NATANIELE PAGHINI
Presenta
Il componimento poetico
"AUTUNNO"
I
OTTOBRE
Canto | Le vette nelle nubi | Giornate di mezzo Ottobre | Un'altra donna (Barbara) |
Il fiore nel prato | Storia di un fiore | Il giuramento |
II
NOVEMBRE
III
DICEMBRE
Stagione
delle dolci tristezze,
acqua
piovana odorosa di foglie,
terra
bagnata e nebbie umbratili,
amore
mio per sempre ed ovunque,
valli
e boschi cupi di colori bronzei,
silenzi
crepuscolari e canti sopiti,
ed
altro ancora all’infinito
per
lodarti mia passione e morte.
Nel
letto sento il farfugliare
gentile
della velata pioggia
ed
il ricordo di te aleggia
fra
il pacato piacere dell’ozio
e
le meraviglie di questa vita.
Apparivano nell’incantesimo
d’autunno
antiche e lontane tra le coltri,
scampoli possenti e sconcertanti
d’epoche che furono immense e perdute.
Quand’anche noi, presuntuosi
su questo mondo che non ci ricorderà,
saremo materia d’altre future vette,
questa immagine perfetta
di sensazioni irriproducibili
nessuno potrà rievocarla.
Ogni istante un intero mondo
viene perduto per sempre.
Sento
lo sfogliarsi delle giornate,
si
sovrappongono
ignorandosi
tra loro,
i
propositi che semino
degradano
nei solchi dell’ozio.
Dei colori di un’altra donna
mi sono tinti i sogni,
ed ho musicato poesie e danze
che sfumeranno negli aliti
del tempo.
Giù, in fondo al cuore,
ho una collezione di icone
le cui forme di meraviglia
che sono dolci muse
per le mie deboli arti
mai hanno potuto sbocciare
dalle loro crisalidi come
farfalle sui prati della realtà.
Non donna una che amai
mi ricambiò il sentimento,
ma percepisco fra il palpitare
del mio cuore, ora che sono
immobile nella veglia prima del sonno,
i tuoi timorosi pensieri su di me.
Vidi
un fiore così bello
e
così piccolo
che
quasi mi venne da piangere.
In
un prato che assaporava
le
mitezze del vento lontano.
Ed
erano quasi un’infinità,
comuni
ed unici come le persone,
ed
il loro profumo era quello
che
si vorrebbe sentire
nei
capelli di chi si ama.
Questo
è solo un ricordo
che
mi sono inventato, povero me,
in
una serata che non avrebbe
dovuto
esistere nei toni
di
una poesia.
C’era
una musica di pace
che
continuavo a rimettere,
ed
ogni volta che terminava
tutto
appariva gretto ed inutile.
A
volte, certe cose
sono
pensate per stare con altre…
forse
l’amore è sapere vivere
questa
realtà con un altro essere.
Io
so di una storia
che
morì come un fiore senz’acqua,
e
da quei petali scoloriti
che
conobbero soli caldi e venti miti
germogliarono
altri fiori,
taluni
meno belli,
altri
pari degli angeli sognati.
E’
una storia d’amore e morte,
perché
ogni amore è un uccidere
qualcosa
che si ha in sé
ed
ogni morte è un dono
che
si porge alla vita cosmica.
E
questa storia non ve la racconto:
ognuno
ha la sua nel proprio cuore,
che
potrà meditare e piangere
per
infine risorgere come fenice
sapendo
che il più grande dolore
è
quello di arrendersi
e
la più grande gioia quella
di
camminare malgrado tutto.
Il cielo pulito
come le anime degli animali,
ed il vento leggero
come la carezza dell’amore,
ed il sole felice e giallo
come lo vorremmo sempre.
Che profumo! Nell’aria
l’autunno aveva disciolto
le proprie essenze,
quelle che non si sentivano
si vedevano nei manti
variegati dei boschi.
I soldati marciavano
verdi e fieri, giovani e decisi,
in quella piccola caserma
che pareva così in armonia
con gli alberi ed i colli
da sembrare assurdo fosse
lì per ospitare ragazzi
che avrebbero all’occasione ucciso.
La donna del mio cuore
la voglio dolce e velata
come questa stagione,
che di bello ha anche il nome.
Abbiamo
questo maledetto dolore,
questo
artiglio perenne nell’anima,
questa
nube di pioggia e fiore marcio,
che
non ci abbandona mai, lì, sempre
dietro
l’angolo quando meno te lo
aspetti,
come un sogno ricorrente
che
oggi dimentichi e domani ricompare.
E’
un rapporto strano, incestuoso,
di
duro odio ed amaro amore,
perché
ti ha modellato e ti guida,
perché
senza di lui non saresti
quello
che sei, ma potresti
essere
ciò che vorresti essere.
E’
un albero della peste,
con
le radici bene in profondo
nella
coscienza, come fili
di
ferro che scendono nei polmoni.
E’
la tua vera immagine allo specchio,
non
illuderti e non voler fuggire
da
esso, che ti rappresenta per intero.
Il
dolore che hai subito, quello
che
hai somministrato, col passare
degli
anni la differenza si fa esile,
tutto
si stempera in un malessere
benvoluto
e temuto segretamente,
come
il favore di un malavitoso.
Non
illuderti, è il tuo ritratto.
