Sto morendo?
Sto morendo in
un modo inimmaginabilmente atroce, per colpa mia? Per qualcosa che so bene
rifarei ancora, e ancora, e ancora…
Di mia mano ho
costruito la trappola che ora mi imprigiona, ho sistematicamente sbarrato tutte
le vie di fuga, e ora non mi resta che seguire fino in fondo questa strada, bere
l’amaro calice… sto impazzendo…
Il dolore mi
travolge a ondate, sembra estromettermi dal mio stesso corpo, ogni volta mi
spinge più lontano.
Alla fine
riuscirà a scacciarmi, e io mi dissolverò nel nulla, lasciando dietro di me
solo un guscio vuoto?
Non posso
muovermi, non posso più quasi neanche pensare. Di chiaro mi restano solo i
ricordi, e allora mi aggrappo ad essi.
Per rivivere le
azioni che mi hanno portata a questo momento, per restare me stessa…
Jade camminava
nei corridoi dell’ospedale. Non era obbligata a fare di persona il giro di
controllo. C’erano le infermiere per quello e se ci fosse stato bisogno di un
medico l’avrebbero chiamata subito, ma non aveva mai voluto affidarsi agli
altri per ciò che poteva fare da sola.
La notte era
silenziosa, e le poche persone che incontrava le facevano a malapena un cenno
prima di proseguire.
“Perché
accetti sempre i turni di notte?” le aveva chiesto Michael, un suo collega
“Potresti rifiutarli qualche volta. Potresti riposare un po’. Sono quasi
otto mesi che sei qui. Insomma, non devi comportarti come l’ultima arrivata
per sempre.”
Ma come fargli
capire che lei amava la quiete della notte, almeno quanto detestava la compagnia
degli altri? Non aveva neanche tentato di spiegare. Se voleva avrebbe compreso
da solo, altrimenti nulla di quello che avrebbe detto sarebbe servito. Per lei
non cambiava niente.
Al diavolo,
sapeva quel che voleva Michael. L’aveva invitata fuori diverse volte e ad ogni
rifiuto pareva farsi più insistente. Sembrava non riuscisse a capire come una
ragazza potesse preferire passare le notti lavorando in ospedale piuttosto che
rotolandosi nel letto con uno splendido esemplare di maschio californiano come
lui.
Non era certo
per quello che aveva accettato il posto in questa piccola città. Si era
laureata da meno di un anno, e con i suoi voti e le sue referenze aveva ricevuto
subito diverse offerte. Ospedali più grandi, più importanti. Ma quando aveva
saputo che a Sunnydale cercavano personale, si era sentita attratta come in
insetto dalla luce. Aveva lasciato la sua famiglia e si era diretta in
California. Appena arrivata aveva capito che non se ne sarebbe più andata.
E’ il clima,
si era detta. Per una come lei, originaria di una città come Vancouver, dove
gelo e neve la facevano da padroni per otto mesi l’anno, era un paradiso. Si,
certo, peccato che lei non andava quasi mai a godersi le belle giornate.
E’ la
tranquillità, aveva pensato poi. Non essere assillata dalla folla di una grande
città. Solo che in quei paesi la gente era ossessiva e fastidiosa fino
all’inverosimile, e lei lo sapeva bene. Tra l’altro nemmeno il lavoro era
riposante, l’ospedale non era grande, ma affollato, troppo affollato. Le volte
che era stata di turno al pronto soccorso erano state una vera follia.
Tanto valeva
accettare il fatto che non sapeva perché si fosse lasciata incantare da quel
posto. Forse era l’unica cosa irrazionale che avesse mai fatto in vita sua.
Passando
silenziosamente davanti ad una stanza, vide una figura china sul paziente. Che
ci faceva li? Non era un membro del personale ospedaliero, non aveva il camice.
E non poteva essere un parente. Non era certo orario di visite e quello non era
un reparto dove ci fossero malati così gravi da giustificare un’infrazione
alle regole.
