“Oh,
Buff. Piangi su un uomo che hai ucciso, ma per chi piangi realmente? Per lui? O
perché hai scoperto di poter fare quello che credevi impossibile? E di farlo
con tanta facilità?”
Lo
guardava ad occhi spalancati, Buffy. Sembrava sul punto di rispondere, poi di
cambiare idea, e poi decidersi, finalmente.
“Non
mi importa. Non riesce a importarmi. Lo so che dovrei stare male, o provare
colpa, o… qualcosa del genere, ma non ci riesco. Sapere quello che dovrei
provare, non ne lo fa provare. Non posso farci niente. Devo persino sforzarmi
per continuare a pensare a quell’uomo, perché se non mi concentro, mi viene
in mente solo che è notte. E che finalmente sono fuori di casa, e sto per
andare a caccia…” (…e sono qui con te, ma questo non lo dirò mai…)
“Facile… è la parola giusta… E’ anche fin troppo facile conviverci.”
Angel
vedeva emozioni conosciute affiorare negli occhi di Buffy.
Forse
lei uscirà indenne da quest’esperienza. Ne è quasi sicuro. Si crede tanto di
avere dei limiti, anzi, ci si pone dei limiti, per poi trovarsi a superarli così
semplicemente. E non ci sono rulli di tamburi, o tuoni e fulmini o effetti
speciali a segnare il momento. Un attimo prima non hai ancora fatto una cosa,
l’attimo dopo si.
Facile…
Avrebbe potuto dirglielo anni prima, lui.
E’
un esperto in limiti superati. In limiti ignorati.
“In
quel momento, non… non avevo nessun motivo per non ucciderlo.” continuò la
ragazza “La volontà di colpirlo era superiore a quella di fermarmi… Non
c’era neanche, quella di fermarmi.”
Le
sorrise. Questo era un motivo che poteva capire.
“Alla
fine, è la sola cosa che conta per noi.” le disse.
Buffy
sembrò perdere un respiro.
“IO…
non sono come te!”
“No.
Certo che no.” (Certo che no. Perché ancora non sai quello che sei, anche
se lo stai scoprendo. Scopri di esistere al di la delle aspettative altrui.
Scopri quello che puoi fare. Aspetta solo di scoprire quello che vuoi)
“Non sei come me. Ma è sempre con me che parli… come ieri, e il giorno
prima… Notte dopo notte, fino a quando possiamo tornare indietro? Ne hai
parlato ai tuoi amici?”
Lo
guardava con un’espressione strana. Non paura, o fastidio, o disprezzo. Ma
c’era un po’ di tutto questo.
“No,
naturalmente.” Come faceva a dire una cosa simile? La conosceva la situazione
attuale fra lei e la sua allegra brigata?
“Naturalmente
no.” sembrò canzonarla lui.
“E
se tu avessi ragione? Forse sono un mostro. Sono… sbagliata… rispetto a
tutto. Non sono come te, non sono come loro, non sono come nessuno. Una
singolarità. Un mostro. Qualcosa che non ha una sua esatta connotazione. Forse
sto anche sparendo. Sai, ogni tanto non mi sento presente. A te è mai capitato?
Ti sembra mai di non esistere?”
Angel
sembrò colpito da una frustata. In un istante aveva superato la distanza che li
separava e ora la sovrastava in tutta la sua altezza. Buffy vide che stringeva i
pugni come per impedirsi di aggredirla. Le appariva una reazione assurda ad una
simile domanda, ma non aveva la pretesa di riuscire a prevedere il suo
comportamento. Era sempre stato così. Capace di infuriarsi per cose che le
sembravano sciocchezze, ed essere assolutamente indifferente ad altre che a lei
facevano invece perdere il lume della ragione.
“Cosa
credi che sia? Io sono stato inesistente per un secolo, e tu, invece? Dieci
anni? Sei solo una dilettante. Quando avrai passato più di una vita senza
nessun posto dove andare, senza nessuno a cui parlare, a essere… niente… mi
potrai fare una domanda simile.”
Involontariamente,
Buffy era riuscita a trovare un suo punto debole. La cosa la riempì di gioia.
Un modo per rendergli il favore di tutte le sere precedente.
