Mai. Non si sarebbe mai stancato di osservarli.

Non che avesse molto altro da fare, ormai. Il tempo dei piani e dell’attesa era finito, ed il frutto maturo era stato colto. Poteva finalmente godersi il risultato della sua fatica.

Ma non era solo il piacere di contemplare una vittoria attesa da troppo (oh… veramente troppo) tempo.

Era vero interesse. Era… quale parola usavano tanto a sproposito?… Amore! Ecco, era amore, il suo. L’amore di un artista (anche se chiamarlo artista non era adeguato.  Era riduttivo, in un certo senso) per il suo capolavoro.

Ed era curiosità, anche. Quella… l’aveva sempre posseduto. Era (che ironia) il suo demone personale.

 

In quello stesso modo, con curiosità e divertimento, aveva osservato gli altri, quando lo avevano chiamato, dicendogli che le cose avevano preso una piega inaspettata e colui che avrebbe dovuto segnare la mossa finale, ora era innocuo e inutile come un gattino appena nato (non che avessero usato quelle parole, naturalmente. Anzi, non avevano usato nessuna parola. Ma era un paragone che a lui piaceva, così come gli piacevano le parole, come gli piaceva usarle)

Aveva ascoltato le loro non-parole e aveva deciso di risolvere il problema. Era quello che faceva. Risolveva i problemi e, doveva ammetterlo, era tanto che non capitava più un problema così interessante. E per colpa di… ma che importa? Anche un granello di sabbia infinitesimale può bloccare il meccanismo più sofisticato (anche questo era un bel paragone).

 

Era stato complicato. Qualche volta aveva pensato che sarebbe stato bello, schioccare le dita e modificare la realtà, ma naturalmente, non era possibile.

Ma non era sicuro che avrebbe usato un simile sistema, anche se avesse potuto. Gli piaceva manovrare, e guidare le scelte, più che agire direttamente.

Fare incontrare i protagonisti della storia, e fare sì che gli eventi prendessero una direzione che avrebbe portato alla risoluzione del problema (sempre con la possibilità di fallire, perché se provochi una valanga puoi essere sicuro che arriverà a valle, ma non è detto che seguirà esattamente la strada prevista) era stato impegnativo, e appagante.

Aveva avuto successo.

La fine era giunta. E nell’attimo stesso in cui questo accadeva… la storia era andata avanti. Ma con una differenza.

 

Chissà se qualcuno di loro se ne sarebbe mai reso conto. Che pensiero ozioso. Certo che no. Essi si aspettavano fuoco, fiamme, fruste e catene, o laghi di zolfo e fiumi di sangue…

Poveri piccoli… così letterali… così ovvi…

Non è forse l’inferno il luogo dove si concretizzano i propri peggiori incubi?

 

Li osservava tutti, ma il più grande piacere lo otteneva dall’osservare coloro che avevano reso possibile questo suo grande trionfo.

 

Vedeva la cacciatrice, quella creatura così risoluta e decisa, annientare il suo amore, e combattere un giorno dopo l’altro contro nemici sempre più potenti e improbabili (possibile che l’idea degli dei fosse tanto banale, ai suoi occhi?), e distruggere la sua famiglia, se stessa, e tutto quello che le stava intorno.

E l’ inconsapevole chiave, quel vampiro tanto terribile, intrappolato nel suo terrore più profondo. Vivere giorno dopo giorno nel rimorso e nella solitudine.

E loro, e tutti gli altri…

 

Era così… interessante… il mondo che essi stessi contribuivano a plasmare.

 

L’entità che ere addietro (non che lo scorrere del tempo avesse più un vero significato) si era presentata a due bambini sprovveduti con il nome di Cantastorie, avrebbe riso, se solo avesse posseduto ancora una bocca, o un corpo qualsiasi con cui ridere.

 

Ma chi dice che gli dei non hanno il senso dell’umorismo?

Dentro di se rideva.

 

Perché il vortice di Acathla era stato aperto, e mai chiuso. Questo era l’inferno.

E la cosa più ironica era che nessuno se ne era accorto.

 

 

Fine