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Pisodeuorrior
Le Mirabolanti Avventure di Hector Poor Q. Dew

Chi nella Regione conosce Hector Poor Q. Dew ha generalmente intorno alla sua figura più domande che risposte, sebbene tutti concordino indistintamente nel riferirsi a lui chiamandolo “l’Indagatore dell’Improbabile.”
­Le leggende sulle sue singolari peculiarità andavano dalla natura della lente di ingrandimento che teneva sempre in mano – si pensava fosse una lente incantata che permetteva di individuare le invisibili creature che scovava nei recessi più insoliti dei boschi incantati – alla vezzosa Q che poneva tra il nome di battesimo e quello di famiglia.
In realtà le voci sul suo conto erano più o meno tutte errate, a partire dalla definizione di “Indagatore dell’Improbabile” che solitamente lo accompagnava o – meglio – lo precedeva.
Hector infatta rifiutava con sdegno quel titolo rispondendo che lui non indagava l’Improbabile, lui lo eliminava.
Quest’ultima parola veniva pronunciata con lo sprezzo di una personalità che, semplicemente, si rifiutava di accettare che quanto non veniva definito “ordinario” o “possibile” venisse a turbare le tranquille esistenze dei buoni cristiani.
Hector era un terribile abitudinario e non si premurava di nasconderlo ad alcuno. Se per sbaglio un giorno il sole gli avesse fatto l’impudenza di spuntare qualche minuto prima, Hector l’avrebbe sicuramente rimbrottato facendolo tornare al suo posto, ad aspettare l’ora che egli stesso riteneva fosse la più appropriata.
Per questa sua invincibile caratteristica che non ammetteva né paura, né ritardi, il serio gentiluomo si trovò ad essere ben presto il maggior conoscitore – e nemico - di quanto di norma ai più rimaneva sconosciuto, ma che spesso influiva negativamente sulle pacifiche vite di quelli che si trovava ad aiutare. Tra le creature misteriose che il valoroso si premurava di rimettere al proprio posto si annoveravano ormai vampiri, licantropi, goblinoidi, orchi, folletti, pixies, leprecauni, fate, più un centinaio di specie non ancora catalogate.
Per farla breve, Hector Poor Q. Dew era la prima autorità in quanto a conoscere ed affrontare quello che comunemente veniva definito “Paranormale”.
Ed è proprio una delle situazioni che il buon Hector era abituato a fronteggiare che ci proponiamo di narrare ora.

