“No, non è questo. Io… credo che lo farei lo stesso…”

“Lo credo anch’io. Dunque, al momento fai esattamente quello che vuoi fare, però… ti manca la pace. In cosa sarebbe diversa la tua vita se potessi cambiare?”

“Non… non sarebbe un obbligo. Lo farei per scelta, quando voglio io.”

“Brava, poco per volta ci arrivi. Invece c’è qualcuno che ti costringe. Ti obbliga, lo hai detto tu. Scusa, ma che qualcuno possa obbligarti a fare quello che non vuoi è difficile da credere. Tu hai il potere…”

“E che dovrei fare? Usarlo su… lo sai, la mia famiglia, il mio Osservatore…”

“Il tuo Osservatore?” era sceso dall’albero, quasi scivolando davanti a lei “Sbagli ancora. Sei tu la sua cacciatrice. Da premiare o punire se si comporta male. Dimmi, Buffy, perché credi che la tua volontà venga sempre al secondo posto? Perché sono sempre tutti più importanti di te? Perché se tu dovessi morire sarebbe una cosa accettabile, nell’ordine naturale delle cose? E accettabile per chi? Per loro? Loro cercano sempre un salvatore che si sacrifica per lavare i peccati del mondo. Ma per te? E’ questo che vuoi? Essere una merce di scambio?”

Buffy si posò le mani sugli occhi. Si sentiva annegare. Angel era riuscito a portarla su una strada che aveva sempre evitato di percorrere. Ma la strada era sua, questa era la cosa peggiore. Il vampiro la stava conducendo per mano come una bambina, aprendo tutti i cancelli, uno per uno, ma la strada non l’aveva costruita lui. Esisteva da tempo.

Che idiota era stata a venire. Sapeva come sarebbe andata a finire, ne aveva avuto un assaggio la sera prima.

(…idiotaidiotaidiota…)

“Non lo so…”

“Forse però è un’altra cosa. A certa gente piace fare prendere le decisioni agli altri. E’ facile, nessuna responsabilità. I deboli, ad esempio, o gli incapaci. O i bambini, che devono rimettersi alle decisioni dei genitori. Nel loro caso però è una fase naturale. Una volta cresciuti passa. Ma non tutti crescono, vero? Alcuni preferiscono la confortevole culla. Tu cosa vuoi?”

Vedeva Buffy esitare. Aveva la risposta, appena sotto la superficie. Doveva solo farla respirare, darle tempo…

Si sedette nell’erba, aspettando con pazienza.

“Anch’io sono stato un prescelto, lo sai?”

Buffy lo guardò perplessa e scosse la testa, poi si sedette di fronte a lui.

“Ero stato scelto dal Maestro per essere…” si interruppe, cercando un termine giusto.

“Il suo successore?” continuò Buffy precipitosamente.

Almeno avrebbe smesso di tormentarla. E poi suo malgrado la cosa la interessava. Si era accorta di non sapere nulla del suo passato. Era irlandese, era il compagno di Darla, aveva ucciso un sacco di gente ed era stato maledetto. Tutto qui, in quattro parole. Ma non poteva essere ridotto a così poco.

“Non esattamente.” proseguì lui “Il mio amato nonno non metteva in preventivo di morire… Più che altro una specie di suo rappresentante. La sua… longa manus… La sua faccia rivolta all’esterno. Il suo killer di fiducia. E il suo successore, eventualmente. Gli imprevisti possono sempre capitare.”

“Ma… ?”

“Ma… nessuno aveva chiesto la mia opinione.” Non la guardava. I suoi occhi sembravano fuori fuoco, ad osservare qualcosa di vecchio e lontano “Hai visto dove… e come… viveva il Maestro?” Sembrò rabbrividire leggermente “Rinchiudermi in una specie di corte medioevale, in mezzo a libri ammuffiti, a studiare ridicole profezie, a rimuginare sul nostro passato splendore, che con ogni probabilità è una leggenda come i giardini dell’Eden… Con gente che ti dice quello che puoi o non puoi fare, vincolato da tradizioni senza senso, e alzare gli occhi e vedere il soffitto di una fogna, invece di questo.” Con un cenno del capo indicò la volta stellata “E fuori mondi interi, mai uguali a se stessi… Perché avrei dovuto accettare una cosa che non avevo deciso io?”

