APPENDICE
Autodifesa di S. Apollonio Martire Senatore Romano
Riportiamo dalla benemerita "Rivista dei Giovani" di Torino (N. 6 e 7 del 1924) una versione italiana degli "Atti greci" riguardante una parte del processo verbale ricavato dai resoconti protocollari e una parte dell'autodifesa fatta da S. Apollonio dinanzi al Senato Romano, con alcune note del traduttore Dott. Sioto Colombo:
Martirio del santo e gloriosissimo Apostolo Apollonio, detto anche Zaccheo: Durante la persecuzione dei cristiani avvenuta sotto l'imperatore Commodo, un certo Perennio era proconsole dell'Asia. L'Apostolo Apollonio, adunque, uomo pio, nativo di Alessandria e timorato di Dio, venne arrestato e menato dinanzi al tribunale. Poi che gli fu presentato, il proconsole Perennio disse: <<Apollonio, sei tu cristiano?>> <<Si, sono cristiano - rispose Apollonio - e per questo io adoro e temo Iddio, che ha creato il cielo la terra e il mare con tutto ciò che è in essi>>. Il proconsole Perennio disse:<< Dammi retta e cambia opinione, o Apollonio; giura per la fortuna del nostro padrone Commodo imperatore (1)>>.Apollonio detto anche Zaccheo disse:<< Ascoltami attentamente, o Perennio, chè voglio tenerti un ragionamento per mia prudente e giusta difesa. Iniquo, empio e veramente ateo è colui che allontana il suo cuore dai giusti e santi e mirabili precetti di Dio retto invece è colui che si allontana da ogni iniquità e disordine, dall'idolatria e dai discorsi maligni, che fugge i principii delle colpe e che non mai declina verso di queste. Credi a noi, o Perennio, conforme a questa mia difesa, poiché abbiamo imparato questi venerandi e sublimi precetti dalla parola di Dio, il quale conosce tutti i pensieri degli uomini. Ci è pertanto comandato da Lui di non giurare affatto, ma di dire in ogni cosa la verità: poiché la verità di un semplice si è come un grande giuramento; onde il giurare è cosa sconveniente per un cristiano. Dalla menzogna infatti viene l'incredulità, e per causa di questa si ricorre al giuramento. Tu vuoi che io giuri di onorare il principe e di pregare per la potenza di lui?
Volentieri giurerei, ma soltanto per rendere così testimonianza al Dio vero, che esiste prima dei tempi, non fatto da mani d'uomo, ma che ha collocato invece egli l'uomo a comandare sugli altri uomini in terra>> (2). Il proconsole Perennio disse; <<Fa quello che ti dico, o Apollonio, e cambia opinione; sacrifica agli Dei e all'immagine di Commodo imperatore>>. Apollonio sorridendo rispose:<< O Perennio, quanto al cambiare opinione e al giuramento ti ho esposto le mie ragioni in contrario; ora ascolta la mia difesa riguardo al sacrificare. Io pure e tutti i cristiani immoliamo un sacrificio incruento e puro all'onnipotente Iddio, che signoreggia in cielo, in terra e su ogni spirito: sacrificio di preghiera offerto specialmente per le ideali e razionabili imagini di quelli che sono posti dalla Provvidenza di Dio a regnare sopra la terra (3). Pertanto ogni giorno, secondo l'esigenza d'un giusto comandamento, noi facciamo a Dio, che abita nei Cieli, la nostra preghiera per Commodo, il quale regna in questo mondo, ben sapendo che egli regna sulla terra non già per virtù di alcun altro, ma unicamente per il volere incontrastabile di Dio, al cui cenno, come ho detto, ogni cosa ubbidisce.