Jade arrivò
alle spalle dello sconosciuto. Lei camminava come un felino, senza neppure
accorgersi di quanto fosse silenziosa. Spesso spaventava le persone, ma a volte
non riusciva a far rumore neanche volendo.
“Si può
sapere che sta facendo qui?” esclamò
L’uomo si voltò
di colpo, preso di sorpresa.
Solo la paura
impedì a Jade di urlare. La paura che la pietrificò, che quasi le fermò il
cuore.
Perché quel che
si era voltato era qualcosa di indescrivibile. Qualcosa con occhi gialli e
brillanti da gatto, e zanne affilate. Qualcosa di tanto più orribile proprio
perché simile a un uomo, a come un uomo sarebbe apparso se tutta l’oscurità
del suo animo avesse preso volto e corpo.
Fu la sua
prontezza di riflessi a salvarle la vita. Il mostro le si slanciò contro, ma
invece di scappare Jade afferrò una sedia e lo colpì violentemente, poi corse
al campanello dall’allarme e lo suonò cominciando ad urlare.
L’essere fuggì
rapidissimo e la ragazza stava per inseguirlo quando sentì il paziente nel
letto rantolare e vide il cuscino impregnato di sangue. Per alcuni istanti non
seppe che fare. Il suo dovere era per il malato, ma quella cosa… doveva sapere
di che si trattava.
(Mi spiace) pensò,
e corse fuori dalla stanza.
Aveva tardato
solo di pochi secondi, ma l’essere era già molto lontano, e aumentava il suo
vantaggio ad ogni passo. Quando Jade uscì correndo dall’ospedale, sotto lo
sguardo attonito dei presenti, era quasi scomparso.
Forse non
sarebbe mai riuscita a raggiungerlo, ma ora il suo solo pensiero era di
trovarlo. Aveva dimenticato la paura provata, il paziente sanguinante… solo
quella cosa mai vista prima contava.
Senza
accorgersene si trovò in una zona deserta, niente case o costruzioni. Aveva
perso di vista il suo obiettivo e si fermò guardandosi attorno. Ma dove era
finita? Non aveva pensato che l’ospedale era in periferia e ora lei si trovava
vicino alla boscaglia che circondava la città. Il buio era quasi assoluto,
eccetto la luce delle stelle e di una mezza Luna e solo adesso la giovane donna
si rese conto che ciò che inseguiva era probabilmente molto pericoloso.
Sentì strani
suoni provenire da oltre un gruppo di alberi e li seguì, dimenticando subito i
timori che aveva appena ricominciato a provare.
Appena al di là
della fila di vegetazione vide alcune figure che sembravano impegnate in un
combattimento. L’essere che aveva inseguito e altre tre persone. Una di queste
pugnalò con un gesto rapidissimo il mostro, che si dissolse in una nube di
polvere, sotto gli occhi raggelati di Jade.
(Oddio,
oddio…) pensò (non è possibile, cosa sta succedendo…)
“ … che
succede?” gridò, non pensando al rischio che poteva correre. I tre si
voltarono a guardarla. Erano adolescenti, una biondina, un ragazzo bruno e una
bellissima ragazza che sembrava uscita dal concorso di reginetta del liceo e
appariva completamente fuori posto in mezzo alle sterpaglie e ai combattimenti.
Nessuno dei tre poteva avere più di sedici o diciassette anni.
“Che ci fa
qui?” chiese la bionda, in tono quasi minaccioso.
Jade non era un
tipo facilmente impressionabile, e lo aveva dimostrato quella sera (vero che lo
aveva dimostrato?) e non aveva intenzione di farsi intimorire da una ragazzina.
“Ho visto…
ho visto quella… cosa, che spariva. Cos’era? Cosa avete fatto?”
“Questo non è
posto dove fare una passeggiata, signora.” disse il ragazzo.