“Cosa hai fatto?”

“Ho preso Darla e me ne sono andato, lasciando il venerabile Maestro nel suo antro.”

“Come l’ha presa?”

“Non molto bene. Ma avrebbe dovuto uccidermi per fermarmi, e cosa avrebbe ottenuto? Poteva farlo, naturalmente, ma in ogni caso, la scelta di essere libero è sempre stata solo mia.”

Buffy teneva gli occhi fissi sulle mani, sul paletto che si rigirava fra le dita. Un racconto talmente familiare…

Sentì la mano di Angel sollevarle il mento, le sue dita passarle sulle labbra, la sua voce…

“Il destino ha su di te il potere che tu gli concedi, finché tu glielo concedi, e allora ti chiedo ancora, cosa vuoi? Pensa davvero a te stessa e sii sincera.”

Stavolta lei cedette.

“Voglio che la smettano.” mormorò “Voglio che smettano di dirmi cosa fare. Voglio cominciare a vivere per me, non per loro… Voglio andarmene da qui… Voglio essere libera…”

“E cosa, te lo impedisce?”

“Cosa? Il mio…” (…il mio?…)

“Stavi per dire dovere? Ti prego, non essere banale. Pensa a quello che mi hai detto prima.”

“Se non è il dovere allora…”

“Allora cosa? Forza Alice, scegli. Il biscotto o la bottiglietta. Cresci. Oppure diventa piccola piccola e nasconditi.”

La ragazza non riusciva a guardarlo.

(…perché devi sempre essere così complicato? Perché non dici mai chiaramente quello che pensi, ma ci giri intorno, ci giochi… ? Perché fai nascere idee che non voglio avere? Cosa vuoi, da me?…)

“Io non lo so!” (…si che lo so. L’abitudine. E’ solo l’abitudine. Oddio, sono io, solo io che mi sono legata e ho gettato via la chiave delle catene. La colpa è mia e ora non so che fare. Ho paura. Ho paura di non essere più in grado di liberarmi. Ho paura di non sapere combattere me stessa…)

“Tu non vuoi essere libera.”

“Non posso…”

“Non vuoi!” ripeté lui con durezza “Se si può fare una cosa, e non la si fa, è perché non si vuole.” Si interruppe, osservando le sue reazioni.

Due Buffy si combattevano, da molto tempo, e il loro conflitto stava per arrivare ad una conclusione. Non sarebbe mai tornata quella di prima, ma cosa sarebbe diventata non era ancora deciso. Ondeggiava al limite di due possibilità. La nuova Buffy che voleva a tutti i costi vivere, contrastata da quella che si adagiava nei sicuri binari della consuetudine. Era forte, questa Buffy, gli anni la facevano forte, ma l’altra era diventata sempre più presente e sfacciata di giorno in giorno, e ora il loro potere si equivaleva, e sarebbe bastata una piccola spinta per dare la vittoria all’una o all’altra.

“Io ho un mio posto al mondo.” urlò lei, alzandosi e allontanandosi di qualche passo.

“Oh, Buff. Al mondo non importa niente di noi. Se morissimo in questo istante, il mondo andrebbe avanti, come ieri, come sempre. Se… ci uccidessimo a vicenda… avrebbe importanza solo per noi. E’ un gioco, tesoro mio, con il più imparziale degli arbitri e nessuna regola. Chi perde finisce nel secchio dell’immondizia della vita. Uno dei tanti scarti. Non importa. Il mondo non fa favoritismi, e di solito va come vuole, non come si vorrebbe.”