“Immagino
quanto doveva sconvolgerti… Chissà perché, poi! Me lo sono sempre chiesta.
Per cosa, avresti dovuto soffrire? Per il rimorso? Un secolo di rimorsi? Non
farmi ridere! ‘Non sai che vuol dire fare quello che ho fatto ed esserne
consapevoli’… Non è quello che mi hai detto? Che significa? Che tu ora non
sei consapevole? Angel, io guardo nei tuoi occhi e non vedo inconsapevolezza.
Vedo qualcuno che sa perfettamente quello che fa.”
“Mi
stai dicendo quello che posso provare?” Il tono era vagamente minaccioso.
Questo voleva dire che stava perdendo il controllo. Buffy sorrise.
“Non
hai risposto, angelo mio. Allora? Per cosa soffrivi? Ma soffrivi, poi? Oppure
volevi soltanto macerarti nell’autocommiserazione? Doveva davvero darti una
grande soddisfazione mostrare a tutti il tuo dolore, vero, povero piccolo? Angel,
tu non soffrivi. A te piaceva solo suscitare la pietà altrui. In un modo o
nell’altro eri al centro dell’attenzione. Sei troppo compiaciuto di te
stesso per soffrire, e credo che tu non sia mai stato diverso.”
Lui
aveva letteralmente le lacrime agli occhi, e la sua voce tremava.
“Era
come essere legati, ciechi, sordi e castrati. Come avere la testa sott’acqua e
la superficie appena sopra di te e non poterla raggiungere. Era… essere
costretti a pensare continuamente al futuro, ritornare sempre al passato, non
poter vivere perché qualunque cosa facevi, qualunque cosa pensavi, innescava
una raffica di pensieri sulle conseguenze, una dopo l’altra, una serie
infinita, fino a quando non potevi neanche ricordare cosa, volevi fare. Era…
era tutto, tranne che vita. Quindi non parlarmi di sofferenza, perché non sai
quello che stai dicendo.”
La
soddisfazione di Buffy cresceva ad ogni sua parola (…hai trovato una crepa?
Bene. Allargala!…)
“Non
doveva essere insopportabile come pretendi, se sei ancora al mondo. Se era così
terribile, perché non ti sei ucciso, invece di strisciare a nasconderti nelle
fogne a covare il tuo dolore? E soprattutto invece di venire qui a rovinare la
mia esistenza? ”
“Era
la sola cosa che potevo fare…”
“Ah
no! Lo hai detto tu. Ci sono sempre delle scelte. Ecco. Ho trovato. Potevi
restartene con Darla. O forse quando si è accorta che il suo giocattolo era
rotto lo ha buttato via?”
Le
parole di Buffy risvegliavano ricordi che aveva sempre cercato di evitare. Il
rifiuto della donna che aveva amato più di chiunque, per qualcosa di cui non
aveva colpa…
Ora
piangeva apertamente. Buffy lo guardava disgustata. Lui si divertiva tanto a
giocare con le vite altrui, e non sopportava che gli rendessero il favore,
neanche in un modo tanto grossolano come aveva fatto lei. E, doveva proprio
ammetterlo, non era certo stato un colpo di fioretto. Più che altro una
martellata. Avrebbe dovuto scivolargli sopra, e invece… Certe volte le cose
erano davvero sorprendenti.
Gli
diede un’ultima occhiata e gli girò le spalle, allontanandosi.
“Buffy!”
Lei
si voltò e lo vide a pochi passi di distanza. Ora sembrava perfettamente calmo
e padrone di se. Se non fosse stato per le lacrime che gli segnavano le
guance…
“Io
sono venuto qui per trovare un rimedio al mio problema. Non mi importava di
crearne a te.”
Le
parole facevano fatica ad assumere un significato. Per un po’ restarono solo
suoni senza senso, ma poi…
(…no!
Ho capito male, vero?…)
“Che vuoi dire?”
