Prefazione di Vittorio Mazzone

 

Questa raccolta di poesie, scritte da Franco Santamaria tra il 1967 e il 1968, emblematicamente s'intitola "Storie di echi".

In queste liriche Santamaria ci dà conto della sua visione esistenziale e del grumo complesso di angosce, sogni e paure, che sono parte integrante di una personalità che, nonostante il forzato distacco, mantiene saldo il rapporto umano e ideale con la propria terra.

Una terra, quella amara della Basilicata dalla quale giovanissimo il poeta, non per sua scelta, è stato costretto ad allontanarsi, ma che pure continua a rappresentare approdo sicuro cui ritornare, per non disperdere le proprie radici, punto di partenza certo su cui innestare nuove e più generali certezze.

Con questa terra di Basilicata Santamaria sembra intessere un rapporto sofferto di odio-amore.

Ne mette in luce tutte le asprezze e le speranze e le conseguenti cocenti delusioni. Ricorrenti sono le immagini che fanno pensare a tantissima parte delle zone interne del nostro Mezzogiorno, caratterizzate da paesaggi spogli, aridi, difficili da vivere, che un grande meridionalista come Giustino Fotunato definì "l'osso", in contrapposizione alla "polpa" rappresentata dalla fecondità delle aree costiere.

Da qui, da questa amara parte del Sud soprattutto, gli uomini scappano:

per toccare una diversa
aurora, vanno verso nord treni di uomini
esili come canne.

Eppure, a loro non toccherà una sorte migliore. Vanno, infatti, verso un mondo dove

il tuono dei motori, da lontano,
è senza fermate e impietoso più dell'acqua che precipita
in rapido torrente.

Ad ingentilire il paesaggio, che sembra quasi fatto apposta per simboleggiare la fatica del vivere, l'unico segno di speranza è rappresentato dal libero volo delle rondini che, almeno loro, apparentemente soddisfatte del proprio stato, s'inebriano

filando reti per il cielo
e vie che ancora siano calde di miti.

Ma della propria terra Santamaria denuncia anche l'arretratezza sociale ed economica. Un' arretratezza che accentua le differenze sociali, perpetua annose ingiustizie e fa vivere in condizioni di odioso sfruttamento le masse contadine. Arretratezza e sfruttamento che abbrutiscono e umiliano uomini e donne, impegnati in una dura lotta per la sopravvivenza.

Particolarmente toccante è l'immagine della donna contadina, sovrastata e distrutta da una quotidiana fatica, che ne fa una cariatide senza eleganza incapace di assaporare il fiore della vita.

Santamaria si sente profondamente legato alla sua gente che, nonostante le avversità del vivere quotidiano, ha la forza di tenere vive le ragioni della propria identità e riesce perfino a ritrovare momenti di genuina e semplice felicità che danno un senso alla propria storia collettiva.

Vivi nella memoria del poeta sono i momenti della trebbiatura, vissuti come esperienza corale del mondo contadino, quando l'intera comunità si ritrovava ad intrecciare gesti antichi di fatica con la gioia dello stare insieme per rinsaldare i legami tra le generazioni, favorire la nascita di nuovi amori, riscoprire le ragioni di un destino comune, sottolineato dalla passione profusa nel cantare a squarciagola antiche canzoni di lotta.

Ma questi momenti di felicità sono inevitabilmente del tutto passeggeri. Il calore dell'estate ben presto se ne va e si porta via l'ebbrezza dei canti, dei suoni, dei colori. Ritorna Novembre e riprende a infuriare il vento in tempesta, che incupisce i cuori e tutto il mondo circostante. Ritorna, allora, il tempo delle ombre e delle paure. Si accentuano i dubbi e le angosce del vivere dell'uomo. La mente è occupata dall'invasione di fantasmi orripilanti.

Prima o poi, sembra ammonire Santamaria, ciascuno di noi dovrà fare i conti con l'autunno della vita. Sarà bene, allora, che ciascuno di noi sappia che

alle fiamme del vento in tempesta è vana
la resistenza delle foglie a cui manchi
la solidità dell'idea,
precipitano
in melma di stagno affogando.

Il poeta prende atto, senza infingimenti, che la legge odiosa della violenza sembra reggere i rapporti tra le cose nel mondo presente. Le foglie, esposte indifese alle "fiamme del vento", finiscono per soccombere. Per questo, coraggiosamente, occorre trovare in sé la forza di resistere. E' solo in questo modo che si può coltivare la speranza di modificare la realtà che ci circonda e far sì che ci arrida finalmente un sorriso di zagara:

in acqua di fiume montano si scioglie il dolore,
quando rari angeli passano da noi
a rendere il verde a un lembo aspro di terra.

Ma a volte non basta restare con i piedi ben piantati a terra. E' importante anche sognare, ma non per rifiutare stupidamente la drammaticità della realtà, ma per riscoprire in se stessi nuove energie che ci aiutino a combattere le avversità della vita e possano dar forza e concretezza alla nostra speranza di un mondo migliore.

Nascono i sogni dalle nuvole
come libri profetici dove ardono simboli di fuoco.
Mi vedo volante su immense
voragini, senza paura e distinguibile forma.

Il poeta sembra volersi liberare dal cumulo, opprimente, di angosce e frustrazioni e, come un cavaliere senza macchia e senza paura, interpreta la propria ansia di riscatto, dà voce ai suoi sogni, alimenta la speranza di trasformazione della realtà.

Il messaggio che trasuda dai versi di Santamaria è chiaro. Egli si fa portavoce degli echi che gli pervengono dalla memoria della sua terra, da cui ha attinto capacità di analisi sofferta della realtà, unitamente ad una sentita voglia di riscatto.

La struttura del verso di Santamaria è aspra come la terra che ha generato il poeta. Non v'è spazio alcuno per leziosità ed ammiccamenti. La parola si snoda sofferta e immediata mescolando in modo del tutto naturale aspetti di sapore strettamente realistico con squarci ricorrenti di visioni surreali.

Il continuo riferimento ad un complesso mondo onirico esplicita la ricchezza intellettuale di un artista, dotato di una sottile sensibilità, che ha il merito di farsi apprezzare per l'estrema vivacità immaginativa. Un simbolismo, a volte esagerato, ma mai gratuito, sollecita il lettore ad una partecipazione convinta. Deve misurarsi seriamente con il testo chi vuole cogliere il piacere di comunicare con il poeta.

Ed il dialogo che si determina, allora, è ricco di riflessioni nuove.


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