Il teatro Massimo di Palermo chiuso per un restauro nel lontano febbraio
del 1974, e mai piu` riaperto, e` finito per diventare agli occhi degli
abitanti della mia citta`, come un comune elemento decorativo che si incontra
passeggiando per il centro storico. Troppi anni sono infatti trascorsi
dall'inizio dei lavori, perche' i cittadini, anche i piu` anziani, possano
ricordarsi che quello, un tempo, era anche un teatro. L'iniziativa "Palermo
apre le porte" seguita anche dall'ACTA, lo scorso anno, mi permise per
la prima (ed unica) volta di ammirare piu` da vicino questo monumento.
Mi fu concesso di visitare soltanto l'atrio di ingresso; pochino... ma
basto` per affascinarmi.
Tutto dava l'impressione di essere colossale, solido, indistruttibile,
molto piu` di quanto le mure esterne lasciassero trasparire. Se l'atrio
di ingresso e` nelle giuste proporzioni rispetto alla sala, quali meraviglie
si celano allora dietro quelle mura? Ne rimasi cosi` affascinato che decisi
di approfondire le mie conoscenze sull'edificio, almeno per sapere se un
tempo ha veramente funzionato come teatro.
Scopro che fin dalle sue origini non fu molto fortunato. La sua costruzione,
iniziata nel lontano 1875, a piu` di vent'anni dalla presentazione del
progetto, venne interrotta gia` una prima volta nel 1881 ed i lavori rimasero
fermi per circa un anno. Il proseguimento dell'opera fu in seguito affidata
ad Alessandro Antonelli, ormai ottantasettenne, che pur avendo accettato
l'incarico, non venne mai a Palermo per eseguirlo. Passo` in seguito nelle
mani di Giovan Battista Filippo Basile, che la porto` quasi a compimento.
Mori` infatti poco prima che il teatro fosse completato. Il Massimo,
che avrebbe dovuto affiancare l'altro teatro di Palermo, il Politeama,
venne concepito come un'opera grandiosa, all'avanguardia, in grado di dare
grande prestigio alla nostra citta`. Rappresento` anche una sfida per lo
stesso progettista e direttore dei lavori Basile che ivi sperimento` le
ultime idee affiorate nelle recenti Esposizioni Universali di Parigi del
1867 e del 1878, seppur entro certi limiti, dato che l'uso del metallo
"a vista" come elemento anche stilistico, che si andava delineando in quegli
anni e che raggiungera` la sua massima espressione grazie all'ingegnere
Eiffel nel 1887, nella torre che diverra` poi il simbolo di Parigi, mal
si sposava con lo stile classicheggiante che il teatro, per contratto,
doveva avere. Questa voglia di "grandiosita`", ma anche gli innumerevoli
imprevisti affrontati durante la costruzione, fecero lievitare di gran
lunga la spesa rispetto ogni previsione (quasi quattro volte), nonche'
slittare la data di inaugurazione di parecchi anni. Fu comunque un'opera
dai costi relativamente contenuti, se confrontata agli altri grandi teatri
affiorati in quegli anni in Europa, come l'Opera di Parigi (che costo`
circa quattro volte di piu`). L'area designata per la costruzione del teatro
fu scelta dopo un interminabile dibattito cittadino durato un ventennio,
all'interno del centro storico, non senza lasciare aperte parecchie polemiche,
dato che comporto`, con i suoi circa 8000 mq di estensione la distruzione
di numerosi edifici tra cui alcuni complessi conventuali seicenteschi di
grande pregio. L'eliminazione dei giardini ad essi annessi, permise di
liberare complessivamente circa 25000 mq, che sarebbero serviti per creare
la piazza G. Verdi attorno il teatro. L'area suddetta fu scelta anche in
base alle "presunte" proprieta` geologiche del terreno (che non fu mai
permesso testare prima), data l'imponente mole che avrebbe dovuto sopportare.
I primi imprevisti si manifestarono durante gli scavi per le fondamenta:
gli orti dei monasteri nascondevano degli antichi fossati di fortificazioni
ricolmi di terra, dei pozzi e degli acquedotti non segnalati dai precedenti
studi storici ed una grande sepoltura nella cripta di una chiesa demolita,
che costrinsero ad approfondire gli scavi oltre le previsioni. I pozzi
vennero riempiti e sigillati, la sepoltura coperta da una solida volta.
