NATANIELE PAGHINI

Presenta

Il componimento poetico

"IL POETANTE"



I

I SOGNI DELLA LUNA

I fiori del deserto Signora mia Le dimore dei Sogni
Il matrimonio del Sole e della Luna Il canto del folle  

II

ELEVAZIONI

Prima elevazione Seconda elevazione Terza elevazione

III

CANTI DI CITTA'

La capanna La barca Ad una donna

 



I

I SOGNI DELLA LUNA


 

  I fiori del deserto

Che cosa sia l’amore

è mistero al pari di Dio,

eppure la sua essenza è acqua

dolcissima ed ebbri ne beviamo

come rimedio all’arsura della vita.

L’amore è acqua di vita,

profumo di eternità,

il sole di giugno

e l’azzurro di dicembre.

E’ cosa rara per l’uomo… come

per il daltonico il rosso.

So di chi è morto col suo amore

fra le mani, come un frutto rancido,

amore solare che ambiva petali

da riscaldare, amore dissetante

che s’è riversato sulla polvere,

e so di chi ne ha ricevuto

ceste copiose ed odorose

dai seni fertili di Astarte – doni sublimi –

ma il suo cuore indifferente

è rimasto, duro e nero e freddo.

E tutto ciò

non è né bene né male,

né giusto né ingiusto,

né inutili né necessario né divino.

L’amore, amico mio, è come

il fiorire di un cactus nel deserto:

raro e meraviglioso.

Che i tuoi petali siano lambiti

da un dolce vento

e portati in grembo dalle nubi;

che non cadano non visti sulla sabbia,

 per essere da questa sepolti.



Signora mia

 

Con le tue mani vorrei

creare un fiore per nascondermi,

i suoi petali saranno ricordi

che cavalcheranno l’eternità,

guanti di velluto fatato

che sfioreranno i miei sensi imbrigliati.

Con le tue labbra potrei gustare

il mondo per poi sentire il sapore

della mia anima e riempire le guance

delle parole d’amore che ti sussurro.

Con i tuoi occhi guarderei

Dio sedere nei suoi paradisi, possente

ed immobile nell’eternità, per

poi chiedermi quale sia il valore

di una preghiera e quello di una battaglia.

Con i tuoi seni sognerei

di colline infinite e di dolci vini,

e saranno il mio conforto nel pianto

e la mia ebbrezza nei giorni di vittoria,

e per ultimo saranno giaciglio

per la stanca mia anima

quando sarà della morte il certo tempo.

E di altri templi dovrei cantare,

ora e poi, signora mia, ma preferisco

che alla penna su carta la mia bocca,

di te implorante, sia messaggera

di poesie e lodi non di parole composte,

ma di caldi sospiri e ampi baci

fra pelle e carne.


 


Le dimore dei Sogni

L’uomo del santuario Catodico

fonde nuovi linguaggi, sfavillanti

al pari della loro vacuità frastornante.

Nelle menti corrose

dai miasmi tecnologici,

la sapienza delle stelle si è spenta

nel sudiciume dei vermi dell’artifizio.

 

La forza dunque meno viene

per riconquistare i domini antichi,

per riscoprirci parte dell’universo,

per sapere che ogni nostro respiro

è una danza sulle orbite degli astri.

 

La forza dunque meno viene

per calarci nelle grette pieghe,

nei budelli orrendi di ripudiate brame,

per immergerci nelle acque drogate

di novelle che non decifriamo più.

 

La forza dunque meno viene

per lasciarci beati trasportare

dalle onde dei nostri sogni

onde raggiungere le dimore segrete

e deflorarne le vergini verità.


 


Il matrimonio del Sole e della Luna

 

Dentro di noi giacciano le verità,

cercarle in libri è sciocco ed invano.

Solo dobbiamo immergerci nell’oceano

dell’Io, il perduto contatto riattivare

con le sacre stelle, ed infine discendere

nelle dimore segrete dove giaciono

angeli e demoni come amanti sopiti.

Non hanno importanza né déi e né santi,

è l’uomo la misura unica dell’universo,

ogni individuo con le dimore proprie.

Conoscile, o uomo! Aprile al vento

ed alla lanterna, riposa in esse ed apprendi

il linguaggio dei loro beffardi custodi:

la gnosi suprema in nessun altro

tempio la si apprende.

Mondati della corruzione e del marcio,

consacra il matrimonio fra Sole e Luna.


 

  Il canto del folle

 

Quando gli amanti impregnano

le lenzuola di sudore e sesso

e le luci matide si smorzano

in questa città tumorale

ed il cielo crepato filtra

il canto penoso di stelle remote

io piango per comporre nodi

che macchiano di sangue la carta immacolata.

Questi incantesimi che vorrebbero

resuscitare le stelle e colorare gli abissi

non sono neppure capaci di mantenere

intatto il loro suono da una sera ad una mattina,

ed io non sono quel dottore bravo

nel sanarli dalle croste della mediocrità.

Mi rimarranno come testamento di notti

 trascorse a distillare gocce di poesia

 che si perderanno per sempre nella pioggia

 che bagna la mia polverosa esistenza.



