Soprattutto
adesso. Jade era arrivata alla conclusione che gli archivi degli Osservatori non
avevano tutte le risposte che cercava e aveva deciso di provvedere da sola.
“Credi
che Buffy e Angel mi permetteranno di esaminarli?” gli aveva chiesto qualche
sera prima “Potrei scoprire cose molto interessanti sul loro conto.”
Giles
era rimasto stupefatto. La ragazza aveva negli occhi una luce famelica che lo
spaventava.
“Non
lo so. Perché non lo chiedi a loro?” era la sola risposta che aveva potuto
darle.
Jade
lo aveva fatto. Buffy si era rifiutata con decisione, ma stranamente Angel aveva
accettato senza discutere, mettendo come sola condizione che fosse lui a
decidere quanto tempo dedicarle e quando.
Giles
ne era rimasto stupito, ma non era la prima volta che il vampiro si comportava
in modo imprevedibile. Forse per lui era tutto un gioco con cui far passare una
parte della sua solitaria eternità, o forse gli fregava così poco delle
persone che lo circondavano, eccetto Buffy, che qualunque cosa facessero gli
umani era indifferente, purché non gli dessero troppo fastidio.
Ma
se gli avesse dato fastidio? Già l’Osservatore viveva nella paura che un
giorno o l’altro uno dei ragazzi, probabilmente Xander, oltrepassasse il
limite di tolleranza di Angel, trattandolo con troppa confidenza, e loro si
potevano considerare amici. Ma cosa avrebbe fatto a questa donna quasi estranea
se lo avesse esasperato? Avrebbe potuto ucciderla quasi senza accorgersene.
Certo, poi avrebbe avuto crisi di coscienza e rimorsi, ma questo sarebbe servito
a poco. Meglio non pensarci. Era affezionato a Angel e non voleva veder
incrinare la loro precaria alleanza. Già, meglio proprio non pensarci. In fin
dei conti non era mai successo niente finora… Per fortuna Buffy non aveva
accettato, altrimenti le preoccupazioni sarebbero raddoppiate. E per fortuna
Jade, presa dal suo nuovo interesse, non aveva insistito con la cacciatrice. Per
ora almeno.
Jade
guardò in tralice Giles e trattenne l’impulso di gettare all’aria quella
marea di libri.
In
quei diari c’era scritto molto, ma in un linguaggio così oscuro e contorto da
far pensare che gran parte fosse descritto per allegorie, e poi profezie e miti
e leggende. Inutile, era tutto inutile. Non quello che lei voleva, quello di cui
aveva bisogno. Buona parte di quei testi era di sublime bellezza poetica , ma a
parte quello…
Non
bastava. Non bastava affatto! Ma come era possibile che quella gente non si
fosse mai fatta domande? Per lei era semplicemente incomprensibile!
Com’era
possibile che non vedessero la complessità del mondo in cui vivevano e che
chiedeva solo di essere ordinata in una struttura comprensibile, una sequenza di
note che poteva essere risolta in una sinfonia e non in un frastuono?
Erano
le sfide che contavano. Gli enigmi che chiedevano una soluzione. E che senso
aveva dire che non si potevano trovare, se prima non ci si provava?
Ora
comunque aveva le basi e poteva proseguire da sola. Era un peccato che Buffy si
fosse ostinatamente rifiutata di collaborare. Lei aveva cercato di spiegarle che
non le avrebbe fatto alcun male, ma la ragazza non aveva voluto sentire ragione.
Invece Angel aveva accettato di aiutarla, anche se non aveva fatto nulla per
convincere la cacciatrice, e intanto come inizio poteva bastare.
Le
avrebbe fatto imboccare un sentiero nuovo. Non sapeva dove l’avrebbe portata,
ma di sicuro l’avrebbe seguito fino in fondo.
Ho
potuto avere un campione di sangue da Angel e ho trovato qualcosa di
assolutamente peculiare. Oddio, non che tutto il resto fosse normale
amministrazione. Sono solo due settimane lo studio e già mi sono ritrovata a
spazzar via principi della biologia che mi avevano insegnato a considerare quasi
degli assiomi.
Il
sangue degli esseri viventi è formato da cellule arrivate alla fine della
propria vita, incapaci di riprodursi e di durata limitata. Nei mammiferi i
globuli rossi non hanno neanche il nucleo. Il sangue di Angel è diverso, le
cellule sono nucleate, e hanno mantenuto la capacità latente di duplicarsi, che
si riattiva a determinate condizioni, e sono riuscita a farle crescere in
coltura.
