«PRIMO
PREMIO CITTA' DI ROMA» 1975
«SECONDO PREMIO “VILLA ALESSANDRA”» 1976
«PRIMO PREMIO IL PAVIGLIONE» 1980
OCCHI CHE NON CAPIVANO
«PRIMO
PREMIO CITTA' DI ROMA» 1975
«SECONDO PREMIO “VILLA ALESSANDRA”» 1976
«PRIMO PREMIO IL PAVIGLIONE» 1980
1
Oggi
è il mio primo giorno di scuola
fino
a maggio scorso sono andato all'asilo;
piangevo
sempre, volevo bene a suor Anna
e
suor Anna era fuggita con un bersagliere.
2
A
«Valle d'Asino» ho costruito
intrecciando
carpini e rovi
una
capanna: è la che vado
quando
ho voglia di piangere.
3
A
scuola mi hanno dato
una
camicia nera, un fez, un pantaloncino
grigio-verde.
Mia madre quando
ha
visto il pacco, ha detto:
«Almeno
hai vestito decente per la festa!»
Sono
scappato a Valle d'Asino:
preferisco andare in giro nudo.
4
Sono
andato a comprare le sigarette
mezza
lira per dieci «popolari».
Dal
tabbaccaio (1) c'era «Finuccio»
un
poco traballante. Due in divisa
l'hanno
preso di forza
insieme
ad altri due
l'hanno
legato su una sedia
gli
hanno messo un imbuto in bocca
hanno
travasato una bottiglia...
Quando
è uscito, traballava tanto
si
contorceva e «loro» ridevano...
«Questo
facciamo a chi non è con noi!»
Sono
ritornato senza sigarette!
Mio
nonno si è arrabbiato
e non per le sigarette.
5
Mi
hanno cambiato classe
e
faccio la seconda elementare.
Siamo
due uomini
e
ventiquattro donne.
Ci sono due gemelle assai carine
Angelina, la più bella e Vincenzina.
Io piango, voglio la Signora Ricci.
E'
entrata la maestra, quella nuova;
è giovane, bella e bionda come il grano.
«Mi chiamo Mafalda», ci dice!
Quanto e bella. Dio, quanto è bella!
Ha gli occhi azzurri, puliti,
di cristallo marino e sulla bocca
la bella primavera di Paduli.
Non
piango più, non voglio
ritornare dalla Ricci.
6
La
signorina Mafalda ha diviso
le gemelle, veramente belle;
Angelina è seduta accanto a me.
7
II
segretario politico ha comandato
a mio nonno di andare alla sfilata:
è l'anniversario della «marcia».
Il
nonno si è alzato in piedi
a testa alta, piantato come una quercia
gli ha risposto: «Tiene 'e 'ppigne,
accideme, faje primma!» (a)
a) (Hai qualcosa nel
cervello che non ti funziona, ma se proprio vuoi ti conviene uccidermi, fai
prima)
8
Per
la prima volta, stamattina, (1)
sono stato punito duramente:
non ho fatto i compiti assegnati.
Nel quaderno, invece, hanno trovato
un foglio scritto in fretta che diceva:
«Angela, ti prego, per favore;
non toccarmi la mano di nascosto
voglio imparare e non capisco niente.
Tra le righe del libro i tuoi begli occhi
brillano nel vuoto delle O;
il foglio del quaderno, troppo bianco,
è illuminato e abbaglia il tuo sorriso;
nel cucchiaio dell'olio di merluzzo
vedo il tuo volto bello più dall'alba
in un giorno pulito a primavera».
Sono
rimasto due ore inginocchiato
sui ceci duri, dietro la lavagna.
A
casa, mio padre, mi ha fatto la testa
piena di bitorzoli, a furia di cazzotti.
1)
Scritta nell'aprile del 1939.
Papà era ritornato, per una breve licenza, cosa che gli bastò per generare mio
fratello Nino - nato il 26 gennaio 1940 - e farmi conoscere le sue mani.
9
Per
non prendere botte, sai che faccio?
Scrivo di nascosto, sotto il letto;
salgo in soffitta e nascondo, le mie cose,
nel vuoto della camera d'aria
di una vecchia bicicletta in disuso.
10
Angelina
mi ha tradito
è andata con Idillio
a far l'amore, per una macedonia,
sotto il ponte fuori da «scarrafone». (b)
b)
località di Paduli
11
Stanotte
ho pregato il Signore
di far morire i vecchi più ricchi
voglio
guadagnare qualche soldo
perché andar via voglio da Paduli.
12
Non
muore nessuno ed io rimango
accanto ad Angelina, nello stesso banco;
e come ieri, le ho fatto ancora i compiti.
«La pioggerellina di marzo...»
diceva la maestra ed Angelina
ha scritto sul quaderno: «oggi t'aspetto!»
Ho dimenticato dove mi trovavo:
m'ha stretto la mano e m'ha sorriso.
