VIAGGIO IN ITALIA
Di Marina Torossi Tevini
Prima tappa: Venezia. Ci fermiamo in un campeggio strategicamente ben posizionato per una veloce toccata e fuga serale a Venezia. Saliamo su un bus guidato con notevole disinvoltura da un ragazzone che deve avere una discreta fretta…Sarà in ritardo? Avrà la luna storta? Mah, l’autista passa il ponte che collega la terraferma a Venezia a velocità incredibile rovesciando i passeggeri gli uni sugli altri in miseri mucchietti umani. Arriviamo e scopriamo che la ragione di quella corsa sgangherata era un clamoroso ritardo nei collegamenti con l’aeroporto. L’autobus viene preso d’assalto mentre noi cerchiamo di scendere e ci avviamo per le calli.
Un mix di bellezza decadente e di ori bizantini, di umanità multietnica e di accenti veneti, di vetrine che continuo a guardare anche se non ho la speranza di comperare niente, visto che sono già le otto di sera e i negozi sono chiusi. Piazze e piazzette, gli ultimi avanzi del mercato, cassette di ortaggi ormai in disarmo che fanno ricordare le fragole di “Morte a Venezia”, un po’ di marcio che sale dalle calli più strette e avviluppa col suo fascino bacato.
E’ l’ora di cena e noi guardiamo con interesse ristoranti pizzerie e quant’altro ci si pari davanti. Ci accontenteremmo di mettere in bocca qualcosa di veloce per poi poter raggiungere piazza San Marco, prendere il vaporetto e, nella notte, attraversare il Canal Grande. Fortuna vuole che capitiamo in un’hostaria gestita da due giovani e simpatici ragazzi.
Ci sediamo a un lungo tavolo di legno modello fratino. Mentre aspettiamo mi guardo in giro. Accanto a noi due ragazze teutoniche con l’aiuto del vocabolario studiano attentamente il menu. Ci arrivano con una discreta velocità stuzzichini, frittura di pesce, svariate verdure alla griglia. Da parte opposta del tavolo siede una coppia elegante: un donna vociante e decisa e un ometto bellino e pallido, che sembra subire tutto con una noncurante passività. Annuisce con una certa rassegnazione ai piatti scelti per il suo bene.
Veloci usciamo nel buio delle calli. Girovaghiamo. Scantoniamo e svagoliamo. Sbuchiamo in piazza San Marco. Libera dalle impalcature che qualche tempo fa ingabbiavano la basilica, la piazza ci appare bellissima. Musica dai vari caffè. Musica ad effetto. Fa sempre effetto.
Prendiamo il vaporetto e vediamo sfilare nella notte i palazzi illuminati del Canal Grande, il Casinò, Palazzo Grassi. Una casa illuminata e bellissima esibisce tutto il suo sfarzo. Con una corsa riacciuffiamo il bus. Siamo al campeggio a un’ora quasi decente.
Ci ritroviamo in una roulotte ancora estranea che dobbiamo rendere una casa civile( o quasi) per il viaggio. Due sono gli atteggiamenti possibili nei confronti della realtà: o ci si adatta o si cerca di adattarla ai nostri gusti. Io propendo per il secondo atteggiamento. Cerco di rendere confortevole il campeggio che, per antonomasia, dovrebbe essere un luogo spartano.
Non facciamo neppure in tempo a rallegrarci del fatto di essere sfuggiti indenni alla circonvallazione di Mestre che ci ritroviamo sulla Romea nella zona dei lidi ferraresi. Sembra che l’umanità tutta abbia eletto come sede dei ponti primaverili i lidi di Pomposa e Comacchio. Ancora peggio quando arriviamo alla circonvallazione di Ravenna da dove sbucano come bertucce le automobili dirette ai lidi Sud. Il viaggio si fa lento e penoso nell’abitacolo riscaldato da un sole quasi estivo(le tendine da sole non le abbiamo ancora messe! oh sciagura!)