“Dovevo…
trovare una soluzione… Non potevo più vivere in quel modo… anche se vivere
è un termine sbagliato… Mi trascinavo… giorno per giorno… e i giorni sono
troppi nell’attesa dell’eternità. Avevo tentato quasi ogni cosa, anche
Darla aveva tentato, ma era stato tutto inutile. Io ero inutile, lei non poteva
tenermi. Mi sono avvicinato a voi sperando che accanto ad un Osservatore avrei
trovato qualcosa in grado di aiutarmi… In un certo senso avevo ragione, ma non
come credevo…”
Il
cuore di Buffy era ghiaccio, solo un altro piccolo colpo e sarebbe andato in
frantumi…
(…non
pensarci. Ascolta ma non pensare a cosa significano le sue parole…)
Strano, riusciva a ragionare lucidamente. C’erano domande da fare (…questo
è importante, perché nel momento che non avrai più domande, il significato di
quello che sta dicendo scioglierà il blocco vetrificato del tuo cuore e cosa
succederà allora… non lo so…)
“Non
hai pensato che avrei potuto ucciderti subito?” mormorò.
“Allora
non hai capito. Io stavo già morendo. Tu avresti potuto solo affrettare la
cosa, rendermela più facile… Non avrei perso niente. Ora mi sembra solo
un’idiozia… nella mia follia speravo di trovare una soluzione
preconfezionata in qualche vecchio libro…”
“Non
in un libro…”
“No.
In te. In me. Ho sempre avuto la soluzione, perché non ce n’era una. Ero
debole perché soffrivo, e la debolezza alimentava la mia sofferenza… Un
circolo vizioso.”
“E
l’anima?”
“L’anima…
l’anima… Se ti capita di trovarne una, in un uomo, in un demone, in
chiunque… fammelo sapere, perché voglio proprio vederla. Sei una donna
intelligente, ti sarà venuto il sospetto che è il risultato della paura…
Temi la morte? Allora credi in qualcosa di te che sopravvivrà comunque… Tanto
chi potrà confermare che hai torto? Questa è l’anima, Buff. Paura… del
buio! Forse… noi non ci siamo mai spiegati bene cosa intendevamo. Forse… due
cose troppo diverse per capirci. Era un termine rassicurante, ammettilo. Ho
l’anima, povero me! E tutti si sentivano al sicuro. Si sentivano addirittura
dispiaciuti per la mia infelice condizione. Perché no? Perché non
lasciarglielo credere? E’ solo una parola, e a me non importa proprio. E’
stato un… errore di traduzione.”
“Quindi
il famoso attimo di felicità…”
“Sarebbe
successo in ogni caso. Più tardi, ma sarebbe successo.”
E’
sollievo quello che sente in lei? Sembra uno scroscio di acqua fresca in una
giornata rovente. Pura beatitudine. Perché se sarebbe successo ugualmente,
allora lei non ne ha avuto la responsabilità. Angel si lascia sommergere dal
riflesso di quella gioia, la assimila e la consuma. La sente spazzare via gli
ultimi residui di dolore…
(Ora
vediamo cosa succede a dirle il resto)
“Avevo
ricominciato a vivere, e non nutrivo più con tanto accanimento la mia trappola.
Come posso spiegarti? La ruota aveva cominciato a girare al contrario. Io
diventavo forte, e di conseguenza la gabbia si indeboliva. Ogni volta che
provavo un’emozione abbastanza intensa, la sgretolavo un poco. Era come una
febbre. Consumava la malattia che mi stava uccidendo. E non parlo di felicità o
gioia o amore. Non c’entra niente il tipo di emozione. Anche odio o rabbia
andavano bene. L’importante era provarle, perché sono solo le emozioni che
danno consistenza alla vita, e il vero fine della mia maledizione era la
negazione della vita, lasciandomi consapevole di quello che stavo perdendo.
Conosci Eliot? ‘Noi viviamo, respiriamo, solo se bruciamo e bruciamo…’ Lo
sapevo, ma non mi serviva saperlo, mi serviva un mezzo per riavere il fuoco.”
“Io.”
“Sempre
tu.” Le sorrise. Non il suo solito sorriso sinistro e arrogante. Un sorriso
aperto, pieno di gratitudine. Lei sentì raggrinzirsi la pelle della nuca “Non
è stato voluto. Non all’inizio. Tu eri solo la porta spalancata su Giles. Il
caso, o la fortuna, se ci credi.”
