INTANGIBILI SACRARI DA NON PROFANARE

Di Francesco Massinelli

Vengo scorto sotto il voltabotte. Sfoglio i cartocci e taccio. Bratee in complesso avvolgono chicchi. Nel frigo stanno ancora i fagiolini al metro, le coste e le foglie di bieta dell'anno scorso. Vicino a me c'è la roncola che servirà ad abbattere un ginepro per il prossimo natale. La gentile brigata di fanciulle che per farmi calmare ha sperato una mia sistemazione amorosa è sempre improfumata. Io non ero manipolabile sugli argomenti scottanti che toccavo quando le ricevevo nella mia piccola automobile per fare dei giretti. Ma adesso, grazie ai profumi che m'hanno spruzzato, ai vestiti che m'hanno regalato, quando vado al bosco con il bidente per rumar le foglie secche e trovare i funghi, io sono sempre in tiro. E di questo loro vanno fiere e son felici. Uno come me, che lavora in campagna, che va a voltare il fieno ai fini di una normalissima essiccazione da esposizione solare, che forma il pagliaio attorno ad un palo salendo sopra alla quantità di fieno disposta col forcone, ha bisogno d'aiuto in fatto di moda. Non sempre però. Una volta, pulendo gli uccelletti ammazzati durante una partita di caccia (spellati, arrostiti rapidamente con una fiamma, dopo avergli tagliato becco-occhi-zampette, sradicato l'intestino asportando la pelle della coda fino a vedere concavo il ventre) ho fatto colpo sulla più bella tra le ragazze che frequentavano il mio istituto. Premetto che al tempo ero esigente e paragonavo tutto: quella è la più alta, quella è la più ricca, quella è la più vecchia, quella è quella che sta più zitta. Feci colpo per come infilavo le dita sulla carne morta, perchè con le stesse mani mi portavo alla bocca delle grandi olive che avevo messo a fare nell'acqua dopo averle schiacciate. Quando si dice il fascino delle sorti umane più tribolate. Ci avevo aggiunto il sale quando da verdi erano diventate marroni. Ma non parlo di donne per vantarmi. Parlo di quella che mi ha conquistato. L'interim del comando sul mio apparire lo lascio assumere solo a chi non si schifa della vita campestre, a contatto con lo sporco . Ai cittadini che posseggono il frullafrutta, che senza indicazioni di preferenza fan rifornimento di materie culinarie, io tirerei una zolla di terra, zuppolo detta. Se m'emarginano però, solo se mi emarginano. Al suono liscio della fisarmonica, al ritmo che mi han dato quando da piccolo andavo a sentirle. Andavo a sentirle nelle feste paesane, sotto al palco dove le sottane sventolano e le gambe si scoprono. Non erano mica male, loro, scostanti il giusto a favore di un punto vita della vita che tutto dentro tuttora mi mobilita. Cantavano stornello popolare tristissimo su musica allegra, d’una povera costretta ad una vita d’assistenza social-democratica zuppa e zeppa “d’espluà” d’assaporare. Amministravano un panorama di sottovesti che mi mozzavano il fiato, che sottovuoto mi facevano sentire caldo da termosifone. Quanto era spessa, quanto era quanta, la mia voglia di prenderne una e d’amarla. «Per quel che posso quanto più offro non è molto», dissi ad una di loro molti anni dopo, mentre stirava le gonne con cui avrebbe ballato la figlia, stordito dal suo odore di profumo, forte di lavanda. «Sii tu il mio uomo, tu sii». Fu la risposta di lei, vedova.

 

      Francesco Massinelli

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