2°
PREMIO PER SILLOGE INEDITA AL
«CITTA’
DI VENEZIA» 1991
SOLO
I TUOI OCCHI TROVO
Chissà
se incontrandomi sulla via Lattea
il cuore batterà ancora d'amore per te;
se gli occhi nostri avranno ancora
ricordi di bambini da narrare;
se avremo voglia di parlare
dei sogni ad occhi aperti in riva al mare;
della realtà che oggi ci attanaglia
di questa realtà tra cielo e terra
legata ad una nave che senza motore
porta a toccare le stelle;
tirarle per la coda, giocar come bambini:
erano
sogni amore!
Ti accarezzavo i seni come dune
e tu ridevi, ridevi, ridevi allora.
Ora solo negli occhi tuoi ritrovo
il mondo bambini sognanti in coro.
4
agosto 1989
QUANDO
LE PISTE SU MARTE...
Quando
le piste su Marte si accenderanno
e i viandanti del ciclo guarderanno le autostrade
non vedranno cemento alto fino a dieci metri
per coprire il verde rimasto ai bambini.
I
bambini allora vedranno
i tagliaboschi che posano la scure
per riascoltare il canto silenzioso degli alberi
i contadini guidare ancora l'aratro
per sentire il respiro della terra.
Appena
si accendono le luci sulla pista di Marte
si ode un coro di bambini che cantano la pace
e il più piccolo esigere la pace e il verde
che sulla Terra il cemento armato gli tolse.
II
Quando
fra vent'anni sbarcherò su Marte
sappilo amore, porterò il tuo volto
ed esso farà viola il rosso vivo del pianeta.
I tuoi saluti? Certo! Predicherò - lo sai -
sempre l'amore che unisce gli uomini
attraverso l'infinito spazio del cuore.
7
agosto 1989
SOPRA
SIRIO C'E' UN REMO ...
Sopra
Sirio c'è un remo che il vento
non strapperà e il sole non cancellerà
il bell'arancione che lo circonda.
Quel remo lo piantai il giorno
che m'innamorai la prima volta
a ricordo dell'amore.
Il
remo è rimasto su Sirio anche se tu
sei passata ed altri amori cantano in me
e altre barche cercano un remo
per traghettare un solo amore
8
agosto 1989
SALIVANO
DALL’ANIMA...
Salivano
dall'anima lacrime copiose
come ruscello a valle allo sciogliersi della neve:
quel giorno! Stanza squallida come la vita:
allora! E tu piangevi! Ed io piangevo
perché potevo darti solo me stesso: giorni!
Ma
mi amavi! Ti amo e più non ti trovo.
Non
inseguire sogni. Diventa salmone
e sali la corrente del fiume ch'è l'essere
per ritrovarci ancora. Fa ch'io possa,
mio bene, inondare il tuo ventre
di spruzzi di luna.
7
luglio 1989
GLI
ASTRI IMPIETRITI
Gli
astri impietriti si sciolgono in pulviscolo
perché un granello dica agli uomini che bene gli voglio.
Gli astri cantano «osanna» alla mia poesia
che tu «Sole» hai sparso sulla terra.
Gli astri danzano la gioia, la bontà di vivere:
la varietà della vita per Te, Signora:
pane nel pane, acqua nell'acqua che sfama e disseta.
Gli
astri impietriti si sciolgono in pulviscolo
perché ogni granello mondi l'uomo
e guardi negli occhi, Signore!
8
luglio 1989
INCREDULO
SOTTO IL SOLE
I
L'uomo
sostava incredulo sotto il sole
mentre tentava di riconoscere le ombre
che strisciavano lungo le mura
screpolate della vecchia casa.
Un cane dormiva nella piazza deserta
in quel meriggio infuocato
solo l'uomo dava segni di vita.
Cosi erano i miei giorni d'agosto
a Paduli!
II
Non
seppi mai chi fosse la donna
scannata giù a Valle dell'Asino
come non seppi mai il nome
della donna che m'insegnò il sesso
eppure conoscevo suo marito.
Passava le giornate intorpidito dall'alcool
e le notti a russare lasciandola sola
col suo desiderio inappagato
con la sete di sempre.
IlI
Andai
dalia mia donna m un giorno assolato
era settembre e in cuore maggio cantava.
Come sapeva ridere la donna mia!
Ora è tanto che piange e non ha colpa.
Piange sull'amore non vissuto
Piange sui giorni passati
Non capisco. E ci sarebbe tanto da ridere!