Ecco,
il conforto che aveva provato venne rapidamente sostituito dalla familiare
sensazione di amarezza. Sembrava anche più pesante ora, dopo quell’istante di
libertà.
“Perché
me lo hai detto?”
“Credevo
che fosse la serata delle confessioni.” sibilò lui con cattiveria. Aveva
nuovamente cambiato umore. Ora il suo tono era graffiante.
“In
ogni caso la colpa è mia, vero? E’ questo che stai cercando di dirmi?”
gemette la ragazza.
“Ti
dico solo come sono andate le cose. Tu parli così spesso di colpa… Non
capisco se cerchi il perdono dai peccati o la conferma che hai peccato!”
Buffy
non riuscì più a trattenersi, e lo colpì con forza al volto facendolo cadere.
Angel
rotolò a terra e si raccolse su se stesso, soffocando un ruggito rabbioso e
l’impulso di aggredirla. Sentiva di fluttuare sull’orlo dell’irrazionalità,
con i pensieri che si spegnevano, travolti da un unico istinto. Colpire. Era
rimasto scioccato dalla violenza dell’attacco. Non lo aveva previsto. Sapeva
bene come ferire la ragazza, ma lei era in grado di rendergli il favore
sfruttando le sue, di debolezze. Inghiottì a fatica la rabbia e si rialzò
lentamente, asciugandosi con una mano il sangue che gli colava dalla bocca e dal
naso, e costringendosi a sorriderle.
“Sai
qual è la nostra sola colpa? Sopravvivere meglio di chiunque altro, nonostante
tutto, malgrado noi stessi, solo per merito nostro.” La guardò avidamente,
aspettando che gli offrisse quello di cui aveva bisogno.
Buffy
chiuse gli occhi. Avrebbe dovuto immaginare che non se la sarebbe cavata con una
vittoria, e neanche con un pareggio. Per un attimo aveva pensato che giocassero
allo stesso livello, ma ancora una volta lui era riuscito a volgere il discorso
a suo vantaggio, scavando con precisione chirurgica nella sua mente.
E
ora? Non doveva piangere, non sarebbe servito.
(…vorrei…
volere ucciderti, con le mie mani, e prendermi tutto il tempo necessario a farti
scontare ogni parola. Vorrei… volere farti male, e alla fine sarebbe una gioia
vedere il tuo corpo dissolversi in cenere fra le mie dita, come tu stai
dissolvendo la mia esistenza… quello in cui voglio… voglio… voglio
disperatamente credere… in cui ho bisogno di credere… e farti pagare caro il
delitto di avermi messa di fronte alla verità… perché è la verità…
questo lo so… vorrei non saperlo… Quindi non tentarmi, perché sono stanca
dei tuoi giochi, di inseguirti anno dopo anno… Sono stanca e voglio tornare a
casa, e non so per quanto tempo ancora riuscirò a mantenere questa parvenza di
sanità mentale…)
Niente
sarebbe servito, adesso o più tardi. Non sapeva più come reagire. Urla,
pianti, rabbia… a che servivano se non potevano cambiare quello che era
successo?
Ma
non riusciva a impedire alle lacrime di scendere.
Angel
le si avvicina, le prende il volto fra le mani. Buffy pensa che stia per
baciarla, invece lecca con la punta della lingua le sue lacrime.
“Che
cosa vuoi da me?” gli chiede.
“Distruggerti.”
Lei
retrocede, continuando a guardarlo.
“Tu
sei veramente un mostro.” mormora, lasciandolo solo.
(Distruggerti…
e ricostruirti con un’altra immagine)
Questo
però non ha potuto dirglielo.
Sbuccia,
strato dopo strato, la sua personalità. Trova, la solitudine che è fondamenta
di tutta la sua vita. Ripuliscila da affetti, rancori, detriti accumulati in
tutti quegli anni… e quando ti ritroverai con quel nucleo limpido e brillante,
comincia a edificarci intorno una nuova struttura.
…
è stanco, questa sera. Il confronto con lei è stato duro e doloroso. Non ha
voglia di indulgere in una caccia lunga e stimolante. Vuole andare a casa al più
presto e dormire…
Lei
deve essere partecipe, soggetto attivo e non passivo della sua trasformazione.
