita fessura con il nome di 'Bianca Richards'. Lo sfilò con cura, senza rispondere alla domanda di lei. "Era quella che stava qui prima, vero?" "Sì." sussurrò Alex. "E ora dov'è?" Lui si infilò in tasca il cartellino, senza rispondere. "Si è uccisa? Si è... suicidata?" "No." Alex prese un profondo respiro. "Ci sono vestiti nuovi nell'armadio." Così dicendo, chiuse la porta dietro di sé e andò via. Scully scosse la testa. Si sedette sul letto. Il materasso era duro e le coperte sembravano calde. Si alzò ed andò ad aprire l'armadio. Non era il tipo da indossare abiti sovversivi o vistosi, ma quelli che vi trovò all'interno le parvero fin troppo anonimi. C'erano quattro tute di felpa, verde acqua, Scully ne estrasse una, le sembrava piuttosto stretta. C'erano anche quattro camici bianchi, del tipo con cui Scully aveva familiarità. Non stette a guardare nei due grossi cassetti che dovevano contenere biancheria e passò a provare uno delle due paia di scarpe da ginnastica bianche senza stringhe. Erano esattamente del suo numero. Scully sospirò e ripose le scarpe nell'armadio. Aprì i cassetti trovandovi molta biancheria e un paio di pigiami bianchi. Guardò l'orologio. Segnava le undici e mezza di notte, ma Scully si chiese che ora fosse in quel posto. Sbuffò, quindi si diresse verso il bagno per farsi una doccia di cui sentiva troppo il bisogno. Il bagno era piccolo, non c'era la vasca, ma solo un box per la doccia e un lavabo bianco e lucido. Nessun armadietto. Alcuni prodotti per la pulizia erano allineati sull'unico scaffale della stanza, sopra al lavabo. C'erano alcune salviette e un accappatoio rigorosamente senza cintura. Si chiese se avevano paura che si suicidasse. Non ci doveva essere una sola corda in tutta la stanza e Scully notò che le plafoniere delle lampade non permettevano di legare lenzuola. Non che il pensiero l'avesse sfiorata per se stessa, ma da quell'indagine capì che Bianca Richards non era morta suicida. Entrò nel box doccia e aprì l'acqua senza pensarci. Fu investita da un getto gelido che la fece quasi urlare. Quando l'acqua raggiunse una temperatura ottimale, Scully prese in mano la spugna sintetica, rigorosamente giallo chiaro, e si chiese se in quel posto sapevano che esistevano i colori. Dopo essersi asciugata e infilata in un pigiama bianco, si distese sul letto, prendendo l'articolo che il fumatore le aveva dato poco prima. "Agente federale uccide collega di lavoro durante un raptus di follìa. Gli inquirenti seguono la pista del delitto passionale." Scully passò le dita sulla fotografia, sgranata e in bianco e nero, di Mulder. Era quella del suo distintivo, una foto di repertorio. Dana sorrise. Era così giovane, lì, Mulder. Le lacrime si affacciarono silenziose ai suoi occhi, pensando che in quella camera, così simile tante altre, avrebbe voluto poter sentire i rumori del collega, durante una delle sue tante notti insonni. Appoggiò con cura l'articolo sul comodino, quindi si infilò sotto le coperte, pensando di mettersi a dormire. Ma qualcuno bussò alla porta. Scully sospirò e si mise a sedere. "Chi è?" "Dottoressa Scully, sono Sylvia, la donna delle pulizie." "Entra." disse lei, cercando di tenere un tono più duro possibile. Una ragazza imponente, con capelli biondo scuro tagliati corti, entrò. "Mi dovrebbe dare i suoi vestiti." disse. Scully aprì la bocca per protestare, ma Sylvia la prevenne. "Non è concesso tenerli qui, mi dispiace. Le assicuro che quando avrà terminato il suo lavoro le verranno restituiti." Scully sospirò. "Sono sulla sedia." Sylvia raccolse tutti gli indumenti e uscì dalla stanza, in silenzio. Dana spense la luce e si raggomitolò nel letto. Prese tra le punta delle dita la sua croce d'oro. L'avrebbe tenuta ad ogni costo. Chiuse gli occhi e scosse la testa per cercare di scacciare le lacrime. Ma fu inutile. Crollò in un pianto a dirotto, lasciò che il suo corpo fosse scosso da disperati singhiozzi, soffocandone il rumore nel cuscino. Sylvia spinse il carrello della biancheria fino all'ascensore. Discese al secondo piano sottoterra e arrivò fino alla sala delle caldaie. Con attenzione aprì lo sportello dell'inceneritore e vi gettò i vestiti di Dana. Quando sentì un respiro alle sue spalle, si voltò. "Niente di sospetto." disse. "Ha ancora addosso una croce d'oro." L'uomo buttò il mozzicone di sigarette nell'inceneritore, mentre Sylvia completava il suo lavoro. "Si può lasciargliela. Per ora." L'uomo tirò fuori un'altra sigaretta. "Continua a controllarla." Detto questo se ne andò. Sylvia sorrise alle fiamme che stavano consumando gli ultimi lembi della camicia di Dana. Se avesse fatto un buon lavoro, avrebbe potuto arrivare in alto. ******* §1.26 (Monica) Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada) Giovedì, 14 maggio 1998, 7:07 a.m. Scully si svegliò al suono di una strana sirena. Aveva passato una notte infernale, ma, grazie al cielo, anche quella era finita. Lasciando la presa del cuscino, si mise a sedere, cercando di identificare quel suono. Poi intuì che doveva essere la loro sveglia. Si preparò in fretta, correttamente convinta di non avere molto tempo a disposizione. Si stava infilando un camice bianco quando sentì bussare alla porta. Scully andò ad aprire, anche se, naturalmente, non c'erano serrature. Una donna era in piedi davanti alla porta, leggendo sulla cartellina che teneva in mano. "Sì?" fece Scully, per attirare l'attenzione dell'altra. La donna alzò lo sguardo, quasi meravigliata di trovarsi davanti Scully. Diede un colpetto agli occhiali che le erano scivolati distrattamente sul naso e disse: "Dottoressa Scully?" "Penso di sì." fece lei, con un tono sarcastico che aveva imparato da Mulder. "E' pronta?" Senza aspettare una risposta, la donna estrasse un cartellino nero scritto in bianco con il nome di Dana. Lo infilò nell'apposita fessura sulla porta, mentre diceva: "Andiamo, le mostro dov'è il refettorio." "Ah, abbiamo anche un refettorio." disse lei, sullo stesso tono. La donna si fermò davanti a Scully, sbarrandole la strada, pur essendo minuta. "Dottoressa Scully, capisco che lei, come la metà di mille qui dentro, non sia qui di sua spontanea volontà, ma essere scontrosi tra di noi non può far altro che peggiorare la situazione." "Sul serio può essere peggiore?" replicò Scully, incrociando le braccia. La donna alzò le sopracciglia: "Mi avevano detto che lei già conosceva un distaccamento della Base." La donna si girò per continuare a camminare, mettendosi a sfogliare il plico di fogli che aveva in mano. "Difatti qui c'è scritto così." "Di che diavolo sta parlando?" "Dell'ormai lontano 1994." Scully si fermò di colpo, presa d'un tratto da un forte senso di vertigini. Si appoggiò al muro, temendo di crollare a terra. La donna si girò di scatto e le prese un braccio, aiutandola a sorreggersi. "Ehi..." "Sto bene." fece lei, liberandosi dalla presa. "Senta, mi dispiace. Le informazioni in mio possesso sono sommarie e qui non c'è scritto che le hanno cancellato la memoria del periodo." La donna sospirò. "Andiamo, devo metterla al corrente su alcune cose. Ce la fa a camminare ancora per un centinaio di metri?" "Sì, sto bene." La donna fece una smorfia che Scully non vide. "Può chiamarmi Nicole." disse. "Posso chiamarti