In
un certo senso la cosa è rassicurante. Significa che comunque esiste una base
tangibile per tutto questo. Nessun fantasma, ma una realtà fisica. Avevo
ragione, alla fine.
Non
so come funzioni, però la cosa non mi scoraggia, tutt’altro. In fondo, non
sappiamo neanche esattamente come funziona la metamorfosi negli insetti. Nel
nostro caso forse è il sangue che provoca attivamente la trasformazione? O si
limita a catalizzare un mutamento potenzialmente già presente? Ogni domanda ne
provoca altre mille e mi chiedo se avrò il tempo di rispondere a tutte.
Intanto,
ho deciso di provare a iniettare il sangue in alcune cavie. Mi rendo conto che
è un sistema decisamente empirico, ma che altro posso fare?
Le
cavie sono tutte morte. Ho provato con topi, conigli, cani, scimmie, ma nessuna
è riuscita a sopravvivere. Tutte morte per arresto cardiaco. Nessun segno di
altre alterazioni. Il cuore si è solo fermato, punto.
Non
credevo veramente che ci sarebbero stati dei risultati, ma non posso certo
mettermi a dar retta a delle sensazioni.
Non
avrebbe senso sacrificare altri animali quando probabilmente la sola specie
suscettibile di metamorfosi è la nostra, quindi quello che devo fare ora è
chiaro. Ma se devo essere onesta con me stessa è sempre stato chiaro. In fondo
ho sempre saputo che sarei arrivata a questo, e non facevo altro che rimandare
una decisione già presa, una scelta già fatta.
Sperimentare
su un essere umano, e sono io l’unica candidata possibile.
Mai
sperimentare su se stessi… il più grave peccato che uno scienziato può
commettere, forse la regola più spesso infranta.
Ho
deciso di tenere due diverse relazioni.
Una
sarà il resoconto tecnico di quest’esperimento. Ho intenzione di monitorare a
intervalli brevi il mio stato fisico nel suo progredire e farne un rapporto
dettagliato. Spero solo di riuscirci. Non servirà a nessuno altro, nessuno lo
leggerà e non posso certo presentarlo ad un congresso. Ma serve a me, e questo
basta.
L’altra
sarà più personale. Scriverò quello che provo, quello… che sta succedendo
dal mio punto di vista soggettivo. Una specie di diario, se così posso dire.
Non so bene perché, ma credo di doverlo fare.
Di
una sola cosa sono certa. Non potrò più tornare indietro e non ho idea di cosa
sarò alla fine, quindi voglio preservare il più possibile quello che sono ora.
C’è
un’ultima cosa.
Mi
spoglio completamente, e osservo allo specchio ogni centimetro del mio corpo.
Una Jade diversa ricambia lo sguardo. Non credo di essermi mai guardata così,
con tanta attenzione. La prima e l’ultima volta. La mia immagine, me stessa.
Poi
afferro un vaso e lo scaglio contro la superficie riflettente, mandandola in
frantumi. E ora sono al centro di un’infinita serie di occhi e volti che da
ogni frammento mi fissano con attenzione.
Non
provo nulla, proprio nulla. Eppure credevo… Ma non è così. E’ solo vetro.
Non sono io.
Ci
siamo. Mi sono estratta 500 cc di sangue e ora inietto direttamente nella vena
radiale del gomito 50 cm³ di sangue alieno. Non è certo il sistema classico,
ma l’idea di berlo mi appare decisamente ripugnante. Aspetto che la bottiglia
della flebo sia vuota, poi tolgo l’ago e vado con cautela alla scrivania. Ho
compiuto tutta l’operazione con la massima lentezza, per evitare che lo shock
da abbassamento repentino di pressione mi facesse perdere i sensi. Nelle
emorragie è soprattutto questo a causare il collasso. Comunque tengo pronta
della caffeina da usare come stimolante nel caso mi servisse.
Ora
devo solo aspettare.
Sta
succedendo qualcosa. Comincio ad aver freddo e mi sento la testa leggera, un
po’ come una leggera ubriacatura, però continuo a pensare lucidamente. Sono
anche indolenzita, ma non è spiacevole. E’ quasi la stessa sensazione che si
prova quando si va in palestra dopo molto tempo di inattività. Giunture
doloranti e muscoli che tremano.