Nella zona del monte Conero, dove avremmo dovuto campeggiare su dei terrazzoni digradanti sul mare, il campeggio risulta chiuso e questo ci costringe a ripiegare sul litorale sabbioso. Il paesaggio è quanto di più banale e piatto possa esistere: stabilimenti “Bellamare” e “Il rumore delle onde”, ristoranti dozzinali, anonimi agglomerati di condomini grigi. Dov’è la bellezza dei borghi che si arrampicano attraverso strette stradine ed edifici storici tra il profumo del pane cotto e della carne alla brace?
Se il genere umano è unito dall’avere in comune delle mete, oggi ci accomuna la lotta alle formiche che (lo scopriamo con orrore!) hanno invaso con numerosi nidi la nostra roulotte. La lotta contro gli insetti e la soddisfazione di necessità vitali sono attività prioritarie nel campeggio. Mio marito le trova particolarmente rilassanti.
Visitiamo il Conero percorrendo sentieri che portano a delle vedute stentate su spiagge 500 metri più sotto. La strada che attraversa il Conero nella parte nord conduce a Portonuovo. Studiamo, con l’aiuto di tabelloni, l’ambiente. Leggiamo che la lingua di terra si è formata da una frana di uno spuntone del Conero. Tra le diverse piante predominano lecci e corbezzoli. Anche i laghi salati sono biotopi interessanti.
Proseguiamo andando a Loreto, affollatissima anche perché vi si svolge una rassegna corale di musica sacra. Poi passiamo a Recanati, piena anch’essa di turisti con in mano libri di Leopardi e addosso magliette con “L’infinito”.
Sarà la giornata primaverile, sarà il clima, ma il luogo mi sembra proprio bello. Collina con vista splendida, collina splendida se vista da lontano: il natio borgo selvaggio non mi sembra affatto male. Anche il palazzo è decisamente grande e lussuoso. Indubbiamente Leopardi non viveva nelle favelas. Da dove nasce quell’odio, perché di vero odio sembra che talvolta si tratti, per il “natio borgo selvaggio”? Il fastidio di Leopardi per l’ottusità del suo ambiente mi sa che sia legato non solo alla sua superiorità intellettuale che non trovava rispondenza nelle menti abbastanza banali dei suoi familiari (e chi trova rispondenza?) ma anche alla mancanza di libertà(che spinge Leopardi persino a organizzare una fuga) (penso che i genitori dopo aver dato a un figlio la vita dovrebbero fargli dono anche della libertà (di scegliere, di sbagliare, di allontanarsi da loro) O non è così?).
Ritornati al campeggio constatiamo che il problema formiche è ben lungi dall’essere risolto e nuovamente sferriamo un’offensiva.
Una grigliata ci occupa per una parte abbastanza consistente della serata. In campeggio tutto è rallentato dalla distanza. Per lavare la verdura dobbiamo attraversare un grande prato. Nei mercati del luogo abbiamo trovato ottima cicoria asparagi carciofi e agnello. E Rosso del Conero.
Ce ne andiamo da Porto Recanati(che di poetico ha solo il nome) con vera soddisfazione. Non era granché in effetti, neanche per me che stravedo per il mare.
Mio marito invece il mare lo odia proprio, e mentre ci allontaniamo afferma soddisfatto: per fortuna non sentirò più quel rumore. Non riesco a capire come lo possa infastidire la musica meravigliosa del mare. Ma lui mi spiega. - Anche di notte. Sempre. Non lo puoi fermare. Allora capisco: il mare gli dà fastidio perché prescinde da lui. Lui vorrebbe avere tutto sotto controllo. Il mare invece se ne infischia. (Non posso trattenermi dal ridere).