Come sempre, la vittima è un complice. Come sempre, le lascia una possibilità
di fuga. Anche se nessuno la usa mai. Forse nessuno la vede mai.
…
cammina. I suoi sensi scandagliano l’ambiente con una banda ad ampio spettro,
ricevendo segnali da ogni direzione, anche se a scarsa risoluzione…
Nella
sua vita ha avuto donne più belle, più intelligenti, più esperte, però vuole
lei. Non si chiede il perché. Non si chiede mai perché vuole, solo come
ottenerlo. L’introspezione non ha alcun ruolo nella sua natura. Volere, è la
motivazione primaria. Quello che vuole diviene il centro focale della sua vita.
Pazienza e l’inumana capacità di concentrazione mezzi con cui perseguire il
suo fine.
…
un suono di passi. Un possibile bersaglio. Automaticamente, restringe il campo
di percezione, tralasciando i dati periferici e aumentando la risoluzione del
suo obiettivo principale…
L’ha
voluta, dal primo istante che l’ha vista, anche se allora la situazione era
differente (e Drusilla aveva sempre saputo quello che sarebbe successo), e poiché
non può seguirla nel suo mondo, sarà per forza Buffy a doverlo raggiungere.
Qualche
volta, in momenti di sempre più rara debolezza, ha anche cercato di
allontanarla, ma ogni volta ha finito per rincorrerla, o essere rincorso. Sempre
perfettamente speculari l’uno all’altra. Se avesse un animo suggestionabile,
penserebbe che erano destinati ad incontrarsi.
…
passi che si avvicinano, vengono nella sua direzione… Più che un possibile
bersaglio. Una probabile preda. Ora tutti i suoi sensi si sono focalizzati in
una sonda sottilissima ed estremamente selettiva, che raccoglie ed elabora i
segnali fino a disegnare un dettagliato simulacro mentale dell’obiettivo…
Anni
che lavora per arrivare a questo, e ha giocato bene la sua partita.
Avevano
tutti creduto che il suo scopo fosse farla soffrire, e quello che voleva in
realtà era lasciarla sola. Prima regola del buon cacciatore, isola la preda. E
così aveva sistematicamente tagliato tutti i fili che la univano ai suoi amici,
alla sua famiglia. Alcuni nascondevano in se il seme della propria distruzione,
era bastato coltivarlo. Altri erano stati uccisi, quelli più forti, quelli che
inaspettatamente avrebbero potuto essere un’ancora di salvezza, mai quelli che
la ragazza amava di più. Avrebbe potuto risvegliare la sua sete di vendetta.
Non sempre aveva colpito personalmente. Gli altri vampiri della città gli
obbedivano, e li aveva lanciati all’attacco come un falconiere con i suoi
rapaci, sempre più accaniti, sempre più… instancabili. Senza mai lasciare
trascorrere una notte in pace. Ma lui si era lentamente ritirato nell’ombra,
lasciando ad altri la prima fila, non regalando un motivo per attaccarlo
direttamente.
…
due battiti cardiaci. Due campi elettrici distinti. L’uno sicuro e definito.
L’altro incompleto e abbozzato. Passi brevi e rapidi e altri più leggeri e
goffi…Una donna e un bambino. Ora sono entrati nel suo campo visivo. Lei tiene
il figlio con una mano e alcuni sacchetti con l’altra. Il piccolo deve avere
circa cinque anni. I loro cammini convergono. Sono quasi alla sua portata…
L’Osservatore
non era mai stato in grado di prevedere la prossima mossa, chi sarebbe stato
colpito. Era stato costretto a farla lavorare sempre più duramente. Le aveva
fatto abbandonare l’università, ed ogni parvenza di una vita normale, e il
rancore della ragazza ricadeva su di lui.
Povero
Giles, che non ha mai capito quanto è facile la pazienza per un immortale. Anni
che scivolano via senza lasciare traccia, senza rimpianti. Ci sarà sempre un
altro anno per rimediare a quello che si è trascurato…
Eppure
anche per lui era diventata un’abitudine. Agognare la fine del gioco, e dirsi
che non era mai il momento giusto. Fino a quando il caso non aveva deciso, e ora
tutto si avviava alla sua conclusione. Il tempo dell’Osservatore era agli
sgoccioli. E così il tempo della Cacciatrice. O forse il suo.
