VENDITOR DI FUMO

Di Francesco Massinelli

              

Riemersi nel correttore per le occhiaie un’ovatta ch’era ancora bianca e souspance. Come in una curva. Giù a scendere con velocità e 0.03 roentagen di radioattività, ancora con la ragione dell’essere e la sapienza del vivere date a me dall’alto. Ancora pronto a fare ciò che non credo coerente al mio modo di pensare. Caduto nel malaugurio onorifico del soggettivismo etico in cui distinguo a fatica il fumo altrui da quello che mi porto dietro. Racconto. Come operatore d’iniquità son pronto. Per ogni screzio fatto a chi risulterà contrariato chiedo perdono ed esprimo rammarico. Infuri quindi tutto su me, che vado e me ne vado. Che son ligio più dei ligi senili. Eccelso, eccelso in una spigolosa paciosità in cui gli ingorghi emotivi non derivan tutti da torti subiti. Dei precari miei mali, lasciati verso plurime corrispondenze, interessatevi solo se c’è qualcosa bramato dai detrattori che mi han piegato fino a redarguirmi in modo roboante, irato, stizzito, come questa relazione d’ambasciata che vi affido.

Alla ripresa del servizio, dopo le ferie estive, nello stesso punto in cui era ubicato l’ufficio in cui per più di un anno avevo lavorato, la scoperta della non agibilità della sede perché da luglio erano iniziati i restauri, fu un errore, una mancanza altrui, che ricadde su di me. «In un’azienda zoppa così non possono lasciare personale volante», dicevano a me da ogni parte. Ma io volevo restarci in quel modo, in quel ruolo. Anche se fare il serio se son gaio, fare il cattivo se non mi viene spontaneo, non è da me.

Sono un amico senza orologio, co-fondatore di qualcosa di buono, colorato fino al punto di piacere di gusto. Ma non piaccio al giudicante capo che riconosce il fatto d’esser ormai preparato a considerarmi obsoleto, superato, pronto ad essere rottamato, declassato. Nella messa a regime di un servizio complicazione affari semplici, come facilitatore di contesto, persi di vista la mia missione all’esterno. Ma con ragioni ovvie al mio interno. «Venditore di fumo non lo sono che per il compratore di fumo», questo dicevo a questo, a quello, a qualcuno.

Prima di ritrovarmi sfrattato dalla sede dove avevo lavorato m’era capitato di essere osservato per veder se risultavo veloce e adeguato al fine di ottenere un incarico. Ma da liquido-tranquillo pendolare, utile-semplice artista geniale, io, al momento opportuno, non sapendo dire i limiti in cui si formava il giudizio altrui che m’avrebbe escluso, feci figura di fece in quantità che ancora adesso si vede. E confermai una capacità di non saper interagire con chi esercita il potere su di me per farmi annichilire.

«È sconveniente riproporre una persona come me, chiedevo? Disponibile e sempre attenta. Invidiata. Cercata per la sua serenità, apprezzata? Serena e semplice, simpatica?» Con la fantasia divertente di uno spontaneo chitarrista sapevo d’esser un poeta buono, un sognando idealista. Ero uno che chiedeva al giudicante capo, ad un unito in alleanze d’egoismo sfrenato, di morire un po’ per l’altro senza lotte d’arrivismi da infarto. Affiancando altri colleghi in servizi sperimentali, ero reo dell’utilizzo di servizi costosi per gli enti attuatori che li avevano pagati. Ma non solo io. Anzi, io a fin di bene! Loro a fin di fumo negli occhi, a scapito sempre di qualcuno.

Pur mantenendo una costanza professionale, pur creando uno spazio di lavoro nel sociale senza alterare la concorrenza bestiale, mi son scansato troppo per far posto a tutti, in maggior misura se invitato a farlo dai furbi. La mia tranquillità, il saper far ridere in cucina, la mia dolcezza, il mio genio per il modo di vedere il mondo a pieno, non mi furono d’aiuto né al momento dell’assunzione, né alla fine dell’attività lavorativa, scemata nell’espurgo senza critica.

Professionista in regime di convenzione, puro d’animo, eccezionale esempio di vita, saggio, capace di donare una gioia immensa con spontaneità che felicita, non affrontai le discussioni con modo consono a rispedire al mittente ogni offesa non congrua. Col mio bel sorriso entusiasta dovevo star zitto e subir o picchiare a man bassa. Dovevo darci sotto con le parole, come un mitragliatore adeguato al calibro dei 12,7 millimetri nato.

Dopo aver stabilito la giusta meta, con buona salute, perseveranza, tenacia, iniziativa, ingegnosità, finii addestrato, istruito e preparato, là dove ti cade la stima che hai di te e tutto è scontato. Misi fuori un cartello con scritto «chiuso per defezione partecipanti» sorprendendo tutti i colleghi gonfi di fumo da vendere a tutti quanti, prendendomi le ire di tante utenze perché alle volte il fumo negli occhi è meglio di niente.

Poi, mi feci il coraggio a quattro mani, e, al mio principale giudicante capo, dissi: «Si, bravo, bravo! Aspetta la mia chiamata in base all’opinione che ti sei fatta sapendo le mie indecisioni riferite ai tuoi pari! L’opzione con quel che implica io l’ho accettata pur di sfuggire ai tuoi mezzucci misti, a cavallo di troppe realtà! Poggi le tue spiegazioni su assunti ovvi che cambi in base a come ti fa comodo! Non trovo cose giuste da far valere perché le rigiri subito! Quando mi dici che mi consideri la persona ideale, per questo o per quello, già immagino la reversibilità della tua opinione, del tuo discorso. Con la stabilità economica in qualsiasi momento eserciti su me il potere che se arriverò alla pensione non ti riconoscerò più! Se non era un siluramento quello da te chiamato sostituzione perché ho avuto tante premure formali da parte dei colleghi?»

Ma lui che poteva dirmi! A bocce ferme, proprio quando si palesa che tutte le cose sono perfettibili, sentite! Sentite lui che poteva dirmi: «Se prima arrivavi solo con la borsetta, di recente ti capita di arrivare con due stagiste. Gestisci colloqui non più con un rapporto di uno a uno, ma con più persone davanti all’utente che ci serve. Quando c’è anche il coordinatore, l’altro esperto aziendale e il controllore della qualità, siete in cinque di fronte ad un utente inerme. Sei stato bravo ed accorto nel capire che per attivare stages finalizzati all’osservazione pura e semplice occorre dare strumenti per rendere l’osservazione attiva, altrimenti la stagista si frustra. Ma che vuoi da me? Prenditela con te stesso! Povero bambino, con la specialità di cuciniere presa col dolce fatto dalla nonna e dalla mamma. Qui tutti ti vogliono. Sei tu a volertene andare. Sostituire il designato a sostituirti si può ancora fare. Ma ricorda. A fumo, se si assomma fumo, si da qualcosa di compatto a qualcuno! Aggrovigliato nelle storture del tuo cuore non ti sei reso conto del protrarsi della tua assenza. Invedibile da tutti, ma non dal mio amor mio, non è stato vacuo quel tuo ruolo anche con persone poco ammodo.»

 

      Francesco Massinelli

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