I

 

Mancavano ancora molte settimane a Natale, ma la città era già vestita a festa. Ghirlande di luci delineavano gli alberi e i perimetri degli edifici, e le vetrine dei negozi esponevano sfacciatamente Babbi Natale e renne sorridenti. Nel paese della morte la festa era vissuta con forsennata allegria.

Il cammino dei due giovani stava inevitabilmente per convergere. Nessuna premeditazione, solo la planimetria della città. Il centro di Sunnydale consisteva di tre strade che s’incrociavano a livello di una piazza. Era difficile non incontrarsi.

L’uomo fu il primo a vederla. La sua maggiore capacità visiva gli permise di notarla quando non era altro che un puntino sparso in mezzo agli altri punti della folla…

 

La cacciatrice era su di giri (Oh, quanto su di giri). Poteva vederlo fin da quella distanza, poteva fiutare la sua eccitazione. Non aveva ancora colpito, quella notte, ed era nervosa, e pericolosa. E allora perché voleva avvicinarla proprio adesso che era così letale? E non era certo sicuro che l’immunità di cui sembrava godere da anni lo avrebbe protetto ancora a lungo. Perché non aspettare un altro momento, più tardi, dopo che aveva versato sangue, quando tensione e rabbia si sarebbero dissolte in appagamento e calma, e forse (Forse… solo forse) avrebbe accettato la sua presenza, come aveva sempre fatto finora?

Ma allora non sarebbe stata così attraente.

Un ammasso di contraddizioni, ecco cos’era. Il più freddo calcolo e la più scatenata irruenza. Da anni girava intorno alla sua preda, vagliandola, punzecchiandola… per poi non essere capace di trattenersi e correrle incontro proprio nel momento in cui era più pericolosa.

(Tanto un giorno o l’altro morirò. Non sarò il più forte per sempre. E non ho intenzione di avere rimpianti)

 

“Ciao, Buffy.”

Lei estrasse un paletto da una manica con un movimento che appariva più naturale del respiro, e che pure mancava di vera decisione…

“Che vuoi fare?” le chiese “Una chiassata in mezzo alla strada, con tutta questa brava gente che ci guarda? Gli rovineresti lo shopping.”

Buffy si fermò subito. Aveva reagito automaticamente. Se fosse stata davvero intenzionata a combattere, l’avrebbe fatto anche in mezzo ad uno stadio affollato. Era solo di una scusa che aveva bisogno, per non attaccare.

Ora si guardavano senza muoversi, ignorati dalla folla intorno. Nessuno dei due sapeva cosa fare. Non potevano semplicemente fingere di non essersi incontrati e non volevano fare una mossa che avrebbe potuto essere fatale.

“Facciamo una passeggiata?” le chiese alla fine.

Lei non avrebbe potuto guardarlo con aria più stupita. Non capiva come poteva averle chiesto una cosa simile.

“Ma… che stai dicendo?” balbettò la ragazza.

“Giochi a scacchi? Questo è uno stallo. Possiamo stare a guardarci negli occhi fino a quando uno dei due non decide di muovere, e l’altro gli salta addosso, o smontare la scacchiera e rimandare la partita.”

“Se è l’unico modo per allontanarti da qui…”

Angel si era incamminato lentamente, e lei gli si affiancò. Non abbassò la guardia, ma le sembrava così strano che lui fosse invece tanto calmo, camminando vicino ad una mortale nemica. All’unica nemica…

Non sapeva che era armato. Aveva preso l’abitudine di portare una rivoltella. Gli avrebbe dato una possibilità in più se Buffy si fosse decisa a fare sul serio. Non molto leale? La lealtà non ha senso, quando la posta in palio è la vita. Si usano i mezzi che si hanno, tutte le armi a disposizione, e Angel sapeva di non avere speranza di affrontarla fisicamente e uscirne vivo. Lei era forte, la più forte delle cacciatrici, molto più forte di lui, e quasi altrettanto feroce.

Non sentiva nessun risentimento per questo. Si accontentava di prendere dei provvedimenti.

Mentalmente, però, il più forte era lui. In confronto, Buffy appariva quasi senza volontà, una cosa che si lasciava trascinare dagli eventi.

Che a volte sembrava felice di lasciarsi andare…

 

Erano usciti dal centro, arrivando nel parco cittadino deserto.