Dana?" Scully annuì impercettibilmente. Il refettorio era una grande stanza, con grandi tavoli allineati e un bancone self-service. A Scully ricordò quelli delle prigioni. Chiuse gli occhi pensando a Mulder. Per quanto tempo ancora doveva restare imprigionato per un crimine che non aveva commesso? Quanto aveva sofferto e quanto ancora stava incolpando se stesso? La voce di Nicole la riportò alla realtà: "Dana? Dana, ma mi senti?" "Scusa... non ho capito l'ultima cosa che hai detto." "Siediti. Non mi sembri molto in forze. Ti porto qualcosa io, cosa ti va?" "Mhm... solo un caffè, grazie..." mormorò Dana. "Ma non ci penso nemmeno, sei in calo di zuccheri, si vede lontano un miglio. Scegli qualcos'altro. Un cappuccino?" Scully alzò uno sguardo interrogativo verso la donna. "Sono medico anch'io." Nicole guardò per terra. "Cioè... no, non proprio. Tempo fa ero al quinto anno di medicina. Non ho mai finito i corsi." "Posso prendermelo da sola." "Oh, avanti, mica ho intenzione di avvelenartelo. E poi mi vedrai da qui." Nicole fece un sorriso sottile, quindi si allontanò da lei. Scully la osservò. Doveva avere circa trent'anni, questo voleva dire che era lì dentro da almeno cinque. Sospirò. Si chiese quanti di quei famosi "rapiti dal cielo" fossero finiti in posti come quello. La donna tornò poco dopo tenendo in bilico su un braccio un vassoio pieno di marmellata, burro, brioches e fette di pane, e nell'altra mano due tazze di cappuccino. Ne passò una a Dana e mise il vassoio in mezzo. "C'è di buono che non devi rifarti il letto, cucinare e lavare i piatti." disse, spalmando una generosa porzione di burro su una fetta di pane. "Da quanto sei qui?" chiese Scully, di colpo. La donna alzò le spalle: "Farò dieci anni a luglio." Scully si portò la tazza alle labbra, ma Nicole la interruppe. "Mettici lo zucchero." Le lanciò una bustina. "E anche qualche cos'altro." "Credo che non potremo andare d'accordo, se tu continui a farmi da 'madre'." Nicole le sorrise: "Dana, lo sai meglio di me che se stai senza mangiare per troppo tempo, poi non hai le forze per far niente." Indicò la cartelletta mentre addentava un enorme pezzo di brioche con una golosità da bambina. "Ti hanno trascinata in giro per quattro giorni. Avevi qualche fidanzato da ricattare, vero?" "Come?" fece Scully, mescolando assentemente il cappuccino. "E' giovedì, 21 maggio 1998." Dana chiuse gli occhi. L'ultimo giorno che ricordava era venerdì sera. Si chiese cosa sarebbe successo se Mulder fosse stato con lei. Probabilmente niente di molto diverso. L'avrebbero semplicemente rapita un altro giorno. "Ehi." Sentì la mano di Nicole sopra la sua. La ritrasse di scatto, aprendo gli occhi. "Hai perso la cognizione del tempo." disse la giovane. "E' sempre così, all'inizio." Le diede una fetta di pane con una quantità industriale di burro e marmellata. "Approfitta della colazione, certi giorni non avrai voglia di fare altri pasti." ******* §1.27 (Monica) Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada) Giovedì, 14 maggio 1998, 8:07 a.m. Scully entrò nel Laboratorio Centrale accompagnata da Nicole. La donna non le aveva detto più nulla, comprendendo il bisogno della nuova collega di pensare in tranquillità. Non che il refettorio fosse tranquillo, alle sette e mezza del mattino, ma sempre meglio di niente. "Tu lavori con Lynn Rainbow, l'hai già conosciuta?" Scully scosse la testa. "Una gran stronza." sussurrò Nicole. "Perché?" "Si comporta come se fosse la prima donna." Alzò le spalle. "Imparerai a sopportarla. La tua scrivania è accanto alla sua." Scully scorse Rainbow in fondo al Laboratorio. "Tu che lavoro fai, qui?" Nicole si inumidì le labbra, prima di rispondere: "La cavia." Dana la guardò per qualche istante, volendo dire qualcosa, senza riuscirci. Fu Nicole a parlare per prima. "Ho qualcosa di strano nel DNA. Una sorta di mutazione genetica che dovrebbe dar luogo a una malattia e invece non la dà. Forse mio padre era un extraterrestre." Nicole sorrise. "Con tutti gli uomini che si è portata a letto mia madre, non scarterei nemmeno quest'ipotesi. Comunque, mi occupo anche delle 'Pubbliche Relazioni'... per quanto possano essere pubbliche. Tutoring, insomma. E tu sei la mia pupilla. Poi do una mano con gli esami. D'altronde la cosa più divertente che si può fare, qui dentro, è stampare geni su acetati. Non è permesso uscire il sabato sera." Nicole diede una pacca amichevole sul braccio di Scully. "Buon lavoro." Scully sospirò. Era ora di affrontare la dottoressa Rainbow. ******* §1.28 (Steffy) Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada) Giovedì, 14 maggio 1998, 8:30 a.m. Il laboratorio era freddo, asettico, con un odore di medicina che faceva pensare ai disinfettanti che usava anche lei dopo aver eseguito un'autopsia. Ma guardando meglio, in quel luogo fatto solo di sguardi e volti persi nel vuoto, c'era un po' di umanità, per quanto potesse sembrare strano. Su una delle scrivanie che affollavano il laboratorio c'era una cornice con una fotografia: un uomo, una donna, un bambino di pochi anni. Scully, al notarla, corrugò la fronte come se fosse una nota stonata in tutta quella musica senza colore. --Forse,-- pensò --potrò farcela. Se anch'io rimango ancorata al mio mondo di là fuori... magari non rimarrò qui tanto tempo come è successo a Nicole--. I suoi pensieri furono interrotti da una voce fredda. "Dottoressa Scully?". Una donna minuta, con i capelli neri legati in una coda lunghissima, le si avvicinò. Scully annuì alla domanda. Con un gesto deciso, Lynn Rainbow le sfiorò una spalla e la accompagnò ad uno schedario. Iniziò a parlarle freddamente, con un'autorità che a Scully ricordò le parole della sua nuova amica, Nicole 'E' una gran stronza. Si comporta come se fosse la prima donna.' Osservandola, pensò che magari aveva voglia di andare via quanto prima, proprio come lei. "Sì, sono io. Lei è la dottoressa Rainbow..." suppose Scully che era ancora sulle sue. "Sì." Tagliò corto la donna. "Voglio spiegarle il suo lavoro qui." Dana la guardò per un attimo e i loro sguardi si incontrarono. Rainbow distolse i suoi occhi per prima quasi che Scully, al solo sfiorarla con lo sguardo, potesse leggerle dentro. "Tutte queste cartelle sono ordinate numericamente e contengono i risultati dei test che vengono eseguiti su tutti i campioni contenuti qui dentro." Appoggiò una mano sulla porta di una immensa cella frigorifera che al tocco della mano della donna emise un gelido rumore che fece socchiudere per un attimo gli occhi a Scully. "Quello che dovrà fare lei all'inizio, sarà mettersi al corrente di quelli che sono i risultati raggiunti dal nostro lavoro. Quando avrà acquisito sufficienti informazioni volte a spiegare i fini del Progetto, analizzerà piccoli campioni di sangue e tessuti di vario genere. Dopodiché, farà attente comparazioni con quelli che sono i risultati dei test precedenti sullo stesso campione. Non le chiedo se è in grado di farlo, so per certo che può. Ha delle domande?" Scully si morse il labbro inferiore. Certo che aveva una domanda: come avrebbe potuto fuggire da lì, ma chiaramente non la pronunciò. "Una sola. Dovrò riferirmi a lei come mio superiore o lavoreremo insieme?" La donna scrollò le spalle, alzò lo sguardo sopra