Ci aspetta una tappa breve. In mattinata ci fermiamo a visitare l’abbazia di Fiastra, una delle più belle abbazie dei monaci cistercensi, che ci si presenta in una splendida giornata primaverile allietata dal canto degli uccelli. Annusiamo l’aria. C’è un mix di profumi.
Oltrepassiamo l’Appennino attraverso un modesto valichetto e scendiamo verso Spoleto.
Bene bene, penso: colli umbri e, ancora meglio, toscani. La primavera teorica, quella in cui cantano gli uccelli, l’aria è frizzante e le nuvole corrono nel cielo…
Me ne sto tranquillamente leggendo un settimanale che parla delle tante guerre… Mentre leggo e medito sui dati riportati sentiamo qualche sobbalzo, qualche strattone. Ci fermiamo e constatiamo che la gomma della roulotte è ampiamente squarciata. Per nostra fortuna non è successo niente. Anvedi ! Fai lo slalom tra le bombe e magari non succede niente. Vai a fare una gita fuori porta e…
Dalla vicina Foligno arriva un meccanico modello furetto che si stende a terra corredato da alcune chiavi inglesi e con variopinte esclamazioni: questa ci sta, no non ci sta, quest’altra … ah questa no! questa è una paracula, Ecco sì , questa ci sta! Ci sostituisce la ruota.
Andiamo assieme a lui all’officina dove ci dovrebbe dare una ruota di scorta e la fattura, ma ci congeda con un veloce “scusate, vado a pranzo”. Ha ragione - pensiamo -, poverino, sono le due! E ci mettiamo ad aspettarlo.
Alle quattro non è ancora ritornato (perbacco!). Cominciamo a spazientirci. Intanto arriva il fratello e con lui finiamo la pratica e possiamo infine ripartire.
Arriviamo a un campeggio tra Trevi e Spoleto: campagna aperta.
E’ sera e un flebile profumo proviene dalle tamerici che allietano il campeggio e si mescola ad altri profumi della campagna. C’è anche un uomo che parla con gli uccelli: inserisce il suo fischio nel ritmico canto dell’assiolo e crede che l’assiolo gli risponda.
Nelle vicinanze c’è un ristorante che, nonostante il nome “La mangiatoia” sforna cibo buonissimo, come scopriremo la sera successiva: costicine di agnello con funghi, stranghozzi (nella versione paglia e fieno) ecc. Intanto quella sera procediamo in proprio. Per non ripetere il risotto del giorno prima e siccome abbiamo con noi asparagi e zucchine facciamo un orzotto ( per chi non lo sapesse in Carnia è consuetudine fare degli orzotti cioè trattare l’orzo come il riso stufandogli vicino delle verdure. Il difetto è che il procedimento è un po’ lungo). Abbiamo anche vari tipi di pecorino, formaggio di capra e Rosso di Montefalco (perché l’ottimo Morellino di Scansano è finito).
Mentre l’orzotto cuoce faccio un po’ di ginnastica con un elastico che mi porto sempre dietro. Una volta avevo messo in valigia dei pesi ma mio marito dopo aver chiesto come mai pesava tanto il bagaglio si è arrabbiato. Gli uccelli cantano e mio marito studia sulla carta geografica le possibili mete. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. D’altronde sono luoghi che abbiamo visto e rivisto in abbondanza(ma per me sono sempre nuovi perché, per la nota insufficienza dell’hard disk, cancello tutto).
Dopo cena andiamo a camminare per una stradina che costeggia il campeggio e si inerpica per un colle. Olivi e viti. Un lievissima falcetta di luna. Cosa c’è di più bello di una notte stellata? All’improvviso ci imbattiamo in una grande villa abbandonata, una chiesetta e un giardino modello inizio secolo ampiamente trascurato. La casa è diroccata. Le finestre squarciate. Mi prende una strana inquietudine e penso che dormendo avvertirò la presenza di qualche fantasmino. (I dintorni è sempre meglio visitarli la prima volta con la luce del sole.)
