Di Francesco Massinelli
S'attaccano alle parole pur di questionare, con rauche parole, imperterrite, si fanno del male. Non so come consigliarle riguardo ai litigi di chi non si sopporta. Entrambe parlano da una pelle in cui è duro starci. Una pelle senza asole, tasche, bottoni. Caratteri difficili. Tiro dentro un commensurabile detrito di miraggio di quanto potrebbe essere bella la loro relazione. Languo. M'accusano di non essere più vivace del loro delirio e m'è da nocumento un comminare là. Là, proprio là, dove finisce l'ensamble ed inizia l'happening del loro parlare e del mio compitare. Se mi balena fascinoso il disfacimento da cui insoddisfatte s'interrogano, o si lagnano, non sempre la discussione m'incontra nel suo rush finale. Sono entrambe prigioniere di un manierismo instabile come un tatuaggio che si sposta sul corpo all'improvviso. Promanano una riposta inquietudine che le rende dignitarie di un male, d'una incursione, in cui s'affligge una satrapia che si subodora. Che sconfina nell'ambrosia di quando sole e pioggia t'arrivano insieme. E' inutile fargli avanzate rabbiose, fargli osservazione. Chi si strapazza a vicenda è sempre in un guaio, mai gaio, in cui tutto può sembrare inutile. Come il piumino d'oca tutto in fondo alla risacca della giacca a vento, che non ti scalda le spalle.
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