Mi
è costato veramente caro:
la maestra mi ha fatto zappare
piantare barbabietole e patate
nell'orto preparato nella villa.
13
Ci
hanno riuniti nel piazzale della Villa
tutti in divisa, schierati.
Sul balcone della mia scuola
hanno messo l'apparecchio radio
sopra un tavolino, coperto dal tricolore.
Il
capo ha parlato e ha detto: «GUERRA!»
Hanno applaudito...
Mio
nonno mi ha messo una mano sulla testa
sarà infinita, ha detto, molti anni,
però sono contento per tè:
questo è l'inizio della fine.
14
Mi
sono svegliato, mio padre non c'era. (2)
E'
partito, è stato richiamato!
Mamma,
quando rivedrò mio padre?
Avevo
otto anni, due mesi
e venticinque giorni: ieri.
2)
Era la mattina del 27 settembre 1940
15
E'
giunto a Paduli un forestiero (3)
nonno sottovoce m'ha detto: «E' un confinato,
si chiama Gianni, è studente in medicina,
viene da Pela: ha parlato male del gran capo!»
Io
e Gianni siamo diventati amici
viene spesso a parlare con mio nonno;
parlano fitto fitto, a bassavoce.
Credo faccia la corte a zia Alessandra.
3)
Quando Gianni giunse a Paduli, quale confinato politico, era il giugno 1941 ed
io dovevo prepararmi per gli esami di ammissione alla scuola media, ma nessun
insegnante padulese aveva il tempo per darmi lezione. Chissà perché?
16
Nessuno
mi vuoi preparare
gli esami d'ammissione a sostenere.
Gianni mi incoraggia
e s'offre d'aiutarmi.
Penso
lo faccia perché gli piace zia.
17
Sono
cinque giorni che Gianni
m'insegna la sintassi,
ma d'italiano non si parla mai.
Mi
parla della rivoluzione francese,
di quella americana e quella russa;
del diritto dell'uomo sacro a ognuno,
di libertà con la elle maiuscola:
si paragona ad un cardellino in gabbia
cui hanno tagliato la lingua e tarpato le ali.
Voglio bene a Gianni
anche se lui lo fa solo per mia zia.
18
Sono
andato a Napoli (4)
e
per la prima volta
ho visto anche il nemico:
nel treno, per le strade, nelle case.
Sono
ritornato a Paduli di corsa.
4)
In occasione dei funerali del marito di zia Adelina, la sorella di mia madre:
era il 26 settembre 1941
19
Gli
amici mi hanno detto
di aver visto Gianni e mia zia
nella grotta dietro il "Convento"
fare all'amore, nudi sulla terra.
Sono
scappato a Valle d'Asino
vorrei morire e piango.
20
Sono
andato col nonno giù in cantina,
sotto una coperta, su una botte
c'era un apparecchio radio,
tre persone con gli occhi accesi
parlano col nonno sottovoce:
Sono sbarcati in Sicilia. "Ndò-ndò-ndò
ndò-ndò-ndò:
qui radio Londra..."
Il
nonno m'accarezza dolcemente.
21
Non
sono andato più a studiare
e Gianni viene sempre da mio nonno.
E' giunto a Paduli un altro confinato.
Gianni mi guarda ed ha paura.
Mi
ha ricordato la rivoluzione francese
il diritto dell'uomo e la libertà perduta.
22
Nell'aria
c'è festa (5)
corrono per le strade
donne scalmanate, gridando:
«e
caduto, e caduto!»
Il
nonno affacciato alla finestra
non sorride, però dice: era ora!
5)
25 luglio 1943: anche a Paduli si vede e si sente la guerra, fino ad ora rimasta
solo notizia stampata o radiofonica.
23
Son
venti giorni che il pane non c'è
e chi ce l'ha lo conserva fino ad ammuffire
e se lo divide con parsimonia quaresimale:
sono venti giorni eterni che non mastico pane.
Seduto
sulle scale al centro della via
grido, strepito, piango; chiedo il pane.
Mio nonno mi redarguisce: «non è bello,
il coraggio di un uomo finisce qua?»
Seduto
sulle scale al centro della via
grido, strepito; chiedo un pezzo di pane
non per me, per i miei fratellini.
24
Ma
sarà dato onore a noi bambini
come coloro che han sofferto e soffrono
o rimarranno emarginati nel tempo
come i vili che han fuggito la guerra?
25
Mi
han detto che domani (6)
conoscerò un poeta!
Un
poeta? Ma si può vedere un poeta?
Allora se domani - l'ha detto la maestra -
vedrò un poeta, se voglio posso
anche vedere gli angeli e parlargli?