La mattina seguente decidiamo di andare a Spoleto. Facciamo un giretto sommario per il centro, visitiamo la Pieve di San Salvatore a mezza costa su una collina. Uccelli olivi pace. Come al solito.
Cosa farò della mia vita? No, non di oggi né di domani, ma in generale. Bisognerebbe dare un senso a questa vita. Il tempo scorre. Che cosa dà senso e valore al tempo? Qual è il tempo usato e quello sprecato? Quanto ne ho sprecato io? A guardarsi attorno uno vede mille strade, o forse non vede nulla perché quello che decidiamo non siamo noi a deciderlo. Noi possiamo solo metter degli stop (fasulli e presuntuosi), far finta di non ascoltare, non ascoltare proprio (perché lo penso? e perché proprio adesso?)
Lungo la strada facciamo una sosta in un negozio di ferramenta perché dobbiamo fissare le tendine per il sole (quella sul lunotto posteriore si è già staccata più volte mentre me ne stavo tranquillamente sdraiata tentando di ammazzarmi).
Incredibile è la varietà di chiodi di dadi di tasselli e di bulloni che esistono a questo mondo. Un universo a me sconosciuto esattamente come per un meccanico sarebbe sconosciuto e impraticabile un vocabolario di greco. Tecnicamente parlando sono un’analfabeta. Impieghiamo una buona mezz’oro a bazzicare tra dadi e cacciadadi. Poi usciamo con la nostra preda.
“Tu cos’avresti fatto?” chiede il consorte soddisfatto. “Sarei andata da un meccanico, gli avrei detto il problema, gli avrei fatto un sorriso”.(di solito non mi fa neanche pagare).
(L’epilogo dell’episodio è un’oretta di contorsioni nella macchina da parte mia che vengo adibita a mozzo e devo tenere ferma la tendina perché il dado possa essere fissato. Poi un desolante nulla di fatto).
Il giorno successivo visitiamo Montefalco e Bevagna, arroccati su i colli. Zefiro torna. Ma qua non si tratta di Zefiro. C’è un vento di scirocco fortissimo che ci flagella inclemente portando temperature abbastanza calde per la stagione. Top estivissimo, ma ho freddo. Un pull, ma poi sudo. Il vento sul sudore fa presto a provocare i primi starnuti. Odio il vento!
Visitiamo Todi. Colline, case arroccate, traffico.
Perché non chiudono al traffico i centri storici? A dir il vero poco a poco si stanno organizzando. Spoleto è in parte chiusa e stanno costruendo una galleria e degli ascensori che porteranno alla parte alta. Anche Perugia, come abbiamo potuto constatare due anni fa, si è organizzata con una scala mobile che collega i posteggi alla parte alta della città e anche Assisi che ha costruito un megascensore.
Todi a dir il vero ha una teleferica che collega un posteggio alla piazza, la bella piazza tra il duomo e il palazzo comunale, un vero gioiellino. Peccato che le macchine dei residenti circolino in buon numero!
Nei pressi di Spoleto visitiamo il possente arco romano e, per restare sempre in campo archeologico, i resti della città romana di Carsulae, vicina a Sangemini.
Le formiche che hanno turbato i nostri sonni nei primi giorni sono sparite da quando siamo in Umbria e non solo per i reiterati impacchi che abbiamo somministrato loro a base di Cifbriskcafmaschvari conditi con ammucchina e un velo di Bygon ma anche perché hanno visto sfilare dei formiconi piuttosto robusti e hanno pensato: oh oh! che palestrati! magari ci facciamo un giretto e poi da cosa nasce cosa… Insomma le formiche per fortuna sono sparite.
Lo scirocco continua a imperversare nel nostro campeggio e allora io, che di solito non prendo decisioni, decido che è il caso di partire. Null’altro mi spinge che la nota regola del gatto: se stai bene da qualche parte restaci, altrimenti è meglio che ti sposti. Così partiamo e ce ne andiamo nella zone tra Siena e Arezzo, dolci colline zone boschive, casali stupendi, vecchi borghi rimessi a nuovo, sole, un cielo limpido e un venticello delizioso. Eh la Toscana!