Lei non aveva ancora detto una parola. Ultimamente parlava poco. Eppure, quando l’aveva conosciuta, non si poteva farla tacere. Era un flusso di parole, di risate, di lacrime… Ma con il tempo si era zittita. Sembrava che avesse dimenticato come fare. E che in cambio lo avesse imparato lui, che invece era sempre stato tanto silenzioso.

 

“Avanti, Buffy. Di qualcosa o comincerò a pensare che la mia compagnia non ti piace. Almeno chiedimi come sto.”

“Angel, ma che intenzioni hai?” sbottò lei.

“Fare due chiacchiere. Ultimamente non trovo molta gente con cui parlare. Tu invece? Stai bene? Ti vedo un po’ assente. Non va. Non nel tuo lavoro. Può diventare pericoloso.”

Buffy sorrise con amarezza “Non dirmi che questo ti preoccupa.”

“Certo che mi preoccupo. Perché non dovrei?”

(…mi sta prendendo in giro? Non sarebbe una novità. E non sarebbe il solo…)

“Dannazione, Angel, tu sei un mostro…”

Angel si fermò guardandola. Sembrava un po’ irritato.

“Questa storia del mostro comincia a stancarmi. Io non sono un mostro. I mostri sono quelli che vivono contro la loro natura. Non è davvero il mio caso. Non si diventa mostri solo perché si è una minaccia per la sicurezza dei tuoi amichetti umani.”

Cominciò a cadere una leggera pioggia e Angel si spostò sotto un albero per ripararsi, fissando la ragazza che invece era rimasta immobile sotto l’acqua.

“Forse tu sei una candidata migliore.” le disse.

Buffy distolse lo sguardo.

“Cosa c’è? Non ti piace quello che ho detto? Forse è questo che non va. Cominci a pensare di essere un mostro? O qualcuno dei tuoi amici ti chiama così?”

Buffy lo guardò ad occhi sgranati.

“E’ così allora? Chi è? Xander? Wil? Tutti?”

Ma come aveva fatto a capire tutto con due parole? E come faceva lei ad essere qui?

Però sembrava tanto facile parlargli…

“Nessuno. Non a parole. Ma poi, quando mi allontano…” (…quando mi allontano posso sentirli bisbigliare alle mie spalle…) “Forse sto davvero diventando un mostro.”
“E’ possibile.” convenne lui “Ma se è questo il problema, esiste il rimedio. Segui la tua natura. Fino in fondo.”

“Allora dovrei ucciderti.”

“Fallo! O almeno tenta. Sta sicura che ho intenzione di difendermi. Ma sei certa che questa sia la tua natura, e non un compito che ti è stato assegnato?”

Per un attimo ci pensò davvero. Ucciderlo e farla finita una volta per tutte. Una storia che stava andando avanti da troppi anni, sfibrando lei, i suoi amici… Poteva farcela. Aveva sconfitto individui ben più forti di lui. Angel era un combattente micidiale se messo alle strette, ma non particolarmente forte. Veloce, più che altro, e disposto ad usare i trucchi più sporchi (…e perché non dovrebbe? Non stiamo parlando di sfidarci a poker…) ma era sicura di vincerlo alla fine.

Ma è tanto pesante il paletto di legno, e la sua mano non si alza…

Una volta era stata pronta, una volta sola. Era quasi fatta, e si era trovata a scegliere. Una vita per una vita, prendere la vita di Angel, perdere quella di Giles. Aveva scelto. Aveva rimpianto quella scelta ogni giorno, ogni giorno aveva ringraziato d’averla fatta. L’unica volta che si era sentita pronta a ucciderlo, l’ultima volta che aveva deciso di sua volontà.

“Non voglio farlo.”

“Non lo vuoi fare… Rassicurante, dal mio punto di vista. Tu cosa vuoi fare?”

Gli occhi di lei sembravano quelli di un animale che sta per essere travolto da un’automobile. Una domanda tanto semplice, la domanda che prima e comunque tutti dovrebbero farsi. Valeva la pena capire il perché di tanta paura.

“Che cosa, vuoi, Buffy?”

“Che cosa… voglio?” mormorò la ragazza, apparentemente a se stessa.