Non
credo che me la caverò con così poco…
Sento
freddo, un freddo incredibile. Non riesco a smettere di tremare. Febbre alta e
battito cardiaco accelerato. Sembra strano, visto che i vampiri sono eterotermi
con una frequenza cardiaca così bassa da sembrare quasi inesistente, ma
qualsiasi alterazione in un organismo può provocare effetti inaspettati e non
mi illudo certo di essere in grado di prevederli. Quello che prima era solo
indolenzimento si è trasformato in vero e proprio dolore, soprattutto a livello
delle articolazioni e delle ghiandole linfatiche, e la cosa peggiore è che sta
aumentando di minuto in minuto…
Ora
comincio a perdere la lucidità, mi sembra che i pensieri rallentino, raggelati
dal freddo micidiale. Mi ricordo una volta in inverno, in Canada… no, sto
divagando, ma diventa sempre più difficile restare coerenti, e sento così
male…
Mi
inietto una forte dose di caffeina e in pochi minuti il torpore svanisce. La
mente si è schiarita ma in compenso il dolore aumenta di colpo, un dolore
pulsante che seguendo il ritmo del cuore sembra diffondersi in ogni cellula del
mio corpo…
E’
la cosa peggiore che abbia mai provato. Come il dolore di un dente scoperto
quando viene toccato da un ago di metallo, moltiplicato e applicato su ogni
singolo nervo del corpo. Vuole che mi addormenti, che mi lasci andare. Sarebbe
troppo facile, non cedo così facilmente.
Uso
altri stimolanti, il mio aiuto chimico. Forse alterano il processo, lo rendono
più difficile e doloroso, ma senza non riuscirei a stare sveglia. Sembra quasi
che manca l’aria e non riesco a respirare a fondo…
Sto
morendo?
Sto
morendo in un modo inimmaginabilmente atroce, per colpa mia? Per qualcosa che so
bene rifarei ancora, e ancora, e ancora…
Di
mia mano ho costruito la trappola che ora mi imprigiona, ho sistematicamente
sbarrato tutte le vie di fuga, e ora non mi resta che seguire fino in fondo
questa strada, bere l’amaro calice… sto impazzendo…
Il
dolore mi travolge a ondate, sembra estromettermi dal mio stesso corpo, ogni
volta mi spinge più lontano.
Alla
fine riuscirà a scacciarmi, e io mi dissolverò nel nulla, lasciando dietro di
me solo un guscio vuoto?
Non
posso muovermi, non posso più quasi neanche pensare. Di chiaro mi restano solo
i ricordi…
Ed
ora sono al punto di partenza.
Sono
ancora qui, ma è possibile che la sofferenza stia diminuendo? Forse si, o forse
mi sto assuefacendo. No, non è possibile abituarsi ad una cosa simile. Sta
veramente passando, e anche il freddo. Defluiscono da me rapidamente, come se si
fosse aperta una diga, partendo dalla periferia e procedendo verso il centro del
corpo e lasciandomi un senso di intorpidito benessere.
Riesco
ad alzarmi dal pavimento e vado alla scrivania. Comincio a scrivere. Mi aiuta,
come mi ha aiutato ricordare. Mi schiarisce il cervello.
Controllo
le mie condizioni.
La
mia frequenza cardiaca è di trentacinque battiti al minuto. La metà circa di
quella umana, ma ancora quattro volte superiore a quella di Angel. Sembra
passata un’eternità da quando ho iniziato, ma in realtà sono solo nove ore,
e non credo proprio che sia finita…
Ho
cominciato a vedere i suoni. Si chiama sinestesi. Conosco questa particolare
alterazione della percezione in cui uno stimolo sensoriale evoca la percezione
di un senso diverso. Un odore come un suono, o un tocco come un colore… e i
suoni come immagini. Non avevo mai conosciuto nessuno che ne soffrisse, e non
avrei mai pensato di sperimentarlo io stessa. Ma ad un tratto, i rintocchi
dell’orologio a pendolo hanno evocato grandi sfere color piombo che
galleggiano nell’aria come immani bolle di sapone, una dietro l’altra,
lente, per svanire nelle ombre. In preda alla paura e alla sorpresa urto il
tavolo, facendo cadere una provetta e il suono del vetro infranto è un
reticolato bianco-azzurro intricato come un cristallo di neve, infinitamente
bello e spaventoso.
O
Dio, è questo che mi aspetta? La confusione e il caos? Mi perderò in un mondo
senza senso e senza logica? Un mondo di bellezza e follia?
Mi
rannicchio in un angolo, pregando come non faccio da anni che questo non sia il
prezzo della mia scelta.
