L'avventura di Fiume
La posizione primaria di D'annunzio nell'evolversi degli eventi del dopoguerra...
Dopo aver fatto un'attiva e abile propaganda per l'intervento, D'Annunzio diede un impulso decisivo alle forze antineutraliste con il discorso tenuto a Quarto il 5 maggio 1915 nell'anniversario della spedizione dei Mille. Concluso il 1° Conflitto mondiale, il progetto del trattato di pace prevedeva il passaggio della città istriana di Fiume alla Jugoslavia. Il Poeta-Soldato dalle smanie eroiche la occupò con un centinaio di legionari improvvisati, provocando un pasticcio politico-diplomatico a livello internazionale. La vicenda di Fiume italiana, dal colpo di mano di D'Annunzio del 12 settembre 1919 fino al Natale di sangue dell'anno successivo (quando i legionari dannunziani vennero sloggiati dalle truppe regolari italiane), occupa in genere nei testi di storia poche e frettolose righe; se leggiamo la vicenda di Fiume sotto un'ottica particolare ci accorgiamo di come essa sia, al di là delle sue limitate dimensioni, di estremo interesse per comprendere meglio l'Italia di allora.
D'Annunzio e Fiume...
Gabriele D'Annunzio, pescarese, classe 1863, allo scoppio della Grande Guerra aveva già dato il meglio di sé come poeta, scrittore, drammaturgo. Il suo nome era famoso anche fuori Italia, non solo come letterato. Nel conflitto tra interventisti e neutralisti, D'Annunzio si schiera senza esitazioni coi primi e durante la Grande Guerra (riuscì ad arruolarsi nonostante fosse ormai ultracinquantenne) diventa protagonista di imprese clamorose per mare come nel cielo, col clamoroso volo su Vienna. Perde un occhio in battaglia e alla fine delle ostilità è ormai una gloria nazionale indiscutibile: Medaglia d'Oro, modello di vita oltre che di arte, messaggero di vita inimitabile. Fiume, affacciata sul golfo omonimo nell'Adriatico settentrionale, era una delle più floride città dell'impero austro-ungarico. Centro principale del sistema ferroviario che serviva Praga, Budapest, Belgrado e Zagabria, costituiva lo sbocco naturale del commercio che si svolgeva tra queste città e l'Occidente. In realtà, su 50.000 abitanti, circa la metà erano di lingua italiana; ma costituivano la parte più attiva. Fiume non faceva parte del pacchetto delle rivendicazioni italiane presentate a Londra il 26 aprile del 1915 nel Patto con Francia, Inghilterra e Russia (da questo Patto l'Italia, alla fine della guerra, poteva ottenere Trentino, Alto Adige, Istria, Dalmazia, Albania e il Dodecaneso).
Inizia l'avventura del Poeta...
"Mio caro compagno, il dado è tratto! Parto ora" - scriveva così Gabriele D'Annunzio a Benito Mussolini - "domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto, febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio (11 settembre 1919)". Il 12 settembre 1919 a Venezia raggruppa gli ufficiali che fanno parte di un nucleo d'agitazione che ha per motto "O Fiume o morte!". D'Annunzio giunge poi a Ronchi, una cittadina a pochi chilometri da Trieste, con un seguito di poche centinaia di uomini. Sulla strada per Fiume si aggiunsero tanti altri volontari. Alle porte della città contesa gli uomini al seguito di D'Annunzio erano oltre duemila, tra granatieri, arditi e fanti.
Il generale Pittaluga avrebbe dovuto obbedire agli ordini del suo superiore Badoglio e fermare con le armi questo esercito privato, formato da disertori. Ma al gesto teatrale di D'Annunzio, che aprì il pastrano mostrando la medaglia d'oro e proclamando "Lei non ha che a far tirare su di me, Generale!", Pittaluga rispose abbracciando il poeta ed entrando con lui in Fiume. Il 20 settembre 1919 Gabriele D'Annunzio ottiene i pieni poteri e comincia a firmare decreti qualificandosi "Comandante della città di Fiume". Il 16 ottobre D'Annunzio dichiara Fiume "piazzaforte in tempo di guerra". Questo gli consente di applicare tutte le leggi del codice militare che in tal caso prevede anche la pena di morte con immediata esecuzione per chiunque si opponga alla causa fiumana. Il plebiscito del 26 ottobre segna il trionfo di D'Annunzio che ottiene 6999 voti favorevoli all'annessione su 7155 cittadini fiumani votanti.
