CECCHINO AL CHEK IN D'UNA CERCHIA

Di Francesco Massinelli

Con la mia andatura stanca sull’anca mi scosto dai miei coetanei che smascherano dei paradossi con la logica da quando sono piccoli. Il loro divertimento attuale sta nel far cadere degli omini di pongo per rimpastarli dopo il gusto di averli visti deformare. E quindi cadono. Chissà verso quale direzione li spinge l’emozione che stanno vivendo! Fan cadere gli omini di pongo, dicevo. Rotolano, barotolano giù. Ne cadono tanti. Sono della grandezza di un uomo naturale. Cadono con la bramosia di un bimbo che svuota il salvadanaio. Cadono e arrivano giù, in fondo. Non dico tutti i giorni, ma quasi. Gli fanno fare 7 metri di caduta. Giù dal muraglione. Giù con una capriola, da sopra. Una loro capriola è detta capucertola, se doppia è detta arcapucertola. Del discusso sviluppo dell'esplorazione abissale loro, all'asciutto, s'astengono dal parlare. Quel che mi domando io è che senso ha un hobby del genere. Una volta, con il suo castello che si specchia sul lago, vidi il mio paese chiuso tra i tulipani in fiore. Vidi le barche sulla riva che stavano infradiciando perché nessuno voleva più fare il pescatore. Ma tutta l’osservazione finiva lì. Punto. Io ero vicino alla marcescenza di materiale spiaggiato dal vento insistente ma non m’ero fatto notare da nessuno, ero imberbe. Anche allora c’erano stranezze. Andavano girando due persone sole, con una chitarra e la voglia d’amore. Provenivano dall’alto di un vecchio percorso longobardo. Entrambe, il giorno della fine dell’anno del servizio militare, avevano avuto il presentimento di quella che poteva essere la fine della loro vita, il ritornare in modo diverso a casa, alle occupazioni di un tempo. Erano lontani da me un tantino. Li ascoltavo parlare delle trattative del prendere o lasciare quasi da ricatto. Avevano brevettato un audiovideofono particolare, una sorta di computer da spalmare i cui circuiti, esempi veri di nanotecnologia ai limiti della possibilità di lavoro date dalla consistenza della materia, stavano mischiati ad una gelatina. Con tanti compensi decurtati ingiustamente, quei due, s’erano epurati da soli, via dall’organico della loro azienda. I loro capi avevano preferito investire su dei prodotti in cui l’elettricità passa, inestetica, nelle molecole di un transistor organico. Portavano un grembiule fatto con camicie dimesse, erano infagottati come l’imballo di un trasloco con lo scotch veramente buono, robusto, che lascia pulito, che si tagliava e toglieva bene. Si lamentavano anche dell’essersi presi l’herpes zoster, di essersi fidati delle donnine che lo segnano con la benedizione del loro anello nuziale, per tre volte (donnine che da piccole fingevano il mal di testa per non bere il caffè d’orzo, per ricevere dal lattaio almeno un bicchiere di latte di capra o di mucca). Anche se erano veri mi sembravano di pongo. Ma non mi son sognato di buttarli giù. Non sono un cecchino. Non appartengo a nessuna cerchia.

 

      Francesco Massinelli

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