Di Francesco Massinelli
Una pantolina cicciotta, davanti al rancio rancido che la sovrasta e non appetisce alcuna indigestione in clima di cogestione del servizio cucina, non mi rincuora. La kermesse di brani strumentali che ode, strumentalizzati, non mi distrae dal pensiero critico sul funzionamento della taverna. Identificato con i destinatari, ma anche con l'istituzione della ristorazione, son pagato per valutare il lavoro dei cuochi. Le loro pietanze, fomite ed esose, sono presentate nelle ariose prospettive di un rudere vicino a 3 archetti sotto un castello riparato, tra i resti della vecchia casa di un imperatore, proprio dalla cameriera. Belle pietanze su piatti sporchi, servite da lei ben vestita sopra una tovaglia messa male. Capisco subito che lei è una cameriera all'esordio, che anche in cucina c'è qualche esordiente, ma la decomposizione della composizione che serve non si copre con la disinvoltura della sua camicetta ben sbottonata. Da esperto micologo qual sono strofino subito, e al volo, due strofe di strafottenza per il fornitore della cucina e per il cuoco, che non distinguono i funghi buoni dai velenosi. Poi penso un periodo per la cameriera e lo pronuncio senza perdermi in un periodo di frasi proverbiali quali: il giusto la sconta per il peccatore; aiutati che Dio t’aiuta.
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