Il proconsole Perennio disse :<< O Apollonio ti dò un giorno di tempo per riflettere ai casi tuoi e alla tua vita>>. Dopo tre giorni ordinò che gli fosse presentato. V'era buon numero di personaggi dell'ordine senatorio, di membri del consiglio, e di persone istruite. Fattolo adunque chiamare disse:<< Si leggano gli atti di Apollonio (4)>>. Poi che furono letti, disse il proconsole Perennio:<< Ebbene, Apollonio, quale decisione hai tu presa riguardo a te stesso?. Di serbami pio, quale tu stesso mi hai definito e giudicato negli atti (5)>>. Perennio proconsole disse:<< Secondo il decreto del Senato, io ti consiglio di mutare opinione, di venerare e adorare gli dei, che noi tutti adoriamo e veneriamo, e di vivere secondo le nostre consuetudini>>. Disse Apollonio:<< Ben conosco, o Perennio, il decreto del Senato: Ma la pietà verso Dio mi vieta di adorare idoli manufatti. Onde io non adorerò né oro, né argento,né rame, né false deità di legno o di pietra, che non vedono né odono, perché sono opera d'intagliatori e d'orefici e di tornitori, cesellature di mano d'uomo, che non possono muoversi da se stesse. Io invece adoro Dio, che è nei cieli e a lui solo piego la mia fronte, a lui che infonde in ogni uomo un'anima vivente e che ogni giorno fa rifluire in ognuno la vita. Io non mi abbasserò, o Perennio, né mi prostrerò dinanzi a queste cose vili: poiché è cosa disonorevole l'adorare chi è uguale agli uomini e ciò che è anche al disotto dei demoni. Peccano gli uomini meschinissimi, quando si prostrano innanzi a figure che stanno in piedi per artificio di struttura, o a fredde pietre ritagliate, o a tronchi disseccati, o a inerte metallo, o a ossa di trapassati (6) . Di quale scherno non è degna una simile illusione? In simil modo gli egizi adorano, fra tante altre immondezze, un certo bacile, da molti chiamato lavapiedi: scempiaggine che non si può abbastanza canzonare (7) . Gli ateniesi venerano tuttora una bronzea testa bovina e la chiamano "Fortuna di Atene" (8) : segno che proprio non vale loro la pena di far preghiere ai lor propri dei, i quali, nell'opinione de' loro stesso devoti, appaio esser causa di malanno!Infatti questi loro dei in che cosa differiscono dal fango cotto e dall'argilla fresca? Essi fanno preghiera a simulacri di dèmoni, come se sentissero, mentre non sentono, e non sono in grado né di richiedere né di concedere cosa alcuna. Davvero la loro figura stessa è menzogna, poiché hanno orecchi e non odono, hanno occhi e non vedono, hanno mani e non le porgono, hanno piedi e non camminano (8) : la loro figura non cambia certo la loro natura. Così mi sembra pure che Socrate berteggiasse gli ateniesi, quando giurava "per il platano" che è un legno selvatico. Parimenti peccano gli uomini in secondo luogo contro il cielo quando si prostrano dinanzi a esseri contenuti nella natura, come la cipolla e l'aglio, divinità dei Pelusioti (9) cose che, digerite come alimenti, scendono nel ventre e quindi vengono deiette a traverso l'intestino. Ancora, in terzo luogo, peccano gli uomini contro il cielo, quando rendono onori divini a cose che cadono sotto i sensi, come il pesce, la colomba, il cane, il cinocefalo, il coccodrillo, il bove, il serpente e il lupo: imagini dei loro propri costumi. In quarto luogo peccano gli uomini contro il cielo, quando adorano cose che dimostrano virtù demoniaca: chiamano dèi quelli che furono già un tempo uomini, come loro favole stesse dimostrano.
Narrano infatti di Dionisio dilaniato, di Eracle che salì vivo su di un rogo, di Zeus sepolto in Creta: ai quali pertanto si applicano i nomi per via di quelle favole da cui quei nomi stessi ci sono noti. Ora io reclamo specialmente contro l'empietà di costoro>>. Perennio proconsole disse:<< O Apollonio, è decreto del Senato che non vi debbano essere cristiani>>. Apollonio, detto anche Zaccheo, disse:<< Ma non può un decreto umano prevalere contro un decreto di Dio. Quanto più uccidono senza processo quelli che in lui credono e non hanno commesso alcuna colpa, tanto maggiormente il loro numero viene da Dio accresciuto : e io voglio ricordarti, o Perennio, che quel Dio che ogni cosa governa ha fissato una sola morte ai re, ai senatori, a quelli che esercitano grande potere, ai ricchi e ai poveri, ai liberi e agli schiavi, ai grandi e ai piccoli, ai sapienti e agl'ignoranti, e che dopo la morte sarà fatto giudizio di tutti gli uomini. V'è però differenza di morte, in quanto quelli che come noi sono discepoli del verbo, ogni giorno muoiono ai piaceri, reprimendo le proprie passioni con l'austerità, per vivere secondo i divini precetti. Poiché, credilo veramente o Perennio, che non diciamo falsità: neppure una piccola parte di sfrenata cupidigia alberga in noi; allontaniamo dai nostri occhi ogni spettacolo immondo, e parimenti distorniamo dai nostri orecchi ogni discorso di gente dissoluta, one intemerato rimanga il nostro cuore. Con questa norma di vita, proconsole, non istimiamo cosa terribile il morire per il vero Dio, poiché ciò che siamo lo siamo per opera di Dio, onde sopportiamo ogni cosa piuttosto che meritare la morte eterna "sia che viviamo, sia che moriamo, siamo cosa di Dio (Rom. XIV, 8).Infatti possiamo ben morire spesso per morbo intestinale o per febbre : or dunque farò conto di essere soggiaciuto a uno di questi malanni>>. Il proconsole Perennio disse:<<E così pensando, o Apollonio, sei tu lieto di morire?>> Rispose Apollonio :<<Io veramente sono lieto di vivere, o Perennio, non tanto però da paventare la morte solo per amore della vita. Nulla, per certo, è più pregevole della vita, si, ma della lita eterna, la quale è immortalità dell'anima che ha rettamente vissuto nella vita presente>>.