L’abbaiare
di un cane mi appare come una serie di flash tinti di sangue…
La
crisi di sinestesi è finita. Credo fosse solo un effetto collaterale della
riorganizzazione che sta subendo il mio cervello. E ho perso i colori. Ad ogni
ora, forse ad ogni minuto, perdo qualcosa, e acquisto in cambio qualcosa.
Ricordo ancora ciò che mi lascio dietro, ma ne sta svanendo la consapevolezza.
So cosa sono i colori, so che potevo vederli, così come so che non ero in grado
di valutare le distanze con la precisione matematica di adesso. Però non so
quasi più che si prova ad essere come prima, e lo so sempre meno, ad ogni
secondo che passa. E’ difficile da spiegare. Ora il mondo mi appare in due
forme diverse. E’ come lo sdoppiamento di un’immagine televisiva, con il
doppio che si fa sempre più concreto e va a sostituire l’originale.
Alla
fine perderò anche i ricordi? O resteranno, simili ai ricordi di qualcosa che
ho letto, ma che non è mai accaduto a me?
Mi
da fastidio la luce, e i rumori che vengono da fuori. Sono troppi, e troppo
alti. Ma come ho fatto a non accorgermene fino ad ora? E gli odori. Benzina e
gas di scarico dalla strada, eparina e benzoato di sodio dal mio tavolo.
Disgustoso. E poi altri che invece non sono affatto disgustosi, l’odore delle
piante, della pioggia che batte sui vetri, e del sangue… Ma sono troppo
mescolati fra loro, mi si rivolta lo stomaco.
Vado
a chiudere le imposte e così facendo mi ferisco con un chiodo sporgente. E’
solo un piccolo taglio, una cosa senza importanza, ma mi fa stranamente male.
Ma
certo, che stupida sono stata a non pensarci. Un sistema nervoso e sensoriale
tanto sofisticato deve essere necessariamente altrettanto sensibile. Un punto di
forza e di debolezza insieme. Funzionano sempre così le cose in natura, ma
spero che si sviluppi un adeguato livello di resistenza, o corro il rischio
d’impazzire ad ogni suono di clacson…
Sento
un suono, ritmico e splendido.
Più
di uno. Si sovrappongono creando un’armonia che mi attrae, irresistibile…
Posso
separarlo da tutti gli altri suoni, e lo seguo, fino alla gabbia dove tengo tre
topi bianchi.
Sono
loro, da loro viene questa musica, dai loro cuori che cantano, dal loro sangue
che scorre con il suono della marea.
Sono
bellissimi, sono vivi, non riesco a smettere di guardarli, sento il calore che
emanano…
Urto
la gabbia, facendola cadere, e gli animali escono e fuggono per casa. Quasi
senza pensarci li seguo. Cercano di nascondersi, ma posso sentirli, i loro
passi, i loro battiti. Sono come una calamità, ed io un pezzo di ferro, devo
inseguirli. Sposto un armadio che solo fino a ieri mi sembrava troppo pesante
senza alcuna fatica. Quasi non me ne sono accorta. E’ fantastico. Ma ci penserò
più tardi. I topi che si nascondevano sotto il mobile fuggono spaventati. Il
tempo sembra dilatarsi, e li vedo muoversi lentamente, e facilmente ne prendo
uno. So cosa sto per fare, e non voglio. No, non è vero. E’ solo un pensiero
residuo di quello che ero che mi fa sentire in colpa, gli ultimi strati di una
vernice che si sta scrostando. Le due me stessa si combattono, ma non c’è
dubbio su chi sarà la vincitrice. Porto l’animale alla bocca, sento il sapore
della sua paura e della sua vita mescolarsi alle mie lacrime. Credevo fosse
rimorso, ma è gioia…
Mi
sento stanca. Una debolezza che cresce di attimo in attimo, prosciugandomi di
forza ed energia. So cos’è, Angel mi aveva raccontato quello che si prova
all’arrivo del mattino. Guardo fuori. Il cielo si fa sempre più chiaro. Il
Sole sta per giungere con una musica dissonante che travolge le mie difese. Non
voglio certo star qui ad aspettare il suo sorgere. Chiudo le imposte e vado a
sdraiarmi sul letto. Anche così però, sono certa dell’esatto momento in cui
il Sole oltrepassa la linea dell’orizzonte.
