Di Francesco Massinelli
Vado erigendo giudiziose generalità da declinar per vere, prive d’allucinazioni ipnagogiche. Mi presento per quel che scrive di me l’ufficiale di stato civile. Non mi sento “in più” in questo mondo, anche se m’identificano dati denotativi scarni. Sono una persona amata e desiderata. Ho visto, senza muovermi in 4 direzioni diverse nello stesso momento, con capacità cinetica da sospensione di giudizio d’un quorum, un vacuo modo che irroga sanzioni, in cui sembra che la passa liscia chi la vuole sempre vinta. Ammiro chi spezza sogni logici come fossero spaghetti crudi, chi non si pone in modo irraggiungibile ed è facilmente abbordabile. Ma non sta qui la mia forza da duro, d’avvantaggiato. Ai viveurs di quanto aborrivo oppongo la mia nunziatura, dico «attenti a voi». Arroto lo strumentario per il taglio preciso, quasi chirurgico, casomai servisse. Nei lieti convegni, nelle feste licenziose, non accondiscendo più la scala in cui v’è l’affittansi di tanti vissuti grami. Invito gli adolescenti a smettere di andare col senno di poi, sulla via dell’“a priori”, risucchiati da un infinito groviglio di legami mortali. Tra pannelli lamellari in cui c’è poco scarto nella lavorazione del legno rispetto al massello del passato io cerco e chiamo. A chi si vuol depennare dal foglio più bello in cui può comparire un nome proprio porgo per provocazione una lama affilatissima e dico: «tiè, fai pure. Il dolore che chiami sorte grama è una premura che ti è stata data. Ma intanto eccoti la lama, se ti stimi così poco da chiedermi di lasciarti perdere». Dove fallisco con le parole uso la forza bruta. Sono uno che quando la tolleranza diventa menefreghismo non s’orienta verso il tramonto, entra nel rischio. Di me non si può dire che annettéi la dabbenaggine di chi fa un flop bellino bellino pur di non accettare di esser minato nella radicalità dell’idea sua. Anche prima di un sinistro mai miseramente è perito il desiderio di rendere, ad ogni adolescente che riesco a conquistare, quelle domestiche gioie, quelle radiose speranze, che traboccano da una gioventù piena di purezza. È da tanto che non tengo più il conto di chi, contravvenendo alle regole della circolazione stradale, s’aggancia al mio avambraccio pur di farsi tirare dal mio motorino. Sono un integerrimo che può indulgere solo dopo aver visto un distacco, fatto con violenza da lama affilata.
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