Una sera infatti, il buon Hector fu pregato di recarsi di gran carriera alla casa degli Happenbau per indagare sulla misteriosa malattia dell’ultimogenito, di appena sei mesi di età.
La notte era scura e piovosa quando il Signor Happenbau, professione mugnaio, aprì l’uscio della sua modesta abitazione ad un Hector terribilmente bagnato, che si apprestò ad invitare accanto al focolare sebbene la sua persona, ritta come un manico di scopa, non desse il minimo segno di infreddolimento.
“Poor Q Dew, finalmente siete arrivato, per carità del Cielo”.
“Si, sono arrivato a risolvere i vostri problemi, buon mugnaio, di cosa si tratta di preciso?” – rispose Hector girandosi a mezzo dalla fiamma del camino cui si era accostato.
“Si tratta di mio figlio, il piccolo Hermann, da una settimana ormai sembra affetto da una fame diabolica che niente sembra poter saziare”
“Diabolica­? – fece Poor Q Dew acceso di genuino interesse – cosa intendete per diabolica?”
“Intend­o che il piccolo piange e si dimena di continuo per la fame, ma non importa cosa gli si dia da mangiare, dopo qualche minuto implora ancora cibo, e niente sembra poterlo saziare. Capponi arrostiti, cosce di agnello, quarti di manzo, verdure bollite, anatre ripiene, torte alla crema, uova, lardo, biscotti, niente si salva dalla sua insana voracità. Cosa può avere, Vostra Eminenza? Devo farlo esorcizzare?”
“Ma che esorcizzare, andiamoci piano col demonio, è sin troppo sopravvalutato. Dov’è la creatura?”.
“E’ su, con mia moglie, che gli sta versando in gola un secchio di minestrone con l’aiuto di un imbuto”
“Bene, mi ci porti”
I due salirono alle stanze da letto, in una delle quali una donna robusta e dal viso preoccupato stava versando galloni di minestra nella bocca vorace di quel piccolo frugoletto.
Quando Hector entrò nella stanza col fiero cipiglio di chi è arrivato a sistemare una questione, la donna smise di versare ed il bambino sembrò sul punto di cominciare a strillare, ma rimase insolitamente muto quando Hector lo fissò col suo penetrante occhio azzurro.
Pochi riuscivano a sostenere il suo sguardo senza mostrarsi in imbarazzo, ed il piccolo non fu da meno.
L’uomo lo osservò d’appresso col suo sguardo fermo e serio, poi trasse dalla tasca del gilet la sua celebre lente d’ingrandimento e prese a studiarlo da ogni angolazione.
Il piccolo seguiva l’intera operazione con un misto di interesse ed apprensione, sino a quando l’uomo non ripose in tasca l’arnese ed intimò con fare professionale: “buona donna, metta subito a bollire dell’acqua nel pentolone più grande che avete, il problema andrà subito risolto, vedrete.”
La donna si apprestò ad eseguire, e con grande delicatezza Hector prese in braccio il bambino – che rimaneva stranamente pacifico – per portarlo di sotto.
Quando l’acqua fu pronta ed il pentolone bolliva allegramente, si premurò di spiegare qualcosa ai poveri genitori.
“Ora farò qualcosa che potrete non capire, ma vi avverto che se proverete a fermarmi io userò questa – e trasse nuovamente di tasca la lente – e vi trasformero in due ratti in men che non si dica, è tutto chiaro?”
In realtà l’oggetto non era che una normalissima lente, ma la sua terribile fama bastava da monito meglio di quanto avrebbe fatto un moschetto.
Sempre tenendo in mano la lente come fosse un crocifisso, Hector prese il bambino e si avvicinò al pentolone, e con voce ferma dichiarò. “Io invoco Fuoco e Acqua affinchè spazzino via il male che invade questa creatura! Vade retro, Satana!” – e ciò detto fece per lanciare con gesto deciso il piccolo fagotto nell’acqua bollente.
I due poveri mugnaio gli si gettarono incontro nonostante il terrore della lente magica, ma ciò che udirono li fece desistere.
Con voce potente e maledettamente maschile il bimbo proruppe in un disperato richamo:” MAAAAMMMAAAAA!”
All’istante, come materializzata dal nulla, a due passi dal pentolone comparve un donnino esile ma dall’aspetto deciso, con la pelle di una strana sfumatura verdastra ed i capelli simili ad alghe portate a riva dalla corrente.
Con un gesto repentino sottrasse il fagotto al buon Hector, e nel volgere di un secondo lasciò al suo posto un identico fagotto, scomparendo subito dopo.
I due genitori sembravano frastornati: ”ma… ma….” boccheggiavano.
“Calma, calma, è tutto a posto ora. Questo è il vostro vero figlio, quello che avete nutrito per una settimana non era che un suo sosia del Piccolo Popolo posto nella culla per essere sfamato a sbafo.
Una volta adulto vi avrebbe sopraffatto per tornare dalla madre, e sia voi che il vostro vero figlio sareste stati perduti.”
Ciò detto pose alla coppia un vecchio manoscritto, in cui compareva niente meno che la descrizione esatta di quanto era appena stato detto.

“Cosa possiamo fare ora per ringraziarla? Secondo la tradizione avete salvato la mia discendenza, ed io dovrei permetterle… si, insomma…. di giacere con mia moglie”.
“Che Dio me ne scampi – rispose Hector – preferirei accoppiarmi con una femmina di Goblin in una vasca del letame, un grazie andrà benone”
“Bè, allora… grazie”….
“Non c’è di che” – rispose Hector Poor Q. Dew avvolgendosi nel tabarro ed accostandosi all’uscio.
L’aria fredda della tempesta entrò nella stanza facendo vacillare le fiamme, poi la porta si richiuse alle sue spalle lasciando gli attoniti mugnai a guardarsi sbigottiti.
Il bambino non piangeva più, ovviamente.
La casa era nuovamente accogliente e sicura.
Ma una nuova domanda assillava il buon Signor Happenbau.
“Strano – penso il fattore riponendo il piccolo nella sua culla – davvero strano. Quando è arrivato…… il tabarro non ce l’aveva”….