“Non stavo
passeggiando.” replicò Jade cercando di ritrovare la calma “Quell’essere
era in ospedale. Ha ferito un mio paziente, forse lo ha ucciso. Sono riuscita a
farlo scappare e l’ho inseguito fin qui… “ Con un certo fastidio si rese
conto che stava cercando di giustificare la sua presenza. Era una cosa che non
faceva mai con nessuno, ma questi ragazzi erano strani. Non si comportavano con
l’artificiosa arroganza o con la timidezza che gli adolescenti mostrano verso
gli adulti. Avevano invece una sicurezza anormale, e la determinazione di
un’età avanzata.
“Ed è ancora
viva?” esclamò il giovane in tono ammirato, rivolto alle compagne “E’ una
di quelli fortunati.”
“Vada a
casa.” disse la biondina “Si sbrighi. Non sono affari suoi.”
Con questo i tre
sembrarono perdere ogni interesse nei suoi riguardi e cominciarono a parlottare
a bassa voce fra loro, ma Jade rimase ferma a guardarli.
“E questa? Ha
perso la strada?” mormorò una voce proprio dietro di lei. Jade si voltò
ansimando e quasi sbatté contro l’uomo comparso alle sue spalle, silenzioso
come un’ombra. Un giovane, circa della sua età, con un viso splendido e
freddi occhi neri che la studiavano come se lei fosse una specie di bizzarro e
sgradevole animale.
“Posto
sbagliato, momento sbagliato.” disse la bionda “E quello che stava
scappando?”
“Non è andato
lontano.” rispose lui, sorridendo alla ragazza e lanciandole una cosa simile
ad un legno appuntito. Lei lo prese al volo, restituendo il sorriso. I loro
erano volti di persone per cui il resto del mondo ha cessato d’esistere. Senza
più curarsi di Jade, il giovane si diresse verso la ragazza bionda, le passò
un braccio intorno alla vita e insieme cominciarono ad allontanarsi. Gli altri
si presero per mano e li seguirono a qualche passo di distanza.
“Aspettate.”
gridò Jade “Voglio sapere cosa è successo.”
La reginetta di
bellezza scosse la testa e tornò indietro. Gli altri si fermarono ad
aspettarla, il suo compagno con aria impaziente, gli altri due sempre
strettamente abbracciati e indifferenti a tutto tranne che a se stessi.
“Senta
cara,” disse la ragazza “Le abbiamo già detto cosa fare. Torni a casa e non
ci pensi.”
“Cordelia!”
esclamò il suo amico “Andiamo, domani abbiamo l’interrogazione e voglio
dormire un po’.”
“Arrivo.”
gli rispose, poi si rivolse ancora a Jade “Lo dico per lei, non si faccia
domande.”
Le sorrise, e
corse a raggiungere gli altri. In pochi istanti erano svaniti tutti
nell’oscurità, come se non fossero mai esistiti. Ma ora l’erba era
calpestata, e macchiata di sangue.
Jade era
arrivata al liceo. Dell’avventura di tre notti prima, le era rimasto solo un
nome, Cordelia, e il vago accenno alla scuola. E i suoi ricordi, naturalmente.
Quelli erano impressi a fuoco dentro di lei.
Girò un po’,
guardandosi attorno. Non vedeva nessuno dei ragazzi che aveva incontrato, ma
c’erano così tanti giovani che non si aspettava certo di trovarli subito.
Meglio chiedere.
Cordelia non era un nome comune e difficilmente più di una persona lo portava.
Cercò attentamente. I ragazzi riuscivano ad essere più omertosi della mafia,
quando volevano, e se si fosse rivolta alla persona sbagliata, o nel modo
sbagliato, non avrebbe ottenuto nulla.
Finalmente trovò
i tipi che poteva conoscere una miss liceo. Un gruppetto di ragazze intente a
pendere dalle labbra di una biondina che parlava con un gran agitare di mani e
risatine fasulle.
Tipica troietta
di provincia. Moderatamente ricca, moderatamente bella, moderatamente sveglia.
Classico animale subalterno, in sostituzione del capo branco, dispotica con i
deboli e pronta a chinare la testa di fronte a chiunque sentisse gerarchicamente
superiore. La preda ideale per Jade, che la avvicinò.
