Di Francesco Massinelli
Ti abbraccio forte forte, qual bello che delude te, fantastica più di me. Ma non legarti alla mia sorte che passo e rifuggo dall’orrore di me stesso, conosciuto per le mie mimesi. Son passato da una nevrosi ossessiva ad una fobica, confidente d’uno finito in una psicosi maniaco-depressiva. So di star così barricato nella caricatura di me in cui più mi son identificato che subisco i comandi del panico, con la fobia per compagnia, senza terapia. E da tanto! Pur protetto da tradizioni che esorcizzano il male io non mi so relazionare quando ho paura d’ascoltare. Poco mi confido per non diventar più vulnerabile di quanto già sono. Mi coprono conflitti mimetici e mi sento il toupet spostato. Smascherami piano, ho il debole per te. M’abbellisco per dare e fare piacere. So che son racchio, babbeo, me lo dice un faraonico tetrarca quando si accorda sulla fattibilità del prezzo d’immeritate benemerenze che lui tenta d’ingraziarmi. Ma dimmi il tuo nome, visto e considerato che da te fui visto e considerato. Sei la sopravvissuta alla finta bonomia dei tempi andati, per cui potrei giocare ogni mia sicurezza, sei più di un trilobite del cambriano, sei più di un muone, di un neutrone lento, sei la donna che nell’abbraccio tengo. Dall'ombra del passato afflitto, tuttora, progetto il mio futuro affisso al soffitto, con un cipiglio autoironico, parodistico. E non solo. Dissennato oltremodo, yè-yè iracondo, marco l'abisso che mi divide da chi ancora respira molto. Le mie narici belle, belle d'una bellezza efebica, han la boutade d'orfiche oreficerie in tenuta da sera. L'oltranzismo di quanto acuirà l'apologia già da tempo l'ho dato via. Ho detto crucci crucci mangiando cotti i tarallucci. Eppure una giustificazione morale l'ha avuta la mia partenza disonesta, dallo svolgimento equivoco, dissolidarizzato, che forse t’ha deluso. Sussurri d'intrallazzi ho inghiottito. Pur non evadendo il fisco con gli sfarzi mi son riempito. Con un'arringa da invasato, a se e agli altri rivolta, ho annusato il compiacimento di chi non dice, trattenendo l'aria, il sofferto d'una volta. Non ti abbraccio così, en passant, come a dire poverina, in una scivolata di devozione ipocrita. Non ti abbraccio come uno che si para il deretano, che mica s’accorge di quanto è stato segato dalla differenziazione che ummm, gli ha dato fastidio. Ti abbraccio ancora con la vis polemica che desumerai dall’evidenza dei miei atti da professionista della protesta che non si è pentito mai. Ti abbraccio con l’agilità che, quindi hop, si attuerà. Ci congiungeremo zompanti su ogni scompenso, ruoteremo all’aperto, con un tum, uno zot, in cui i moventi delle nostre azioni non saran sale sulle ferite riversato a bidoni. Incurante del mio toupet spostato dirò piegato l’orgoglio, smascherato. Via nel rifiuto d'una realtà composita andrai, i peli drizzati conterai; intenti, a tentar qualcosa sul luogo in cui niente c’è di scontato, staremo.
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