Angel appoggiò il volto all’albero, sentendone la vitalità latente sotto la corteccia…

Decisamente un punto debole, forse ‘il’ punto debole, come il punto di rottura di un cristallo, quello dove si scaricano tutte le tensioni di struttura, quello che basta colpire leggermente per mandare ogni cosa in frantumi…

“E’ una domanda semplice. Cosa… vuoi… tu. Non sai rispondere?”

“Voglio… non so…”

“Che cosa non sai? Tutti vogliono qualcosa, a meno di non essere morti. Essere belli, essere ricchi, essere sani… Forse non ci hai mai pensato… No! Non dirmi che nessuno te lo ha mai chiesto?!”

No, in realtà. Nessuno si era mai preoccupato di chiederle cosa voleva. Più che altro si erano sempre limitati a dirle cosa ‘doveva’. E adesso non sapeva che rispondere alla voce ronfante di Angel.

(…ho pensato, a cosa volevo. Tante volte. Ma è passato tanto tempo, e ora non ricordo più…)

Non ricorda, e non vuole ricordare (…un tempo avevo avuto una volontà…)

“Ora… devo andare… non posso più restare qui…”

Aveva un’aria tanto miserabile, con i capelli ormai fradici che le s’incollavano al viso, e una confusione quasi palpabile negli occhi.

“So dove devi andare.” sussurrò lui “Ho capito.” Le sue mani carezzavano la pianta, come se fosse troppo difficile restare fermo “Vai pure, allora. Ma non abbiamo finito. Non mi hai ancora risposto. Dobbiamo rivederci.”

(…vuoi rivedermi?…) pensò Buffy perplessa.

“Perché? Tu… dovresti aver paura di me…”

“Ah, ma io ho paura. Sono letteralmente terrorizzato da te. E’ questo il bello.”

“Non ti capisco…”

Angel si avvicinò, poi fece una cosa inaspettata. Le prese un braccio. Non stringeva, non le faceva male, ma la reazione fu immediata. Sollevò subito il paletto verso di lui… e si fermò. Lui non si mosse di un millimetro, non la lasciò andare, anche se in realtà la teneva in modo tanto leggero che la toccava a malapena. Sorrise, e annuì.

“Si che mi capisci. Forse non te ne sei ancora accorta, ma mi capisci benissimo.” La sua mano corse lungo il braccio di Buffy, tracciando disegni sulla sua pelle, seguendo con le dita l’intrico azzurro delle vene. Lei sentì rizzarsi la peluria della schiena, come se fosse sotto un campo elettrico. Paura.

 

La vide allontanarsi con troppa fretta, e con un sospiro si diresse nella direzione opposta. Era stato un caso, quell’incontro, ma aveva attivato qualcosa di inevitabile. Prima o poi, in qualche momento. Adesso.

Era cambiata, lei. Era iniziato lentamente. Mesi, forse anni prima. Un offuscarsi nella luce, uno slittamento del pensiero… poi i cambiamenti si erano susseguiti a ritmo sempre più rapido. Lo sapeva, lo sapeva bene, perché non aveva mai smesso di ‘sentire’ lei, mai. Vedere con i suoi occhi, udire con le sue orecchie…

Entrambi erano cambiati. Il reciproco, continuo confronto li aveva fatti crescere. Lui era meno disposto a indulgere al suo innato sadismo, alla ricerca della personale soddisfazione, se non quando era sicuro, e non più con un avversario tanto pericoloso. Lei aveva abbandonato ogni infantile fiducia in una sostanziale onestà della vita.

La cosa importante è adattarsi e imparare. Il pericolo è diventare solo macchine programmate a sopravvivere. E che valore ha vivere, se si perde il gusto della vita?

Angel questo lo capiva, quello che doveva capire era fino a che punto era giunta Buffy sulla strada dell’annullamento.

Era stato solo l’inizio. Ci sarebbe stato tempo di far fruttare le conseguenze di quell’incontro.

Per ora aveva altro da fare.