“Ciao,”
disse “sto cercando Cordelia. Sai dove posso trovarla?”
Harmony la guardò
e vide una donna più bella e decisa di quanto lei non avrebbe mai potuto
sperare di essere. L’occhiata altezzosa si trasformò subito in un sorriso
“Buongiorno.”
le rispose educatamente “Cordelia? Si, credo di si. Ora non ha lezione, forse
può trovarla in biblioteca, passa lì quasi tutto il suo tempo libero.”
“Grazie.”
mormorò Jade allontanandosi.
Trovò
rapidamente la biblioteca ed entrò tirando un sospiro. Un bell’uomo di mezza
età le si avvicinò sorridendo.
“Salve.” la
salutò, con uno spiccato accento inglese “Posso fare qualcosa per lei?”
“Ma guarda un
po’.” disse una voce ironica, prima che lei potesse rispondere “La nostra
fortunata signora.”
In un angolo,
vicino ad un computer c’era il più giovane dei due ragazzi che aveva
incontrato e Cordelia. Gli altri due mancavano, ma in compenso era presenta
un’altra ragazza, con i capelli rossi e l’aspetto di topolino sperduto.
“La conosci,
Xander?” chiese l’uomo, probabilmente il bibliotecario.
“Come no? E’
la tizia che ci ha visti l’altra sera.”
“Ah. Capisco.
Allora immagino di sapere cosa vuole.”
“Risposte.”
replicò Jade, con un certo nervosismo. Questa volta non avrebbe permesso che
parlassero di lei come se non fosse presente. L’uomo sembrava a disagio, e la
ragazza decise di prendere in mano la conversazione.
“Sono
Jade Siebert. Ho visto qualcosa… di strano.
Volevo parlare con i ragazzi, ma a quanto pare anche lei è immischiato. Tanto
meglio, forse una persona adulta non giocherà a fare il misterioso.”
L’uomo sembrò
cedere. Le fece un cenno verso una poltrona e si sedette a sua volta,
guardandola tristemente.
“Mi chiamo
Rupert Giles. Loro sono Willow, Cordelia e Xander.” Le sorrise, un po’
tristemente “Io la capisco, sa? I ragazzi mi hanno raccontato cosa è
successo. Mi dica, lei non è di Sunnydale, vero?”
“No, sono
canadese. Di Vancouver.”
“Lo
immaginavo. La gente di qui non si stupisce facilmente. Posso chiederle come è
finita in quel campo?”
“Sono medico
all’ospedale cittadino. Tre notti fa un essere, non so come altro chiamarlo,
ha aggredito un paziente. Io l’ho inseguito e ho visto una ragazza
disintegrarlo. Ho quasi creduto di avere avuto un’allucinazione, ma poi
all’ospedale ho scoperto che il paziente era morto, e questo non era certo un
sogno. Morto dissanguato, e sgozzato. Un quattordicenne ricoverato per togliersi
l’appendice. Insolito, vero? Io sono curiosa e mi sono chiesta se non fosse
capitato altre volte. Così ho cercato negli archivi dell’ospedale e ho
trovato tante cose strane. Innanzi tutto un’incidenza di mortalità da far
invidia al Bronx, soprattutto fra chi è tra i dieci e i trent’anni. Poi un
numero insolitamente alto di ricoverati per… diciamo aggressioni animali.
Questo in sintesi. Ci sono altre bizzarrie, ma credo che può bastare, vero? Mi
ricordavo il nome di Cordelia e, beh, non c’è voluto molto per trovarla. Ora
vorrei sapere cosa succede in questo posto.”
Giles capì che
la donna non avrebbe accettato un rifiuto. Dopo quel che aveva fatto, non
sarebbe certo stato lui a impressionarla. Un’altra persona da portare a
conoscenza del loro segreto. Ormai cominciavano ad essere in troppi. Qualche
volta gli veniva da pensare che poter tenere nascosta tutta la storia fosse solo
una sua illusione.