E' bella carnosa l'amore mio
braccia di velluto bocca di melagrana
il corpo somiglia ad un'anfora greca pregiata.
E' bella la mia donna
ma perché piange quando
ci sarebbe tento da ridere?
IV
II corpo ambrato la bocca vorace
erano la mia estate.
Affondavo
la testa nella fonte dell'oblio:
il tuo turgido seno
e bevevo l'acqua del fior di loto.
La mia primavera era nei suoi occhi di noce
come al ciclamino l'ombra della quercia.
L'autunno
offuscato da una piramide spezzata
mi attendeva e tu rapita mi rapivi
chi pensava all'inverno?
V
Inferno rapisce la mente
L'interminabile solco spaventa lo sguardo
ferisce gli occhi che vedono solo fiamme
sono quelle che mi bruciavano in petto
ad ogni tuo bacio come Dio l'uomo
lasciando una grave vaghezza nell'anima.
Era sotto l'ombra del mio corpo
stillava gocce di luce luminosa
ma assente inseguitrice del passato
mi lasciò solo in questo Inferno
che rapisce la mente
travolta dalle fiamme.
VI
La
sera si accende sempre di luce sanguigna
ai tuoi occhi bramosi ché la bocca sinuosa
chiede baci e baci da come sorsi d'acqua sorgiva
per l'anima che attende una sola parola
ma avidamente bevi dalla mia bocca
mentre l'anima attende sempre «quella parola».
Era
il ricordo doloroso
di
quell'interminabile giorno di settembre
che mi faceva assente ai tuoi baci.
Quell'infinito giorno di fame
che si voleva saziare con un «tozzo» di pane verde.
Piangeva non solo il mio stomaco
- io presto padre lacrimavo non per me -
Quel
giorno costantemente presente
mi allontana ai tuoi abbandoni
perché la fame di allora si disperde
e voglio ricordarla ai bambini di oggi
che giocano sulle sopraelevate
e non sanno che l'amore albeggia
sulla fronte di tutti basta
cogliere il raggio di sole.
L'interminabile
giorno di settembre vive sulla tua bocca
come l'amaro del pane verde nel mio cuore.
14
settembre 1989
PRIMO
VIAGGIO CON PAPA'
I
Dissi
a mio padre: voglio venire con te
- era appena ritornato dalla guerra
il pomeriggio estivo annunciava una tiepida notte -,
mi prese per le ascelle e mi issò sulla canna
della bicicletta; come pedalava, senza ansare.
Non guardavo la strada. Volevo imprimere
quel volto nella mente - un volto
che avevo solo visto in fotografia -
gli sentivo il cuore cantare contento
di stare con me com'io con lui.
Pedalava
e parlava di case bianche,
assolate; di gente che odiava gli spari
e donava sé stesso per un pezzo di pane duro.
Capii che la campagna d'Africa era per lui
un tormentoso ricordo, più che la prigionia.
Parlò per quarantotto chilometri palesando
la sua solitudine e l'amore per una donna
che gli aveva dato una figlia: era il suo dolore.
Non
disse altro che nell'ombra lunga
della prima sera le case apparvero
come manieri oscuri e misteriosi.
II
L'arcata
della porta affumicata
contrassegno della casa dove giunsi
che il sole se n'era andato da un po’.
Contro gli alberi di fronte la casa
a protezione del burrone strisciavano
ombre stanche, avvinazzate, morte alla vita
che la confusa oscurità ingigantiva,
appiattiva, ingrossava mettendomi dentro
ansia e tremore. Bussai alla porta
una voce robusta ma chiara tuonò.
Risposi
ciò che mi veniva suggerito.
La notte la passai sotto un pruno ed ero affamato.
Al chiarore dell'alba mille gocce dorate
pendevano sulla mia testa:
mangiai prugne anche per la sera precedente.
Ritornai alla casa dall'arcata affumicata
sulla porta un cartello annunciava: vendo tutto!
Il
nonno materno con una sella in mano
uscendo dalla porta borbottò:
«Si dorme male all'aperto e a stomaco vuoto!?»
Sospirai. E lui... «Cosi impari ad essere te stesso!»
IlI
M'hanno
detto che sei morto
ma io ti sento, ti vedo, mio usignuolo,
volare libero, cantando la canzone della vita.
Mio passerotto non più rannicchiato
sotto l'albero a cercare la «mollichella»
ripetendo all'infinito il tuo cip-cip.
T'ho visto Gabbiano difendere il tuo nido
e quel triangolo di terra dove regnavi libero.