Scully come a guardarla dall'alto in basso e con una freddezza tale da ferire, disse: "Lei dovrà compiere solo delle indagini comparative. Niente domande, niente risposte, nessun imbarazzo e si troverà benissimo." Detto questo, accompagnò Scully alla sua postazione di lavoro che, come le aveva detto Nicole, era accanto alla sua. Chissà, forse per tenerla d'occhio, capire se poteva fidarsi di lei. "Si metta comoda, Scully." La donna si allontanò mentre Dana si sedeva su uno sgabello. Si avvicinò alla cella frigorifera che doveva contenere centinaia, forse migliaia di campioni di sangue e tessuti di ogni genere. Prelevò dei contenitori minuscoli accompagnati da alcune cartelle e le appoggiò sulla propria scrivania. Dopodiché, fece un cenno a Nicole di portare a Dana 'quello che lei sapeva'. Mentre la ragazza si recava verso un grosso schedario, Rainbow si rivolse a Scully con uno sguardo freddo e un tono di voce senza umanità: "Per oggi, questo sarà abbastanza. Ricordi, nessun tipo di ragionamento sopra. Ha capito?" Scully annuì e lei ritornò al lavoro. Osservando i campioni di plastica che la dottoressa stava analizzando e il suo modo di fare, ebbe la sensazione di ritrovarsi al corso di biologia del professor La Hara alle superiori. Ma sentì che, questa volta, prendere una A non era lo scopo che avrebbe dovuto prefiggersi. Prese un profondo respiro, distolse lo sguardo da Rainbow e, con le mani in grembo e gli occhi bassi, attese che Nicole le donasse la grande rivelazione. ******* §1.29 (Monica) Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada) Giovedì, 14 maggio 1998, 10:13 a.m. Nicole arrivò con un plico di materiale in mano. Lo appoggiò sulla scrivania di Dana, che osservò la pila per alcuni secondi. "Prontuario della ricerca fatta fino ad oggi." Rainbow, dalla scrivania vicina, gesticolò verso i fogli con una penna: "Mi auguro che nel giro di una settimana rinnoveremo tutto, grazie anche al suo aiuto, dottoressa Scully. Per ora, si metta al corrente di tutte le nostre ricerche." La donna alzò lo sguardo su Nicole e le fece cenno di seguirla. Scully prese il primo fascicolo. "Il Genoma Umano". Dana aprì il fascicolo davanti a sé. Nessuna pagina d'introduzione, nessuna scritta di chiarificazione. Iniziava subito con milioni di dati sul DNA umano. Una piccola sequenza di geni era raffigurata nella prima pagina, affiancata da decine di indicazioni. Scully scorse velocemente le prime e famose pagine, fino ad arrivare ad alcuni nuovi dati. Li lesse con cura, scoprendo che molte delle ricerche lì scritte dovevano ancora pervenire alla medicina ufficiale. Scosse la testa, pensando a quante altre scoperte importanti avrebbero dovuto sorpassare le barriere della Base per salvare vite umane. La lettura la portò fino all'ultima pagina, in fondo alla quale vi era solo una semplice frase: "Inizio del telomero". "Oh mio Dio, non è possibile..." sussurrò. "Telomero" veniva chiamata la parte finale del gene e serviva a proteggere le informazioni importanti. "Che cosa 'non è possibile'?" chiese Lynn, ritornata alla sua scrivania. "Questo è il completo esame del Genoma umano... Non... non ci siamo ancora arrivati!" "Come no, ne ha le prove sotto mano." "Questa ricerca dovrebbe essere pubblicata." fece Dana. "Sì, come no. Come tutte le altre." Con un gesto, Rainbow indicò il plico che ancora stazionava davanti a Scully. "Non perda tempo a fantasticare su cose che non possono avvenire." Scully scosse la testa e passò al fascicolo successivo. "Mutazioni genetiche nel DNA umano". I fogli stampati a laser si intervallavano con acetati, ingrandimenti di DNA. Il fascicolo era alto quasi quattro centimetri e Dana si chiese quanti esperimenti dovevano essere stati fatti se quello era solo l'ultimo aggiornamento. "Questi sono studi di malattie genetiche..." disse. "Non solo." replicò Lynn. "C'è ogni tipo di mutazione significante trovata nella specie umana pura." Con quello, la donna si alzò, raccolse alcune provette e si diresse verso un bancone da laboratorio. Scully la guardò allontanarsi e si chiese cosa intendeva per "specie umana pura". Riprese a leggere il fascicolo. Osservò una delle prime fotografie di DNA. La ventitreesima coppia era formata da un cromosoma X e da uno con una forma vagamente a Y. DNA maschile, questo era evidente come il terzo cromosoma in quella che avrebbe dovuto essere la ventunesima coppia. Sindrome di Down. Scully sfogliò velocemente un centinaio di pagine e fotografie sull'argomento, arrivando ad un'altra sezione. Nulla di speciale a prima vista. Normale DNA femminile, con i suoi due cromosomi a X nella ventitreesima coppia. Ma alcuni ingrandimenti successivi mostravano diverse mutazioni nel gene MeCP2 della ventitreesima coppia, rispetto a un gene normale. Sindrome di Rett. Scully sospirò. Girò pagina, un singolo MeCP2 incastonato come una pietra preziosa nel gene X in una coppia XY. "Questo è assurdo." disse lei. Si alzò in piedi e andò verso Lynn che stava dirigendo alcuni tecnici di laboratorio. "Dottoressa Rainbow." la chiamò. "Che significa questo?" La donna si girò, spazientita: "Non nota che stiamo facendo delle analisi? Le sue continue interruzioni non giovano al nostro lavoro." Si girò verso Nicole, che era seduta su una sedia tenendo piegato un braccio. "Nicole." la chiamò semplicemente. La donna si alzò, tenendo ancora tamponata la puntura del prelievo e ricondusse Scully alla sua scrivania. "Dubbi sulla sindrome di Rett nei maschi?" chiese Nicole. "E' assurdo." disse Scully. "I sintomi si manifestano intorno ai diciotto o ventiquattro mesi, solo nelle bambine. E' un difetto di un cromosoma X della ventitreesima coppia." "Lo so." fece Nicole. "Anche nei maschi." "In quel caso è mortale, i bambini non arrivano a diciotto mesi, a volte nemmeno alla fine della gestazione." "Ciò non vuol dire che non esista." disse Nicole, semplicemente. Fu allora che Dana realizzò: "Questo vuol dire che c'è un... controllo genetico... che... che riescono a individuare i geni... che..." balbettò. "Dana, non credevo che fossi così ingenua. Non per niente fanno prelievi di sangue ai neonati, non per niente i feti abortiti rimangono negli ospedali a lungo... Non per niente si effettuano il doppio delle autopsie di cui ci sarebbe realmente bisogno. Prelevano campioni da chiunque gli capiti sotto mano." "Ma... ma questo vuol dire che... che ci sono moltissimi dati..." Nicole annuì: "Una quantità enorme di dati che potrebbero rivoluzionare la medicina, molti di più di quanti non ne avrà la medicina ufficiale entro il 2100. Qui non facciamo altro che esami e ricerche, ci sarebbe da stupirci se avessimo solo un decimo in meno dei dati che abbiamo." Scully alzò lo sguardo su Nicole. "Che incidenza ha la sindrome di Rett?" "Una bambina su ventimila di quelle nate vive." --Una su ventimila. Una su ventimila. Una su ventimila. Una su ventimila. Una su ventimila.-- Quella statistica echeggiò nella mente di Dana. -- Una su ventimila... cento casi con l'analisi fotografica del DNA, almeno tre schedati per ciascuna di quelle foto.