Qui finalmente fa calduccio e trascorro un po’ di tempo a prendere il sole (La branda è uno degli oggetti di dotazione della roulotte che amo di più).
Verso sera interrompiamo i nostri ozi per andare a visitare qualcosa. Non i grandi centri che abbiamo decido di escludere dai nostri vagabondaggi primaverili (salvo isolate toccate e fughe) e neanche i centri minori, ma quelli minimiminimi. Cennina ad esempio! Chi l’ha mai sentita nominare? E’un delizioso borghetto con case medievali e una vecchia torre utilizzata per manifestazioni culturali. Ho sempre amato la tecnica di costruzione antica, la bellezza delle pietre incastonate armonicamente, il colore dell’argilla che svaria dall’ocra al marron chiaro e si sposa dolcemente con il terreno. Mentre passeggiamo per i sentieri che ci permettono di vedere il borgo da angolazioni diverse mi viene un’idea. Come sarebbe bello fare di un antico casale restaurato un luogo d’incontro, il centro di un gruppo di amici che si incontrano per godere assieme della bellezza dell’arte e della natura! Ci si potrebbe dare appuntamento per fare delle vacanze poetiche. Al calar della sera qualcuno narrerebbe o leggerebbe versi. Si potrebbero appendere poesie fuori della finestre anziché le lenzuola. Le strade risuonerebbero di canti. Insomma sarebbe un luogo di delizie fuori dal mondo.
L’idea mi piace e continuo a pensarci mentre ritorniamo a valle (Quanto verrebbe a costare? C’è qualche mecenate che finanzia l’arte? Mi sa che no).
I colori che predominano nella campagna in questa stagione svariano tra il rosa e il lilla. Glicini e tamerici che hanno dei fiori di un rosa dolcissimo.
Sui prati c’è un mix in cui prevale il bianco e il rosso dei papaveri.
Girare per la campagna è sempre un piacere, ma per quel che riguarda l’automobile indubbiamente la segnaletica non aiuta. “La segnaletica italiana è la peggiore in Europa!” esclama mio marito di fronte a segnali mancanti o a indicazioni approssimative. In effetti usano i segnali a fantasia e mettono quello che hanno. Sullo stesso incrocio per quelli che vengono da destra il paese si trova a un chilometro e mezzo, per quelli provenienti da sinistra a due. Anche per indicare gli animali si arrangiano. Se non hanno i cartelli per i caprioli mettono un’indicazione “Renne” piuttosto surreale.
I monasteri abbondano e non sto neppure ad indicare i nomi di tutti quelli che abbiamo visto. Continuo invece ad assaporare nella mente il sogno che ho fatto a Cennina: una comunità di poeti arroccati nella patria delle lettere e della bellezza che è la Toscana… Mentre penso, attraversiamo il borgo di Rapale e poi arriviamo a Sogna.
Non è un sogno, ma lo sembra. Case bellissime fuse in una piacevole disarmonia. Stradine fiancheggiate da cespugli ben curati di lavanda e rosmarino. C’è persino una piscina inserita in un ambiente curato con arte sapiente. Il paese delle fiabe! Scendiamo, ma le casette sono tutte chiuse. Mio marito risale e io continuo ad avventurarmi da sola. Mi chiedo se non si tratti di un sogno. Curiosando qua e là trovo anche una scritta con dei versi di un certo Marco Bagnoli “Sicchè nel sogno il tempo scorre /corre incontro al presente / all’inverso nel movimento della veglia…”
Oh luogo poetico! Oh splendido luogo! Cosa sarà mai? Potrebbe essere un villaggio turistico che affittano ai tedeschi durante l’estate. E’ un vero spreco però! Adesso non c’è nessuno. Eppure in primavera è bellissimo. E’ il posto più bello del mondo!