Il proconsole Perennio disse :<<Io non comprendo ciò che tu dici, né di quali principii tu mi venga a propor legge>>. Rispose Apollonio :<< A che dunque mi affanno io con uno talmente estraneo alle bellezze della grazia? E' riservata solo ai cuori veggenti, o Perennio, la parola del Signore, così come la luce è dono per gli occhi non ciechi : nulla conclude l'uomo che discorre con chi non comprende, così come nulla giova ai ciechi il sorgere della luce>>. Qui un certo filosofo cinico (10) disse :<<O Apollonio, tu fai ingiuria a te stesso, poiché molto t'inganni anche se ad altri sembri parlare oscuro>>. Disse Apollonio :<< Ho imparato a pregare, non a proferire ingiurie. La tua ipocrisia invero palesa la cecità del tuo cuore, anche se ti inoltrerai in una prolissa difesa; per certo agli stolti s'addice giudicare ingiuria la verità>>.
Perennio, proconsole disse:<< Noi pure sappiamo che la parola di Dio, quella che espone e insegna conforme è gradito a Dio, è rigeneratrice dell'anima e del corpo di giusti>>. Disse Apollonio :<< Così il nostro Salvatore Gesù Cristo, generato in natura umana in Galilea, giusto in ogni cosa e pieno di saviezza divina, mosso da amor degli uomini insegnò a noi chi è il Dio di tutte le cose, quale il termine della virtù, segnato a norma di vita intemerata per le anime degli uomini. Egli mediante i suoi patimenti pose fine al dominio del peccato. Egli insegnò a sedare le passioni, a reggere i desideri, a reprimere la voluttà, a raddolcire i dolori, a essere socievoli, ad aumentare la carità, a purificare i pensieri vani, a non prestarsi all'appoggio di chi commette ingiustizia, a disprezzare la morte per affermare un giusto principio, a non meritarla per inique azioni, ma piuttosto incorrervi per sopportazione d'iniquità: ancora (insegnò) a sottoporre noi stessi ai precetti dati a lui, a onorare il re ma adorare unicamente Iddio eterno, a credere immortale l'anima nostra e aspettarci il giudizio dopo la morte, a sperare mercede delle pene sofferte per la virtù dopo la risurrezione data da Dio a quelli che saranno vissuti pienamente. Dopo avere chiaramente insegnato tuttociò e di averlo confermato con molti segni, ne riporto grande fama di virtù e fu preso in odio dai maligni: così come era accaduto prima di lui ai giusti e ai filosofi; poiché gli iniqui sono avversi ai buoni. E anche secondo un certo proverbio gli stolti sogliono dire "Leghiamo il giusto perché ci dà noia". Parimenti uno fra i greci, come abbiamo udito, dice :<< Il giusto sarà vergheggiato, torturato, legato, gli saranno bruciacchiati gli occhi e morirà impalato fra tormenti d'ogni sorta>> (Platone, De Republ. libro II pag. 361 E). E come gli spioni ateniesi condannarono Socrate a ingiusta morte traendo in inganno il popolo, così alcuni malfattori calunniarono il nostro Maestro e salvatore, dicendo ignominie contro di lui: nel modo stesso (onde calunniarono) i profeti che furono prima di lui, i quali preannunziavano cose mirabili intorno all'uomo che sarebbe venuto, pieno di giustizia e d'ogni virtù, il quale beneficiando tutti gli uomini, li avrebbe guidati nella santità al culto di Dio di tutte le creature.