“Le cose qui
sono… complicate. Non posso spiegarle subito. Devo prima parlare con altre
persone e adesso la biblioteca è aperta, arrivano gli studenti per i libri e
noi abbiamo bisogno di tranquillità. Vorrei che tornasse qui questa sera e
potremmo parlare, insieme a tutti i diretti interessati.”
“Questa sera?
E si farà trovare o sparirà in una nuvola di polvere? Le dico subito che le
vostre allusioni e le frasette stile agente segreto non fanno altro che
incuriosirmi ulteriormente.”
“Le prometto
che avrà una spiegazione. Non posso assicurarle che le piacerà, però.”
Jade capì che
per ora non avrebbe ottenuto altro.
“Va bene.”
disse “Mi faccio sostituire all’ospedale e questa sera sono qui. Signor
Giles, sono una persona ostinata, e per quanto mi riguarda i segreti servono
solo per essere scoperti.”
“Questo l’ho
capito.” mormorò l’inglese, guardando Jade uscire dalla biblioteca.
Per le nove era
tornata. All’interno c’erano
tutte le persone che aveva già incontrato, e una donna snella dai grandi occhi
scuri, e tutti la fissavano. Le sembrò quasi di essere sotto processo, ma
questo non fece che accrescere la sua decisione.
“Dottoressa
Siebert,” disse Giles “Non posso dire che è un piacere rivederla. Anzi,
speravo che avesse cambiato idea.”
“Mi spiace, ma
spero capisca che non posso fare altro.”
“Si, certo. Va
bene.” Con un certo imbarazzo indicò i presenti “Conosce già Cordelia,
Willow e Xander. Lei è Jenny Calendar e loro sono Buffy ed Angel. Credo che li
abbia già visti.”
Era evidente che
Giles cercava di prendere tempo, ma Jade non era impaziente. Al momento tutta la
sua attenzione era concentrata sui presenti. Capiva le persone per istinto, era
in grado di sapere cosa fossero e come agivano solo guardandole. Forse erano gli
atteggiamenti, o gli sguardi o qualcosa che era in grado di analizzare
inconsciamente e arrivare a conclusioni che agli altri sfuggivano. Era qualcosa
che andava oltre l’intuizione, ma si era sempre rifiutata di credere alle
percezioni extrasensoriali, e soprattutto non voleva pensare che lei potesse
avere a che fare con una cosa simile. Lo odiava, come odiava tutto quel che non
aveva sotto controllo, anche se spesso era molto utile. Nel suo lavoro, ma anche
in momenti, come adesso. E quello che sentiva in questa gente la turbava.
Il gentile
bibliotecario chiudeva dentro di se una violenza e una rabbia che spaventavano
anche lui, ed era imprigionato fra un ruolo che odiava e le passioni che
provava.
La donna
nascondeva qualcosa e non era loro amica,
Xander, sotto la
sua giovialità e la sua allegria, sarebbe stato capace di qualunque cosa pur di
ottenere quel che voleva e sarebbe passato con la forza di un camion su chiunque
si fosse trovato sulla sua strada.
Sentì una
speciale affinità con la ragazzina dai capelli rossi. Sapeva che era spinta
solo dalla sete di sapere, come lei d’altra parte, e che come lei avrebbe dato
la vita, l’anima e il cuore per esso.
Cordelia era
molto più complessa, intelligente e sensibile di quanto volesse apparire,
intrappolata com’era nel suo ruolo di bella della festa, e sentiva la
solitudine chiudersi intorno a lei anche quando era circondata da amici, e forse
non sapeva neanche quale forza nascondeva.