…la
donna gli passa accanto. La ghermisce e le spezza il collo.
Il
corpo della madre non è ancora caduto a terra, che ha preso il bambino per la
testa, squassandolo violentemente. Il colpo uccide il piccolo prima che possa
gridare, attirando qualche curioso inopportuno e improbabile.
Ma
non c’è nessuno intorno, e lui si inginocchia e stringe a se il corpo della
donna. A vederlo, sembra che la stia piangendo.
La
biblioteca era immersa nel silenzio e in una fresca penombra. Il Sole
d’inverno si fermava dietro le finestre, senza penetrare la sala.
Willow
si era accorta di Buffy, ferma accanto a lei, solo quando aveva alzato gli occhi
per prendere un altro libro. La cacciatrice si era avvicinata con il silenzio di
un felino. Non aveva nemmeno percepito la sua massa fisica, ed era strano, perché
le era davvero vicina. Avrebbe dovuto almeno sentire lo spostamento dell’aria
al suo passaggio.
“Willow,
perché non sei riuscita a ripristinare la maledizione su Angel?”
Ancora
quella vecchia storia? Era tanto, tanto tempo che non se ne parlava più. Ma era
anche tanto tempo che Buffy non si rivolgeva più a lei.
A
volte Willow aveva l’impressione che la sua presenza, anzi, la presenza di
tutti loro, la infastidisse. Non parlava quasi mai, potevano passare giorni
senza sentire la sua voce, e quando parlava, riguardava sempre la caccia, mai
questioni personali. Willow si era abituata a questo. Il cambiamento era stato
rapido, ma graduale. Ora sentire la voce di Buffy le sembrava sbagliato.
“Credevo
di avertelo detto. Non lo so. Forse qualche fattore che non ho potuto
valutare.”
“Già,
è possibile. Ma se ci fossimo riusciti… Cosa sarebbe successo?”
Willow
sorrise, un po’ nervosamente “Non saremmo qui a farci queste domande.”
“Cosa
sarebbe successo a lui… Sai che non me lo ero mai chiesta? Willow, se si ama
qualcuno, non credi che si dovrebbe desiderare la sua felicità?”
“Si,
io… credo di si…”
“Qualsiasi
cosa lo renda felice?”
“Se
lo si ama si…”
“Non
importa quali siano le conseguenze per altri? Perché si tiene a lui più che a
chiunque altro?”
“Questo…
questo credo che sia egoismo…”
“Credevo
che il mondo si basasse sull’egoismo. Si vive a spese degli altri… si
richiedono sacrifici per preservare la propria esistenza… Allora in cosa
sarebbe diverso questo mio specifico egoismo?”
“Buffy,
io non ti capisco…”
“No,
non credo. Scusami.”
Willow
non sapeva cosa rispondere. Guardò Giles, che era uscito dal suo ufficio e le
stava osservando.
“Tu
credi che esista un… un’attitudine naturale a fare del male?” chiese
ancora la cacciatrice “Qualcosa che non dipende da chi sei, ma da…
‘quello’… che sei?”
“Intendi
un istinto?”
Buffy
aggrottò la fronte. Non sembrava essere sicura di riuscire a spiegarsi.
“Qualcosa
di più. Intendo… qualcosa che ti faccia provare piacere ad uccidere. Qualcosa
che faccia si che uccidere sia la tua… vera ragione di essere. Qualcosa
connaturato alla tua essenza. Che… è giusto che ci sia.”
“Parli
di Angel?”
“Anche.”
Willow
sospirò.
“Io
credo che sia possibile. Una caratteristica simile potrebbe essere molto utile
per certe creature, ed essere stata selezionata dall’evoluzione. In fondo,
quello che piace viene fatto meglio, con maggior efficienza. Un predatore dotato
di una simile peculiarità, potrebbe trovarsi in vantaggio selettivo sui suoi
simili, trasmetterla ai discendenti, alla fine farla diventare un connotato
della specie.”