Buffy chiuse gli occhi per un attimo. Quando li riaprì, Angel era in piedi accanto a lei.

“Allora non contiamo proprio niente per nessuno?” gli chiese.

“Contiamo per noi stessi. Per chi ci sceglie liberamente di amare.”

“Il tuo è un mondo spaventoso, senza speranza…”

“Senza sbarre.”

“Senza gioia…”

“Ti sbagli. Con tutta la gioia che ti permetti di provare.”

Allungò la mano verso il suo volto, ma prima di toccarla la lasciò ricadere…

(Non ancora. Non è ancora il momento giusto)

… e ancora una volta, la guardò allontanarsi.

“Bentornata dal Paese delle Meraviglie, Alice.”

 

 

III

 

Guardava l’immagine nello specchio.

Carina. Le avevano sempre detto tutti che era carina.

Non una grande bellezza. Cordelia… era stata la grande bellezza. Eppure era lei ad attirare gli sguardi ammirati e le attenzioni di uomini e donne. Lei. Solo carina… con un aspetto rassicurante, indifeso. Fino a quando non guardava con un certo, particolare sguardo. Allora tutti si affrettavano ad allontanarsi. Non sapeva cosa vedevano nei suoi occhi, non sapeva com’era, quello sguardo. Vedeva solo la paura di chi le era vicino.

Ma fino a quel momento, nessuno si sarebbe sognato di temerla.

Una ragazza così piccola, inerme.

Così attraente.

Come Angel. Anche lui così apparentemente inoffensivo.

(… perché quest’aspetto? Perché un essere inimmaginabilmente pericoloso si nasconde in un involucro tanto ingannevole?…)

Angel… poteva capirlo. Aveva bisogno di irretire, e al tempo stesso passare inosservato. Ma lei? A chi doveva passare inosservata? Chi doveva ingannare? Non vampiri e altri demoni. Loro… non si lasciavano fuorviare dall’aspetto. Erano altre, le cose che guardavano.

E allora?

(… da chi ti nascondi? Chi devi raggirare? Chi sei?…)

“COSA SEI?!” urlò, artigliando lo specchio con una furia crescente, come se cercasse di distruggere quell’immagine distorta di se stessa, con le unghie che stridevano sulla superficie liscia, fino a quando un dolore lacerante la sferzò, partendo da una mano e risalendo lungo i nervi, e una scia rossa dipinse il vetro. Una delle unghie si era strappata. Era rimasta attaccata solo ad una piccola porzione del letto ungueale e il sangue gocciolava sul pavimento… e la rabbia defluiva con esso, lasciando posto solo alla confusione.

Cominciò a singhiozzare, mentre la sofferenza bruciante si trasformava in una serie di impulsi sempre più sordi che le intorpidivano il braccio, e lacrime e muco le bagnavano il volto.

Continuò a piangere, quando si strappò del tutto l’unghia, risvegliando il dolore quasi spento.

 

 

Giles stava riordinando la biblioteca. Era un lavoro rilassante, che aveva sempre amato, e se fosse dipeso da lui, sarebbe stato solo un semplice bibliotecario. Almeno così gli piaceva credere, qualche volta. Perché poi si svegliava dai suoi sogni ad occhi aperti ed ammetteva con se stesso che non sarebbe mai riuscito ad adattarsi alla vita tanto tranquilla della sua ‘identità Clark Kent’.

Aveva preso alcuni libri e stava per salire le scale, quando si accorse che Angel era seduto sulla balaustra dell’ammezzato, intento a guardarlo.

(…Oddio, ci siamo…) pensò l’Osservatore, mentre il cuore cominciava a picchiare contro lo sterno.

“Ciao, Rupert. Quanto tempo che non ci si vede.”