La
mia prima alba… è il momento di dormire…
Il
suono del campanello mi sveglia. Ma chi può essere? Vattene, ho sonno…Ma no,
continua. Mi alzo e vado ad aprire la porta, tenendomi lontana dalla luce del
Sole. Non è difficile, mi respinge come un cattivo odore.
E’
Michael, il mio collega… Ma che vuoi? Vattene, stammi lontano…
“Che…
che cosa fai qui?” gli chiedo, cercando di liberarmi dalla sonnolenza.
“Ciao,
Jade. All’ospedale mi hanno detto che non stavi bene e ti eri presa qualche
giorno.”
Si
certo. Proprio qualche giorno.
“Si,
è vero. Non sto bene.”
“Non
mi sembra che stai male. Solo un po’ stanca, forse, ma bella come al
solito.”
Ma
che razza di discorso cretino sta facendo? Crede di essere l’attore di una
soap opera?
“Michael,
per favore. Non sono… non è il momento questo. Vorrei star sola.”
“Cazzate,
Jade. Tu sei sempre da sola. Mi fai entrare? E’ stupido stare qui a parlare
sulla porta.”
Prima
che possa dire qualcosa, è entrato in casa … no idiota… va via…
Invece
si siede sul divano e mi sorride, come se si aspettasse che mi sieda vicino a
lui. Preferisco stargli lontana, e mi metto sulla poltrona più distante.
“E’
un bel pezzo che non ti si vede più fuori dai turni.”
“No,
è vero. Sto… dietro ad una ricerca personale. Non ho molto tempo.”
“Lavori
troppo, Jade. Te lo sempre detto.”
Parla,
ma quello che dice non ha vero significato. Lui si, però. Sta diventando sempre
più… intenso… su uno sfondo quasi bidimensionale. E’ come il centro di
convergenza di tutto l’ambiente. Non riesco a toglierli gli occhi di dosso…
“Mi
sei mancata, lo sai?”
La
luce sembra concentrarsi intorno a lui, lasciando il resto della casa offuscata.
Voglio andare da lui, voglio prenderlo, voglio la luce…
Una
sua domanda si fa strada in me.
“Cosa?
Cosa hai detto?” gli chiedo.
“Posso
avere qualcosa da bere?”
“Si,
certo. Te lo porto subito.”
…prendiloprendiloprendilo…
No,
non devo pensarci. Non devo guardarlo. Vado in cucina, verso del vino e glielo
porto.
Mentre
glielo porgo, la sua mano sfiora la mia e sento una specie di corrente elettrica
percorrermi i nervi … è così caldo… così vivo…
Mi
prende il braccio e si alza.
…no,
Micheal, non farlo…
Mi
alza il viso e mi bacia, la sua lingua cerca la mia, ho quasi le vertigini,
quello che voglio è qui, alla mia portata…
“Ti
spiace che ti ho baciata?”
“No,
non mi spiace.”
Ma
perché hai fatto una cosa simile? IDIOTA!
Gli
accarezzo le braccia, e lui urla, improvvisamente. Le mie unghie sono diventate
artigli uncinati come quelli dei gatti, che aprono la sua pelle con il rumore
della seta strappata. Lui mi guarda in faccia, e la collera svanisce dai suoi
occhi per lasciare il posto ad un terrore infinito.
…si,
giusto, mi piace…
Cerca
di respingermi, ma io lo trattengo. E’ talmente facile, anche se lui è tanto
più alto e robusto di me.
…
avanti, fammi vedere se riesci a scappare…
Provo
a passare ancora la mano sul suo torace, facendo a pezzi la maglietta e la sua
carne. Incredibile quanto è semplice, come un bisturi sulla buccia di
un’arancia.
Ora
sanguina, ed è questo che voglio. Lo trascino verso di me, cerco di morderlo al
collo, ma lui si divincola e non riesco bene… e grida… quanto grida…
Gli
chiudo la bocca con una mano e cerco ancora la sua gola, però riesce quasi a
liberarsi e urla ancora, orribili suoni sgraziati che mi feriscono e mi fanno
diventare sempre più frenetica e furiosa. Lo getto in terra, mettendomi sopra
di lui.
…zitto…
sta zitto…
“Ti
ho detto di stare zitto…” urlo, e quasi senza rendermene conto gli afferro i
capelli e gli sbatto la testa sul pavimento, ancora e ancora. Finalmente le sue
grida stridenti cessano e si affloscia a terra. Anche se si muove ancora non
riesce più a contrastarmi, e posso affondare i denti nel suo collo.
(continua)