Tutt’attorno la campagna dà la miglior prova di sé. Se nei giorni precedenti i colori svariavano tra i toni del rosa e il lilla adesso comincia a far da padrone il giallo. Giallo sui prati con i ranuncoli e i fiori del tarassaco. Giallo trattenuto ma sul punto di esplodere in potenti cascate di luce nei cespugli di ginestre che sempre più fittamente punteggiano di solarità la boscaglia.
I boschi che dividono Sogna dal paese di Rapale sono in prevalenza boschi di castagno. Sono un mix abbastanza vario e probabilmente originario. E’ strano ma in questa zona tra Arezzo e Siena non c’è quel rigoroso lavoro di appoderamento e di coltivazione a viti e ulivi, che peraltro nulla toglie alla bellezza del paesaggio, ma ne fa un capolavoro di equilibrio tra l’operato dell’uomo e la natura, che troviamo nella zona vicina a Firenze. Qui la natura fa da padrona e macchia mediterranea e boschi di castagni predominano.
Una puntata a Siena si impone, anche se ci eravamo ripromessi di dare spazio solo al riposo campestre e di rallegrarci con amene passeggiate; ma la vista di un paese orribile come Levane che abbiamo sciaguratamente attraversato perché avevamo necessità di trovare un supercoop per le routinarie provviste di viveri ci ha talmente sconvolti con il suo grigiore (i vecchi seduti sulle sedie le carrozzerie in pieno cento il traffico disordinato le case scrostate) che abbiamo proprio bisogno di rinfrancarci con una veloce full immersion nella bellezza.
La strada verso Siena si presenta più interessante del previsto. Facciamo un deviazione verso Borgo Monastero e, anziché un monastero come supponevamo, troviamo uno splendido villaggio turistico ricavato appunto all’interno di un enorme complesso che doveva essere un tempo un’abbazia. Una specie di medievale borghetto dotato però dei comfort più moderni e circondato da bella campagna coltivata a vigneti. Un’altra incarnazione del sogno? Qui pensi, e non hai neanche finito di pensare, che la realtà realizza i tuoi sogni!
Arriviamo a Siena. Sistemazione della vettura in un park sotterraneo. Strada che ci porta velocemente in Piazza del Campo. Facciamo un giro per il centro, poi rivediamo il Duomo accedendo dalla grande scalinata sul retro. Guardo con interesse i bei marmi del pavimento, lavoro a sgraffio, opera unica nel suo genere. Anche le colonne e i dipinti della cupola mi rapiscono (li guardo sempre con stupore incantato come se fosse la prima volta!)
L’indomani partenza. Ci aspetta una giornata nel clu del traffico di rientro.
Percorriamo l’autostrada Barberino di Muggello - Roncobillaggio, traffico rallentato come sempre ,che poi però si fa via via più scorrevole e veloce.
Su un giornale trovo un articolo che informa che in qualsiasi situazione e circostanza si deve essere sempre rilassarsi e suggerisce di pensare a una spiaggia deserta…
Mentre mi rilasso sentiamo il noto rumore un certo dondolio della vettura e constatiamo che - incredibile ma vero - è scoppiata anche l’altra ruota. Aspettiamo sotto il sole camminando avanti e indietro lungo il bordo dell’autostrada (quale occasione migliore per mettere subito in pratica i consigli per il relax in qualsiasi situazione?) (Sono su una spiaggia deserta il cielo è limpido una dolce brezza...)
Finalmente arriva un uomo con il carro attrezzi. E’ piuttosto seccato e decisamente poco urbano, ma ci risolve il problema.
Adesso siamo anche senza la ruota di scorta e, facendo i debiti scongiuri, procediamo attraverso le autostrade vai via sempre più sbiadite del nord- est.
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