(…scappascappavattene… la porta è aperta… puoi farcela…) Giles trasse un profondo respiro e si costrinse a restare fermo (…non… non giocherai con me… non ti farò divertire…)

“Stai tranquillo. Non sono venuto per quello che pensi.” mormorò il vampiro.

“Questo me lo hai già detto una volta.” replicò Giles, cercando di calmarsi “Da quel momento tutto è andato a rotoli.”

Angel si guardò le mani “Voglio solo parlarti.”

“Di cosa?”

“Buffy.”

Certo, Buffy… E di che altro, se no? Istintivamente, Giles salì il primo scalino. Angel sembrò subito innervosirsi.

“Non… non avvicinarti. C’è sempre un piccolo problema di controllo. Stai lontano, è meglio per tutti.”

L’uomo tornò indietro, appoggiò cautamente i libri in terra e rialzò gli occhi verso il soppalco, osservando affascinato Angel. Era parzialmente trasformato, con aspetto umano e occhi da vampiro. Non lo aveva mai visto così, e gli sembrava anche più spaventoso del solito. Se significava qualcosa, lui proprio non lo sapeva.

“Cosa vuoi, da Buffy?” gli domandò alla fine.

“Stavo per farti la stessa domanda. Cosa vuoi tu, da lei.”

Giles non disse niente. Sapeva che sarebbe bastata una parola sbagliata e quella tregua apparente si sarebbe rotta in un attimo.

“Tu l’ami?” chiese Angel.

(…che razza di domanda…) Si rese conto di non essere nella posizione giusta per mostrarsi troppo aggressivo. Era meglio assecondarlo, se voleva uscirne vivo.

“Si.” rispose solamente.

“Si… certo…” (Almeno ne sei convinto. Non credo che quelli come te possano davvero amare. Ma la cosa importante è che tu agisca come se lo facessi) “E’ la tua bambina, non è vero? La tua bella bambina, tanto forte e coraggiosa… I bambini crescono, lei sta crescendo. Sta diventando qualcosa che… non hai mai visto prima. E cambia… Te ne sarai accorto.”

Giles era confuso.

Angel sentì la perplessità dell’uomo. No, non lo sapeva. Non era Buffy che amava, ma l’idea che aveva di lei. Neanche la vedeva, Buffy.  Aveva sempre nella mente un’immagine idealizzata che gli impediva di percepire la realtà.

Il cuore del vampiro si riempì di un disprezzo che minacciò di trasformarsi in rabbia. 

Ma come poteva dire di amare, se poi non sentiva niente? Chiuso nel guscio del suo io, isolato, non permetteva a nessuno di raggiungerlo. Un povero mutilato, cieco e sordo… solo…

Non valeva la pena sprecare rabbia per una cosa tanto miserabile.

“Non puoi impedire quello che sta succedendo.” disse all’Osservatore, cercando di non guardarlo “Neanche lei può. Ma potrebbe tentare, e questo… le farebbe male. Non sai quanto. La gabbia dove l’hai tenuta chiusa fino ad ora è troppo piccola per lei. Si romperà le ali cercando di volare fuori. Oppure proverà a restare la stessa e il suo spirito si spegnerà.”

“Se non posso impedirlo, perché sei qui a parlarne con me?”

“Perché tu sei importante per lei. Hai determinato la sua vita più di chiunque. Anche adesso, che è tanto cambiata… se cercherà di opporsi alla sua natura sarà per te, se si farà del male sarà per te.”

“E cosa dovrei fare io?”

“Niente. Lasciala andare.”

“Così puoi averla tu? Devi pensare che io sia davvero molto stupido.”

