Pisodeuorrior
Il Signor Albero

Uno dei dieci posti più cool dell’Universo è costituito da un cerchio di 3-4 metri di raggio circa, con centro tra le radici di un albero secolare in cima ad una collina di un verde imbarazzante.
Se non temessi di essere smentito nel giro di una manciata di commenti, e se avessi un campione più vasto a cui fare riferimento, potrei dire in tutta tranquillità che è davvero il posto più bello di questo pianeta.
Per amor di precisione dirò quindi che potrebbe essere il posto più bello, ma in realtà lo è solo per me, sinora.
Sempre per il fatto che la bellezza è negli occhi di chi guarda eccetera eccetera.
Ad ogni modo, godendo lo scorso venerdì di un insapettato giorno di ferie, ed inspiegabilmente sveglio prima che il sole fosse ad un 3\4 del suo percorso abituale, mi sono deciso per la mia visita annuale al vecchio albero.
Così preparo lo zainetto, un Invicta di ultima generazione, per niente all’altezza del glorioso bagaglio di avventure e ricordi contenuti nel suo predecessore, acquistato in terza media e sottrattomi dagli zingari due anni fa.
Che diecimila cazzi appuntiti e incandescenti piovano nei loro sederi apolidi.
Con un po’ di rimpianto per quel vecchio amico comincio, come dicevo prima che i nomadi mi interrompessero, ad equipaggiarmi, così che nello zainetto ingenuo e pivello trovano alla fine rifugio:
n:2 panini con testa in cassetta.
n:1 macchina fotografica diggitale per condividere questa ggioia coi signori e le signore di asphalto.
n:1 1 violino nuovo di pacca legato allo zaino medesimo
n:2 bottiglie Menabrea ghiacciate all’origine e calde come l’urea all’arrivo
n:1 manciatina di erba spinella
n.1 confezione di pece nera marca Pirastro
n:1 copia di L’Orlo della Fondazione con copertina cartonata
n:1 barattolino fichissimo di caffè autoscaldante, che fa cagare ma molto tecnologico

Dopo grosse difficoltà incontrate usando la Panda di mia sorella su strade sterrate tipo safari mi introduco nel boschetto che sta alla base della collina.
Il boschetto è in realtà un piccola macchia di alberi, forse piantati apposta per nascondere sapientemente la collina alla vista. L’effetto che fa una volta superate le piante è quello di una bellissima scenografia appena alzato il sipario. La collina si staglia alta, immensa e maestosa, incorniciata dalle fronde e di un verde che non è possibile descrivere. Di un colore così saturo, per intenderci, che per averne un idea bisognerebbe usare a manetta l’Hue\Saturation di photoshop. La Perfezione del verde, mi sbilancio.
Ed in cima alla collina, in alto che bisogna proprio piegare indietro la testa per vederlo bene, se ne sta solitario e pacifico l’Albero.
Tutti quelli che lo conoscono lo chiamano proprio l’Albero. Con l’iniziale maiuscola, si capisce da come lo dicono.
Si rimane sempre un po’ di tempo lì ad osservarlo, prima di attaccare la salita. E’ la A maiuscola che lo impone.
Un po’ per rispetto, ed un po’ per capire se è davvero il caso di giocarsi i polmoni e i polpacci in una fatica del genere.
E anche un po’ per accorgersi che la macchina fotografica non ha nemmeno un’idea di batteria, aggiungo. Bella Piso, bel colpo.
Ma dopo un po’ di bestemmie si comincia lo stesso a salire. Non c’è strada ovviamente, la collina è semplicemente ricoperta d’erba, che a maggio è alta ed arriva al petto. Si fanno un sacco di pensieri mentre si sale, un po’ si controlla il fiato, un po’ si cerca di non calpestare un eventuale serpente dal veleno mortale, un po’ – e soprattutto – ci si guarda attorno. Lì, sul fianco della collina con l’erba alle caviglie e un orizzonte di colline attorno ci si sente sempre un po’ Laura Ingòls.
Verrebbe voglia di urlare, braccia al cielo, ma anche se la solitudine del luogo è suprema, mi prende sempre un po’ la paranoia di essere giudicato così coglione da un eventuale osservatore mimetizzato.
Voglio dire, già col violino….
Ad ogni modo, una volta arrivati all’Albero bisogna toccare il tronco. Appoggiare le mani. Salutarlo, esprimere rispetto, insomma, instaurare un raporto. E poi non ho mai visto nessuno arrivare fin lì e riuscire a stare in piedi senza appoggiarsi subito a quel tronco enorme. E senza sputare, ansimare, bestemmiare. Soffrire, insomma. Vi giuro, è una fatica ingrata arrivare lassù, ma in fin dei conti è giusto, non ha da essere un posto “facile”, e in cima si arriva epurati da ben più che qualche pacchetto di Diana e un paio di bicchierate di sudore.
Quando si arriva lì si è sempre mezzi morti ed una luce bianca occhieggia alla fine di un minaccioso tunnel scuro….
E comunque Lui è sempre lì, a guardare, senza un commento. Da centinaia di anni, a ricevere silenzioso i rispettosi omaggi. A rinfrescare con l’ombra di una chioma immensa, che arriva sino a terra e che sembra una Cattedrale. Una cupola dove la luce arriva agli occhi già colorata di verde, dove tutto è così estremamente vegetale. Se capissi cos’è la santità direi che quello è un luogo santo. Un luogo dove la vita ha resistito e si è sviluppata per un tempo per noi inconcepibile, e si è immobilizzata in un maestoso simbolo a sé stessa.
Ecco, io all’Albero voglio proprio bene e ogni tanto ci ho portato qualcuno, ma solo chi in un certo modo lo poteva capire. Per altri potrebbe essere una potenziale risorsa cartiera o comunque un semplice vegetale, per me è il Signor Albero, in cima ad una collina da sempre ad osservare il mondo che gli gira attorno.
E la prossima volta mi ricordo anche di mettere in carica la macchina e fare le fote.