Ove possibile fu riutilizzata la pietra delle demolizioni, per le strutture
non portanti. Il resto della pietra doveva essere estratta da cavi locali.
Tale pietra, tuttavia si rivelo` di qualita` molto inferiore alle previsioni.
Gli unici dati disponibili all'epoca, rilevati circa un decennio prima
con attrezzatura molto rudimentale, fornivano dei rapporti carico superficie
anche doppi rispetto a quelli reali. Cio` costrinse il Basile ad un incredibile
lavoro di differenziazione dei materiali, dato che i piu` pregiati dovettero
essere acquistati da Pisa o Napoli, accrescendo notevolmente sia i tempi
di approvvigionamento che i costi. Non solo... il cambiamento dei materiali
poneva problemi secondari non irrilevanti, come tempi di indurimento delle
malte valutati in diversi mesi, o problemi di rivestimento di alcune pietre
esposte all'aria. Come se non bastasse, anche per la restante pietra, le
cave locali si esaurirono prima del previsto. L'esame molto accurato delle
strutture di alcune costruzioni recenti, come il Politeama, permisero al
Basile di fare tesoro di alcune imprecisioni commesse in passato, correggendo
ove necessario i propri calcoli nelle proporzioni opportune alle maggiori
dimensioni della sua opera. Tuttavia, anche questo influi` pesantemente
sul bilancio. Molta cura venne dedicata nella prevenzione degli incendi,
prevedendo delle strutture di partizione orizzontale, per arrestare le
fiamme tra locali confinanti, e riducendo al minimo indispensabile i materiali
aggredibili dal fuoco, seppur non si potette evitare l'uso del legno come
rivestimento interno della sala, per le sue proprieta` acustiche. Il ferro
sostitui` dove possibile le parti tradizionalmente realizzate in legno,
come le travi di sostegno della cupola. Anche qui, il Basile sperimento`
delle tecniche d'avanguardia, che apprese a Parigi. Dei grossi serbatoi
d'acqua, tubazioni di dimensioni opportune ed idranti sparsi per tutto
il teatro, avrebbero dovuto assicurare i mezzi necessari a contrastare
eventuali incendi. La grande sala del teatro venne conformata in virtu`
della visibilita` e della resa acustica. Il sistema di smaltimento dell'acqua
piovana fu molto curato.
Il grosso ormai era fatto. Ma era anche ora di guardare il portafogli,
ed operare tutti i tagli possibili per ridurre la spesa salita ormai molto
piu` in alto delle previsioni. Macchinari e struttura del palcoscenico,
che dovevano essere tra i piu` avanzati del secolo vennero semplificati,
cosi` come il sofisticato impianto di riscaldamento a tiraggio forzato,
ritenuto non indispensabile per il clima mite di Palermo. Ma si dovette
far fronte a nuovi imprevisti: il pezzo centrale del grosso architrave
del portico, a lavori conclusi si lesiono` a causa di un difetto intrinseco
del tufo e dovette essere restaurato.
Siamo arrivati cosi` al 1897. Le note del "Falstaff" inaugurano il
teatro. Seguirono rappresentazioni sempre di altissimo livello. Vi cantarono
anche Enrico Caruso e Maria Callas, furono riproposte opere dimenticate
di grandi artisti come Rossini e Bellini, furono rappresentate prime assolute
come "L'amore di Galatea" il cui libretto e` firmato da Quasimodo, o "Il
Gattopardo" di Musco. Nel gennaio del 1974 le note del Nabucco furono le
ultime a risuonare nel grande e prestigioso teatro. Siamo ai nostri giorni.
Dopo oltre venti anni di restauri, il sovraintendente del teatro ci promette
una risoluzione rapida del problema, calcolabile in un paio d'anni ancora,
per rendere funzionale il teatro. I dettagli verranno invece curati a teatro
gia` funzionante. La burocrazia italiana, pero`, potrebbe mettere nuovamente
il bastone tra le ruote, ed allora...