“Se vuoi la verità, io cerco proprio di non pensare, a te.” Era già fin troppo penoso dover essere qui e parlargli, in un modo che potesse capire… Penoso… e necessario. La cosa più spaventosa che avesse mai fatto era stato uccidere Darla. Era stata molto più di una madre, o un’amante, o una maestra. Aveva condizionato il suo essere, aveva posto l’imprinting su di lui. Quello che aveva provato per lei era stato qualcosa di indefinibile. L’inconscio e onnipresente timore di essere giudicato da lei. Il desiderio quasi ossessivo di compiacerla, non per amore, o per paura. Forse un po’ di tutti e due e niente di entrambi. L’aveva uccisa, e aveva dovuto farlo alle spalle, perché se l’avesse guardato… E l’aveva fatto solo perché in quel momento c’erano di mezzo cose troppo importanti.

Ora Buffy si trovava nella stessa situazione. Giles era per lei quello che Darla era stata per lui, e Angel sapeva fin troppo bene cosa significava avere un ipotecario sulla propria mente. E lui era forte, mentre Buffy era fragile. Non aveva mai detto di no, e avrebbe potuto voler esaudire le aspettative di Giles, senza neanche sapere bene perché.

Giles cominciava ad infuriarsi, senza più pensare a quanto potesse costargli caro.

“Hai davvero un gran coraggio a chiedermi una cosa simile.”

“Tu mi odi. Mi odi al punto di fare del male a lei per colpirmi? Lasciala andare, e forse sceglierà me, oppure trattienila e alla fine non avrà più nessuna scelta.”

Giles camminò nervosamente per la sala. Angel lo guardava interessato. Ora l’Osservatore aveva paura, e questo andava bene. Paura di non essersi mai accorto di quello che accadeva sotto i suoi occhi, e rimorso. Ogni volta che nominava Buffy, una torbida sensazione di colpa affiorava in lui. Se solo si fosse sentito abbastanza in colpa…

“Abbiamo bisogno di lei…” mormorò Giles, più che altro a se stesso “Dobbiamo difenderci…”

“Da noi?! Rupert, quanti siete? Cinque miliardi? Sei? Quanti siamo noi? Non lo so, non abbiamo uno studio demografico. Mi meraviglierei se arrivassimo ai cinque milioni. Fate sapere della nostra esistenza, e quanto dureremmo? Chi avrà bisogno di essere difeso?”

Si interruppe un attimo a valutare le reazioni dell’uomo. Doveva veramente aver esaurito ogni possibile argomento, povero Giles. Un Osservatore deve essere stremato oltre ogni immaginazione, per perdere così il controllo della situazione. Lui non aveva avuto bisogno di mentire, e lo sapevano entrambi.

Sono pochi i posti al mondo dove i vampiri possono permettersi tanta libertà d’azione. Altrove devono stare attenti, muoversi con cautela, coprire le loro tracce. Quanti indizi servirebbero per far sorgere una domanda di troppo? Li protegge la leggenda, e l’abitudine a considerare certe creature solo protagonisti delle fiabe. I grifoni e i draghi marini e i vampiri… Solo che i draghi marini esistono davvero. Angel ricordava con stupore il primo che aveva visto, il lunghissimo corpo argenteo, la cresta rossa, la testa d’incubo…  Sono pesci, naturalmente, ma anche draghi… e se esistono loro… Il passo è breve, troppo breve. Tutti loro vivono sulla lama di un rasoio. Sono pochi, devono restare pochi, è una regola di natura che non può in nessun modo essere infranta, ma gli uomini sono tanti, e non dividono mai il mondo. Basterebbe un niente a farli scoprire, a far superare la linea fra ciò che c’era e ciò che non c’è più…

E Giles lo sapeva bene. Lo sapevano bene tutti gli Osservatori.

Se avessero parlato…

(…perché non parliamo? Ha ragione lui. Tempo pochi anni, e di loro non rimarrebbe più traccia. Gli esseri umani sono veri professionisti, quando si tratta di estinguere. E nessun senso di colpa, stavolta…)

“Avete davvero bisogno che un’unica ragazzina vi protegga?” continuò Angel “E poi, con tutta la sua buona volontà, che può fare? E’ molto brava, qui. Ma quelli che vivono dall’altra parte del mondo? O dall’altra parte del paese? Persino l’altra parte del quartiere a volte è troppo lontana. La sua efficienza è limitata dagli spostamenti, mio caro. E’ un’autentica goccia nel mare, se mi perdoni il paragone scontato. Non è questo il motivo, lo sai bene. Non la vuoi perdere. Vuoi che resti insieme a te.”