 

 

Era giunto nei pressi di uno dei pochi locali della città. Intorno a lui le persone continuavano le loro compere, le loro risate, le loro vite brevissime… indifferenti…

 

Da tempo ha smesso di meravigliarsi perché la gente di questa città si comporta in un modo tanto insolito. Non è più stupido che stare a portata di una cacciatrice, suppone… Ha smesso di stupirsi, ma non di chiedersi. Effetti della Bocca dell’Inferno… ma non esiste nessun inferno, solo un… come dire… assottigliamento… uno stiramento nel tessuto elastico della realtà… un punto dove è più facile passare da un mondo all’altro. Non è l’unico. In qualche modo la cosa influisce sui pensieri. Forse stira un po’ anche l’istinto di autoconservazione. L’ambiente condiziona i comportamenti, a volte al punto di sconfinare nell’autolesionismo. Non sarebbe la prima volta. I cetacei seguono i campi geomagnetici come autostrade per orientarsi. Un bel sistema, sicuro in alto mare. Purtroppo a volte fluttuazioni locali portano i campi magnetici a intersecare perpendicolarmente le coste, e a volte gli animali imboccano queste strade sbagliate e finiscono per spiaggiarsi, e se li trascini al largo, continueranno ostinatamente a gettarsi sulla riva. E perché no? Loro stanno solo seguendo i loro sensi, una cosa che deve sembrare tanto sicura, collaudata… prima di ritrovarsi a morire su una spiaggia…

Se fosse così anche per gli uomini? Non vedere un pericolo tanto evidente?

Sunnydale stessa non è nella nostra realtà, non… esattamente. E’ un po’… slittata rispetto al mondo. Non di là, e neanche completamente di qua, e dall’esterno non viene vista del tutto. Né ci si accorge di quello che accade al suo interno. E’ una zona di confine, dove non valgono interamente le leggi del nostro universo. O dell’altro.

 

Nel momento che entrò nel locale, vide parecchie teste voltarsi, prendere atto della sua presenza con una certa meraviglia. Donne, ma anche diversi uomini. Una reazione normale, quando lo vedevano, su cui contava. Non sapeva esattamente qual era il suo aspetto, perché erano passati troppi anni da quando si era visto, ma sapeva bene l’effetto che faceva. Non si vergognava della sua bellezza, e non n’era fiero. La usava. La bellezza era un’arma, un’arma di difesa e una micidiale arma d’offesa, come zanne e artigli, né più né meno, a volte anche più efficiente. Più di una volta gli aveva salvato la vita, quando le cacciatrici avevano esitato quella frazione di secondo di troppo. Buffy, la prima volta che lo aveva incontrato, aveva visto solo un volto e un corpo, e non quello che celavano. C’erano fattori che non potevano essere nascosti, e una come lei avrebbe dovuto accorgersene immediatamente, ma si era fatta accecare dall’aspetto. E poi, per abitudine, non aveva più potuto vedere.

Si era sempre stupito che Spike non sfruttasse l’aspetto a suo vantaggio, invece di voler apparire a tutti i costi sgradevole e pericoloso. Invece come si conciava…

Tanto valeva urlare a tutto il mondo “Guardatemi, sono qui per sgozzare bambini!”

Appena entrato, aveva automaticamente assunto un atteggiamento conforme con quelli che lo circondavano. Giles si era spesso chiesto come facesse un essere di un quarto di millennio a discutere e conversare allo stesso livello di ragazzi sedicenni. Non aveva mai saputo che era solo un meccanismo mimetico, una pellicola superficiale che rifletteva coloro che lo circondavano, rimandando la loro immagine, e la sua vera natura non la mostrava mai a nessuno, se non alla fine. Cambiava personalità esteriore, come un camaleonte cambiava colore, assumendo l’atteggiamento che si aspettavano da lui, come aveva fatto con Giles stesso.

Non era telepatico, nel senso che non leggeva i pensieri, ma poteva percepire molto chiaramente i mutamenti di umore e di tensione negli altri, e si adeguava, accomodando impercettibilmente il suo comportamento, fino a che non sentiva di metterli perfettamente a loro agio. Non funzionava con tutti, naturalmente. C’è sempre chi ha un’immunità naturale. Xander non lo aveva mai potuto soffrire, ma aveva frainteso i motivi di tanto astio, credendolo gelosia, mentre in realtà aveva solo avvertito lo sbaglio sotto la familiarità.

 

Prese da bere e si sedette guardandosi intorno. Qui non avrebbe trovato Buffy questa notte. Avevano preso volontariamente direzioni diverse, in una specie di inconsapevole accordo per non incontrarsi sui territori di caccia.

Cercava fra i volti quello che serviva.

Eccola.

Una donna. Giovane, ma non giovanissima. Sembrava di qualche anno più vecchia di lui. Stava ballando con un ragazzo, ma non c’era intimità, nei loro gesti. Conoscenti casuali, lei non era soddisfatta.

