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Pisodeuorrior
La Tragica Storia della Fata e del Gigante (fiaba per bambini)

Non sarò certo il solo, cari amici, ad aver visto coppie male assortite, sono sicuro.
Ma tra tutte le coppie male assortite, credetemi pure, nessuna batte per stravaganza quella della Fata e del Gigante.
C’era infatti una volta, in un posto che non sto a raccontare, un gigante alto quanto un fienile, con una voce che avrebbe svegliato un drago adulto dal letargo. Aveva braccia come due tronchi di quercia, ed un pancione che il raccolto giornaliero di un comune di media grandezza avrebbe appena appena colmato. Molti animali dannosi per l’uomo vivevano felici tra le pieghe della sua pelle, molti di loro mai catalogati, e assieme ad essi gruppi di eruditi che accorrevano per studiarli.
Non sapeva nemmeno cosa fosse l’igiene personale, e si dice che il suo odore avrebbe potuto stecchire il più anziano dei becchini ad una lega di distanza. Il suo unico svago era emettere aria da chissà dove per poi ridere da solo, con grandi manate sulle robuste coscie.
Vi sembrerà strano, quindi, sapere che di lui si innamorò la più bella delle fatine del bosco, tra tutte le fatine la più gentile e a modo.
Era, questa, alta al massimo come la foglia di un cavolfiore, e tutti gli animali del circondario le si avvicinavano rispettosi per ammirarla. Veniva citata in quasi tutti i manuali di galateo, ed il suo nome compariva in almeno una ventina di proverbi sulla bellezza. Non uno di meno, garantito.
Il suo profumo faceva sbocciare i fiori in pieno inverno, e la sua voce intenerire il più tirchio degli strozzini. Se non ci credete, chiedete pure in giro.
Un giorno, sembrerà strano, guidata dall’odore di tomba scoperchiata emanato dal gigante, ne vide l’immagine riflessa in un canale di scolo, e da quel momento ne fu per sempre innamorata.
Il Gigante, a sua volta, quando capì che la fatina non era uno dei suoi abituali parassiti, rimase ammirato dalla proporzione delle sue piccole forme, e da quel momento il suo cuore non battè che per lei.
Niente più competizioni di sputi, niente allegre ruzzolate per i campi concimati, da quel momento per il gigante non c’era che lei.
La loro storia era motivo di meraviglia per tutte le creature del bosco, e non meno di un centinaio di folletti si impiccò il giorno stesso per lo scorno di essere stati battuti in amore da un tale mastodontico rottame.
Và da sé che, come tutte le coppie che si amano, i due volessero santificare la loro unione benedicendola coi piaceri della carne, ma oltre alla grande barriera delle dimensioni, il gigante non si era mai preoccupato di informarsi sui dettagli della faccenda. Per non dare un dispiacere alla tenera fatina, un giorno si assentò, e percorrendo ben cento leghe in un solo pomeriggio, si recò in una terra lontana per poter apprendere da sé i segreti della faccenda.
Fu così che si trovò indiscretamente ad osservare una coppia di grosse bestie – mai viste, per giunta - che si accingevano con tutti i crismi del caso a consumare in maniera sacrosanta il proprio amore.
Il gigante osservò meravigliato per un po’, mandò a memoria, quindi, convinto di avere capito per benino infine disse: “che mi venga un colpo, è facile, lo faccio anch’io!”. Così fece due lunghi passi, afferrò con una manona una delle bestie, si scelse un comodo sgabello e mise in pratica quanto appena appreso.
Purtroppo aveva sopravvalutato le dimensioni della sua compagna occasionale, che una volta terminata l’operazione non sapeva proprio più come congedare.

Si lamentava tanto questa, e piangeva tanto lui, che il baccano richiamò l’attenzione della strega del posto, che scòtendo il suo bastone chiese al gigante: “Hei tu, posso esserti d’aiuto?”
“Per tutte le piattole, certo che puoi, non so più come svitarmi di dosso quest’affare, signora fattucchiera”.
La strega, per non sentire più tanto fracasso, fece un semplice incantesimo, la bestia raddoppiò di dimensioni e senza sforzo si liberò della turgida attenzione del gigante, trotterellando via.
“Fico – fece il gigante – può tornare utile ad una mia amica. Puoi rifarlo?”
“Come no, sono stega diplomata, basta che lo fai lontano da qui e ti dò una polverina che è la stessa cosa, però bada, l’effetto è di durata limitata, quindi fai attenzione”.
“Affar­e fatto, dai qua”.
Fu così che il gigante salutò la vecchia, si allacciò le brache, si recò dalla sua bella e la innaffiò di polverina.
La fatina non poteva crederci: in un istante crebbe fino a diventare di media statura, e in un batter d’occhio divenne alta quanto il gigante, se non una spanna di più, si dice. Questi la guardò per un’istante, e dopo un doveroso stropicciamento d’occhi si accinse subito a mettere in pratica quanto appreso nel pomeriggio.
Si rotolarono, i due, e si abbracciarono, che era un piacere vederli.
Gli animali della foresta fuggirono veloce e distante quanto nemmeno accadeva in caso di incendio, e i cartografi si affannarono per mesi per aggiornare la nuova geografia del luogo.
La terra tremava sotto il peso del loro amore, sino a quando, strabuzzando gli occhi, il gigante fissò il vuoto e disse: “Porca paletta assassina e ladra, cos’è che dovevo ricordare?”
Fu proprio in quel momento – in quello più interessante, perché le leggi di Murphy sono valide anche nelle fiabe - che l’incantesimo ebbe fine, la fatina ritornò alle sue dimensioni originali, e come potete immaginare scoppiò come un palloncino che si avvicina troppo al sole, proiettata in cielo in una moltitudine di scintilline variopinte.
Si racconta che due contadini che assistettero alla scena ne riamsero molto colpiti.
“Hei, amico contadino – disse uno – cosa sarà mai quella scia iridescente che traversa il cielo con traiettoria emicircolare?”
“Che mi esplodano le emorroidi una ad una se ne so identificare la natura – rispose l’altro – ma da ora in poi se ne vedrò un altro lo chiamerò ARCOBALENO”.
L’altro, invidioso ed irascibile, rivendicò per sé la paternità del nome, e presto i due si finirono a zappate.
Fu quindi questa, forse, la genesi del nome di uno degli spettacoli più apprezzati che la natura ci offre, ma probabilmente è solo una leggenda, quindi non prestatevi attenzione.
La verità, per tornare ai nostri, è che la foresta fu cosparsa per miglia di pezzi di alucce iridescenti ed altro, e se anche la terra ne fu benedetta procreando tutta una nuova specie incantata geneticamente diversificata, il gigante decise che non gli interessava più vivere, e morì trattenendo il respiro.
Ora, lasciamo pure stare la storia della specie geneticamente diversificata, che di per sé è una cosa buona, cari bambini, ma non certo quello che la storia ci vuole insegnare.
Quello che la favola ci insegna, è invece che a fare le coppie male assortite a volte va bene, ma a volte è anche un attimo prendersela nel culo.