“Tu sei pazzo.” gridò Giles “Devi essere impazzito in qualche momento… perché diavolo sei ossessionato da lei? Perché non volete accettare quello che siete?”

Il vampiro sembrava stanco.

“Rupert, noi non siamo gli archetipi di un qualche mitologico conflitto fra luce e tenebre. Non… non rappresentiamo niente. Siamo solo due esseri viventi che vorrebbero continuare su questa strada.”

“Tu non sei vivo.” mormorò Giles in un’inutile puntualizzazione.

Angel scosse la testa.

“Come preferisci.” disse ridendo “Tanto non cambia nulla. Buffy è perduta per te. Vuoi che si perda anche per se stessa?”

 

Aspettava con impazienza davanti ad una tomba.

Era una vera fortuna che le usanze funebri della loro cultura giocassero tanto a suo favore. Quando le creature appena metamorfosate uscivano dal loro letargo così simile alla morte, si trovavano a dover combattere contro zinco, legno e uno spesso strato di terra, emergendo di solito talmente sfinite da non riuscire quasi a muoversi. Naturalmente, poteva andare anche peggio. Potevano capitare in un paese dove la cremazione era la norma…

… Vide la terra sussultare.

Dimenticò subito ogni oziosa considerazione con cui la sua mente aveva divagato, e mordendosi le labbra, cominciò a scavare freneticamente.

Una mano apparve fra schegge di legno e frammenti acuminati di metallo, e lei lo aiutò ad allargare il varco, non curandosi dei tagli che si procurava, aprendo la strada alla figura che a fatica cercava di riemergere.

Finalmente il vampiro fu libero, un ragazzo di circa sedici anni, inginocchiato carponi sul bordo della fossa, che si guardava intorno con occhi confusi.

Buffy lo rovesciò sulla schiena e lo trafisse con uno dei frammenti della bara.

 

 

IV

 

… la pianura che si oscura, ora quasi buia. Può vedere bene solo la montagna, attaccata dai venti urlanti, che ignorano lei, ignorano ogni altra cosa. Le nubi si rompono e inizia a nevicare. Nella luce del tramonto i fiocchi sembrano gocce di sangue. Cadono sulla sua pelle, ognuno ferisce come un ago di ghiaccio. La presenza oltre l’orizzonte avanza con le ombre, la sua venuta è prossima…

 

Non era mai venuta fin qui. Mai? Si, una volta, una volta sola. Non proprio qui, ma vicino. I moli, comunque. Ma dopo di allora non era più venuta. Faceva male, all’inizio, ricordare la sera in cui aveva (avevano) camminato sui moli, e credeva (credevano) di stare insieme per l’ultima volta. Beh, avevano avuto ragione, e avevano avuto torto, anche. Era stato il dolore a tenerla lontana, una volta. Ma il dolore era passato, con il passare degli anni, e da tempo non faceva più male ricordare. Ora poi non aveva proprio più bisogno di ricordare. Lui c’era sempre, vivo. Poteva vederlo, poteva toccarlo, durante quelli che stavano diventando appuntamenti quotidiani, ed era questo che importava, non il passato.

Era sempre più difficile credere che un tempo era stato diverso. Per lui, per lei. Era difficile, e sempre più spesso non si soffermava più sui ricordi.

Un sogno… Tutto il suo passato era un sogno, che andava offuscandosi.

Si, aveva fatto male, e per questo non veniva. Poi, niente più dolore, ma abitudine. Non veniva per abitudine. Per tanti anni aveva evitato i moli, e per abitudine continuava a evitarli, e poi… poi a nessuno importava di quel che succedeva qui…

 

Alcune prostitute le lanciarono occhiate distratte, mentre volgeva le spalle ai moli e si dirigeva nelle vie strette del quartiere portuale.