“In
questo caso… non potrebbe essere evitata, vero? Sarebbe una semplice
caratteristica naturale, come… le macchie dei leopardi. Non ci sarebbe niente
di male nel… cedervi… perché in realtà non puoi proprio fare altro…”
“Buffy,
è sempre di Angel che stai parlando, vero?”
“E’
di me, che sto parlando.”
Willow
la guardò ad occhi spalancati.
“Buffy,
io mi riferisco agli animali, o ai demoni. Tu sei…”
“Cosa?
Che cosa sono? L’ho chiesto tante volte, ma non me lo avete mai detto. Cosa
sono?”
Giles
si era avvicinato alle due ragazze.
“Cosa
sei?” chiese.
“Si,
Rupert. Cosa sono? Fai il tuo lavoro, pozzo di conoscenza, e rispondimi.”
“Tu
sei la…”
“Si
si, lo so. La Prescelta. Allora chi mi ha prescelto?”
“Buffy,
a cosa vuoi arrivare?”
“Voglio
arrivare ad una risposta. Chi mi ha prescelto? Chi si è permesso di farmi una
cosa simile? Quale sadico figlio di puttana si è preso questo diritto?”
“Buffy,
il tuo è un…”
“Sta
attento, Rupert. Sta bene attento a quello che dici perché non sono davvero
dell’umore di ascoltare le tue cazzate mistiche. Io non ho sacri doveri. Io
vado a caccia perché mi piace. Mi diverto. E’ meglio del sesso. Sai perché
ho smesso di correre dietro a tutti gli uomini che vedevo? Perché ho trovato di
meglio. Ogni notte è sempre come la prima volta. Per questo lo faccio. E non
credo proprio che tutto dipenda dal fatto che qualcuno mi abbia… prescelta.”
Smise
improvvisamente di curarsi di loro, come se non gli avesse mai parlato, e uscì
dalla sala sotto gli sguardi perplessi dell’amica e di Giles, che non riusciva
più a respirare.
Erano
giorni che non la vedeva, non la sentiva. Era viva e stava bene, ne era certo.
Ma se non la vedeva e non la sentiva, era come morta. Aveva messo in preventivo
la possibilità che lei si allontanasse, ma una cosa era immaginare, l’altra
vivere. I primi giorni aveva pazientato, poi la pazienza si era trasformata in
ansia, e nervosismo, e naturalmente, alla fine, rabbia.
E
questa notte il suo sangue aveva urlato, scatenando una frenesia che doveva in
qualche modo essere placata, prima di diventare autolesionistica, e conosceva un
solo modo.
Questa
notte aveva imperversato, e non ricordava quanti erano caduti sotto la sua
furia.
Aveva
sempre vissuto per l’aspettativa della caccia, non per l’istante vero e
proprio in cui uccideva. Quello era solo il coronamento di una lunga e
imprevedibile sequenza, dalla preparazione, la ricerca del bersaglio giusto. Poi
circuirlo e girargli intorno, attenderlo, mimetizzato all’ambiente, e
sbagliare, anche. Perché anche sbagliare poteva essere piacevole, e
ricominciare, di nuovo, da capo, custodendo dentro di se l’esaltazione che
cresceva come un’onda montante di marea, minacciando sempre di prendere il
sopravvento, assaporare quegli attimi, a volte dilatare i tempi fino
all’estremo della sopportazione, e alla fine sferrare il colpo letale…
Questa notte invece aveva agito come Buffy, un uccisore casuale e noncurante, ma
non aveva potuto farci niente.
Lasciò
cadere il corpo della sua ultima vittima sul tetto dove l’aveva trascinata,
dopo averla strappata al balcone della casa. Un classico universitario, con
tanto di felpa della facoltà. Sarebbe stato anche un bel ragazzo, se non fosse
stato per l’espressione contorta che gli deformava la parte destra del volto.
In quanto alla sinistra… al suo posto c’era una massa dilaniata da dove
emergevano spuntoni biancastri di ossa e si apriva un’orbita vuota.
Si
passò le mani sul viso. Non bastava ancora, la rabbia non se ne era andata. Ma
sentiva il Sole scandire il suo assalto all’orizzonte e il fiato gelido
dell’alba venuta a derubarlo della sua vitalità. A malincuore saltò giù
dall’edificio, dirigendosi verso casa.