-- Voleva dire sessanta milioni di bambini esaminati dal 1966, anno della scoperta del fattore. Sessanta milioni. Dana girò pagina ancora, trovandosi di fronte la tabella genetica di un individuo affetto da daltonismo, un altro difetto della ventitreesima coppia, questa volta maschile. Nicole sfilò gli occhiali dal taschino del camice e li inforcò, prendendo in mano un fascicolo. "Non c'è bisogno che tu legga tutto." disse. "Ci sono parti più importanti di altre... anzi, queste parti delle mutazioni genetiche del DNA umano puro non servono e di certo ne sai già qualcosa..." La donna non finì la frase, perché alzando lo sguardo su Dana, aveva notato lo sguardo umido e malinconico della neo-collega. "Dana, che c'è?" Scully sbatté le palpebre un paio di volte, prima di rispondere: "Niente." "Conoscevi qualcuno?" Lei chiuse il fascicolo e lo appoggiò sulla scrivania, senza rispondere. "Lui era daltonico?" "Non so di cosa stai parlando." disse Dana, raccogliendo un altro fascicolo. "E dài, guarda che di me ti puoi fidare. O ti fidavi solo di lui?" "Ti ho detto che non so di cosa stai parlando." replicò Dana, aprendo il fascicolo. Nicole sospirò, pensando che forse era quello il motivo per cui Dana era considerata una "regina di ghiaccio". Il fascicolo conteneva un'altra grossa quantità di dati del DNA. A prima vista a Scully apparve l'analisi del cromosoma X della ventitreesima coppia, con le perfette basi di acidi nucleici che si susseguivano in maniera straordinariamente varia, ma perfettamente ordinata per creare un essere umano. Scully fece scorrere lo sguardo sui dati che aveva già studiato: adenina e timina, guanina e citosina. Tutto splendidamente e miracolosamente eccellente, un programma per creare un essere umano completo. Nella sequenza di A, T, G e C, l'attenzione di Scully fu attratta da due lettere che non c'entravano nulla. F e L. Scully guardò i dati. Nulla indicava cosa fossero di preciso questi F e L. "Vuoi saperlo?" le chiese Nicole, come se le avesse letto nella mente. "So che F e L indicano altri due nucleotidi. Non sono presenti in natura... per quello che ne sappiamo." Nicole annuì. "Sei già venuta a contatto con questi, vero?" "Sì... quasi quattro anni fa. Ma non ho fatto in tempo ad averne analisi approfondite. Da quello che qui si vede..." Scully scorse avanti qualche pagina. "Sembra che siano quasi complete." "Di sicuro saprai che la guanina si lega con la citosina attraverso tre legami di idrogeno, mentre la timina è tenuta assieme da un legame di idrogeno con l'adenina." "Per quello che ne sapevo," riprese Dana. "queste quattro basi nucleotidiche formano qualsiasi forma vivente e qualsiasi virus, disposti in modo diversi nei filamenti di DNA." "Corretto, ma questo non impedisce che esistano altre due basi. La F si lega con la L con due legami di idrogeno. Pensa a quante combinazioni possono uscire da due coppie di nucleotidi." Dana si inumidì le labbra: "Praticamente infinite, considerando non solo la disposizione delle basi, ma anche la lunghezza delle molecole di DNA, che può andare da 0,34 nanometri a qualche centimetro." "In pratica, ma non in teoria. Metti di non oltrepassare il centimetro come lunghezza. Prima o poi tutte le combinazioni DNA si esauriscono." Dana alzò un sopracciglio. "Prima o poi..." "Aggiungi altri due nucleotidi, le combinazioni aumentano moltissimo. E soprattutto, le informazioni possono diventare molto più compresse." "Che intendi dire?" "E' semplice, come quando si scrivono i numeri in base diversa." Nicole prese una matita dal portapenne di Scully e cominciò a scarabocchiare su un foglio. "Ad esempio, prendi un numero un po' alto, come 1230. In base binaria è... 10011001110, undici cifre, in decimale 1230, quattro cifre, in esadecimale..." Nicole fece qualche calcolo, quindi disse: "4CE, tre cifre. C'è un sostanziale risparmio di caratteri se si usa un alfabeto più esteso. Molecole più piccole, informazioni più compatte, più informazioni in uno stesso spazio." Rainbow arrivò in quel momento portando con sé una decina di provette. "Dottoressa Scully, quando ha finito di conversare, le sarei grata se iniziasse le analisi di laboratorio su questi campioni." disse, con tono acido. "Completi la sequenza di denaturazione, della stampa si occuperà Nicole." La giovane le sorrise dall'altra parte della scrivania. Appena la dottoressa si fu allontanata, Nicole commentò: "Che ti ho detto? Stampare geni su acetati è il mio passatempo preferito." ******* §1.30 (Monica) Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada) Giovedì, 14 maggio 1998, 12:30 p.m. Scully agitò leggermente la provetta chiusa, guardandola poi controluce. Lasciò che le invisibili eliche si depositassero sul fondo, creando uno strato più scuro. Si chiese che tipo di DNA fosse. Avrebbe dovuto aspettare di ordinarlo sotto al microscopio per scoprirlo, ma a quel punto avrebbe passato la mano a Nicole. La quale arrivò, puntuale come un orologio svizzero, ad annunciarle che era ora di pranzo. Scully appoggiò la provetta nell'apposito contenitore. "Non credo che mangerò." disse. Nicole si sedette accanto a lei. "Temevo che l'avresti detto." alzò le spalle. "Più che normale. Ma ti meriti un'ora di pausa, smetti di lavorare, almeno." "Se vedo cibo ora, vomito." ammise Dana. Nicole annuì. "E' dura all'inizio. Ma tu ti stai comportando benissimo. In generale, il primo giorno vanno tutti in crisi. Io stessa. E anche Rainbow... ci crederesti?" Rise, nascondendosi la bocca con una mano. Il gesto fece notare a Scully un grosso livido viola nell'incavo del gomito. "Che cosa hai fatto?" le chiese, prendendole delicatamente il braccio. "Oh, niente." Nicole scrollò le spalle. "E' il prelievo." "Te l'ha fatto Rainbow? Non si può dire che sia un ottimo medico da questo punto di vista." La giovane ritrasse il braccio. "Non c'è medico che tenga, quando si tratta delle mie vene." disse, con una voce un po' malinconica. "Il travaso è assicurato." Lo sguardo di Scully cadde sul terzultimo campione di sangue che aveva analizzato con la relativa stampa su acetato. La prese in mano, guardandolo velocemente. "Allora, vieni a pranzo?" chiese Nicole. Ma lei non rispose: "Sei emofiliaca." disse Dana, con un'espressione di improvvisa scoperta e meraviglia. Nicole guardò la fotografia del proprio DNA. "Più o meno. La chiamano Emofilia C." "Carenza di fattore di Von Willebrand." Nicole annuì. "Già, solo che non sono ancora riuscita a capire perché è così basso per me, il fattore di rischio. Nemmeno qui." Si alzò e le si avvicinò. "Dana... devo dirti una cosa... Forse l'hai già notato..." "Hai i nucleotidi F e L nel sangue." "Sì, esatto." Scully riprese in mano la provetta. L'aprì e aspirò il fondo scuro con una pipetta. Quindi lo pose su un vetrino sterile e lo mise sotto al microscopio elettronico. Delicatamente ordinò ogni cromosoma, finché non ebbe separato ogni singolo capolavoro naturale dagli altri. Eccolo. Il patrimonio genetico di Nicole. Le era sempre piaciuta l'espressione "patrimonio genetico". Dava l'idea di qualcosa di prezioso e unico, quale era, che un individuo possedeva come un suo tesoro per far fronte alla vita. Una mano sulla spalla le fece sollevare lo sguardo dagli oculari. "Andiamo, Dana." ******* §1.31 (Monica) Penitenziario dello Stato di Virginia Giovedì, 14 maggio 1998, 1:12 p.m. Mulder stava osservando distrattamente il soffitto della cella. I suoi pensieri ricorrevano a quello che Skinner gli aveva detto. 