E noi che siamo venuti alla conoscenza di lui, lo adoriamo, avendone appresi quei santi precetti che prima non avevamo imparati. E per certo non ci inganniamo in questo: che se anche fosse un inganno questa dottrina che c'insegna essere l'anima immortale, che dopo la morte vi sarà il giudizio ed il premio della virtù nella resurrezione, e che Dio sarà nostro giudice ben volentieri accoglieremmo un simile inganno, mediante il quale apprenderemmo la migliore norma di ben vivere e nutriremmo la speranza futura anche a costo di contrarietà e patimenti>>. Il proconsole Perennio disse:<<O Apollonio, io credevo che tu per l'innanzi deporresti codesta tua opinione e che insieme con noi presteresti culto agli dei>>. Apollonio disse:<<Io invece speravo, o proconsole, che queste pie considerazioni s'imponessero a te, e che si illuminassero gli occhi dell'anima tua mediante la mia perorazione, sicché ne traesse buon frutto il tuo cuore, indicendosi ad adorare Iddio creatore di tutte le cose, a innalzare a lui solo ogni giorno le tue preghiere con elemosine e opere di carità, come sacrifici incruenti e puri dinanzi a Dio>>. Perennio proconsole disse:<<Io vorrei lasciarti libero, o Apollonio, ma me lo impedisce il decreto di Commodo imperatore; tuttavia ti userò riguardo pur condannandoti a morte>>. E diede segno che fossero fratturate le gambe del martire. Apollonio, detto anche Zaccheo, disse:<<Io rendo grazie al mio Dio, o Perennio proconsole, insieme con tutti quelli che riconoscono il Figliuol suo Gesù Cristo e li Spirito Santo, e per questa tua condanna, che è la mia salute>>.
Tale illustre fine di martirio compiè con anima pura e cuore costante questo santissimo vincitore, Apollonio detto Zaccheo. E il giorno per lui più memorabile, nel quale, lottando contro il maligno, riportò il trofeo di vittoria, ricorre appunto oggi (11) : Quà adunque occorrendo, o fratelli, per riconfermare la nostra fede nelle sue nobili gesta, eccitiamoci all'amore di una si eccelsa grazia per la misericordia e la carità di Gesù Cristo, col quale a Dio Padre insieme con lo Spirito Santo sia gloria e potenza nei secoli dei secoli: amen. Patì il martirio il beatissimo Apollonio, detto Zaccheo, il giorno undecimo innanzi le calende di Maggio, secondo i Romani, secondo gli asiatici il 21° giorno dell'ottavo mese, secondo noi infine, regnando il Signore nostro Gesù Cristo a cui sia gloria nei secoli, amen.
Giurare "per fortuna" o anche " pel genio" di Cesare era formula consueta con cui si riconosceva il "numen imperatoris". I Cristiani venivano accusati di lesa maestà (crimen maiestatis) perché ricusavano di compiere quest'atto idolatrico. Il "crimen maiestatis"come, quello di empietà (religiosis) era colpito dalla pena capitale.
Cioè: se vi fosse per me una giusta causa di giurare non potrebbe essere altro che la necessità di rendere così testimonianza al vero Dio.
Distingue le imagini razionali (cioè il principio d'autorità) dalle imagini materiali, statue e simulacri esposti al culto idolatrico.
Cioè: il processo verbale protocollare del primo interrogatorio.
Questa osservazione del martire si deve riferire a una espressione di Perennio, che nella presente redazione del martirio non si riscontra.
Secondo il concetto evemeretistico, che gli dei del mito erano stati uomini mortali.
Probabilmente questo bacile era uno specchio metallico usato per la divinatoria. Era in uso fra gli antichi questa superstizione di predire il futuro scrutando gli specchi magici (catoptromanzia).
Era una imitazione del culto egiziano di cinocefalo (Arpocrate) o del vitello Api.
Pelusium era città importante nel Delta egiziano
Cinici erano i seguaci di Antiotene (nato ad Atiene circa 436 a.C.). Diogene di Sinope e Menippo, pei quali la perfezione morale consisteva nella indipendenza assoluta da ogni materiale esigenza.
Gli atti dei martiri si leggevano durante il rito eucaristico nel giorno anniversario (dies natalis) della loro morte (depositio).