Virgilio "Bucoliche" , I
Titiro e Melibeo vv. 1-5; 51-72
La prima opera di Virgilio,
pubblicata fra il 42 e il 39 a.C. fu le Bucoliche, cioè "Poesie
pastorali", dal greco boukolos,"pastore". I singoli componimenti
sono detti invece ecloghe, da ecloghe
"poesia scelta". La raccolta è composta da dieci componimenti tra loro autonomi
e di dimensioni molto contenute: raramente superano il centinaio di esametri.
L'ecloga I "Tityrus", ha forma dialogica: il
pastore Melibeo, condannato all'esilio per aver subito
l'esproprio delle terre, lamenta la propria sorte con il compagno Titiro che invece potrà continuare a godere la
vita silvestre grazie alla protezione ottenuta a Roma da un "giovane divino"
Augusto.
Oltre al
contenuto dei singoli componimenti, l'unità poetica delle Bucoliche è data
dall'ambientazione pastorale. L'inventore della poesia bucolica era considerato il poeta
ellenistico Teocrito (III sec.a.C.) originario di Siracusa ma
vissuto ad Alessandria. I suoi poemetti venivano chiamati dai grammatici Idilli. La poesia di Teocrito si inseriva all'interno della
tradizione del mimo ellenistico, che amava ritrarre con divertito distacco varie scenette
di vita quotidiana. Da Teocrito derivano a Virgilio soprattutto l'esametro, il canto amebeo (cioè botta e risposta dei due personaggi), il tono
stilistico in apparenza semplice e colloquiale ma che, in realtà, è il risultato di un
lungo lavorio di intarsio su varie tradizioni di linguaggio poetico.
Per il resto
la poesia di Virgilio si allontana di molto da quella di Teocrito. Il poeta greco rimane
ironicamente distante, mentre Virgilio mostra una piena adesione sentimentale alla materia
trattata, secondo la tendenza generale della poesia latina, che già da Ennio tendeva ad
accentuare il pathos. Ma la grande novità di
Virgilio è la sua capacità di inserire all'interno di paesaggi
lirici anche i grandi avvenimenti storici contemporanei (le confische seguite
alla guerra civile, ma l'autore non prende parte alle lotte politiche) e di intrecciare
così indissolubilmente le sorti degli individui con quelle dello Stato. Il vero centro
poetico delle Bucoliche è costituito dal paesaggio: i
pastori hanno nomi greci ma il paesaggio virgiliano non è greco né astratto e
convenzionale come quello teocriteo, è invece un vero paesaggio della memoria, quello
natale della campagna mantovana. Al ricordo si unisce il rimpianto per un mondo perduto,
che attribuisce un tocco di struggente malinconia soprattutto ai paesaggi serali (ecloga
I).
L'aspirazione più profonda delle Bucoliche è costituita dal ritorno
alle origini: sul piano individuale il ritorno all'adolescenza, sul piano
collettivo il ritorno alle origini della civiltà stessa perché il mondo bucolico è un
mondo quasi del tutto naturale alle origini del tempo. Infine,
poiché i drammatici avvenimenti delle guerre civili facevano desiderare di fuggire da un'organizzazione sociale per ritornare a una vita in armonia
con la natura, ecco che dal punto di vista antropologico le Bucoliche sono
incentrate sul contrasto tra natura e cultura. Era però
un'utopia poiché i pastori in quell'epoca erano schiavi dei proprietari terrieri e,
spinti da questi, anche briganti.
Il componimento è un elogio della vita beata, tutto imperniato sul
dialogo fra i due protagonisti riguardo alla felicità possibile. Sull'impianto pastorale
di derivazione teocritea, si innesta e si impone il tema di attualità civile, tutto
latino e virgiliano. I
personaggi: Titiro nei vv 46 e 51 è definito senex,
ma parrebbe più giovane; egli ha riscattato la libertà e possiede campi e armenti. Di Melibeo non si dice l'età né la posizione sociale: sembra un
piccolo proprietario terriero; non è ben chiaro perché debba lasciare la sua terra,
porta con sé delle caprette ma sembra che debba rinunciare anche al gregge. Assente dalla scena ma dominante è il deus
menzionato da Titiro, in cui la critica riconosce Ottaviano.
Appena
abbozzate sono le due figure femminili di Galatea e Amarillide
che sono state successivamente amate da Titiro(l'avida e l'amorosa). Non meglio precisato è il paesaggio di fondo, forse di
fantasia, e le stagioni sono varie(estate-autunno) quindi non sono possibili esatti
riscontri realistici.
Il linguaggio è semplice e colloquiale nella sintassi e nel lessico quale si
addice ad un dialogo tra due contadini, ma con espressioni, immagini, ricercatezze
letterarie. Ma il nodo centrale
dell'interpretazione della I bucolica sta nel suo significato allegorico. Virgilio si può
identificare sia nelle vicende di Titiro che
in quelle di Melibeo: infatti si cala bene in entrambi i personaggi (da un lato vi è un
elogio sincero nei confronti del giovane Ottaviano, dall'altro la denuncia delle guerre
civili e delle loro conseguenze.