 

La segue, aspetta che torni a sedersi. E’ con altre due, ma loro appartengono solo allo scenario. Si guarda intorno, con una sicurezza falsa, e allora lui la osserva. Prima o poi, nel loro vagabondare, gli occhi della donna incroceranno i suoi. Ecco, ha sentito il peso del suo sguardo e lo ricambia, smette di guardarsi intorno per fissarsi solo su di lui. Le sorride, ma non si muove per raggiungerla. Lei deve credere che sia sua la scelta, deve volere avvicinarsi. Non deve essere troppo facile. Questa sera va così il gioco, domani potrebbe essere diverso. Questa sera è una questione di vita, non di sopravvivenza, deve appagare un bisogno diverso dalla fame. Per quello, basterebbe molto meno.

 

Si era alzata, lei. Aveva fatto cenno alle sue amiche e si era diretta verso di lui.

“Ciao. Posso parlarti o corro il rischio di trovarmi le unghie della tua ragazza in faccia?”

“Sono solo, ma ti avverto, non sono qui per parlare.”

“Ottimo. Ma vogliamo almeno presentarci? Io sono Diane.”

“Angel.”

“Angel? Che nome strano.”

“E’ quello che mi hanno dato. Ti va di ballare?”

Non è solo ballare, quello che vuole, e neanche lei. Ma per ora, il ballo può bastare. La donna sorride seducente e gli porge la mano. Lascia che la guidi sulla pista, lascia che la guidi nella danza. Fin dove si lascerà guidare?

 

 

Buffy cadde in ginocchio sulle ceneri della sua ultima vittima, asciugandosi il volto sudato.

Non funzionava. Non funzionava quasi più.

Il piacere orgasmico stava già passando, lasciando nuovamente posto ai pensieri. Il tempo di refrattarietà che seguiva una caccia riuscita diventava sempre più breve. E avrebbe dovuto continuare per protrarlo. Ma c’erano dei limiti temporali, per questo. Guardò con rancore l’est, che le avrebbe presto sottratto la salvezza, rigettandola nel vortice confuso della sua mente, che si risvegliava implacabile quando era inattiva.

(…che cosa vuoi?…)

Ci mancava solo quella domanda. Non sarebbe riuscita a liberarsene, lo sapeva. Già cominciava a corroderla, esigendo una risposta che lei temeva. E c’era una risposta, sepolta sotto la superficie della coscienza. Una risposta che da tempo bussava chiedendo insistentemente di venire alla luce, che aveva tenuto sotto controllo solo perché nessuno le aveva ancora offerto l’occasione giusta per scoprirla. Ma ora….

Si alzò faticosamente. C’era ancora tempo. La venuta dell’alba era lontana.

Strinse le labbra e cominciò a cercare la prossima preda.

 

 

Passò le dita sulla schiena nuda della donna sdraiata sul letto accanto a lui, seguendo la linea rilevata delle vertebre.

“Cosa c’è?” mormorò lei con voce intorpidita.

“E’ tardi per me. E’ finita, ora devo rientrare.”

Diane fece per girarsi sul fianco, ma trasalì e si passò la mano sulla spalla sinistra, segnata da lunghe abrasioni rosse.

Una strana notte. Ne avrebbe portato a lungo i segni. Il ragazzo aveva giocato con il suo corpo, traendo accordi dalle terminazioni nervose come un musicista, portandola a livelli di piacere che credeva impossibili, per scagliarla poi nel buio e nel dolore, ed era stato nulla, rispetto a quello che aveva fatto alla sua mente, creando aspettative di nuovo piacere e nuovo dolore, senza mai rispettarle, e innalzando un edificio di paura, il terrore di quello che sarebbe seguito, fino a quando non si era trasformata in una bambola passiva, lei che non aveva mai ceduto il controllo in vita sua, limitandosi a fare solo quello che lui voleva.

“Ti piacciono le cose particolari, vero? Non ti facevo il tipo.”

“Davvero? E sì che credevo di esserci andato piano.” (In fondo non hai neppure un osso rotto)

Diane rotolò sulla schiena. Guardò l’uomo che ora si era sollevato a metà, appoggiandosi agli avambracci.

Che strani occhi, aveva. Sembravano riflettere un po’ la luce, come se ci fosse del metallo cangiante sotto lo strato scuro delle iridi.