La fragilità della cittadina è subito evidente...
Da subito Fiume però registrò il primo fallimento politico, perché D'Annunzio era convinto che la sua marcia avrebbe messo in crisi il Governo presieduto dall'odiato e rinunciatario Nitti, da lui ribattezzato Cagoia. Ma Nitti ottenne ancora la fiducia, e subito dopo indisse nuove elezioni. Nitti inviò alla frontiera di Fiume il generale Badoglio, che assunse direttamente il comando delle truppe e che non mancò di far notare al governo tutte le difficoltà insite in quest'azione armata. Da subito l'incapacità, non solo politica, ma anche pratica di D'Annunzio, si palesò nei primi contrasti con il Consiglio Nazionale. Passati infatti i primi giorni di entusiasmo, Fiume si trovava di fronte ai problemi concreti. D'Annunzio voleva creare un clima che avrebbe dovuto fare di Fiume il faro di una ripresa nazionale all'insegna di valori, in verità non bene precisati, ma che avevano come denominatore comune l'azione bella ed eroica. In questo senso da subito D'Annunzio espresse il rifiuto a qualsiasi negoziato con Cagoia: l'unica cosa che il governo italiano poteva fare per riscattarsi era dichiarare l'annessione di Fiume. Su questi toni e con questi temi erano le adunate di popolo, praticamente quotidiane, che furono in pratica l'unica forma di governo esercitata da D'Annunzio.
Comincia ad affacciarsi Mussolini...
Mussolini, che in quegli anni iniziava la sua scalata, mantenne sempre un atteggiamento prudente nei confronti dell'impresa fiumana, anche se i Fasci di combattimento parteciparono agli arruolamenti nella Legione di Fiume. Mussolini subiva il fascino di D'Annunzio, ma stava a vedere cosa sarebbe successo, per decidere su quale cavallo saltare; ciò però gli procurò una violenta lettera di D'Annunzio che gli ordinava di "svegliarsi, o lo farò io quando avrò consolidato qui il mio potere...". Mussolini rispose indicendo, sul Popolo d'Italia, una sottoscrizione pubblica a favore di Fiume: raccolse infatti una cifra considerevole, sopra il milione. Nel giugno del 1920 tornò al potere Giolitti, appoggiato anche dai nazionalisti e da Mussolini, che vedevano in lui l'unico uomo in grado di far uscire il paese dal caos. E Giolitti fu l'uomo che seppe liquidare Fiume: quell'anno fu l'anno finale dell'avventura fiumana; si assicurò l'appoggio di Mussolini, pronto a scaricare il poeta ora che l'avventura fiumana stava per ripiegarsi su sé stessa.
Gli avvenimenti superano i sogni: il Trattato di Rapallo...
D'Annunzio vedeva così crescere il suo isolamento in una città ormai stanca del clima sagraiolo e afflitta dai seri problemi di un'economia dissestata: l'ultimo atto politico rilevante del poeta fu la costituzione della Reggenza, a significare che il potere veniva comunque esercitato in nome del Re d'Italia. Ma intanto gli avvenimenti superavano i sogni: col trattato di Rapallo Giolitti ottenne la fissazione del confine lungo la linea di displuvio alpina, più un'esile striscia di territorio per collegarla a Fiume, che però sarebbe rimasta città libera. Non era l'annessione, ma comunque Fiume veniva sottratta alle pretese slave. D'Annunzio si chiuse sempre più in sé stesso, lanciando accuse di tradimento, convinto tra l'altro che l'Italia non avrebbe mai osato attaccare Fiume.
Natale del 1920: finisce l'avventura fiumana, ma il merito di D'Annunzio è comunque palese...
E' Natale. D'Annunzio dichiara che quello sarà un Natale di sangue e promette che verserà anche il suo: le truppe regolari però entrarono in Fiume e una cannonata , sparata da una corazzata, colpisce la residenza del Comandante. Dopo il Natale i legionari, che avevano perso una cinquantina di uomini, abbandonarono Fiume indisturbati; D'Annunzio si trattenne ancora per poche settimane e poi se ne andò, indisturbato anche lui. I legionari che partirono con il poeta portavano una divisa che diverrà famosa: camicia nera sotto il grigioverde. Mussolini dalle colonne del Popolo sostenne che il trattato di Rapallo era l'unica soluzione possibile, e che il merito di aver sottratto Fiume alle mire slave andava comunque al Poeta e ai suoi valorosi.