II

ELEVAZIONI


 

Prima elevazione

 

Canto, lodo e proclamo

la mia ebbra gioia, senza limiti o timori:

che ne trabocchino le città nere

 che soffocano l’anima mundi,

che le acque degli antichi oceani

e le pure fonti che hanno la voce d’angelo

ascoltino le vibrazioni della mie febbri,

e che per ultimo atto, in forza travolgente

di un parossismo liberatorio ed iniziatico,

le scure torri delle ipocrisie dogmatiche

vengano arse e schiantate sotto le stelle ritrovate.

Allontano dal mio corso d’acqua

i torbidi flutti della legge vergata:

eleggerò con mio voto personale

il dio al quale mi devo inchinare.

Non altro che me stesso esiste,

non altro che il mio pensiero vibra,

e ciò che sono è un onda solitaria

tra gli immensi cicli dell’universo,

e questa forma di carne e d ossa che mi rappresenta

è forse uno stadio effimero dell’evoluzione mia

individualità, una transizione momentanea

che ho l’obbligo di superare.



Seconda elevazione

 

Le verità non albergano nelle stelle maliarde,

non aleggiano negli spazi siderali e gelidi,

non sono rinchiuse nelle rocce primordiali

né celate nelle profandità cobalto degli oceani

né vibranti nelle forze e d energie

che dispensano equamente in natura.

In verità esse non esistono: l’universo

non se ne fa nulla della verità, di questo

concetto umano che suona vuoto ed inutile.

Verità… è proprio un suono senza senso.

Verità… verità… verità… verità, ancora verità

e verità ed un altro verità. Un suono presuntuoso,

emesso dalla bocca di chi pensa di ricoprire

un ruolo di chissà quale importanza

mentre è meno utile della polvere sugli scaffali.

L’universo ride delle nostre sedicenzie,

tutto esiste e pulsa oltremodo con veemente

desiderio di vivere e propagarsi e resistere

lungo le infinite scie del tempo, anch’esso

un’invenzione per decifrare il mistero del movimento

che altro non è se non vita. Vita!

Ma se proprio la pietra delle tue ostinazioni,

uomo cieco ed ottuso, ti spinge infine tuo malgrado

a cercarle, queste verità di cui fosti seminato

come un campo a primavera, allora guarda

in te stesso, più in fondo di quanto fai nel ricordare

e nell’odiare e nell’amare, e scorgerai il fallimento

della nostra opera.

Ma quale verità, dunque, fratello mio!

L’universo esiste, ed è vivo, e ciò che vive

esiste, e ciò che esiste esiste ed esiste, senza

il bisogno di essere avvallato, scrutato, giudicato.

La vita è la base dell’universo, solida e frenetica,

ed ha un’unica legge: vivere.


 

  Terza elevazione

 

L’universo è il verso di un sublime poema,

di esso gli illuminati ne percepiscono una strofa,

un solo verso è il tesoro per i miseri di spirito.

E noi non siamo involucri di carne, pur

meravigliose escrescenze di madre terra,

bensì note di pura musica che viaggiano

per completare la loro evoluzione.

Fai risuonare il tuo Io in ogni azione:

vuoi forse che il tuo nome

diventi un’inutile vibrazione

perdentesi nelle tenebre dell’universo?



III

 CANTI DI CITTA’


 

  La capanna

 

Ho costruito un rifugio segreto e buio

fra i rami silenziosi di un alto albero,

che nella foresta di strazio e paure che m’appartiene

a pochi apparirebbe come tale;

e vi ho celato il mio cuore

affinché non vada preda di falsi amori.

Ed esso riposa da così tanto tempo

che quello ch’io credo di usare talvolta

non è che un suo pallido riflesso.


 

  La barca

 

Un altro giorno si è allontanato

dalle dure e cupe scogliere dell’ego,

come un’onda respinta che non ha

saputo o voluto recare

i semi di un remoto amore,

o di un perduto sentimento

accovacciato su uno scoglio lontano.

O forse son’io che non frugo

fra la spuma salata per timore

di bruciare le mie ferite immaginarie.

 

Era te che premevo di scorgere

tra le acque, Afrodite di terra fertile

il cui sorriso ha il sapore della malvia.

Sei tu che attendo invano, calmo

e rassegnato, sognando tra le righe

di questi poveri versi il tuo

volto poggiato al mio petto.



Ad una donna

 

Giammai mirai donna al pari tuo

così sublime,

e pur so che il mio cuore sosta

estasiato davanti ai volti femminili.

Ora non posso fare a meno di

rammentare con nostalgia

quell’attimo fuggente in cui

mi beai dei tuoi capelli di grano,

delle tue mani come farfalle di miele,

del tuo viso splendente di primavera

e della tua pelle tappeto di ebbrezze…

la tua voce oracolo d’amore.

 

Il mio è un canto d’amore

senza fine, senza inizio, senza storia.

Ti cercherò ovunque sarai,

e se nell’anima di un altro sarà il tuo cuore

allora vagherò per gli spazi

e le stelle e diverrò un dio

per rubarti e farti mia signora

 



Indice: Nataniele Paghini