“Te lo avrei detto, se non mi fosse andato bene. Ma te ne devi proprio andare?”

“Temo di si. Tra poche ore è l’alba…”

“E che succede se non rientri? Papà ti toglie la carta di credito?”

“No, però l’incantesimo finisce e io mi trasformo in una zucca.”

Scivolò su di lei con un movimento fluido da serpente, come se gravità e attrito fossero concetti trascurabili. Le ombre palpitanti create dalle fiamme del camino corsero sul suo volto, riplasmandone i lineamenti, conferendogli un aspetto quasi grottesco. Lei ridacchiò, passandogli una mano fra i capelli.

La paura eruttò con violenza. Una paura diversa da quella provata durante la notte.

Il volto sotto le sue dita stava cambiando, la fronte si abbassava sotto una pesante e corrugata cresta ossea, le iridi enormi tenevano ora quasi tutta la superficie degli occhi e anche nella semioscurità brillavano di un oro incandescente.

Diane allontanò di colpo la mano da lui, dalla cosa impossibile che stava capitando.

Le parve di scindersi in due.

 

Una parte della sua mente registra la scena con gelida impersonalità. Le sembra di assistere all’effetto speciale di un film.

E c’è l’altra parte, quella che vive di persona, che vuole urlare, urla. La voce non esce.

Lui ride, i suoi denti sono aguzzi.

Vuole fuggire, il peso di lui la immobilizza. Poche ore prima, un’eternità fa, le era sembrato così piacevole quel peso.

Vuole impazzire, perdere la ragione per essere inconsapevole di quello che succede.

Il respiro le manca, il cuore batte a singhiozzo e si lacera stridendo.

Sa che è morta, ma che strano, riesce ancora a vederlo.

 

 

II

 

… una pianura desolata, i cui limiti si perdono alla vista, sotto la luce rossastra del crepuscolo che oscura l’aria rarefatta. Nuvole basse, pesanti, con luminosi orli sanguigni. Non ci sono alberi, o erba, o altro. Solo l’infinita pianura interrotta da una montagna. Forse è una rupe. Sente una presenza agitarsi dietro l’orizzonte. Il vento comincia a soffiare, sibilando contro la montagna…

 

Buffy aprì gli occhi, ritrovandosi a fissare il soffitto di casa sua.

Era la prima volta che sognava, dopo tanti anni. Uno di quei sogni speciali che avevano più concretezza della realtà.

Sospirò stancamente e si girò nel letto.

 

L’incontro con Angel le aveva lasciato una sensazione dolorosa. Si aggiungeva a quelle che la ossessionavano sempre. Almeno fosse riuscita a definirle. Invece rimanevano indistinte. Non poteva nemmeno dire cosa, sentiva.

Un’irrequietezza continua…

Il cuore che cominciava a picchiare a ritmo tachicardico…

I muscoli tesi…

E quello che vedeva, quello che sentiva, inevitabilmente, irrimediabilmente… sbagliato.

 

Si rigirò ancora, chiuse gli occhi, cercando di riprendere sonno, per annullare il tempo che la separava dalla sera.

 

 

Era arrivata al parco, e si era nascosta il più lontano possibile dall’albero dove si erano fermati a parlare. Non provò nessuna sorpresa nel vedere Angel. Sembrava immerso nei suoi pensieri, ma girò subito la testa nella direzione di lei, allarmato.

(…bene… E’ un piacere vedere che in questi anni non gli ho dato il modo di abbassare la guardia…)

Almeno aveva la soddisfazione di sapere che erano in due a non avere dormito sonni tranquilli.

Uscì dal suo rifugio e si diresse verso di lui, che appena la vide riprese la consueta espressione tra il divertito e l’arrogante, come se il mondo intero esistesse solo a suo uso.

“Ancora qui?” gli chiese.

“Ancora. Ti aspettavo. Tu invece? Passi per caso?”

Buffy sembrava a disagio. Angel sorrise dentro di se. Sapeva il motivo. Era felice di essere qui, con lui, e la consapevolezza di questa felicità la disturbava, e il non poter far nulla per impedirsi di essere felice.

“Tutto questo non ha senso.” brontolò la ragazza.

“Cosa intendi?”

“Vengo qui, parlo con te… E poi? Ci salutiamo? E ognuno per la sua strada, a… a fare quello che facciamo sempre?”