“Questa
notte c’è stata una vera carneficina.” disse Giles “Hanno trovato morte
sei persone, e non solo per le strade. Due sono stati uccisi in una chiesa, un
altro preso in casa. La sua ragazza ha detto che era uscito sul balcone e non lo
ha più visto. Lo hanno ritrovato stamattina sul tetto della casa. Era in
condizioni… Il corpo era ridotto male.”
Xander
giocherellava con una matita. Sembrava quasi soddisfatto di quello che aveva
sentito.
“Bene,
la mia vocina interiore mi dice che il nostro Angel ne sa qualcosa. Tu che ne
dici, Buffy?”
“Si,
è probabile.”
“E
naturalmente non hai intenzione di intervenire.”
Buffy
abbassò gli occhi. Sapeva cosa l’aspettava ora. Erano anni che Xander cantava
sempre la stessa canzone. Il suo odio verso Angel non si era placato con il
tempo, anzi… sembrava una faccenda personale. Il che era strano, perché se
c’era qualcuno che Angel aveva ignorato per quanto possibile, era proprio
Xander. Era persino ironico, visto che in un certo senso i due uomini erano
simili, altrettanto implacabili e ostinati nel perseguire i propri scopi,
indifferenti a chi travolgevano sul loro cammino. Qualche volta Buffy
ringraziava il cielo che Xander non fosse un vampiro, perché temeva che sarebbe
stato un avversario superiore alle sue capacità.
“Senti,
lascia stare. Almeno per stavolta cerca di tacere.” mormorò lei, e sembrò
molto stanca “Vado a dare un’occhiata al… ai luoghi dei delitti.”
“Vengo
con te.” disse Xander, ma la ragazza lo fermò con un cenno.
"E
cerca di starmi fuori dai piedi." esclamò e uscì rapidamente. Non era
certa di riuscire a sopportare a lungo la compagnia del giovane.
L’interno
della chiesa era illuminato a festa dalla luce colorata che si riversava dalle
vetrate.
La
polizia l’aveva fatta entrare subito. La conoscevano, da anni la vedevano
girare intorno alla morte, forse sapevano persino cos’era. Oppure…
(…oppure
non sanno che sono qui. Io sono come i vampiri. Una cosa che non si riconosce,
di cui non si parla. Forse non esistiamo davvero. Lo crediamo soltanto. Per
questo non fanno caso a noi. Perché non ci vedono, perché non ci siamo…
Chissà cosa succederebbe se un giorno mi mettessi ad urlare a tutti la verità…
Niente, immagino… tutto continuerebbe come sempre…)
Linee
di nastro adesivo disegnavano due corpi, uno su una panca, l’altro nel
corridoio centrale. Buffy ci girò intorno. Facile capire quello che era
successo. L’uomo sulla panca era stato attaccato, l’altro aveva cercato di
fuggire, ed era stato raggiunto subito. Non c’era altro da vedere.
Si
avvicinò all’altare e alzò lo sguardo sulla croce, mettendosi a ridacchiare.
“Ti
è piaciuto lo spettacolo?” mormorò “Hai assistito da una posizione
privilegiata e non hai mosso un dito… Diciamocelo… non sai proteggere molto
bene i tuoi fedeli, vero, uomo in croce? O ami allo stesso modo tutte le tue
creature? Lui come le altre?” si interruppe un attimo e si rivolse al
sacerdote che le si era avvicinato alle spalle “Non è così? Non è forse il
padre di tutti noi?”
L’uomo
guardava sconcertato la ragazza sorridente.
“Si,
è così.” rispose.
“Già…
E se è un buon padre, non dovrebbe fare differenze fra i suoi figli. Non… non
dovrebbe concedere il suo amore e la sua protezione solo a pochi.”
“Lui…
protegge tutti.”
Buffy
scoppiò a ridere. Un puro suono cristallino che scrosciò lungo la navata come
il rumore di ghiaccio infranto. Poi spinse la croce dell’altare a terra,
mandandola in frantumi. Raccolse uno dei pezzi di legno e lo mise nelle mani del
prete, stringendogli il pugno intorno.
(continua)