[CL801']L´AFRICA
ha fame... Un esame della mappa recentemente pubblicata da
Le Monde mostra ancora una volta che, salvo poche eccezioni, nei paesi
colpiti non esiste alcuna causa «naturale» perché vi si soffra la fame.
Lo Zimbabwe è stato fino a poco tempo fa il granaio dell'Africa australe,
i due Congo, scarsamente popolati, dispongono di un considerevole
potenziale alimentare. E allora? Come spiegare quei 38 milioni di persone
esposte alla minaccia di carestia? Certamente, l'Africa è un continente
vulnerabile nel quale oltre un terzo della popolazione soffre cronicamente
di fame. La povertà, la negligenza dei governi nei confronti
dell'agricoltura, che spiega perché il rendimento non sia aumentato da
trenta anni in qua, la crisi economica, l'aids che indebolisce le
campagne... tutte queste ragioni permettono di spiegare l'estensione della
malnutrizione cronica. Ma non giustificano la carestia. In realtà, le «moderne»
carestie sono andate moltiplicandosi dopo il crollo della cortina di
ferro: esse derivano dalla necessità, per un certo numero di movimenti
politici, di cercare nuove rendite. I governi lasciano incancrenire la
situazione, sperperano le riserve, poi gettano grida di soccorso,
ritrasmesse dalle agenzie di aiuti che approfittano delle situazioni
d'urgenza per rimpolpare i loro bilanci sulla pelle dei donatori. La
manipolazione degli aiuti alimentari è nata insieme alle organizzazioni
umanitarie. Già in Biafra, nel 1969-1970, il generale Ojukwu aveva saputo
giocare sulla carestia che aveva colpito il popolo Ibo per stornare a
proprio profitto il capitale di simpatia dell'opinione pubblica. Così, la
carestia raggiunge un triplo obiettivo. Permette a certi regimi: - di
ricevere aiuti finanziari e materiali ben al di sopra di quelli miserevoli
concessi in tempi normali; - d'imporre la propria legittimità politica
all'interno orchestrando la distribuzione dei generi alimentari; - di
controllare alcune popolazioni scomode o periferiche facendo ricorso
all'arma della fame. In un simile contesto, tutti hanno interesse a
giocare al rilancio: il numero degli affamati aumenta sempre più poiché
i governi vogliono ottenere il massimo e le agenzie di aiuti esagerano la
portata dei bisogni al fine di prevenire lo sconto che i donatori, stanchi
delle continue sollecitazioni, applicheranno alle quantità richieste.
Nella nuova società mondiale, dove informazione e «charity business»
sono strettamente legati e oggetto di marketing, la creazione di carestie
deriva da una logica commerciale simile alle altre, anche se può sembrare
particolarmente cinica. Si tratta, per gli stati come per i movimenti
politici che aspirano alla conquista del potere, di utilizzare gli stessi
meccanismi di funzionamento delle società occidentali per raccogliere a
proprio profitto mezzi finanziari e logistici. Conoscendo perfettamente la
capacità di mobilitare l'opinione pubblica in favore di determinate «cause»
e la potenza dei gruppi di pressione (movimenti di cittadini animati da
una generosa indignazione, ma anche lobby d'imprese spinte da tutt'altre
motivazioni, come quei produttori di cereali felici di approfittare della
carestia per giustificare la produzione e l'esportazione di derrate
geneticamente modificate), gli affamatori, cui fanno da cassa di risonanza
le organizzazioni umanitarie preoccupate di drenare fondi pubblici e
privati in favore degli affamati, giocano con insistenza sull'immagine
infantile: bambini affamati, bambini soldati, bambini schiavi...
Annunciata dalla gigantesca mobilitazione per l'Etiopia nel 1984, con gli
strascichi polemici sull'uso degli aiuti fatto da Mengistu per trasferire
intere popolazioni, questa strategia della manipolazione dei media e delle
opinioni pubbliche è andata generalizzandosi. L'opinione pubblica fa lo
zapping da un dramma all'altro con l'impressione che il terzo mondo sia
simile ad un enorme serbatoio pieno di disgrazie, di un numero
incalcolabile di vittime innocenti e anonime, di corpi sofferenti ai quali
bisogna, prima di tutto, fasciare le piaghe. Nel 2000, l'Etiopia ha
puntato sulla sua fortissima carica simbolica per esporre le difficoltà
delle popolazione dell'Ogaden... per soccorrere le quali non aveva mosso
un dito quando la penuria alimentare s'annunciava da due anni. Essa
persegue oggi la stessa strategia. Ancora una volta si tratta di uno dei
paesi più esposti al rischio alimentare. Ma che dire di altri paesi che
niente predispone a conoscere la fame (abbondanza di precipitazioni,
scarsa densità della popolazione, terre ricche e fertili, risorse
petrolifere, diamantifere, minerali e agricole di primo piano)? Le crisi
alimentari che v'imperversano, colpendo i più vulnerabili, non hanno più
niente a che fare con la fatalità.
Come ha scritto il Premio Nobel per l'economia Amartya Sen: «Le misure da
prendere per prevenire le carestie sono così facili che il vero enigma è
capire perché queste continuino a infierire».
Il meccanismo di prevenzione delle carestie è noto da oltre un secolo.
Per esempio, immettere a tempo sui mercati riserve di sicurezza permette
di far calare i prezzi e di evitare che frange intere di popolazione siano
emarginate. Bisogna anche che queste riserve non vengano dilapidate...
Allora aiutiamo, perché le sofferenze di alcuni popoli sono reali e
necessitano della nostra solidarietà. Ma non lasciamoci ingannare:
esigiamo di condizionare gli aiuti a controlli stretti sulla loro
distribuzione e sui destinatari. Non scarichiamo più carrettate di
cereali in paesi dove i veri affamati, al contrario di chi è vicino al
potere, non ne conosceranno mai il gusto. Rifiutiamoci di essere presi
nella trappola della compassione cieca per esigere che siano finalmente
posti in essere veri «contratti di sviluppo» tra i paesi più poveri e
una cooperazione internazionale ripensata, finalmente, in termini di vera
lotta alla povertà. Investire nell'istruzione, in particolare quella
delle bambine, avviare dei programmi sanitari, rilanciare la piccola
agricoltura a conduzione familiare in un contesto di pace e di sicurezza
sono i soli modi di permettere all'Africa di non soffrire più la fame,
indipendentemente dai capricci del cielo. Ex presidente di Azione contro
la fame, professore di geografia dello sviluppo presso l'università
Paul-Valéry, Montepellier-3 Copyright Le Monde
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