Buffy e Angel le
facevano venire i brividi. Stavano vicini, le loro mani si toccavano
distrattamente, come se fossero incapaci di distaccarsi per più di qualche
secondo e i loro occhi continuavano ad incontrarsi, distogliendo la loro
attenzione dagli altri. Jade aveva già visto quell’espressione. Sulle facce
dei malati terminali, quando viene somministrata la morfina e il dolore
insopportabile comincia a svanire. La stessa espressione di fame saziata, e
avidità, e paura che l’effetto svanisse… Amore? Forse, ma certo non il
genere d’amore di cui si legge nelle fiabe. Non il genere d’amore che Jade
avrebbe voluto provare.
La ragazza
sembrava un essere in fase di formazione. Una creatura di pura energia, per ora
ancora embrionale, e controllata, ma Jade era sicura che non sarebbe rimasta così
a lungo.
Il più
inquietante era Angel. Nei suoi occhi non c’era nulla di riconoscibile. Era
come guardare gli occhi di un serpente o di uno scorpione. Non vuoti,
tutt’altro che vuoti, ma qualunque cosa vi affiorasse era incomprensibile. Il
solo termine che le venne in mente per descriverlo era “estraneo”.
“Immagino che
lei non creda nel soprannaturale.” disse Giles, interrompendo le sue
riflessioni.
“No,”
rispose lei “direi proprio di no.”
“Allora temo
che dovrà ricredersi.”
Cominciò a
raccontare, partendo dalla singolarità del paese dove si trovavano e
proseguendo parlando delle creature con cui condividevano il mondo e il lavoro
che erano stati chiamati a compiere.
“Voi volete
farmi credere a delle favole.” mormorò Jade alla fine.
Senza una parola
Buffy la prese per un braccio, la portò vicino ad Angel, che era rimasto
immobile appoggiato ad un muro, e le mise a forza la mano sul petto del giovane.
Jade sentì… niente. Non il battito del cuore, o il dilatarsi del torace nel
respiro. Freneticamente, gli prese il polso, cercando sotto la pelle gelida le
tracce della vita come lei la conosceva, ma trovò solo un sommesso pulsare
ritmico e lento che non assomigliava certo ad un suono cardiaco e il lieve
fremito involontario dei muscoli. Lo guardò negli occhi bui e si sentì mancare
il respiro. Fece qualche passo indietro e sarebbe caduta se Xander non
l’avesse sorretta.
“Ehi ehi ehi
dottore, non ci muoia qui. Lo sa quanto è difficile sbarazzarsi dei
cadaveri?” disse accompagnandola ad una sedia. “Le donne! Fai di tutto per
essere gentile con loro, e poi cadono sempre ai piedi di quelli senza cuore.”
Il goffo
tentativo di sdrammatizzare del ragazzo non ottenne nulla. Jade aveva le
vertigini. Quello che le avevano raccontato sembrava assurdo, era assurdo, ma
non poteva ignorare quel che aveva visto e soprattutto ora non poteva ignorare
Angel. Era una donna adattabile, e se il mondo si rivelava diverso da come aveva
sempre creduto, la sola cosa da fare era cercare di impararne il più possibile.
Già cominciava
a pensare a cosa avrebbe chiesto, a cosa avrebbe fatto.
Giles osservava
la giovane donna intenta a sfogliare i suoi testi. Da quando Jade era venuta a
conoscenza della verità, passava tutto il suo tempo libero in biblioteca,
mangiando panini e dormendo poche ore sulle sedie e, talvolta, dimenticandosi di
fare sia l’una che l’altra cosa.
Era spinta da
una smania di sapere che superava anche quella di Willow e che all’Osservatore
sembrava francamente preoccupante. Assorbiva qualunque cosa e faceva domande a
cui né lui né altri avevano risposte.
Dove l’avrebbe
condotta quella strada, Giles non riusciva ad immaginarlo. Quando si era
presentata da lui chiedendo, o meglio esigendo, una spiegazione, Giles si era
rassegnato, pensando che in fondo un medico dalla loro parte poteva sempre
essere utile, ma a volte si pentiva di averle parlato.
Ora si sentiva responsabile anche di lei, di quella ragazza dalla mente tagliente come un rasoio e l’insoddisfazione nello sguardo.
(continua)