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Domenica mattina, appena rincasato, mi è capitato di aiutare un vecchietto a disincagliare la macchina dal lastrone di ghiaccio in salita da cui smadonnava da mezzora. Da non pensare che io sia un mostro di generosità: ero ciucco come una mondina e ho cercato di fare orecchio da mercante fino a quando il vecchio non si è deciso a chiedermi molto chiaramente di dargli una mano. Ad ogni modo, aiuta il vecchio, prego non si figuri, in bagno a sboccare e poi a nanna. Nel pomeriggio lepisodio è del tutto assente dalla mia memoria breve, fino a quando non mi si presenta alla porta una ragazzina di circa dieci anni che mi chiede con molta cortesia di recarsi un attimo da suo nonno che mi vuole ringraziare per la mia gentilezza. A me gira ancora la testa, e la domenica non sono molto sociale, e dai dì a tuo nonno che non importa, e dai figurati, e va bene un attimo solo che mi riassetto, e via dal vecchietto, quattro case più in giù, chissà che cazzo vuole. Così seguo la bambina fino a casa del vecchio, ed appena entro mi sembra di essere in una canzone di Guccini la lampadina fioca, lodore quasi povero di roba da mangiare, le foto inquadrate in piccole cornici, consunte quanto lui, la stufa di ghisa con quel caldo che sa di buono. Nonostante le mie educate timide proteste ma no, si figuri, non ho fatto mica niente mi costringe ad accomodarmi, mi mette già da parte sei bottiglie del vino che fa lui e mi prepara il tè. E mi accorgo che in fondo, come nella canzone, mi dà un piacere assurdo la sua antica cortesia. Il vecchio, che si chiama Arturo, non ci mette molto per mettermi a
mio agio, e in una decina di minuti quello che era un maledetto imprevisto
nel mio programma domenicale volto tutto a leggere, fare zapping e grattarmi
le chiappe si trasforma in qualcosa tra una lezione di storia e un film
davventura. |