C’era gente, per le strade.

(…troppa gente. Voglio stare sola…)

I più la guardavano incuriositi. Una ragazza sola, in un luogo dove le ragazze sole avevano in genere un protettore che le sorvegliava, vestita come per una scampagnata, con qualcosa di innegabilmente diverso, innegabilmente sbagliato rispetto a loro, rispetto a quel posto… ma poi gli sguardi si abbassavano… non erano affari loro…

 

Ora non aveva più bisogno di evitare questo luogo.

(…che cosa vuoi, Buffy?…)

Ma che strano, la sola domanda che abbia mai voluto sentirsi fare, e a fargliela era stato proprio lui. Le sarebbe piaciuto credere che l’avesse fatto per lei, ma Angel stesso si sarebbe messo a ridere ad una simile idea. Lui agiva solo per se stesso, ma almeno non lo nascondeva.

Non le aveva più rivolto quella domanda, dopo le prime volte. Non ne aveva più bisogno, perché lei non poteva più dimenticarsene.

Però non aveva ancora risposto.

(…che cosa vuoi?…)

 

Ancora più addentro ai vicoli… fra rigagnoli di liquami inidentificabili, in strade man mano più vuote… almeno in apparenza, perché nascosti fra cassonetti e scantinati erano tanti a gestire i loro affari. Dietro le porte sentiva gli spacciatori trattare il prezzo delle dosi, negli androni i drogati si iniettavano il loro inferno personale nelle vene …

(…perché scegliere un metodo tanto lungo per suicidarsi? Ci sono mezzi più rapidi, più efficienti…)

 

Questo era il territorio di un male diverso, meno antico, meno innocente… Interesse, non bisogno.

 

Una voce raspante dietro di lei “Ciao, bella. Vuoi compagnia?”

Un uomo.

Solo… debole…

Non un pericolo, non un bersaglio.

Continuò a camminare senza guardarlo.

L’uomo le si avvicinò, le prese un braccio.

“Ehi, dico a te, troia. Mi ascolti? Perché non mi ascolti?”

Sentì il tanfo pungente del suo corpo non lavato, di qualcosa che aveva bevuto…

Lo scostò con una spinta e si allontanò. Lui brontolò ancora, con il suo tono gorgogliante da ubriaco.

“Non sono nessuno, per te?… Non sono nessuno…”

La sua voce la seguiva ancora, facendosi sempre più lontana.

 

Ora aveva cominciato ad attendere il momento in cui l’avrebbe visto con la stessa agitata impazienza con cui lo aveva aspettato da ragazzina, durante il tempo dei sogni.

 

Venne presa quasi di sorpresa nel suo vagabondare.

L’uomo la spinse contro un muro. Aveva un coltello in mano e doveva credersi invincibile. Non ebbe neanche il tempo di puntarglielo contro.

Buffy lo colpì al torace, scagliandolo al suolo. Aveva agito senza pensare, automaticamente. Una semplice azione-reazione. Riacquistò la ragione appena il nemico cadde a terra e smise di essere una minaccia. Funzionava sempre così. Un meccanismo di autodifesa ben collaudato. Fino a quando era in pericolo, il suo corpo agiva in modo autonomo, indipendente dalla volontà. Poi, riprendeva il controllo delle azioni, e poteva decidere che farne dell’avversario.