6)
Queste due, contrassegnate dai numeri 25 e 26 sono antecedenti, risalgono
all'aprile 1941. Il Poeta di cui parlo è Enzo V. Marmorale (allora Ispettore
scolastico). Dovevo ritrovarlo nel 1953, e dopo due anni mi fece pubblicare, a
sue spese, dall'Editore C. Armanni di Napoli, "Note e Motivi", a cui
scrisse anche la Prefazione.
26
Ho
visto il poeta. Ma è un uomo!
Allora anche le mie sono poesie?
Ma che begli occhi profondi ha il poeta
e il suo sorriso... Ed il suo volto?...
Dio,
come splende! Ha il sole in fronte.
Mi
ha fatto recitare una poesia
in piedi sul banco e m'ha baciato.
Sono
andato di corsa sul soffitto
quando ero alla mèta son caduto:
quattro punti sotto il mento
per tre giorni non ho mangiato.
27
Ho
parlato, oggi, e per la prima volta
con Maria, la sorella di Michele.
Piangeva, l'ho rassicurata e Umbertino
ha detto: perché non vi fidanzate?
Le
ho dato un bacio
e come pegno d'amore
le ho donato una fìbbia
strappata dalla cinghia di papa.
Non
voglio lasciare Paduli.
SOTTO
INALBERO (7)
Aspetto
qui, sotto l'albero
che venga il mio amore
che venga il mio bene.
Ieri mi ha dato un bacio ed è fuggita.
Ma perché non viene?
Si sta vestendo di nero!
Rose
di sangue
sommergono corpo
non mio.
Sotto
montagne di neve
corpo glabro
di fanciullo ancora
giace.
Candore
al cuore
sua vita
fiumi
di lacrime
al mio amore,
occhi innocenti.
Amore
non sei sola!
Ti
contorci nel dolore
come l'ulivo
e non piangi più.
Le
labbra senza suono
dicono parole terribili.
Intorno
a te
per
tuo fratello in Russia
per tuo padre in Africa
coro di lamenti
torrenti di lacrime.
PIEDI
ARROSSATI (7)
Piedi
arrossali dal freddo
giorni di guerra, i miei.
Compagno di giochi
nelle sere estive
introvabile d'inverno.
Faceva
il calzolaio
aveva sedici anni
chiamato alle armi
lo
mandarono in Russia.
Quando
ritornerò
terminerò le scarpe:
piedi arrossati
scalzi rimasti
d'inverno
i miei.
Una
croce
per i ragazzi della Julia!
Chi
vi porta un Fiore?
Il
Vento.
7)
Scritte nel settembre 1942, quando giunsero i due telegramma che avvertivano la
famiglia Scaramuzzo, che Michele (sedici anni) era caduto in Russia (Alpino
della Julia) e suo padre era stato fatto prigioniero dalle forze alleate, in
Africa. "Piedi arrossati la scrissi il giorno dopo: era domenica.
28
Ad
Apice un treno carico di vitto
dicono per le strade di Paduli;
siamo corsi pieni di speranza.
I
treni sono tre nella stazione
la gente più di mille e scalmanati
m'intrufolo nel «Silos»: c'è riso e grano.
Dalle
mani di un uomo sfugge un sacco
cade sulla testa di una donna
era gravida, il peso l'ha schiacciata.
Di corsa sono fuori accanto al treno
come una talpa cammino tra le gambe
delle mille e più persone,
allungo le mani senza vedere
mi accorgo di aver preso delle scarpe.
Tre
paia di scarpe ed esco fuori
me le guardo e sono assai contento.
Due mani sporche di sangue
ma vuote, di forza sul mio viso,
cado per terra, ho le mani stanche
mentre un ricognitore americano
a bassa quota fa fuggire tutti.
Corro
accanto al treno, sono solo
il carro è pieno di noci e nocciole
afferro un sacco, chiamo a squarciagola:
portiamo a casa tredici sacchi di nocciole.
Il
mio si straccia, perdo il contenuto
ritorno indietro deciso ad arraffar
pur'io qualcosa, prendo del tabacco
e tomo a casa. Mio nonno quando
ha visto il tabacco ha detto:
«trincene un pò, almeno fumo».
29
II
bagliore delle fiamme
oscura il rosso del tramonto.
Le voci si susseguono alle voci
le madri chiamano i figli
i figli le madri perdute
nella corsa affannosa alla salvezza!
Salvezza?...
Il ricovero è poi una salvezza?!
Mia
madre alla finestra
guarda quello scempio
e piange in silenzio.
Inginocchiato ai suoi piedi
imploro di mettersi in salvo.
Mi
scompiglia i capelli, senza parlare,
abbozza un tenero sorriso,
mentre uno schianto terribile
ci faceva ballare a saltelli.
Le bombe hanno colpito il «Silos»
c'erano trecento persone
convinte di essere al sicuro.
Avevo
undici anni un mese
e dieci giorni: ieri.