'Non è la prima volta e non sarà l'ultima che qualcuno cerca di incastrarla. Non ha mai pensato a questo?' Era vero, ma come potevano arrivare ad uccidere Scully? Non avrebbero fatto prima ad uccidere lui? Farlo fuori in silenzio, senza che nessuno se ne accorgesse. Ma lasciare stare Scully. I Lone Gunmen non l'avevano ancora contattato. Evidentemente non avevano trovato niente di interessante. Questo era sospetto. Mulder stava pensando di ritirare fuori il diario di Scully e leggerlo di nuovo, quando sentì una guardia arrivare da lui. "C'è una visita." disse, aprendo la porta. Mulder sospirò e si alzò in piedi a fatica. Venne scortato per l'ennesima volta lungo i corridoi freddi e vuoti della prigione fino alla saletta. Non conosceva il suo interlocutore, ma ad occhio e croce pensava che avesse sì e no diciotto anni. Il ragazzo osservò Mulder per qualche istante. Fox si sedette davanti a lui, senza dire niente. "Uhm... io mi chiamo Kyle." "Io Mulder." rispose Fox, sottovoce. "Sì, lo so. Senta..." Kyle si guardò in giro per controllare che nessuna guardia lo stesse sentendo. "Io lavoro per un'associazione segreta..." iniziò lui, senza sapere bene come raggiungere il nocciolo della questione. "Ah, davvero? Non sei un po' giovane?" fece Mulder, che voleva che quella conversazione finisse al più presto. "No... ecco... non sono qui per parlare di me. Devo parlarle... di Dana." Mulder si sentì mancare il fiato al suono del nome di Scully. Si mise una mano sugli occhi, scacciando in dietro le lacrime. "Non credo di averla uccisa io." sussurrò. "Questo lo so." disse Kyle. Mulder lo guardò stupito. "So che è innocente, e credo che ci sia un modo di provarlo... senza ombra di dubbio." "Senti, ma tu chi sei? Chi ti ha mandato qui?" "Non sono domande importanti. Deve fidarsi di me." Mulder scoppiò in un risata amara. "C'era solo una persona di cui mi fidavo. E quelli per cui immagino tu lavori, me l'hanno portata via con un colpo di pistola sotto il mento." "Signore, mi stia ad ascoltare. E' importante, per lei, per Dana, per il destino dell'umanità." "Già." convenne Mulder, ironicamente. "Signor Mulder, la prego, mi creda... lavoro con un uomo che lei conosce bene, che la conosce bene. Mi ha mandato lui qui a parlarle, perché in questo momento, sta seguendo un progetto che è importante anche per lei. Si tratta di un progetto in cui è pienamente coinvolta anche Dana." Mulder intervenne solo in quel momento, capendo: "E' per questo che hanno sottratto il corpo dall'obitorio." "Esatto. Io non so di preciso di cosa si tratti e credo che nemmeno la persona che mi ha mandato qui lo sappia bene. Solo che..." Kyle chiuse gli occhi per un secondo, realizzando di colpo di aver saltato la parte importante. "Il punto, signor Mulder, è che... uhm... ecco, a differenza di quello che lei crede... Dana è viva." Fox si irrigidì di colpo, quindi si alzò in piedi e andò verso la porta. "Mulder!" chiamò Kyle. "Aspetti, non ho ancora finito..." "Non avete nemmeno quel minimo di umanità che basta per non ferirmi addirittura in galera?! Mi avete già distrutto portandomi via Scully, accusandomi di averla violentata e uccisa, perché dovete anche prendervi gioco di me?!" "Mulder, io non..." Ma Fox era già arrivato alla porta. "Per favore, voglio tornare in cella!" esclamò. Kyle sospirò. --Ottimo lavoro...-- pensò. --Se Krycek non mi uccide questa volta, posso stare tranquillo per il resto della mia vita.-- ******* §1.32 (Monica) Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada) Venerdì, 15 maggio 1998, 11:29 a.m. Scully versò delicatamente le invisibili cellule sul vetrino riempito di base. In breve i filamenti si sarebbero staccati l'uno dall'altro, permettendo l'analisi dei nucleotidi. Alzò lo sguardo, quando Nicole arrivò da lei con un altro fascicolo. "Di che si tratta?" chiese, senza prenderlo in mano. Prese il vetrino e lo infilò sotto il microscopio. "Altre analisi. Rainbow vuole che tu le legga." Indicò il vetrino e disse: "Ti dispiace se vado avanti io?" Dana si alzò dalla sua postazione. "No, fai pure." disse, senza mettere troppo entusiasmo nelle parole. "Grazie." replicò Nicole, allegra. "Non mi capita spesso. Che abbiamo qui?... Mica male..." Dana si sedette alla sua scrivania, leggendo le informazioni sull'ibridazione aliena. C'erano pagine intere di sequenze delle sei basi nucleotidiche. "GCGGTTCGCG CCCGAGCTGA TCAAGGAACA CGGCCGGCGG AAGCAGCATG TTCCGCCGGC GGCGAGCGGC GGCGGCGGCG CTGCCATGTG" e poi le lettere stonate, "FLFLLLFFFF", come note di una chitarra elettrica scordata in una sonata di Mozart. "GGAATTTAFL GFLAFGLFFG GGLCFFGGLL GCGFFLLLGA." Scully sospirò. "Ibridazione." Scosse la testa, quindi riprese a sfogliare il fascicolo. Poi ad un tratto si fermò. Chiuse il fascicolo lo buttò sulla scrivania. "Dana, che c'è?" le chiese Nicole, ma la domanda fu ignorata. Alla mente di Dana riaffiorò una definizione che aveva studiato durante i primi anni di medicina. 'Ibridazione: incrocio genetico tra individui con caratteristiche genetiche diverse (ovvero di razza o specie diversa), che si fondono in maniera più o meno complessa e più o meno durevole nella discendenza.' Ovvero i caratteri dell'ibridazione potevano scomparire col tempo. E soprattutto: 'L'ibridazione tra due generi diversi non è possibile.' Scully scrisse questa frase su un blocco. Cosa comportava questo? Ad esempio, che non è possibile ibridare un gatto e una tigre. Tanto meno un gatto con un cane. Scully si alzò in piedi, girandosi per andare verso il banco di laboratorio che aveva appena lasciato. --Ibridi alieno-umani.-- pensò. --Cosa significa?-- Nicole girò il viso per guardare Scully, che stava arrivando lentamente verso di lei. Si alzò in piedi, spaventata dal pallore dell'altra. --Ibridi alieno-umani...--- continuava a pensare Scully. --Ciò significa che... uomini e alieni... Sono dello... stesso genere.-- Nicole arrivò appena in tempo da Scully per evitarle di sbattere il capo a terra, cadendo svenuta per la seconda volta nel giro di pochi giorni. ******* §1.33 (Monica) Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada) Venerdì, 15 maggio 1998, 2:12 p.m.. "Ehi. Vuoi farmi prendere un infarto?... Ehi? Sto parlando con te..." Dana sbatté gli occhi ancora qualche volta, cercando di mettere a fuoco. "Dov'è Mulder?..." sussurrò. "Mulder? Chi è?" Scully chiuse gli occhi per un istante, poi li riaprì. "Nicole?" "Sì, sono io." "Che cosa è successo?" "Hai avuto un forte calo di zuccheri. Per questo..." Alzò la mano di Scully, mostrandole che aveva una flebo. "Sai che mi hanno stressato per due ore, perché io sono la responsabile dei tuoi pasti? Se non lo vuoi fare per te, almeno dovresti pensare a me." Scully sospirò. "Hai avuto la rivelazione dell'ibridazione, vero?" "Se..." si interruppe per qualche secondo. "Se è possibile fare quell'ibridazione, questo vuol dire che..." si fermò. "Che uomini e alieni sono della stessa specie." "Gli alieni non esistono." disse Dana con decisione, cercando di mettersi a sedere. Ma Nicole le mise una mano sulla spalla, obbligandola gentilmente a risdraiarsi. "Ne sei convinta?" Visto che l'altra non aveva nessuna intenzione di replicare, riprese: "Senti, hai la giornata