Si era sempre fermata, quando si trattava di esseri umani, zittendo la voce che la incitava a colpire, fino a sentire la vita del nemico spegnersi sotto le sue mani. Ma non aveva mai smesso di sussurrarle, quella voce. E lei aveva solo potuto turarsi le orecchie, fingendo di non sentirla, fingendo di non sapere che cacciare non era un dovere, ma una necessità. Vergognandosi ogni volta che il pensiero sfuggiva al suo controllo, disgustata dall’appagamento che sempre seguiva una caccia riuscita (…che cosa vuoi, Buffy?…), tremando nel sapere che ogni anno che passava l’appagamento diventava sempre più grande, e più breve, e bastava sempre meno, e il controllo sempre più debole, cercando in qualche modo di aggrapparsi al pensiero che era solo il suo dovere, cercando di restare… Cosa?

Le ore del giorno erano sempre più lunghe, nell’attesa della notte. E la voce non sussurrava più. Urlava.

Questa volta non volle zittirla.

 

Torse il braccio del suo assalitore, che si era rialzato boccheggiando, sentendo con soddisfazione lo schiocco dell’omero dislocato, e gli strappò il coltello dalla mano, piantandolo profondamente in terra.

 

E’ tanto diverso dei suoi soliti avversari. Al primo colpo ha sentito le costole fratturarsi sotto il suo pugno… e poi un braccio… e quasi non se ne è  accorta…

Così fragile e inconsistente… come un fantasma. I vampiri invece può continuare a colpirli e colpirli e sembrano assorbire la sua forza. Sono concreti. Poi si muovono alla sua stessa velocità, sul suo stesso piano. Questo resta quasi immobile, senza reagire…

 

Continuò a colpirlo, senza fretta, senza rabbia, con distaccata concentrazione.

 

 

V

 

La stava aspettando, come al solito. Chissà se era qui ad aspettarla anche le sere in cui non si era fatta vedere, oppure se per una strana, arcana ragione, sapeva esattamente quando arrivare. In qualche modo, era convinta che quest’ultima fosse l’ipotesi giusta.

 

Lei stringeva in pugno il solito paletto, ma Angel cominciava a considerarla un’abitudine, più che una vera minaccia. Un po’ come mettersi l’orologio al mattino. Ma non lo perdeva mai di vista. La cautela… anche quella era un’abitudine, un’ottima abitudine. Era quasi sicuro che lei non gli avrebbe fatto del male, ma era sul quel ‘quasi’ che non voleva giocarsi la vita. Camminava su una linea sottile. Ogni volta che la incontrava avrebbe potuto dire la cosa sbagliata, fare la cosa sbagliata. Essere lei, nella giornata sbagliata.

Meglio che ne sia sempre consapevole.

Questa volta nessun convenevole. Buffy aveva qualcosa da dirgli, qualcosa che non poteva aspettare. L’urgenza non lasciava posto ai saluti. D’altra parte loro non erano amici. O nemici. Non c’erano parole giuste per definirli.

“Ieri sera ho ucciso un uomo.” gli disse.

Angel non ne fu colpito. Isolata dal… ‘contesto Buffy’… la frase non aveva rilevanza, se non come un dato di fatto. Ma lei era qui a parlarne, e questo era molto rilevante.

“E ora ti senti in colpa?” le chiese

“Non sento niente…”

“Allora ti senti in colpa per questo.”

“Non sento niente, ti ho detto. Quell’uomo mi ha attaccata, io mi sono difesa. Avrei potuto fermarmi in qualunque momento, non era più un pericolo per me. Non ho voluto farlo. Tutto qui.”

“No, non è tutto qui, o adesso non cercheresti di spiegarti.”

Doveva dirgli anche il resto, e questo era difficile… La sola cosa che la convinse era la sicurezza assoluta che lui non l’avrebbe mai giudicata.

“Sono stata io a cercarlo… E’ stato lui ad attaccarmi, ma io l’ho voluto. Sono andata in un posto dove era quasi inevitabile che succedesse una cosa simile… L’ho fatto apposta.”

“Vuoi che ti faccia le mie congratulazioni per esserci riuscita così bene al primo colpo?”

Il sarcasmo nella voce di Angel la scosse. Che si aspettava? Che le offrisse una spalla su cui sfogarsi?

(continua)