30
Chi
soccorrerà domani, mia madre:
donna del soldato che per tenere
in vita i figli di chi padre non è
e non per sua volontà
ha logorato gli occhi
incallite le mani affusolate
invizzito la sua bellezza
in ore d'ansia e di paura
nelle lunghe notti senza sonno
nelle eterne giornate di fame?
Chi
soccorrerà domani mia madre
se mio padre non dovesse ritornare?
31
Sfamate,
vi prego, chi ha fame di giustizia
dissetate, vi prego, chi ha sete di libertà
consolate, vi prego, chi ha bisogno di conforto
ognuno vive per se, Dio per tutti.
Ma
Dio, Dio dov'è? S'è scordato
dei bambini, Dio s'è scordato
che esistono anche i bambini
e la guerra, per loro, è un gioco
terribile, troppo crudele?
Ma
Dio, dìo
dov'è? E' occupato
a cercare i caduti nel deserto libico
a riscaldare Ì ragazzi della Julia
perduti nella landa della Steppa.
GIORNO
DI MORTE (8)
Maria
sfammi vicino
oggi giorno di morte
dolora il mio cuore.
Ventiquattro
anni una vita!
Ancora dolora il mio cuore.
Pietà
all'anima fanciulla
che geme di giustizia.
Erano
intenti al ritorno
ai reggimenti soldati
alle case donne e bambini;
scacciato da Napoli
stormo di morte
si soffermò su te:
Benevento!
Da
Portanova
impotenti
assistemmo
vedemmo
l'Inferno.
Fermati
cuore già morto!
Maria
sfammi vicino
dammi la mano
fiamme d'Inferno
lambiscono mio cuore
orrendamente trasfigurato
orribilmente rivoltato
come vecchio cappotto
quel giorno.
Da
Portanova Minicuccio
con noi guardava e piangeva:
era epilettico
non
lo aiutò il suo male
quando d'essere solo rimasto
appurò.
Morì
quattro mesi più tardi
il giorno di Natale.
Lo trovammo
in
una stalla abbandonata
abbandonato
-
casa del terremoto dell'otto
distrutta -
raggomitolato
a palla
in compagnia di scarafaggi
cimici e pidocchi.
Negli
occhi aperti
c'era l'orrore dell'uomo
sulla bocca
il sorriso degli angeli.
Dammi
la mano Maria
oggi è giorno di morte
la mia morte che vive.
32
In
questa notte di sussulti e di bagliori
di boati infernali, di rombanti aerei,
di grida di dolore e di spavento
ho tanta paura che domani
non saprò più amare nessuno.
Ho
paura di non sapere amare
più nessuno perché mia madre
sono tre notti che piange e non dorme.
33
Cinque
coperte sono pronte
pronte per ogni evenienza:
mia madre le ha preparate
per farci dormire tranquilli
mentre lei veglia nella notte
illuminata dai razzi
e dai bagliori dell'incendio.
34
Arrampicato
su per Montesanto
sotto la camicia e sulla pelle
tutta la ricchezza di mia madre
in una scatola dei medicinali.
Quattromila
lire guadagnate
inchiodando strisce su pezzi di legno
ricamando letti per fanciulle
ancora bambine, per ragazze
rimaste vedove prima di sposare.
Arrampicato
su per Montesanto
deciso ad arrivare su a «Saglieta».
Mia madre mi ha giurato
che avrei trovato anch'io la farina:
sono tre giorni che mangiamo ceci
ceci, fagioli e lupini al sugo.
I
carpini mi tagliano la carne
non mi curo del sangue e del dolore
un ritornello canta il mio cervello
stasera mamma ci farà la pizza.
Ecco
la strada, ormai sono arrivato.
Il
gelo del metallo, un grido acuto
corro pel pendio come una palla
tra i rovi e i carpini in germoglio.
La
sera abbiamo ancora mangiato
lupini fatti al sugo, con le bucce.
35
Son
dieci giorni che mi porto appresso
tutta la ricchezza di mia madre
e a sera torno sempre più stanco;
mamma non vede più come una volta.
Cristina
si è attaccata alla mammella
mamma sospira e munge con le mani
non ce la fa a ciucciare è deperita.
Il
giorno appresso esco più deciso.
36
L'autunno
quasi alle porte
indora la campagna e la vite
colma di grappoli m'invita.
Poppino
per la mano e Nino
che ripete il ritornello: «agnà, agnà!»
mi addentro nella vigna che m'invita.
La
sera abbiamo mangiato uva
uva e lupini.
37
Al
«Carpino», la comare Immacolata
m'ha dato un pezzo di pane
un pezzo di pane fresco e profumato,
un fiasco d'olio d'oliva e dei fagioli.
Peppino
come un vero ometto
si portava il fiasco d'olio d'oliva
io sulle spalle Nino e sotto il braccio
il tesoro più immenso del mondo:
sono venti giorni che a casa mia
si è perduto il sapore del pane.
Camminavo
allegro e spedito
rivedere anelavo il sorriso
negli occhi quasi spenti di mia madre.