Meravigliosi
e fatati erano gli alberi,
sui
pendii addolciti delle colline,
colorati
dalle malinconie d’autunno
e
raggelati dietro un velo di nebbia.
Si
respirava la stagione, quella mattina.
Una
pace d’armonie e di silenzi
ci
accompagnava e le nostre voci
erano
fastidi nella valle serena ed assopita
in
un sono da non scacciare.
Il
caso ci regalò un triangolo d’ali ed acrobazie
che
per un fugace attimo percepii
come
una sola cosa col mondo; e gli alberi,
il cielo, la nebbia uniti al quel volo
per
misteri impensabili eppur reali.
Quando
lo stormo scomparve
ed
io scorsi l’opalescenza del sole
inzuppare
di fredda luce le grigi nubi
e
spandere sui contorni delle colline
fili
fumosi, quasi convenni
che
l’uomo è l’unico essere senza scopo
in
un mondo altrimenti meraviglioso.
Mi
prese un’emozione forte in gola,
negli
occhi e giù nel ventre,
perché
capivo qualcosa di assolutamente
inesprimibile,
di assolutamente vero.
Noi
non siamo la misura del mondo,
non
siamo nemmeno la misura di noi stessi.
Siamo
solo la misura delle nostre
futili
quante troppe parole.
Mi rimase solo quella musica.
Nel buio della stanza,
seduto con la testa tra le mani,
a sopprimere il pianto maledetto,
mi resi conto
che esisteva solo quella musica.
Quante cose perdono d’importanza
di fronte alla tragedia di un uomo.
Non è forse questo, l’unico metro
per misurare il valore di una vita?
Viviamo all’ombra delle nostre
tragedie.
1
Quando
l’uomo scoprirà
il
suo scopo nell’universo,
allora
saprà il valore
delle
sue opere.
2
Voglio
respirare le ultime
nebbie
di novembre,
sentire
i tristi suoi mormorii
e
perdermi per sempre
nelle
sensazioni dell’animo.
3
Anche
l’autunno ha il suo dio,
come
un gigante di foglie cadute
e
terra umida di muschio, che seduto osserva rassegnato
gli
ultimi suoi figli pellegrinare
verso
cieli più miti.
4
Mi
suonerà con la sua arpa
antiche
melodie di nebbie e lune,
per
poi cantarmi tristi fiabe
di
amori mai sbocciati.
Ed
altro non saprà fare,
perché
è un dio solitario
che
non esaudisce desideri,
perché
e solo un dio
che
può ascoltare le tue lacrime.
III
DICEMBRE
Nella
cerca che investe ogni poeta
di
perfette combinazioni vocali,
dove
il suono sia una musica
dolce
come il canto delle sirene
e
lo spirito possa evadere
dalle
prigioni della civiltà,
troppi
sono i sentieri che devo
ancora
esplorare in questa mia vita
e
presto giungeranno le nevi dell’inverno
ad
annunciarmi che il tempo è finito.
Quando
il mio cuore sarà freddo
e
limpido come l’aria delle vette
ed
io avrò allora compreso
se
sono stato un vero poeta
o
solo un viaggiatore affascinato,
porterò
con me il rammento
di
ciò che fui e di chi incontrai
per
non scordarmi le gioie
ed
i dolori che sono più di un libro
e
quei volti meravigliosi che amai
anche
nel sol sbocciare di un fiore;
e
quelle musiche imparagonabili
che
furono ispiratrici
di ogni mia azione e mio pensiero.
Miro i tuoi movimenti
con la coda dell’occhio
e come ogni ingenuo romantico
mi beo del tuo canto.
In questa mia vita,
che come tutte le vite
è un campo di dolori e di speranze,
tu sei un nuovo angelo
ed un nuovo demone
venuto a ricordarmi
che nella polverosa strada
di tutti noi l’amore non è un fiore
che si può gettare dopo
averne consumato il profumo.
Fra
quelle nubi, che hanno
il
colore dei miei sogni,
amerei
volare, nei silenzi
del
freddo e degli spazi
che
confini non conoscono,
dimentico
dei giorni passati
e
di quelli a venire,
per
trovare infine
il
giusto equilibrio tra
gli
sprechi di questa mia vita.
E
precipitando libero
dai
mondi della civiltà
ricongiungermi
in un amplesso
di
sangue e gloria e morte
con
mia madre la terra.
Il
dramma che pulsa
in
ogni nostro gesto,
l’errore
che ci condanna
e
si prolunga languendo
come
l’eco di un pianto…
unica
verità da affrontare
per
salvare la dignità
di
essere vivente
o
svelare di essere solo maschere.
A quell’uomo sfuggì, in un tardo
mattino d’autunno nebbioso,
il senso delle cose e la giusta
configurazione umana atte
a pacificargli per l’eterno l’anima.
Rimasto solo, fra un’educazione
fredda ed una ancora più gelida
erudizione di vastissime sapienze,
si chiese perché l’ignorante
e l’ingenuo erano più di lui felici.
Ma perché, rispose un giorno
il serafico cielo d’inverno,
terso come l’occhio di un’aquila,
l’ignorante non sa nulla
e non si preoccupa di sapere altro
o di più, non sa neppure che esiste
qualcosa da sapere,
e l’ingenuo è troppo ingenuo
per credere necessario soffrire
al fine di scoprire verità inutile
a soddisfare i suoi piccoli bisogni.
Nel mezzo ci sei tu, uomo