La I ecloga allude
allegoricamente ad un episodio importante della vita di Virgilio: l'esproprio
del podere. Infatti lo sfondo storico è quello degli
espropri intervenuti dopo Filippi (42 a. C.) a soddisfare le attese e le pretese dei
soldati mercenari che volevano quel premio dopo la guerra vittoriosa. L'humanitas virgiliana introduce nel
genere pastorale il tema della tenerezza nei confronti del mondo
animale che mostra come gli animali soffrano al pari degli uomini. |
Virgilio "Eneide, IV" , Didone
e fuga di Eneide vv. 554-583
Enea non si sottrae al destino che ha fatto di lui un
eroe: la sua sottomissione è totale, venata tuttavia dall'amarezza di dover continuamente
rinunciare ai propri sentimenti, anche ai più segreti ed
intimi. In questa dimensione va vista anche la sua relazione con Didone: ancora una volta
affiora drammatica e terribile la tragedia di un uomo che non è padrone neppure dei moti
del suo animo, che è condannato a provare i sentimenti di un comune mortale, senza
tuttavia poter scegliere in base ad essi.
Italiam non sponte sequor, grida Enea ai rimproveri di Didone che lo accusa
di perfidia (IV, 361), sottolineando così che entrambi sono stati semplici pedine di un gioco imbastito da una volontà superiore.
Enea è un eroe,
indiscusso archetipo dell'antico viaggiare al centro della letteratura greca e latina.
Predilige il viaggio per mare nel Mediterraneo e contemporaneamente si pone come modello dell'esperienza esistenziale di ogni uomo.
Il personaggio di
Enea è stato accusato dai critici di avere una personalità debole,
di essere sempre pronto a sottomettersi al destino, senza saper affermare i propri sentimenti individuali. Ma la figura di
Enea va vista in relazione al destino di Roma voluto dal fato e quindi destinato a
realizzarsi indipendentemente dalla volontà, dai sentimenti e dalle sofferenze del
singolo. Enea quindi assolve un compito storico che va al di là della sua adesione
sentimentale, del suo stesso consenso: di qui la sua personalità complessa di uomo
continuamente lacerato fra il peso di una missione divina e i sentimenti individuali. Nel
fondo del suo animo non c'è fermezza ma dubbio, sofferenza e un inconfessabile desiderio
di quiete.
L'Eneide è
un poema epico in 12 libri che impegnò l'autore dal 29 a. C. fino alla morte suddiviso in
una parte odissiaca (libri I-VI; le peregrinazioni di Enea per il Mediterraneo) e una
parte iliadica (libri VII-XII, la guerra nel Lazio). Al centro stava l'incontro con il mistero dell'aldilà: la
discesa agli Inferi nel libro VI.
Gli antichi per
"epos" intendevano una sequenza di racconti eroi o
meravigliosi, ambientati in un passato favoloso e spesso organizzati attorno ad eroi,
dalle caratteristiche eccezionali, con l'intervento di esseri soprannaturali come gli dei.
Il ritmo era lento, solenne, pausato. L'epos antico poi da un lato ha la potenza degli
eventi narrati, dall'altro la tensione espressiva della forma, quindi l'esperienza è
bifocale. Questo genere è stato creato dai Greci e tramandato con trasmissione orale.
Comporre significava improvvisare,mentre con Omero diviene libro della memoria.
Nelle sue linee principale l'Eneide di Virgilio ha in se tutte le caratteristiche
dell'epos antico. La novità rispetto al modello omerico sta nella presenza molto
limitata di formule e ripetizioni rispetto alla tradizione perché è un "epos"
scritto che non deve improvvisare e che ha come modelli Omero, Nevio, Ennio, con una
espressione densa di spostamenti metaforici; l'uso poi di aggettivi e sostantivi crea un
paesaggio unico. Lo stile virgiliano eccelle soprattutto nell'arte della concentrazione,
dellas densità.
L'opera è poi un'enciclopedia della cultura romana, della tradizione romana,
con i suoi modeli di comportamento impressi in episodi e personaggi.
Virgilio
"Eneide IV"
Il libro IV è il libro dell'amore di Didone: dapprima Enea
incoraggia la sua passione fino ad unirisi a lei in una grotta durante una partita
di caccia, ma in seguito all'intervento di Mercurio che lo risveglia alla missione
assegnatagli dal fato, la abbandona fuggendo per mare. Con ciò egli dimostra di aderire
in modo esemplare al modello di comportamento prescritto dalla tradizione al cittadino
romano, che doveva mettere sempre il bene dello stato al di sopra dei propri interessi
privati
Didone, invece, segue un altro ed
inconciliabile modello di comportamento, introdotto a Roma a partire da Catullo e poi
seguito dai poeti elegiaci: quello che pone l'amore al di sopra di ogni altra cosa.
Dimentica così i propri doveri di regina e vive fino in fondo, con grande profondità e
sincerità di sentimenti il dramma dell'amore tradito e della solitudine, che la porta
fino al suicidio.
Questo episodio aggiungeva una esplicita ragione mitica alla terribile rivalità fra Roma
e Cartagine, anche se questa tragica storia di passione ha un grande valore di verità
umana e poetica. Enea, amante crudele, seppure contro la sua volontà, e Didone, donna
travolta da una passione che la conduce alla morte, sono personaggi tragicamente
autentici. Questo amore infelice può portare solo alla rovina, morte, perdita di se
stessi e del rispetto degli altri |