libera. Cerca di godertela, perché non capitano spesso." Fece per alzarsi, ma poi si fermò: "Chi è Mulder?" Scully girò il volto dall'altra parte. "E' lui, vero? Quello con cui ti stanno ricattando?" Scully, alla fine, annuì. Nicole si alzò, le mise una mano sopra la sua, per qualche istante, quindi uscì dalla stanza, lasciandola sola. Scully si raggomitolò su un fianco, tirando con attenzione il tubetto della flebo. Si strinse attorno le coperte, quindi raggiunse l'articolo di giornale con una mano, accarezzandolo come un cucciolo, senza nemmeno prenderlo tra le dita. Non poté impedire alle lacrime di iniziare a scorrere. ******* §1.34 (Steffy) Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada) Venerdì, 15 maggio 1998, 4:00 p.m. Qualcuno le stava girando attorno da un po' di tempo. Lo sentiva dal fruscio che faceva ad ogni spostamento, ad ogni passo. Scully si svegliò dallo stato di dormiveglia a causa di un forte rumore. "Accidenti!" "Chi c'è?" chiese Dana con voce impastata dal sonno. "Non si preoccupi, ho inciampato nel carrello e mi è caduta un po' di roba. Metto subito in ordine. Ritorni a riposare, io qui faccio solo le pulizie." "Hm..." Rispose Scully senza fare nemmeno molta attenzione a ciò che la donna le aveva appena detto. Il braccio le faceva male per la flebo e quello che avrebbe desiderato, in quel momento, era la vista del sole, della luce del giorno, del profumo dell'aria fresca che lì dentro proveniva solo da condizionatori d'aria. Sylvia rimise in piedi il carrello che conteneva, per la maggior parte, cartacce utilizzate chissà per cosa. Scully fece appena in tempo ad accorgersene, quando la donna uscì dalla stanza. Si riaddormentò di nuovo appena Sylvia fu uscita. Quando si risvegliò, qualche ora più tardi a sera ormai giunta, si accorse di non avere più la flebo. Qualcuno, forse Nicole, gliel'aveva tolta mentre dormiva. Si mise in posizione supina a ripensare ciò che aveva scoperto quella mattina riguardo l'ibridazione e tutte le bugie che si raccontava da anni. --Quanto vorrei potertelo dire, Mulder-- Scully abbassò lo sguardo sulle coperte che le arrivavano alla vita. Socchiuse gli occhi e alzò appena il viso, quando si accorse di qualcosa di strano che si intravedeva in fondo alla stanza, accanto all'armadio. Dana si alzò. Lentamente, si avvicinò alla porta del bagno. Seminascosta dalla poltroncina accanto all'armadio, c'era una fila di fogli stampati dal computer. Immediatamente, si alzò dal pavimento e si mise a letto nascondendo quei fogli sotto al cuscino. Appena un secondo dopo, qualcuno bussò alla porta ed entrò. Era Nicole: "Come ci sentiamo?" Con un gran sorriso, si sedette sulla sponda del letto di Scully. "Hm... meglio. Ma inizio a soffrire di claustrofobia. Come fai, Nicole, a non sentire mai il bisogno di uscire di qui? Sentire il calore del sole sulla faccia, fare una passeggiata all'aperto..." "Dana, sono qui da troppo tempo per pensare che lì fuori ci sia ancora il sole. E' una questione d'abitudine che acquisirai presto anche tu." Scully abbassò di nuovo lo sguardo. "Vuoi parlarmi di quel... Mulder?" chiese la ragazza con un tono dolcissimo. Da amica. "No, ma non ti nascondo che vorrei rassicurarlo che sto bene. Vorrei non essere la causa della sua sofferenza attuale. Chiedergli scusa..." Scully si morse le labbra e prese un respiro profondo, guardando Nicole. "Scrivigli!" A Scully si illuminò il viso, ma per un attimo soltanto. Realizzò che Nicole si riferiva a qualcosa di totalmente diverso da ciò che pensava lei, appena ascoltò le parole successive. "Ma stai attenta che nessuno veda ciò che scrivi. In bagno nessuno va a controllare e non ci sono telecamere a circuito chiuso. Puoi buttarle da lì. Non se ne accorgerà nemmeno Sylvia che pulisce le camere ogni mattina." "Buttarle? Intendi dire che dovrei distruggere tutto quello che scrivo? Perché dovrei farlo, allora?" Nicole le sfiorò un braccio e sorridendo le disse: "Per non impazzire. Per cercare il contatto con la realtà che mi ha permesso di non gettarmi via in questi dieci anni. Puoi sfogarti solo in questo modo. Io uso la carta igienica, così diventa più facile farla sparire. Tieni." Dal taschino del camice, Nicole prese una penna con la punta arrotondata e la porse a Dana "Regalino per il tuo primo giorno di vacanza." Si alzò dal letto, controllò che il braccio di Scully non avesse un principio di ematoma per la flebo e andò via augurandole un buon riposo. ******* §1.35 (Monica) Penitenziario dello Stato di Virginia Venerdì, 15 maggio 1998, 3:21 p.m. Gli ultimi due giorni erano passati vuoti e lenti. La suora non si era più fatta vedere, ma di questo Mulder era grato. Aveva avuto tanto tempo per pensare, era giunto alla conclusione che c'erano abbastanza divergenze per ammettere una preliminare innocenza. Non che la cosa gli importasse molto, Scully non sarebbe comunque tornata in vita. Ma se fosse uscito di lì, avrebbe cominciato a cercare i responsabili di quella morte in giro per tutto l'universo, a cominciare da quel bastardo che fumava. Si appoggiò al tavolino, che si inclinò verso di lui. Già. A cominciare dal fumatore. Fox sbatté la mano sul piano bianco sporco, quando si ricordò che era già morto. Aveva ripensato anche a quello che quel ragazzino gli aveva detto: Scully era viva. Non poteva crederci, per quanto lo volesse. Non ci riusciva. Aveva visto il suo corpo, sfiorato il suo volto freddo. Anche Maggie Scully e Skinner l'avevano vista. Scully era morta e niente l'avrebbe fatta tornare indietro. Forse quel ragazzo pensava di consolarlo, dicendogli che Scully era viva nel cuore di tutti loro, o in qualche altro stupido senso religioso che non avrebbe di certo migliorato la situazione per lui. "Mulder." la voce del secondino lo fece girare. "C'è una visita." Dietro la guardia, Fox vide i tre Lone Gunmen. Appena la guardia si fu allontanata, Langly iniziò: "Abbiamo trovato qualcosa di sospetto." disse. "Non crediamo sia stato tu ad ucciderla." disse Byers, sottovoce. Mulder annuì. "Cosa avete trovato?" "Abbiamo letto il rapporto che ha steso l'agente Riordan." riprese Langly. "Dice che il medico legale era un certo Clair, ma noi abbiamo rintracciato quello vero." "Robbins." fece Mulder. I tre Lone Gunmen si scambiarono un'occhiata delusa. "Già." fece Frohike. "Comunque, quando il corpo è sparito..." L'uomo non fece in tempo a finire la frase, perché Mulder si girò verso le sbarre, sbattendovi contro i palmi aperti. Respirò a fondo qualche volta, per calmarsi e scacciare le lacrime, quindi si rigirò verso di loro. Fu Byers a riprendere parola. "Robbins si era portato a casa i campioni. Li ha analizzati e i dati, non si sa come, si sono persi nei meandri burocratici." "Che dicevano?" chiese Mulder. "Erano confusi, come se i campioni fossero stati contaminati." "Ma?" "Ma non sembra lo siano." Langly annuì: "C'erano due tipi di sperma sui suoi vestiti, 0 negativo e 0 positivo." Mulder si sedette sulla branda, chiudendo gli occhi. "Erano in due." "La pelle rinvenuta sotto le unghie, poi, non corrisponde alla tua. C'era anche del sangue, questa volta... 