MORTA LA PERIFRASI

(DIVERTISSEMENT)

25/12/2002

 

 

    

Odo festante un botto

che pur detonando rallegra

e nessuno uccide,

ma in fuga mette

dal mio fido amico d’amor costante

gli alati silenti fratelli

Morfeo, Fobetore e Fantaso:

spaurito e ignaro si ridesta

ed ambe le orecchie,

che drizzate avea da prima,

cader lascia seduto e sgomento

là dove i potenti di Persia

sedevano un tempo…

 

Insomma, un petardo scoppia

e spaventa il mio cane

che si drizza sul divano.

 

Però, morta la perifrasi

- balaibalan dei sacri vati insuperabili -

come farci ancor di poco o niente una poesia?

 

Note.

La circonlocuzione in luogo della parola specifica, del nome proprio, dell’espressione diretta, è stata per secoli uno dei più importanti strumenti del linguaggio poetico. Tutti i poeti, fino alla fine dell’Ottocento e al Novecento, hanno fatto ricorso alla perifrasi ogni volta che occorreva evitare il termine realistico, tecnico o quotidiano. Come ricorda Francesco Sarri, ancora nell’Ottocento un maestro di retorica dava ai suoi discepoli il consiglio di aborrire le idee basse, che rammentino cose a noi troppo vicine… “Non dirai amore, ma il bendato arciere; non il vino ma liquor di Bacco; non il leone, l’aquila, ma la regina de’ volanti, il biondo imperator della foresta; non l’acqua, ma il liquido cristallo… Etc.).

Un altro esempio: prima che Guido Gozzano osasse chiamare il caffè col suo nome, il Parini, costretto a parlarne per la prima volta nei suoi versi, lo chiamò “la nettarea bevanda ove abbronzato / fuma e arde il legume a te d’Aleppo / giunto e da Moca…”! 

Il fatto che io abbia scritto questo divertissement è perché gran parte delle poesie classiche, considerate patrimonio “insuperabile” ancora oggi, stringendo, in realtà, spesso, non dicono che poco più o lo stesso del “petardo che scoppia / e spaventa il cane / che si drizza sul divano”, e tutta l’arte poetica si complica in circonlocuzioni incomprensibili senza note a pie’ di pagina, senza contare la  metrica e la stilistica. Nonostante un secolo e più di sliricizzazione, ancora oggi c’è chi aborre la parola specifica, il nome proprio, l’espressione diretta, pensando che ciò non sia poesia creando altre perifrasi di effetto più moderno, ma non meno ridicolo.

 

Morfeo, figlio favoloso di Hypnos e della Notte, è una divinità dei sogni che assume sembianze umane. I suoi fratelli sono Fantaso, che procura sogni di case e paesaggi, e Fobetore o Icelo, che assume forme di animali.

 

Poiché il mio cane si chiama Ulisse, ho qui citato Argo, il cane di Ulisse dal passo dall’Odissea XVII:  “Com’egli vide il suo signor più presso, / e, benché tra que’ cenci il riconobbe, / squassò la coda festeggiando, ed ambe / le orecchie, che drizzate avea da prima, / cader lasciò…

 

Balaibalan: E’ un idioma sacro e segreto degli iniziati della setta dei dervisci Horufi (XVI secolo), analoga per sintassi alla lingua araba, prima lingua artificiale sviluppata volutamente dall’uomo, a tavolino.

Davide Riccio

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