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OSSERVATORIO ASTRONOMICO
La terrazza-spettacolo
e i telescopi del Gattopardo
Il primo gennaio del 1801 un puntino bianco nel telescopio dell’astronomo Giuseppe Piazzi diede conferma delle supposizioni avanzate da tempo: l’esistenza di un piccolo pianeta fra Marte e Giove. Quell’astro, ossservato con il Cerchio di Ramsden dalla Specola (letteralmente, il luogo da cui si osserva) del Palazzo Reale era il primo asteroide, intitolato a Cerere Ferdinandea, in omaggio al re e al governo borbonico che avevano investito pochi anni prima ingenti somme nell’avvio dell’istituzione scientifica. Piazzi, tuttavia, non era astronomo. A Palermo giunse come lettore di Matematica presso l’Accademia dei Regi studi nel 1781; solo sei anni più tardi gli fu assegnata, con qualche titubanza, la cattedra di Astronomia. Ma si rivelò una scelta vincente, che proiettò Palermo tra i migliori centri di ricerca astronomica d’Europa. A Piazzi si devono due cataloghi di stelle, pubblicati nel 1803 e nel 1814, che gli valsero il premio dell’Académie des Sciences di Parigi e fama internazionale. Per raggiungere questi importanti risultati, chiese al Re di studiare astronomia pratica Oltralpe e di acquistare il fior fiore della tecnologia del tempo presso le migliori officine inglesi. Quegli strumenti costituiscono oggi il nucleo principale del Museo dell’Osservatorio Astronomico, un luogo di fascino straordinario collocato sin dalla sua fondazione in cima a una torre del Palazzo |
dei Normanni, dalla cui terrazza si gode quello che probabilmente è il panorama più bello e vasto sulla città. Ma è l’intero Museo a meritare la visita. Il pezzo più importante della collezione, unico nella sua progettazione, è lo strumento utilizzato da Piazzi per le sue ricerche: il Cerchio di Ramsden, che prende nome dal più celebre costruttore di strumenti scientifici del Settecento, e che costituisce un vero capolavoro della meccanica di precisione dell’epoca. Fu collocato nell’elegante sala circolare con colonne in marmo di Carrara, forse progettata da Venanzio Marvuglia, amico del Piazzi. Léon Dufourny progettò arredi e vetrine della Specola. Ma l’uomo che guardava le stelle aveva i piedi ben piantati per terra se è vero che sognava la restituzione geografica su carta del suolo siciliano. Le mappe dell’epoca erano molto approssimative e una moderna mappa della Sicilia ben si accordava col progetto di riforma fiscale del ministro Luigi de’ Medici. Ma i nobili dell’Isola, com’era ovvio, fecero opposizione e il progetto rimase incompiuto. Il successore di Piazzi, Niccolò Cacciatore, arricchì la già corposa collezione con l’equatoriale portatile di Ramsden, la bussola di Dollond e il celebre sismoscopio a mercurio che porta il suo nome, nonché con molti strumenti meteorologici. Quando Domenico Ragona si insediò come direttore alla Specola, la leadership nella costruzione di strumenti astronomici era in Germania: ordinò così nel 1853 il Cerchio meridiano alle officine Pistor & Martin di Berlino e il grande Telescopio equatoriale alla famosa ditta Merz di Monaco. Fu probabilmente Giovan Battista Filippo Basile a disegnare gli arredi della Sala Meridiana, che tutt'oggi si possono ammirare al Museo. Con il modenese Pietro Tacchini, nella seconda metà dell’Ottocento, l’Osservatorio risalì la china del successo scientifico, dopo decenni di silenzio. Tacchini fece innanzitutto montare il telescopio equatoriale di Merz che giaceva imballato da anni, dotò l’osservatorio di numerosi strumenti destinati alla meteorologia (disciplina che proprio in quegli anni assunse una propria fisionomia) e pose le basi per quella branca che oggi si chiama astrofisica: Palermo divenne così uno dei più importanti centri di fisica solare dell’epoca. Con la partenza di Tacchini per Roma, l’Osservatorio conobbe quasi un secolo di declino, interrotto solo con l’arrivo di Giuseppe S. Vaiana, nel 1976. Per l’antica e prestigiosa istituzione iniziava così un nuovo periodo di fama. Vaiana, attento alle radici locali, si preoccupò di recuperare tutto il patrimonio strumentale. Attualmente la collezione conta circa 150 pezzi, che comprendono non solo strumenti di astronomia, ma anche di meteorologia, di fisica, di topografia. Tra i più suggestivi, tre telescopi usati dal principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, astronomo e osservatore di comete, cui si ispirò il pronipote Giuseppe Tomasi per la figura del protagonista de “Il Gattopardo”. Le tre cupole sono state interamente rifatte e alleggerite per non gravare eccessivamente sulla struttura della duecentesca Torre pisana. La collezione è proprietà del dipartimento di Scienze fisiche e astronomiche, mentre il Museo è gestito, per convenzione, dall’Istituto nazionale di Astrofisica-Osservatorio Astronomico di Palermo Giuseppe S. Vaiana (Inaf-Oapa), attualmente diretto dal professore Salvatore Sciortino. Ex curatore e attuale responsabile scientifico delle collezioni è Ileana Chinnici dell’Inaf-Oapa. Palazzo Reale, piazza Indipendenza, Palermo
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