0 positivo." concluse Langly. Mulder scosse la testa. "E' assurdo. E'... è inconcepibile, erano... in due contro una?" I tre uomini non parlarono. "Non avete scoperto altro?" Byers scosse la testa: "No, ma questo è probabilmente il tuo passaporto per la libertà." Mulder annuì, senza pensarci troppo. "Forse Scully è stata portata via da casa verso le dieci." disse. "Come lo sai?" "E' scritto nel suo diario. L'ultima pagina si conclude bruscamente. Io sono convinto che alle dieci ero ancora sveglio. Credo di aver tirato più o meno le undici e mezza." "Non hai nessuno che possa confermarlo?" Mulder scosse la testa. Byers intervenne di nuovo: "Se accetti la comparazione del DNA, sarai fuori di qui appena le analisi saranno pronte." "L'ho già accettata." disse Mulder, soprappensiero. Quando i Lone Gunmen se ne furono andati, Mulder si distese di nuovo sulla branda a pensare. --Sono innocente.-- concluse. Ma quel pensiero non lo fece star molto meglio. --Due uomini.-- Forse lo scontro non era avvenuto in macchina. Se fosse avvenuto a casa di lei, la polizia l'avrebbe notato e anche lui stesso. O forse i due bastardi si erano premurati di rimettere a posto tutto, d'altronde il diario non era a terra vicino al divano, ma sul comodino, assieme alla penna, non c'erano coperte lasciate in disordine sul divano. Forse l'avevano portata in qualche altro posto. "Oh Dio..." sussurrò Mulder, sentendo il suo stomaco contorcersi. Forse era qualche posto buio, qualche scantinato. L'avevano trascinata lì a forza, magari chiudendola nel bagagliaio... Mulder si alzò in piedi e di corsa raggiunse la toilette per vomitare. Mentre si sciacquava la bocca si chiese come doveva essersi sentita Scully, rivivendo l'orribile esperienza di quattro anni prima. Temendo di esser magari riportata in "quel posto pieno di luce", era invece finita in un buio scantinato con due aggressori molto più terrestri... perché non potevano essere definiti "umani". Mulder non sapeva quanto si era avvicinato alla realtà. ******* §1.36 (Steffy) Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada) Sabato, 16 maggio 1998, 4:00 p.m. Scully osservò Nicole uscire dalla stanza. Era rattristata più per lei che per se stessa. Non doveva essere stato facile per una ragazza giovanissima rinunciare a quello per cui lei e Melissa credevano di essere cresciute: una casa propria, una famiglia, un lavoro 'normale'. "Normale..." disse Scully con un filo di voce. La mente iniziò a giocare con quella parola come se fosse un rebus da risolvere. "La normalità può essere qualsiasi cosa che rientri nel logicamente concepibile oppure un pensiero che sia concepibile dalla mente di ognuno di noi?" Nicole aveva ragione, doveva mettere per iscritto i suoi pensieri 'per non impazzire'. La porta della stanza non poteva essere chiusa a chiave e se avesse deciso di scrivere davvero, doveva farlo di nascosto. Si alzò a fatica dal letto, in cui era stata costretta per la maggior parte del giorno, e si avviò in bagno con i fogli nascosti sotto la vestaglia che indossava. Nemmeno lì c'era la chiave, ma nessuno avrebbe osato entrare senza bussare e questo le avrebbe dato il tempo di nascondere gli scritti. Appena fu dentro, si richiuse la porta alle spalle, aprì l'acqua della doccia e si appoggiò di spalle sul bordo del lavabo smaltato di bianco. Dana si accorse che il taccuino improvvisato era formato da un insieme di tabulati che avevano stampato i computer del laboratorio. Nessuno aveva dei collegamenti con l'altro, a parte la data del giorno. Alcuni erano le stampe di risultati biologici di uno stesso campione, altri erano risultati comparativi, altri ancora le fecero pensare al motivo per cui era svenuta. "Non è vero. Se lo fosse..." Strinse in mano la penna, dono di Nicole, guardò per l'ultima volta i tabulati e li voltò per utilizzare lo spazio bianco sul retro come carta utile. Si guardò attorno per trovare un appoggio su cui poter scrivere e l'unico era la mensolina del lavandino. La sfilò dall'inserto del muro e la appoggiò sul bordo del lavabo. Si chinò sullo scrittoio improvvisato e sul primo foglio. Iniziò a scrivere lentamente, con una scrittura più minuta del solito come a risparmiare spazio. 'Sono qui da due giorni, credo al mio sesto dopo il rapimento. Non ricordo nulla di quella sera, a parte l'ultima conversazione con Mulder. Non posso fidarmi di nessuno... forse dovrei confidare in Nicole. Ma anche lei inizia a diventare come gli altri. Ha già imparato a scendere a compromessi, a non fare domande e a rispondere sempre come se quello che le stanno facendo fosse normale. Non lo è. Stamattina... Mulder, se fossi qui mi guarderesti dritto negli occhi come a dirmi 'visto, avevo ragione io. Uno a zero per me, Scully', ma ho visto tutto il mio mondo e le mie certezze alzarsi in piedi e accartocciarsi su se stesse nel medesimo istante. In quello che ora è il tuo mondo si combattono guerre invisibili per debellare malattie che qui hanno smesso di avere un senso. Se le scoperte genetiche di cui sono venuta a conoscenza potessero trapelare da queste mura e raggiungere gli occhi di uno studentello di medicina, il destino del mondo cambierebbe. Cos'è il destino, Mulder? E' ciò che la mente umana rifiuta e che invece si presenta come un meccanismo estraneo alla nostra volontà. Il destino non ha voluto che qui ci fossi tu. A sapere ciò che so io, ora, ti metteresti a saltare come un bambino che ha scoperto Babbo Natale sotto l'albero e che, invece, a me ha rubato tutti i regali. Quando ero all'università, nel mio corso di Fisica, venni a conoscenza di una formula che nelle sue cinque lettere racchiude tutte le ragioni che mi hanno spinto a diventare medico legale. L'equazione di Boltzmann, che spiega l'entropia, dice che il caos è l'unico modo possibile di sopravvivere perché se si tenta di combatterlo per portare l'ordine, si finisce con il cedere perché il caos che si vuole distruggere si ciba dell'energia di chi tenta di combatterlo. Era impossibile per me credere a una simile eresia. Pensavo che l'ordine fosse insito in tutto ciò che ci sta attorno, dal più piccolo atomo, al più grande universo. Sai perché non ho proseguito nella mia carriera medica, Mulder? Perché troppo presto mi ero resa conto che quella formula racchiudeva in sé tutta la verità. La medicina deve molte delle sue scoperte al caso e tentare di mettere in ordine le cose non le serve. Quasi non c'è certezza nella medicina. Fu a questo pensiero che decisi di entrare all'FBI; il Bureau si ciba di ordine sì, ma anche di intelligenza. Punto. Però, stamattina, le mie convinzioni si sono capovolte di nuovo. Si potrebbe curare ogni più piccola malattia con la sequenza di lettere che è custodita in una stanza non lontana dalla mia. Una sequenza che ho letto con i miei occhi. Sai cosa si potrebbe fare dopo aver ricostruito tutto il DNA di una persona e aver imparato a modificarlo? Oh, Mulder, di tutto. Curare malattie incredibili, prevenire alterazioni genetiche e per cui c'è gente che non riesce a vivere come un essere umano. Ma... può essere anche un'arma pericolosa. Sai, non riesco a crederci ed è ingiusto che tu non possa vedermi in volto in questo momento. Che regalo sarebbe se ti dicessi che qui sono riusciti a rendere perfettamente compatibili, ibridandoli, due DNA di cui uno non umano! Una nuova razza, Mulder. Una razza perfetta, forte, probabilmente