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Pisodeuorrior
Il buon vecchio Arturo

Domenica mattina, appena rincasato, mi è capitato di aiutare un vecchietto a disincagliare la macchina dal lastrone di ghiaccio in salita da cui smadonnava da mezz’ora. Da non pensare che io sia un mostro di generosità: ero ciucco come una mondina e ho cercato di fare orecchio da mercante fino a quando il vecchio non si è deciso a chiedermi molto chiaramente di dargli una mano.
Ad ogni modo, aiuta il vecchio, prego non si figuri, in bagno a sboccare e poi a nanna.
Nel pomeriggio l’episodio è del tutto assente dalla mia memoria breve, fino a quando non mi si presenta alla porta una ragazzina di circa dieci anni che mi chiede con molta cortesia di recarsi un attimo da suo nonno “che mi vuole ringraziare per la mia gentilezza”.
A me gira ancora la testa, e la domenica non sono molto sociale, e dai dì a tuo nonno che non importa, e dai figurati, e va bene… un attimo solo che mi riassetto, e via dal vecchietto, quattro case più in giù, chissà che cazzo vuole.
Così seguo la bambina fino a casa del vecchio, ed appena entro mi sembra di essere in una canzone di Guccini… la lampadina fioca, l’odore quasi povero di roba da mangiare, le foto inquadrate in piccole cornici, consunte quanto lui, la stufa di ghisa con quel caldo che sa di buono.
Nonostante le mie educate timide proteste – ma no, si figuri, non ho fatto mica niente – mi costringe ad accomodarmi, mi mette già da parte sei bottiglie “del vino che fa lui” e mi prepara il tè.
E mi accorgo che in fondo, come nella canzone, “mi dà un piacere assurdo la sua antica cortesia”.

Il vecchio, che si chiama Arturo, non ci mette molto per mettermi a mio agio, e in una decina di minuti quello che era un maledetto imprevisto nel mio programma domenicale volto tutto a leggere, fare zapping e grattarmi le chiappe si trasforma in qualcosa tra una lezione di storia e un film d’avventura.
Mentre aspettiamo il tè (che mi seve in una teiera di argento, perché sono ospite!) mi illustra alcune delle foto, e mi spiega che quello era suo fratello, che dopo essere partito per la guerra non ha mai più visto, pensate, e quella sua moglie, che suonava il piano, e quello il suo amico più vecchio, che è di Sarezzano, che conosce da quasi un secolo, e che è stato con lui tutte e due le volte che è scappato dal treno che li avrebbe portati al fronte – la seconda gli hanno anche sparato - ed anche quando si è unito ai partigiani.
I suoi racconti mi prendono tanto bene che senza vergogna accetto un altro giro di tè, e finisce che rimango da lui davvero quasi tutto il pomeriggio, e torno a casa con un sacco di pensieri e sei bottiglie di rosso.
Pensieri senza un filo, dico la verità, ma avreste dovuto vedere che personalità affascinante, che saggezza, che profondità nello scandagliare le cose che ha visto, sopportato, vinto. Ed un contegno da sovrano, solo un po’ mesto, come se la saggezza senza un po’ di tristezza fosse quasi impossibile, almeno per lui.
E a colpirmi ancora di più è la storia della sua amicizia, chissà cosa deve essere rimanere amici per – che so – cinquanta o sessant’anni e aver fatto quasi esattamente le cose che facciamo noi, poi la guerra, e poi seduto nel tuo salotto in mezzo a tonnellate di ricordi, con uno sconosciuto che pende dalle tue labbra.
Una quantità di informazioni immensa a cui attingere quando prendere una decisione.
Bello.
Se dovessi inavvertitamente diventare vecchio vorrei essere come Arturo.
Però utilizzerei il mio carisma per farmi un sacco di bambine.
E la saggezza per imparare a fare il vino, che quello era una versione un po’ più piacevole dell’acido delle batterie.
Però ha avuto un bel pensiero.