Un gran boato e Peppino scaraventato
a lato della strada, per soccorrerlo
lascio il tesoro grande che come ruota
rotola pel pendio e va a fermarsi
nell'acqua puzzolente di cloaca.
Prendo
la pagnotta, la lavo
e riprendo il cammino verso casa.
A
casa, mia madre non c'è.
M'han detto è rifugiata nella grotta.
Nella
grotta, mia madre non c'è.
M'han detto è alla Fontana Terra.
E'
buio ormai, mamma mia dov'è?
Peppino
piange, Nino vuole il pane.
Ho paura e piango più di loro
però non sanno che sto piangendo anch'io.
Ritorno
a casa e mamma ci aspettava.
Abbiamo mangiato il pane lavato,
quel pane fetente, fece ammalare Nino.
38
II
giorno dopo andai a rubar fave
in un appezzamento vasto assai
quando alla fine del solco mi drizzai
un uomo con la falce mi prese pei capelli
sgusciai come un'anguilla e corsi via
caddi, mi rialzai; dal naso sangue a fiotti
però correvo. Giunto sotto Portanova
lui era là ad attendermi. Col peso caro
delle fave, aggirai l'ostacolo ed a casa
stava parlando già col nonno mio.
Il
nonno m'ha dato uno schiaffo
mi ha ammonito, non si fa.
Quando
l'uomo, soddisfatto è andato
via il nonno guardandomi negli occhi
ha domandato: «quanti chili saranno?»
39
Sono
ritornato alla cantina
ad ascoltar la radio clandestina.
Dice è stato firmato l'armistizio
un coro di voci dei presenti,
Dio cosa succederà! (9)
9)
(Dalla 32 alla 39, sono state scritte dal 16 agosto alla proclamazione
dell'Armistizio: 8 settembre 1943)
40
Da
tre mesi mio padre non scrive
da cinque zio Giovanni. Mia nonna
piange e mia madre prega.
Nonno
non parla più come una volta
tira con rabbia l'ago
e
guarda in cielo.
Sulla
finestra s'è posato un passero
il nonno posa l'ago e senza tema
allunga la mano, prende l'uccellino
gli da il mangime e sorride mesto:
«chi ciberà i miei due passerotti?»
Ha gli occhi lucidi
mentre mi stringe forte sul suo petto.
IL
MONCO
Eri
già
a
metà strada da casa
una raffica
il braccio cadde
ai tuoi piedi.
Gridai
non
so quali frasi
e corsi incontro al nemico.
Scattasti
come una molla
divenne clava
il braccio
e nero di lividi
facesti
l'incauto nemico:
Così
ti ricordo.
41
Tredici
nemici si sono asserragliati
nel bosco a Forno Nuovo.
Tredici
nemici hanno fatto strage:
è saltato Ponte Valentino,
cinquanta vacche, buoi legati al giogo
pecore, capre, più di centotrenta;
tutte gravide, in corpo ne avevan tre.
Il pastore, un ragazzo come me
trema come una foglia autunnale.
A
Paduli si mangia carne
solo carne, senza pane
42
Uno
dei tredici nemici è venuto in paese
e andato alla caserma dei carabinieri
il maresciallo l'ha sbattuto fuori:
è un ragazzo e non ha la barba!
Seduto
sullo scalino di una casa
piange il nemico ancora imberbe.
Mi vede, mi afferra un braccio
gli occhi colmi di lacrime
implora un vestito, un vestito di papa!
Era
ieri. Oggi alla «Centriera»
mentre andava verso Benevento
un caccia americano l'ha falciato.
L'hanno
sepolto a Paduli
si chiamava Franz.
43
I
nemici ora sono dodici
nascosti nelle grotte della Piana
sono affamati, stanchi, hanno paura.
E'
giunta in piazza una camionetta
a bordo tre soldati americani.
Gli abbiamo detto che c'erano i nemici
soltanto dodici, affamati e stanchi...
Sono fuggiti! Al loro ritorno
erano in cinquemila, con cannoni
mitraglie e carri armati.
Si
sono divertiti con la nostra fame
hanno approfittato delle nostre ragazze.
44
Sette
chilometri di uomini
laceri, sporchi, scherzano
bruciando giganteschi pidocchi.
Li
sfamiamo con noccioline e vino.
In
mezzo c'è Gennaro, evviva evviva
il primo amico che ritorna a casa.
Ho
undici anni due mesi
e undici giorni, io.
14
SETTEMBRE 1943
Interminabile
colonna di carne
lungo le rive del Tammaro
in quei giorni di settembre.
Corpi, anime sozze
di pidocchi
di vergogna
occhi
che non capivano
cercavano occhi vergognosi.
Uno,
ai piedi di una vite
in mano, un grappolo d'uva:
- Non voglio tornare a casa! -
e piangeva.