senza alcun sentimento, finirebbe col popolare la Terra. E tutto sta nascendo qui, in questo momento. Mi sento componente importante del loro lavoro e in una parte della mia mente si è presentata l'idea che sarebbe un bene, per me, rimanere qui. Senza pensare a una via di fuga. Nicole è una ragazza in gamba, ha capito che bisogna stare alle regole del gioco per non complicarsi l'esistenza. Mi sta aiutando e, se riuscissi a fuggire, sarei tentata di portarla con me. Non ho ancora avuto il coraggio di chiederle che esami le fanno, ma probabilmente non me lo direbbe. Qui nessuno può fare domande su quello che succede. Nessuno ti risponderà mai alla domanda 'per quale motivo creare una super razza?' Se poi ti dài una risposta da solo, speri che non sia quella giusta. Sono le quattro del mattino e devo andare a riposare. Mi hanno detto che domani mi aspetta un lavoro faticoso. Non so cosa ti ho scritto, Mulder. A dire il vero, ne ignoro anche la ragione. Non riceverai mai queste lettere. Forse, tra un po', farò come mi ha consigliato Nicole: le distruggerò dopo averle scritte con l'unico scopo di rimanerti accanto.' Era stata una giornata difficile, quella. Era stremata da tante nuove sensazioni e voleva riposare. Cercò un posto sicuro dove poter nascondere i suoi scritti e l'unico che le parve il più giusto fu lo scarico in alto e, per capire se fosse chiuso o aperto all'estremità superiore, salì sul water. Con la mano arrivò a toccarne la superficie: era chiuso. Appoggiò, dopo averli ripiegati, i fogli di cui era in possesso. Una volta scesa dalla sua scaletta di fortuna, guardò bene per assicurarsi che nessuno si potesse accorgere facilmente della loro presenza. Uscì dal bagno e si sdraiò sul letto addormentandosi immediatamente. ******* §1.37 (Steffy) Sezione crimini violenti, FBI building Washington D.C., Virginia. 16 maggio 1998, ore 10:30 a.m. L'agente Riordan ricevette il rapporto del dottor Clair dopo alcuni giorni dall'omicidio del medico legale Robbins. Nel suo ufficio, si apprestava a rileggere il fascicolo mentre ripensava a come risolvere il caso dell'agente Mulder. Il latte scaduto, che aveva versato nel caffè cattivo di sempre, lo strozzò quasi, quando lesse ciò che nel rapporto era contenuto: "... 'Il dottor Robbins è morto per un colpo di arma da fuoco al cuore. La limatura rinvenuta sulla pallottola non coincide con nessuna di quelle schedate presso gli uffici federali. La sostanza ritrovata sotto le unghie della donna è epidermide. Ha certamente lottato, prima di rimanere uccisa. L'analisi del DNA, a cui l'agente Mulder si è sottoposto, dimostra che lui non era l'aggressore e che quindi non aveva tentato di ucciderla: né le tracce di liquido seminale né quelle di pelle trovate sui vestiti e nell'auto gli appartengono. Per mancanza di campioni di sangue prelevati dal corpo dell'agente Dana Scully ed ora scomparso, è impossibile compiere una comparzione con in campioni che, della stessa, possiede l'archivio medico dell'FBI...'" "Figli di..." Riordan si alzò di scatto dalla sedia, si portò le mani alle tempie. Mulder non aveva commesso il crimine. Presa la giacca, si precipitò al penitenziario di Stato. Durante il tragitto in macchina, telefonò al tribunale per avvertire il giudice Collins, curatore del caso, che era il momento di liberare l'uomo per mancanza di prove dell'omicidio di Dana Scully. Un'ora più tardi si presentò al penitenziario di Stato con il permesso di scagionare Mulder dalle accuse per non aver commesso il fatto. ******* §1.38 (Monica) Penitenziario dello Stato di Virginia Sabato, 16 maggio 1998, 11:29 a.m. Con gli occhi chiusi, le ginocchia al petto, Mulder stringeva il diario di Scully, oscillando leggermente sul bordo del materasso. Aveva ormai perso le speranze in un miracolo che gli avrebbe restituito Scully. Non sentì i passi avvicinarsi alla cella, ma solo la serratura scattare. Alzò lo sguardo di colpo verso l'ingresso, rendendosi conto di non aver più tempo per nascondere il diario. Cercò di scacciare il panico, ma una tempesta di domande frenetiche attaccò la sua mente. --Come faccio senza il diario? Come posso non averlo con me? Cosa faccio ora? Faccio ancora in tempo a nasconderlo? Non posso lasciarlo, è il mio unico ricordo tangibile di Scully...-- Chiuse gli occhi, stringendo le braccia ancora più forte attorno alle gambe, nascondendovi dietro il diario. Mulder respirò a fondo un paio di volte, notando che c'era una sola guardia. Di solito, quando veniva scortato per qualche interrogatorio, erano almeno in due. --Perché è qui? Cosa ho fatto? Cosa devo fare? Che notizia deve darmi? Mi hanno già condannato? Sedia elettrica, camera a gas... Oh Dio, Scully, voglio rivederti, voglio rivederti, voglio rivederti voglio rivederti rivederti rivederti...-- La guardia non chiuse la porta e si avvicinò a una velocità che a Mulder parve infinitesimale. Si chiese se il tempo stesse scorrendo lentamente solo per lui. "Può uscire." disse semplicemente la guardia. "Come?" fece Mulder. "Può uscire. L'agente Riordan la sta aspettando di là. Le mostrerà le prove della sua innocenza." Mulder chiuse gli occhi. "Sono libero?" sussurrò. "Già. Venga." Mulder fece scivolare il diario nella mano, quindi si alzò. La guardia si accorse dell'oggetto e inarcò le sopracciglia interrogativamente. Fox si limitò ad alzare le spalle e ad uscire dalla cella. Percorse il corridoio in silenzio, seguito dalla guardia. Non fece caso ai commenti degli altri carcerati, ma tirò un silenzioso sospiro di sollievo quando arrivò all'ufficio dove Riordan lo attendeva. Ancora infilato nella tuta arancione, Mulder non si sedette in presenza dell'altro agente, ma alzò leggermente il mento. Paul lanciò una busta sul tavolo. "Gli esami del DNA hanno provato che le tracce non sono tue." disse, con tono ancora freddo e acido. Mulder non disse nulla. "Ma io non sono ancora convinto che tu sia innocente." aggiunse l'altro. "Considerati ancora indagato." Mulder raccolse la borsa che conteneva i suoi vestiti. "Finché Skinner non ti toglierà l'indagine." Riordan ringhiò qualcosa di indefinito, quindi uscì dalla stanza. Mulder passò a ritirare il suo portafoglio, l'unica cosa, oltre ai vestiti, che aveva con sé al momento dell'arresto. Uscì finalmente all'aperto e camminò lentamente fino alla fermata dell'autobus. Riordan gli passò accanto con la macchina e gli lanciò un'altra delle sue frasi da duro: "Ricordati, Mulder, ti starò appiccicato al culo!" Fox non rispose nemmeno. Si sedette sotto la pensilina ad aspettare ed aprì il portafoglio. Cercando un po' di moneta, la sua mano scivolò in una piega nascosta. Lentamente e con attenzione estrasse la foto che vi aveva infilato alcuni mesi prima. Era stata scattata da qualche giornalista durante il caso che aveva riguardato, per la seconda volta, Robert Modell. Mulder aveva piegato l'articolo in modo da portare sul retro le scritte e la parte della fotografia che meno gli interessavano. Rimaneva solo Scully, girata a tre quarti. Avrebbe dato qualsiasi cosa per riaverla accanto a sé. Mulder sfiorò il volto di lei, seguendone i contorni sulla fotografia sgranata. *** Continua in "Omega (Capitolo 2)" feedback: xmcarter@libero.it & scully.dk@libero.it (grazie!)