Senza
involucro t'ho sentito cantare
l'inno dell'amore: l'amore di tutti hai cantato
ed io l'ho visto vivere tra limoneti,
aranceti e terra arida, sassosa.
Cantavi cosi imperioso che la natura tutta s'azzittiva!
M'hanno
detto che sei morto
ma io ti sento ancora cantare
libero, senza involucro, l'amore
che ti permette di stringere la mano
senza guardare il colore della pelle
senza domandare i pensieri della mente.
M'hanno detto che sei morto
ma io odo il tuo canto «mio usignuolo»
perché sei vivo in me finché anch'io vivrò.
9
novembre 1989
LA
PACE
Orrore
della caverna platonica mi accappona la pelle
al pensiero dell'autunno che come spenta musica d'organo
lascia l'eco imprigionata nelle navate di vuota cattedrale.
Acqua
porta parole fiume verso il mare.
Come Narciso mi specchio e tremo pel fratello
che ha ornato gli alberi lungo la via Appia,
per i corpi penzolanti che sfiorano l'erba dei «calanchi»,
per Salvo D'Acquisto che s'immolò nel credo
di un arcobaleno splendido: piango di speranza.
Non
voglio pensare che è morta! Lasciatemi entrare
nella grotta sottomarina ché possa vederla
che possa sentirla nel profondo del cuore,
splendere radiosa sul volto dei fratelli, tutti.
Quando
invecchierò penserò a questa paura prigione
e alle storie che non scrissi, ai timori e ai sorrisi
delle sorelle morte cent'anni fa, senza sapere,
con una bambola cullante tra le braccia.
Se
avessero saputo forse
avrebbero anch'esse lottato con me.
CI
DICEVAMO TUTTO
Ci
dicevamo tutto senza paura
e giocavamo a calcio col mappamondo
affinché gli uomini vomitassero il male
e con le parole formare un nuovo alfabeto
per scrivere solo vocaboli d'amore.
Ho
la sensazione che abbia messo da parte
il mappamondo e ripeta come una cantilena
demenziale le lettere lasciate in fondo al mare
quando il nostro amore fioriva come un giglio
quando profumava come il bene
quando sembrava eterno come la Creazione:
lettere affondate dalla nostra forza
come quelle che usavamo dando
calci potenti e ridevamo
gridando parole sconnesse
come
Conti, Maradona e Pelè dopo aver fatto un gol.
Ci dicevamo tutto senza paura
giocando a creare l'amore giorno per giorno.
Ma Conti è invecchiato, Maradona sbaglia i rigori
e Pelè non gioca più da anni
Ci
dicevamo tutto senza paura
perché anche una partita di calcio
è un bellissimo gioco d'amore.
8
ottobre 1986
ALTRE
CROCI AFFONDANO NEL CUORE
Altre
croci affondano nel cuore
più di quelle inchiodate lungo la via Appia
più di quelle disseminate nel gelo della steppa
più di quelle appuntate sul petto dei carnefici.
Altre croci dilaniano il mio cuore.
Altra
fame soffoca lo stomaco
più di quella sparsa da Hitler
più di quella sofferta alle porte dei forni
più di quella invocata prima della morte.
Altra fame soffoca lo stomaco.
La
stessa voce si leva fino al cielo
più forte di quella dell'eccidio di Erode
più tonante di quella degli spagnoli nel trentasei
più potente di quella dei bambini del quaranta.
La stessa voce si leva fino al cielo.
Aridità
ha investito gli occhi dell'uomo
più del ruscello disseccato e spoglio
più del fiume senza flora
più del deserto sconfinato d'Africa
- ora tormentato da cingoli e fiamme -
solo sangue irrora la terra e gli occhi.
Dio trema. Mentre una nuvola nera ammantella il globo
la voce vigorosa dei bambini esige la vita.
Un
tiepido raggio di sole assale la terra
e le croci che sbranano il mio cuore
si conficcano violente nel cervello putrefatto
di chi nascosto come talpa ordisce la guerra.
23
gennaio 1991
HAI
RESPIRATO
Hai
respirato libertà dopo la morte
ora ti cibi di zolle odorose di vita.
Alla
vista dell’uomo scappi come un cerbiatto
desiderosa di bere il cielo e il sole.
Hai
paura dei serpenti e abbracci le zolle
rimosse per nascere amore
questo chiedi, ma ti vogliono in gabbia.
Vivi
tra sempreverdi alberi
dei monti perseguitata da una gabbia
in cui dormono milioni di serpenti.
8
settembre 1982
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