Fetore
di pelle:
non pidocchi giganti
mangiano giovane carne
non mia;
vergogna
morde l'anima:
eravamo duemila
due
soltanto ci hanno disarmato:
non voglio vedere mio padre!
Occhi
che non capivano
cercavano occhi vergognosi.
Dritto,
sulla collina
si staglia verso il cielo
come accusatore:
uomo in grigio-verde
armato fino ai denti.
Stupore,
meraviglia,
domande che si intrecciano
risposte non avute...
Michele era armato
non
sapeva perché.
Fedele al giuramento
era tornato a casa
ai padulesi non più
da ebete, da eroe.
Occhi,
che non capivano cercavano
tra carne putrefatta dai pidocchi
propria carne pieni di speranza.
Un
grido che sapeva
di prima liceo,
una parola petrarchesca
scosse lo stupore, l'apatia:
«Italia mia
vengo a vendicar
l'altrui vergogna!»
Ancora
imberbe, armato di bastone
corse per lo scosceso pendio: gridò!.
Una
scarica di mitra!...
Il
volto di fanciullo
gli occhi innocenti
aperti verso il ciclo
il corpo inerte
ai piedi dell'ulivo
sembrano dire: BASTA!
Occhi
che non capivano, i miei,
cercavano non vergogna...
Piansero,
piangono
e gridano: basta.
A
PORTANOVA, AL TRAMONTO (10)
A
Portanova, al tramonto
dove il colle domina la valle
ci riunivamo.
Quella sera
Luigi
Reparata ci disse:
«Parto. Vado marinaio...»
La cartolina rosa
mostrò orgoglioso
occhi raggianti:
primavera del quarantuno
quella sera!
Imberbe
divenuto uomo
su racconti di eroi.
Lo
rivedemmo passati tre mesi
lo sapemmo imbarcato sul «Giulio Cesare»!
Sua
vita le lacrime della madre
su mani callose abituate
al rastrello
erba
cattiva estirpare:
sano frumento non suo.
Suo
volto occhi aridi cercano
inconsolato cuore
suo corpo glabro.
Eroe,
giaci, dove?
Sulle
mani callose
scrosci di lacrime
cuore inconsolato
tua madre.
Forse
hai pianto prima di morire
imberbe divenuto uomo
su racconti di eroi.
10)
Scritta verso la fine di aprile 1945
SEGRETO
RIMANE (11)
Segreto
rimane
agli uomini
tuo ardimento.
Medaglie
al valore
croci di guerra...
Ti
rimandarono a casa.
Ora muori di fame.
11)
Scritta nella primavera del 1946, il giorno in cui vidi Rocco Limongelli
(decorato al valor militare), chiedere una sigaretta: non trovava lavoro. Poi,
mi hanno detto, che nell'agosto del 1948 si arruolò volontario nel Corpo degli
Agenti di Custodia)
FUORI
IL BALCONE
Fuori
il balcone, nel vaso grande,
il pesco che piantò mio padre
è alto, è più alto di me;
le foglie cominciano a cadere
mia nonna ha preparato un vestito nero
e piange. Il marito glielo strappa di mano
e lo butta, con foga, nel camino acceso.
Fuori
il balcone, il pesco piantato
da mio padre, comincia a perdere le foglie
e i reduci a carovane passano per Paduli.
A
TÈ NON BACIO’LA GLORIA (12)
Oh,
no! A te non baciò in fronte
la gloria.
Il
tuo giorno non finì
sul campo di battaglia
e mai codardo fosti.
Era
il dieci
di quel lontano
eterno, presente
settembre.
Ella
non ti volle
a Tobruck
non ti baciò
in Egitto
e
non ti abbracciò
a Tripoli.
Ti
attese sulla ferrovia
(sentivi l'odore di casa)
sotto la galleria:
...nelle pupille immobili
impressi i volti amati.
45
Uomini
passano, a migliaia,
aggirano il nemico, per far ritorno a casa.
Sporchi, laceri, increduli
per terra seduti come mendicanti.
I
camini di Paduli fumano tutti
in ogni casa preparano minestra
e pastasciutta. Un paracadutista,
catanese, trema ha la febbre alta:
un braccio e in cancrena
e non vuole fermarsi.
Un colpo in testa, a pugno chiuso,
non lo fanno mangiare, lo portano
dal medico condotto che gli recide
il braccio. Rimane a Paduli un bei tempo.
Mio
nonno scrive lettere e non parla
lettere che rimangono mute, come lui.
46
Ritornano
i reduci e mio padre?
l'hanno preso i nemici hanno detto;
una delle lettere ha parlato...
mio nonno lavora con più rabbia.
Il
passerotto è ritornato alla finestra
il nonno piange ed è la prima volta.