“A uccidere. Non avere paura delle parole, se non hai paura dei fatti.”

“Non ha alcun senso…” ripeté Buffy. La faceva sentire stupida, ripeterlo. In fondo, era qui.

“Chi lo dice? E’ scritto nel tuo libretto di istruzioni?”

“Cominci a perdere la memoria? Noi dovremmo combatterci. Non incontrarci, non chiacchierare, non… altro.”

Per un attimo, è sembrata la Buffy di una volta. La Buffy adolescente, ironica e sicura, cancellata dal peso degli anni.

“Perché no, se è quello che vuoi?”

“E’ tutto quello che conta per te, vero?”

La guardò inclinando leggermente la testa. Doveva sembrargli una domanda senza senso, e, di conseguenza, non esisteva una risposta.

Il suo sguardo la innervosì. Cominciò a camminare avanti e indietro come una tigre in gabbia.

“Non abbiamo finito il discorso, l’altra notte.” disse lui “Io so cosa voglio, tu invece? Te l’ho già detto una volta. Non lo sai.”

“Ero una bambina. Ora sono cresciuta.”

“Si, certo… almeno adesso sai quello che non vuoi. Mi sembri più confusa ora di quando avevi sedici anni.”

“Perché?”

“Tu hai detto che non dovremmo parlare… Però il fatto è che sei qui, il fatto è che parli, e il fatto è che forse c’è anche altro… ”

“E cosa dovrei fare, secondo te?”

“Dipende da quello che vuoi.”

“Al momento, credo che tutto mi sia indifferente.”
“Allora è indifferente fare una cosa piuttosto che un’altra.”

Buffy si mise a ridere. Non era possibile… Una coincidenza?

“Stai giocando a fare il gatto del Cheshire con me?”

Angel la guardava in tralice, poi aveva afferrato il ramo sopra di lui e si era issato sull’albero come un ginnasta sulle parallele.

La ragazza osservò tutta quella strana manovra senza fiatare.

“Ma si può sapere che stai facendo?” chiese alla fine.

“Mi immedesimo nella parte.”

Buffy cercò disperatamente di non ridere di nuovo. Perché la situazione era ridicola, e al tempo stesso non c’era proprio niente di divertente “Ti prego, scendi. Mi fai venire il torcicollo.”

“C’è un bellissimo panorama da qui. E tu non puoi avere il torcicollo. Allora, continuiamo… Perché non vuoi rispondermi? Cosa vuoi?”

(…ricominci?…) “Io… Vorrei essere lasciata in pace.”

“C’è un errore. Se dici… vorrei… implichi che siano gli altri a doverti concedere qualcosa. Le cose devi volerle da sola. Prenderle, se occorre. Non chiedere.”

Buffy cominciò a sentirsi un po’ a disagio.

“E poi il tuo desiderio.” continuò Angel “Pace… Un po’ generico… Che intendi? Vuoi startene a casa a guardare la TV?”

“No… Voglio stare io in pace… Smettila di farmi domande.”

“Smettila di darmi risposte, allora. Io non posso costringerti a restare se non vuoi. Voltati e vattene. Oppure salta su e fammi tacere. O sta li a guardarmi. O mettiti a cantare. Visto quante cose puoi fare? La scelta è tua. Io continuerò con le domande. Eravamo arrivati alla pace. Non ti stai spiegando, Buffy. Mi sembra di capire che vuoi la pace interiore. Se la cerchi significa che per ora ti manca. Perché?”

“Ti stai divertendo? Oppure sei solo stupido? Non riesci a capirlo da solo?”

“No, non capisco. Spiegami tu. Cosa, non funziona? Il fatto che ti ritrovi a dormire di giorno? Non credo. E’ uccidere allora? Ti sconvolgere uccidere? Neanche questo, vero? Se potessi, faresti altro? Pensaci bene. Non te ne andresti più in giro di notte a cercare qualcuno da uccidere?”

Buffy sentiva la nausea alla sola idea di rispondergli. Ma sapeva che mentirgli era completamente inutile. Se ne sarebbe accorto subito. Non avrebbe neppure fatto caso alle parole, se fossero state in contrasto con quello che sentiva. Per lui le parole erano solo un corollario, neppure tanto importante, di un insieme di fattori che costituivano una vera comunicazione. Quindi inutile mentire.

(continua)