12)
Scritta nel 1946. Per anni il ricordo di
questo sfortunato padulese mi aveva tormentato (ancora oggi il ricordo mi
stringe il cuore "come un limone
senza succo", perché ero presente). Andavo ogni giorno alla stazione
ferroviaria di Paduli (sette chilometri all'andata, sette al ritorno), nella
speranza di veder scendere dal treno mio padre e mio zio Giovanni?
PANE
VERDE
(13)
Giorno
d'inverno, il sole ride
si corre per le strade allegramente
i reduci ora passano sporadici
qualcuno gioca con noi a nascondina.
Le
massaie sono elettrizzate
dopo mesi, si chiamano allegre
gridano gioiose, accendi il forno;
anche mia madre è affaccendata
Lina l'aiuta, sta impastando il pane.
Peppino
mi porta la notizia, con candore
per le strade, però, c'è uno strano odore.
Mi precipito al forno la bocca colma
d'acquolina: «un pò di pizza, mamma,
un pò di pizza». Questa è farina
che non conosciamo, il pane si è attaccato
dentro il forno. - Ma perché odora
di piselli? -
Proviamo
a metter sotto le foglie di cavolo.
E'
mezza giornata che aspetto e finalmente
mamma candida come la madonna
ci porge il pane tanto faticato:
è verde e puzza.
Per
la prima volta ho bestemmiato.
Sono
tornato a casa a tarda sera
stanco, ribelle, affamato;
mamma con calma certosina
mi porge il piatto per mangiare.
Ma!...
E' polvere di piselli puzzolente
la stessa di cui era fatto il pane:
ho
scaraventato il piatto dalla finestra
ho rotto anche il vetro e mamma piange.
Terrorizzato
mi sono rifugiato
sotto la mia capanna a Valle d'Asino.
13)
(Gli Alleati ci avevano portato farina di piselli e di fagioli. Le massaie di
Paduli desiderose di impastare e vedere un forno acceso, impastarono questa
farina e tentarono di fare del pane; ma la farina, oltre ad avere un odore
sgradevole e il colore verde, non riusciva ad amalgamarsi e si attaccava sul
pavimento del forno. Dopo vari tentativi, decisero di avvolgere la pasta in
foglie di cavolo; ma quella "cosa" che chiamavano
"pomposamente" pane, era immangiabile, più per l'odore che per il
sapore. Ciò contribuì, però, a non far atroffizzare le mascelle).
47
Mamma
ricama e vede sempre meno (14)
ha preteso a saldo del lavoro
solo grano o farina e le patate.
Il grano si deve macinare
il mulino è fermo, manca la corrente.
Aiutato da Peppino, con coraggio
andiamo a macinare alla «Palata».
E'
voluminoso il sacco dopo macinato
uno con l'asino ci aiuta e porta la farina
fino alla «Taverna» ed è ancora lontano
da casa. Peppino, faccia tosta, impertinente
dai - dice - coraggio, cosi domani
mangeremo pane.
Abbiamo
trainato il sacco nella polvere
quando siamo giunti a casa mamma
giuliva ci è venuta incontro.
Quando
è andata per impastare e farci
un pò di pasta fatta in casa
ha impastato terra con le sue lacrime.
(14)
Perché mangiassimo, finalmente, un pò di pane fatto con farina di grano, mia
madre si faceva pagare i lavori di ricamo, con grano e cereali. Quel giorno di
gennaio del 1944, l'avevano pagata con 20 chili di grano. Non mi pareva vero! Ma
il mulino elettrico non funzionava. Decisi di recarmi al mulino ad acqua,
lontano dal paese circa 5 chilometri. Il sacco con il grano non era voluminoso e
20 chili, portati in spalla, non erano pesanti, o fastidiosi; e con l'aiuto di
mio fratello Peppino diventava tutto più facile. Però non tenni conto (ero pur
sempre un bambino, anche se avevo 12 anni) che il grano una volta macinato
avrebbe aumentato il suo volume; per cui non era il peso, ma il volume che non
ci permise di portare il sacco, in spalla, come
per l'andata al mulino. Mia madre fece di tutto per eliminare la terra
infiltratasi e mischiata con la farina, ma senza riuscirvi. Dio le lagrime che
pianse!
48
Da
due anni, mio nonno non parla
lavora con rabbia e scrive lettere...
Mio padre, perché non ritorna?
E zio Giovanni dove si è perduto?
Mio nonno scrive lettere e non parla!
NELLE
ACQUE PROFONDE (15)
Nelle
acque profonde
dolora
caro
ai pescecani
corpo ventenne.
Cascate
di lacrime
divoro nel tuo ricordo.
Si
prodigò il fratello
ne porse in salvo dieci
lui rifiutò.
Era
bello come
un giovane dio
principe azzurro
alle ragazze.
Luce
di rettitudine
di nobiltà, di valore
suono al mio cuore.
Il
tuo sacrificio
anonimo resta
nell'albo d'oro della Patria.
(15)
Scritta nell'ottobre 1943, dopo circa due anni dalla morte di Poldino. «Il
fratello...» è Rocco Limongelli che si prodigò nel salvataggio, dei naufraghi
feriti (per questo era stato decorato al valor militare), ma Poldino, essendo
stato ferito leggermente, rifiutò il soccorso, perché c'erano altri marinai
che avevano maggiore necessità di aiuto; ma non tenne conto dei pescecani. Uno
di questi se lo portò nel fondo del mare.
UN
FITTO BISBIGLIARE
Un
fitto bisbigliare m'ha svegliato
è notte fonda ed ogni tetto è bianco.
Sospiri, singhiozzi e poi...
due labbra, lievi, mi sfiorano la fronte:
«Ben tornato papa! Dove sei stato?»
Ho
tredici anni cinque mesi ventun giorni!
E'
tutto sporco, la barba incolta
e ai piedi scarpe che non hanno suole.
Un suono di campane e lui in ginocchio
è nato il Redentore Gesù Cristo!
MI
CHIEDI (16)
Mi
chiedi
quando
non ci saranno più guerre?
Quando
l'uomo
cesserà di essere
animale razionale.
Quando
l'uomo
non farà più parole.
Quando
l'uomo
dimenticherà
la sua intelligenza
e ti stringerà la mano:
mano putrefatta
callosa
purificata
dalle sue lacrime.
16)
Una domanda fatta da mio fratello, mi fece scrivere questa lirica. Papa era
ritornato da due o tre giorni. Era il 27 dicembre 1945.
UN
CORRERE
(17)
Un
correre, un bisbiglio frettoloso
nell'alba radiosa è primavera
il nonno giacca in bocca
scarpe slacciate corre per le scale
abbottonandosi la patta dei calzoni.
«E'
ritornato! - dice - E' ritornato!
il cuccioletto e ritornato a casa!»
Pasqua
giuliva, odor di biancospini!
(17)
Pasqua 1946.
LE
FAVOLE CHE CONOSCO (18)
Non
saprò mai narrarti favole
Non conosco le fiabe
che tu vorresti ti narrassi.
Conosco
le favole
di mostri d'acciaio
morte salvazione
portano
mimetizzate
foglie
fiori primaverili
d'autunno
odio
amore
occhi
lucidi tremanti
sorrisi, mani tese.
Le
favole che conosco
sono queste
non t'interessano.
18)
Rosaria voleva che le raccontassi una favola: le parlai della mia fanciullezza.
Era un giorno d'estate del 1958.
IMPROVVISO
(19)
Improvviso
inesorabile
come
acqua gelata sulla pelle
arrossata dal sole di luglio
giunse il tuo male.
Ti fummo vicino.
Volesti che il medico
parlasse in tua presenza:
il medico non parlò!
Seguisti
il suo sguardo
come il viandante
i nostri
ansiosi:
nel Sahara
speranza d'acqua.
Un
triste sorriso
sulle tue labbra esangui
aleggiò:
e fu il silenzio.
Con
quel triste sorriso
finiva
la tua vita
in quel silenzio
ti riconciliasti con Dio.
Dopo
sorridesti ancora
ma era sempre silenzio.
19)
Scritta il 27 ottobre 1968 quando sapemmo che papà aveva un «carcinoma alla
vescica» in stato avanzatissimo. Infatti è morto il 3 novembre dello stesso
anno.
CANTO
DI NOTTE
(20)
Cantore
notturno
che mi porti le note
di un antico verso
in questa notte di nostalgia:
non cantare quel verso.
Devo
tornare? Ritornerò!
20)
Scritta il 10 aprile 1948, due mesi dopo che mi ero trasferito a Napoli.
ISOLA
DOVE NAVE (21)
Isola
dove nave non approda
lambita
disgregata
dai marosi: mia vita.
Tromba
marina
sommerge
quel
lembo di terra
mia vita.
Guardo
a Oriente
nel giorno che nasce
scruto...
bramo
orme venire
all'approdo:
speranza di vita.
21)
Scritta il 26 settembre 1940, il giorno che, a Napoli, vidi la prima volta il
mare.
...ho letto tutto d'un fiato "occhi che non capivano" e... cosa dirti? E' non solo sorprendentemente attuale, commovente e vivido il ricordo che tra le pagine ancora vive e con potenza, straziante, rapidamente arriva a colpire il cuore del lettore ma... incredibilmente sobrio e finissimo lo stile, considerato il fatto che a scrivere è un ragazzo... c'è da restare a bocca aperta: parole semplici, mai banali, armoniosamente rincorrono immagini e suoni, colori forti che la memoria di chi ha vissuto davvero la guerra, le atrocità dell'uomo, la speranza, non può... non vuole dimenticare. Ebbene è musica la tua, Reno... note che vibrano nell'anima, cariche cariche di storia e insegnamento e... amor per la vita e, nonostante tutto, ancora l'UOMO.
Max Mirabile
Ritorna all'indice di: